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SOMMARIO: 1 IL RISCHIO CONTRATTUALE – 2 I PRESUPPOSTI DI RILEVANZA DELLE SOPRAVVENIENZE – 2.1 LA NATURA DEI CONTRATTI COLPITI DALLE SOPRAVVENIENZE –

1. IL RISCHIO CONTRATTUALE

Il tema della gestione delle sopravvenienze offre una serie di spunti particolarmente interessanti. Tuttavia, per comprendere al meglio la questione, è necessario partire da taluni rilievi di carattere preliminare in merito al contratto e a quella che tradizionalmente è chiamata la sua «forza di legge».

La forza di legge del contratto, enfaticamente sancita dall’articolo 1372 cod. civ., si fonda sul principio di autonomia contrattuale delle parti, le quali,

decidendo liberamente e volontariamente di concludere un contratto68, sono

tenute a rispettarlo al pari della legge. Tutto questo è stigmatizzato nella massima «pacta sunt servanda».

Un’applicazione strettamente letterale di tale principio comporterebbe che qualsiasi mutamento sopravvenuto delle circostanze, per quanto grande che sia, non possa mai incidere su un rapporto contrattuale già esistente.

Tuttavia, una tale lettura dell’autonomia contrattuale non è mai appartenuta alla nostra tradizione giuridica. Infatti, l’origine di una tendenza atta a mitigare il rigore del principio «pacta sunt servanda» è da rintracciare

già nelle opere di Cicerone e di Seneca69, anche se le prime elaborazioni

compiute sul tema si devono più propriamente alle fonti canonistiche. In seguito, anche i giuristi dell’età di mezzo ritenevano che in ogni contratto fosse sottintesa una clausola «rebus sic stantibus» in forza della quale il contratto stesso vincola le parti soltanto fintantoché rimanga immutata la situazione esistente al momento della sua conclusione. Dal canto suo, la dottrina italiana, nel vigore del Codice Civile del 1865, ha sempre mantenuto una sostanziale dicotomia nei confronti della questione; e ciò sino a quando nel Codice Civile del 1942 si è inteso dare definitivo riconoscimento alla clausola «rebus sic stantibus» attraverso la previsione dell’articolo 1467 cod. civ.70.

È chiaro, infatti, che così come la forza del vincolo contrattuale non può che fondarsi sui valori sottesi al principio «pacta sunt servanda», è altrettanto chiaro che, in relazione ai difetti funzionali che un contratto potrebbe presentare, possono venire in gioco «altri valori e interessi» che

allentano il rigore del principio «pacta sunt servanda»71.

Fra tali valori, un ruolo cruciale è svolto dalla buona fede, la quale costituisce il fondamento degli istituti rimediali – come appunto l’articolo 1467 cod. civ. – predisposti dal nostro ordinamento allorché i contraenti si vengano a trovare in uno scenario diverso da quello alla cui base è stato prefigurato e accettato il regolamento contrattuale. Il principio della buona fede, in altre parole, consente di reagire alle iniquità sostanziali cui si

69 Cfr. M. T. CICERONE, De officiis, a cura di G. PICONE R.R. MARCHESE, Nuova Universale

Einaudi, 2012, I, cap. 10. Si possono trovare degli esempi anche in L. A. SENECA, De beneficiis, a

cura di M. MENGHI, Laterza, 2012, IV, cap. 34.

70 F. MACARIO, Le sopravvenienze, cit., p. 616; da un punto di vista storico cfr. G.OSTI, La cosiddetta clausola «rebus sic stantibus» nel suo sviluppo storico, in Rivista di diritto civile, 1912, p.1; ID., voce

«Clausola rebus sic stantibus», in Novissimo Digesto italiano, III, UTET, 1967, p. 353; e anche cfr.

C. G. TERRANOVA, L’eccessiva onerosità nei contratti, Artt. 1467-1469, in P.SCHLESINGER (a cura

di), Commentario del codice civile, Giuffrè, 1995, pp. 5-23.

perverrebbe attraverso una rigorosa e letterale applicazione del principio «pacta sunt servanda», qualora durante l’attuazione di un contratto avvengano mutamenti della situazione di fatto o di diritto.

Da questi sommari rilievi si comprende come l’imperativo morale «pacta sunt servanda» esprima nient’altro che una regola di carattere funzionale secondo cui, nel momento in cui le parti si accordano e concludono un contratto allo scopo di raggiungere un determinato risultato pratico, esse sono vincolate al regolamento contrattuale da loro accettato; tale vincolo, però, non va considerato in modo assoluto, bensì nella misura in cui risulti necessario per conseguire il risultato voluto.

Così chiarito il significato del brocardo «pacta sunt servanda», occorre, inoltre, tenere presente che tale principio riceve un’applicazione del tutto peculiare quando dal terreno dei contratti ad esecuzione istantanea – ai quali è

monoliticamente dedicato l’impianto del Libro IV del nostro Codice Civile72 –

si passa a quello dei contratti di durata.

Tali contratti sono caratterizzati dal fatto che il rapporto che da questi si origina è destinato a durare per un tempo abbastanza lungo, durante il quale potrebbero presentarsi una serie di avvenimenti idonei a compromettere il conseguimento del risultato voluto.

Il rischio di paralisi può assumere diverse forme e fondarsi su differenti presupposti. A titolo esemplificativo: un intervento legislativo che incide direttamente sul contratto o sul rapporto, uno o più avvenimenti straordinari che creano una sproporzione fra le prestazioni, l’incapacità di una delle parti di far fronte agli impegni assunti a causa di mutamenti della situazione (di fatto o di diritto) che rendono non più esigibili o pretendibili i suddetti impegni.

Un ordinamento giuridico che tende alla completezza non può disinteressarsi a tali fenomeni; e ciò non tanto per il rilievo supremo della

72 Cfr. F.MACARIO, Regole e prassi della rinegoziazione al tempo della crisi, in Giustizia civile, 2014,

volontà delle parti, intesa come volontà del contenuto73, quanto piuttosto per il

rilievo che occorre dare al risultato che con il contratto s’intende perseguire74.

Allo stesso tempo, si potrebbe essere indotti a pensare che, qualora si desse rilevanza a qualsiasi sopravvenienza, si andrebbe a limitare o a porre sostanzialmente nel nulla la forza del vincolo contrattuale. Non è così, in quanto, sebbene semplicisticamente sia stato sempre contrapposto il brocardo «rebus sic stantibus» a quello «pacta sunt servanda», tale risultato non è altro che l’applicazione del principio sancito nell’articolo 1372, primo comma, cod. civ. ai contratti destinati a protrarsi nel tempo tra le parti.

Fatta questa premessa, le questioni giuridiche sollevate dalle sopravvenienze sono essenzialmente due: in primo luogo, occorre stabilire se i mutamenti sopravvenuti possano avere rilevanza in confronto al vincolo contrattuale e a quali condizioni (ossia l’an di rilevanza delle sopravvenienze); in secondo luogo, in caso di risposta affermativa al precedente interrogativo, occorre individuare i rimedi a disposizione delle parti per reagire a tali mutamenti (ossia il quomodo di rilevanza delle sopravvenienze).

Sotto il profilo dell’an, il problema delle sopravvenienze s’iscrive nel più generale tema del rischio contrattuale e, nello specifico, del rischio relativo

ai fatti sopravvenuti al contratto75. Per tale ragione, da una parte, tali problemi

riguardano esclusivamente la fase esecutiva del contratto76, ossia il rapporto

contrattuale, presupponendo la positiva risoluzione delle questioni relative al momento genetico, ossia al contratto-atto; e, dall’altra, quando ci si interroga sulla rilevanza da riconoscere agli eventi sopravvenuti, ci si riferisce esclusivamente alla disciplina del contratto e non a quella dell’obbligazione; disciplina, quest’ultima, che il nostro codice ha inteso mantenere separata dalla prima.

73 R. SCOGNAMIGLIO, Contributo alla teoria del negozio giuridico, cit., p. 255.

74 La prima impostazione che supera la dogmatica volontaristica tradizionale si deve a M.BESSONE, Adempimento e rischio contrattuale, Giuffrè, 1969, specificamente pp. 323 ss.

75 F.MACARIO, Le sopravvenienze, cit., p. 498

76 Per la distinzione del contratto-atto dal contratto-rapporto cfr. E.BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, ESI, 1943, pp. 315 ss.

Occorre, inoltre, precisare che un problema di rilevanza delle sopravvenienze si pone solo nel caso in cui le parti non siano state così previdenti da regolare l’ipotetico rischio delle sopravvenienze. In tale caso, infatti, nulla quaestio: sarà il contratto e, nello specifico, le singole previsioni delle parti a stabilire se e come le sopravvenienze abbiano rilevanza. Al contrario, nel caso in cui il contratto sia – come si suol dire – un «contratto incompleto», ossia nulla preveda in merito al rischio di una possibile sopravvenienza, sorge il problema di determinare se l’ordinamento dia

rilevanza alla sopravvenienza occorsa77.

Sotto il profilo degli eventuali rimedi, ossia del quomodo, invece, le strade che astrattamente possono aprirsi sono due: o quella dei rimedi «ablativi» o quella dei rimedi «manutentivi» del contratto.

Occorre, però, notare che le ipotesi di sopravvenienze tipizzate dal nostro legislatore sembrano tendere, quasi in via esclusiva, alla risoluzione del contratto. Allo stesso tempo, e al di fuori delle ipotesi tipiche, non è però da escludere che le sopravvenienze possano aprire la strada alla rinegoziazione del contratto o ad altri rimedi «manutentivi»; in questo secondo caso, bisogna chiarire, con specifico riferimento ai contratti di credito, se esista un vero e proprio obbligo di rinegoziare il contratto – e quale sia la sua fonte – e, in caso affermativo, quali possano essere gli strumenti attraverso cui ottenere un’attuazione di tale obbligo.

Per inquadrare correttamente il problema dell’usura sopravvenuta, pertanto, è necessario esaminare i presupposti generali di rilevanza delle sopravvenienze e i conseguenti rimedi previsti dal nostro ordinamento.

2. I PRESUPPOSTI DI RILEVANZA DELLE SOPRAVVENIENZE