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Il ruolo dello Stato e dei diversi livelli di governo secondo Musgrave

Nel documento Le fusioni tra Comuni (pagine 41-45)

Prima di approfondire alcune teorie economiche tradizionali sul federalismo fiscale è fondamentale ricordare la suddivisione delle funzioni dello Stato e dei diversi livelli di governo proposta da Musgrave nel 1959 in The Theory of Public Finance, che fornisce un importante supporto per comprendere quale, tra i diversi livelli di governo di uno Stato decentralizzato, può svolgere in modo migliore certe funzioni e quali sono i motivi che spingono a pensarlo.

Per compiere questa analisi, secondo quanto trattato da Lettieri (2011, pp. 216- 218) e Bosi (2001, pp. 338-339), è utile individuare le tre famiglie di funzioni musgraviane che sono rispettivamente la funzione distributiva, di stabilizzazione e allocativa.

In riferimento alla prima, questa si riferisce alla garanzia di “un livello di reddito

e di ricchezza che sia equo e giusto, secondo i canoni di equità e giustizia comunemente riconosciuti” (Lettieri, 2011, p. 217). Per questo suo particolare obiettivo, Musgrave

afferma che è preferibile che tale funzione di redistribuzione in termini per esempio di assistenza, istruzione, previdenza, sanità, venga svolta dallo Stato centrale piuttosto che a livello decentrato, perché lasciando l’esercizio di questa funzione ai livelli inferiori si arriverebbe a uno spostamento degli individui verso le comunità più vantaggiose per loro, determinando così dei fallimenti nel processo di redistribuzione adottato dalla comunità che l’ha posto in essere. L’esempio riportato è quello di due comunità, dette A e B, in cui A adotta un sistema impositivo progressivo favorevole alla redistribuzione

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della ricchezza verso i più poveri e B che invece è contraria alla redistribuzione e che applica semplicemente un sistema di imposte dirette relative ai servizi pubblici. Alla luce di questa diversità tra le due, l’esercizio di questa funzione musgraviana da parte dei livelli locali porterebbe i cittadini più ricchi, e contrari alla redistribuzione, verso la comunità B e in direzione opposta, verso A, coloro che si dimostrano invece favorevoli. In questo modo il progetto redistributivo di A fallirebbe e solo degli interventi fortemente limitativi della mobilità, e non solo, potrebbero arginare questa conseguenza. Alcuni studi hanno affermato che per raggiungere l’obiettivo che si pone tale funzione il ruolo dei livelli inferiori di governo potrebbe riferirsi non tanto alla realizzazione di trasferimenti monetari verso i cittadini più bisognosi, quanto invece alla realizzazione di servizi tangibili, come per esempio la costruzione di abitazioni per i poveri o semplicemente la creazione di un servizio di mensa per loro.

La seconda funzione, detta di stabilizzazione della macroeconomia, comprende tutte quelle attività svolte in vista di un miglioramento dell’economia negli aspetti relativi, per esempio, l’occupazione, l’inflazione, la crescita. Vista l’importanza a livello nazionale dei temi trattati sotto l’aspetto della stabilizzazione macroeconomica è doveroso, secondo Musgrave, che tali attività vengano svolte a livello centrale in vista del perseguimento dell’efficienza e non dai livelli inferiori.

La funzione allocativa si riferisce all’offerta di beni pubblici, detti anche beni sociali o a domanda collettiva, che diversamente dai beni privati non possono essere forniti dal mercato o che non sono forniti da questo in modo efficiente, degli esempi possono essere la difesa, l’ordine pubblico, la politica estera. Spesso però le caratteristiche di non rivalità e non escludibilità che contraddistinguono i servizi pubblici sono circoscritte a livello locale, ciò significa che questi servizi comportano dei benefici ai soli residenti di una certa area; proprio per questo motivo Musgrave ritiene importante delegare l’esercizio di questa funzione a livelli di governo diversi da quello centrale. In base a questa idea è naturale pensare anche a più livelli fiscali locali per compensare i benefici ottenuti dai residenti, ecco allora il legame con il federalismo fiscale e il motivo perché questa funzione è quella che viene maggiormente considerata dalla teoria del federalismo fiscale e dai modelli che nel tempo hanno provveduto ad arricchirla.

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1.6.2 Il teorema del decentramento proposto da Oates

Questo modello è stato trattato per la prima volta da uno dei padri fondatori del federalismo fiscale nel 1972, Wallance E. Oates, nel libro Fiscal Federalism e rappresenta uno dei teoremi più famosi che giustificano l’esistenza dei diversi livelli di governo. Si analizza perciò il contenuto di tale modello secondo quanto riportato da Bosi (2001, pp. 340-342), Murer (2011, pp. 6-10), Brosio e Piperno (2009, pp. 16-21).

L’idea che sta alla base di tutto è quella di dimostrare che in presenza di preferenze differenziate è più opportuno che l’offerta di un dato bene pubblico avvenga attraverso diverse articolazioni, rispetto a una soluzione omogenea su tutto il territorio, per evitare perdite di benessere per i cittadini. Le ipotesi su cui si basa tale modello sono principalmente:

 che il territorio sia suddiviso in giurisdizioni, per semplicità due, e che all’interno di ciascuna di queste le persone abbiano preferenze omogenee;

 le preferenze dei cittadini devono essere diverse tra giurisdizioni diverse;

 si presuppone la scarsa mobilità dei cittadini;

 deve essere fornito un bene pubblico locale che quindi manifesta i suoi benefici all’interno della comunità in cui viene fornito e non oltre i confini, escludendo così possibili effetti di traboccamento;

 la produzione del bene pubblico deve avvenire a costi marginali costanti;

 la fornitura del bene pubblico locale deve avvenire allo stesso prezzo per tutti gli individui dello Stato.

In riferimento alla figura 1.1, si considerano DB e DA come le curve di domanda

della prima e della seconda giurisdizione che desiderano rispettivamente le quantità QB

e QA in ragione delle preferenze differenziate tra giurisdizioni. Per quanto riguarda DA si

nota che a parità di quantità è disposta a pagare un prezzo maggiore della giurisdizione B e che a parità di prezzo vuole consumare una maggiore quantità di bene pubblico locale.

Nel caso della soluzione centralizzata, il governo è spinto a fornite una quantità unica di bene pubblico locale corrispondente a Q*, che si trova a un livello intermedio tra le quantità desiderare dalle due giurisdizioni. Questa soluzione però crea però delle perdite di benessere per entrambe le giurisdizioni, infatti nella comunità A gli individui,

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desiderando di consumare QA che è maggiore cheQ*, avrebbero pagato di più, ossia il

rettangolo 0QAEH, rispetto a 0Q*DH nella soluzione centralizzata, ma anche se il costo

fosse stato maggiore di un ammontare pari all’area Q*QAED, rapportandolo all’aumento

di benessere totale ottenuto dal maggior consumo, area Q*QAEF, questo sarebbe stato

inferiore, ottenendo così un vantaggio netto pari al triangolo FDE. Allo stesso modo gli individui dell’area B avrebbero voluto consumare la quantità QB, inferiore a Q*, quindi

questo maggior consumo imposto dallo Stato ha comportato una perdita di benessere pari all’area CDG.

Con la soluzione decentrata questi problemi non si verificherebbero, perché non c’è il vincolo rappresentato dall’offerta della stessa quantità di bene pubblico in modo uniforme a tutte le comunità, quindi si consentirebbe ad ognuna di esse di realizzare l’offerta ottimale di bene pubblico in base alle loro esigenze, ossia 0QB per B e 0QA per

A. Alla luce di ciò si può dunque affermare che la soluzione centralizzata è di second best rispetto alla decentralizzata.

Altre ipotesi prese in considerazione dal modello che non devono essere tralasciate sono che, in primo luogo, anche se la soluzione centralizzata potesse fornire il bene pubblico alle due comunità in misura differenziata è possibile che lo Stato abbia dei problemi per capire le preferenze di ciascuna comunità, considerata la sua lontananza rispetto a queste, quindi è molto probabile che questi problemi informativi si tramontino in costi maggiori per il governo. In secondo luogo si assume, tra le ipotesi iniziali, la costanza del costo marginale di offerta del bene pubblico locale quando nella realtà spesso si creano delle economie di scala, ecco allora che in assenza di tale assunzione l’ipotesi decentrata non sarebbe stata necessariamente migliore dell’altra. Poi si escludono possibili effetti di traboccamento dei benefici oltre i confini dell’ente che li produce, perché questi porterebbero a inefficienze dato che l’area in cui si sviluppano i benefici non coincide del tutto con l’area amministrativa.

Infine si assume che le preferenze degli individui di una data area siano omogenee quando si sa che nella pratica questa è un’ipotesi ben lontana. Nel caso di disomogeneità delle preferenze in un’area, in termini di benessere individuale la soluzione decentralizzata potrebbe non essere preferibile a causa delle perdite di benessere che si realizzerebbero con l’adozione della teoria dell’elettore mediano, in cui la quantità desiderata dalla giurisdizione è quella di coloro che detengono al suo interno

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la posizione mediana. Per fare un esempio, se abbiamo tre giurisdizioni, composte ognuna da tre cittadini, secondo la teoria dell’elettore mediano con le decisioni che vengono prese a voto di maggioranza, sarà il cittadino che occupa la posizione mediana a decidere la quantità di bene pubblico per l’intera giurisdizione, per cui si otterranno le quantità Q1, Q2, Q3 per ogni area. Tuttavia all’interno della giurisdizione è possibile che

non tutti i cittadini condividano le stesse preferenze, per esempio all’interno dell’area uno gli altri due abitanti potrebbero preferire quantità di bene locale rispettivamente superiore o inferiore a Q1, per cui si creeranno delle perditedi benessere per loro, questo

può capitare benissimo anche nelle aree due e tre. Quindi sommando tutte le perdite di benessere delle tre aree si arriva a una perdita di benessere totale superiore rispetto alla soluzione centralizzata, ecco perché nel caso di preferenze disomogenee il decentramento non è la soluzione preferibile.

Figura 1.1: Il teorema del decentramento secondo Oates

Fonte: Corso di scienza delle finanze, a cura di Paolo Bosi, 2001, figura 7.1, pagina 340

Nel documento Le fusioni tra Comuni (pagine 41-45)