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Rimesse ripristinatorie e solutorie

2.3 Problemi lasciati aperti dalla sentenza della Cassazione

2.3.1 Rimesse ripristinatorie e solutorie

Innanzitutto la distinzione tra rimesse ripristinatorie e solutorie sarebbe eccessivamente rigida specialmente in quei casi in cui, dietro a una rimessa apparentemente ripristinatoria, si cela un vero e proprio pagamento di un debito liquido ed esigibile. Un esempio è costituito dal “congelamento del conto”63 quando cioè esso è destinato solo alla ricezione di versamenti al fine di favorire un rientro del correntista. In questi casi, essendo quest’ultimo impossibilitato a poter riutilizzare le somme versate, è indubbio come viene meno la “funzione di ripristino della disponibilità che la banca era obbligata a tenere a disposizione del cliente”64. Questa condizione ha posto dei problemi per quanto riguarda la dimostrazione del “congelamento) in quanto il correntista, così come è libero di poter prelevare e versare quante volte vuole è anche però libero di non intaccare nuovamente la provvista ricostituita. Dunque sostiene la Cassazione che per poter arrivare a tale prova non è sufficiente invocare l’inutilizzazione delle rimesse effettuate sul conto passivo65, ma serve dimostrare, alla luce di “specifiche circostanze di fatto” (per esempio il rifiuto della banca al rilascio

63 Ciò accade specialmente in quei casi in cui l’istituto bancario, percependo

la situazione di crisi finanziaria del proprio correntista, blocchi lui la disponibilità delle somme a titolo di fido, imponendo dunque una movimentazione a senso unico. Questo meccanismo rappresenta inoltre anche un comportamento valutabile in sede di dimostrazione della scientia

decoctionis.

64 Cass. civ. 03-07-1987, n. 5819, in Foro it. 1988, I, c. 850

65 Sosteneva infatti la Suprema corte che tale circostanza è evidenziabile

allorquando “dall’estratto conto risulti che nessun effettivo atto di disposizione sia stato compiuto dalla correntista nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento” (così Cass. civ. Sez. I, 04-12-1996, n. 10816, in Nuova giur. civ., 1997, I, 386).

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del blocchetto degli assegni), l’intenzione della banca di imporre un blocco al cliente di quelle disponibilità66.

Ciò si lega al fatto che si era affermato un orientamento della giurisprudenza che prevedeva la possibilità di revocare le rimesse intrafido quando fosse apparso ex post che avessero “concretamente e definitivamente concorso a ridurre il debito verso la banca”67. Tale tesi si basava sul fatto che in quei casi “la banca, oltre ad essere rientrata di tutti gli sconfinamenti, concretamente rientrava anche dell'ammontare rappresentato dalla differenza tra l'apertura di credito e il saldo finale, in quanto le rimesse, seppur avvenute entro i limiti dell'apertura di credito, non erano state più seguite da successivi prelievi e, pertanto, non avevano ricreato provvista, rappresentando appunto con valutazione ex post, un rientro per la banca”68. Successivamente la giurisprudenza, in virtù anche delle critiche mosse da parte della dottrina69 la quale riteneva che la valutazione della rimessa dovesse essere effettuata al momento del suo compimento e non in base a un eventuale successivo riutilizzo, ha tuttavia cambiato opinione affermando che, aderire alla revocatoria dello scoperto applicando rigorosamente la disciplina del contratto di apertura di credito, precluda tale possibilità70

66 Cass. civ. 06-11-2007, n. 23107, in Foro it. 2008, I, c. 1947 67 Così Cass. Civ. 29-07-1992, n. 9064, in Fallimento, 1993, 144

68 M. Arato, L'individuazione del "saldo disponibile" nella giurisprudenza della

Cassazione in materia di revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente, in

Giur. comm., fasc.3, 1995, pag. 325

69 Giuseppe Tarzia, La revocatoria fallimentare dei versamenti in conto corrente

bancario, in Giur. comm., 1987, I, p. 40; dello stesso avviso anche D. Martella, Rimesse in conto corrente bancario e revocatoria fallimentare, in Riv. dir. comm.,

1990, pag. 768 ss

70 Ex plurimis Cassazione 09-12-2004 n. 23006, in Giust. civ. Mass. 2004, 12,

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Tuttavia, nota Buta71 che vi è una differenza tra i casi di conto congelato e i casi di accertamento ex post della natura solutoria della rimessa su conto passivo, ovvero che il primo “si caratterizza non tanto e non solo per la mancata utilizzazione della disponibilità in conto corrente (elemento di per sé equivoco), quanto piuttosto per l'ulteriore e più significativo profilo (…) [del]la revoca di fatto dell'affidamento”. Ecco che, sebbene la giurisprudenza ormai non ritenga più revocabili le rimesse solo perché non sono state nuovamente intaccate, ciò non esclude che “l'atto possa considerarsi solutorio tutte le volte che si dimostri che il comportamento effettivamente tenuto dalle parti possa, sin da allora, rivelarsi espressivo della volontà di chiudere il rapporto ed estinguere le passività del conto”72. La sentenza fa inoltre riferimento a altro tipo di ipotesi, ovvero sottolinea come la rimessa su conto passivo è in linea generale ripristinatoria, ma a patto che non vi sia una specifica imputazione a pagamento di quell’atto (ovvero che non sia stato stipulato un accordo tra la banca e il correntista per il quale quest’ultimo voglia estinguere la propria situazione debitoria e dunque operare un rientro), attribuendo dunque a quelle rimesse non più il valore dato dall’apertura di credito, ma una vera e propria natura solutoria73; questo aspetto è stato

n. 462, in Fallimento 1998, 714; Cass. civ. 05-12-1996 n. 10848, Fallimento 1997, 805.

71 G. M. Buta, Osservazioni in tema di revocatoria fallimentare delle rimesse su conto

corrente congelato, in Banca borsa tit. cred., fasc.3, 2000, pag. 264 ss

72 Vedi supra.

73 D. Regoli, Brevi note in materia di revocatoria di rimesse in conto corrente (nota

a Cass. Civ. 05-12-1992) in Foro It. 1994, I, 1126 ss; dello stesso avviso anni prima anche F. Bonelli, La revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente

bancario: la giurisprudenza della Cassazione a partire dal 1982, in Giur. comm.,

1987, I, 215, il quale porta ad esempio Trib. di Roma 29/09/1983 che, sulla scia della sentenza storica della Cassazione del 1982 dichiarò la revoca dell’accreditamento effettuato poiché avente “specifica destinazione di

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evidenziato anche da Bonfatti74 il quale afferma che “la natura ripristinatoria della rimessa viene meno nel momento in cui banca e correntista si accordano, anche senza formalità, di movimentare il conto solo a rientro, denaturando dunque la natura stessa del contratto di apertura di credito”75.