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Le sanzioni disciplinari

Il dibattito riguardante le sanzioni nei confronti dei lavoratori, nel quale si sono a più riprese inserite, oltre che la giurisprudenza ordinaria, anche la Corte Costituzionale e la Commissione di garanzia, ha dato origine a due orientamenti dottrinali contrapposti. Alcuni hanno sostenuto la tesi della completa funzionalizzazione del potere disciplinare al rispetto delle regole poste a tutela dei diritti della persona costituzionalmente garantiti. Nel momento in cui si esercita il potere sanzionatorio, il datore di lavoro sarebbe mosso non dal proprio interesse al funzionamento dell'azienda, ma da quello alla tutela dei diritti degli utenti che, in ragione del suo ruolo di responsabile dell'erogazione del servizio, entra a far parte del rapporto di lavoro. L'accoglibilità di tale lettura «pubblicizzante« troverebbe una conferma nella circostanza che il datore di lavoro non beneficia delle somme ricavate dalle sanzioni, che vengono versate dall'Inps. Questa circostanza è stata ritenuta priva di qualunque rilievo dagli assertori della natura

puramente disciplinare del potere sanzionatorio, per i quali l'inesistenza di una qualsivoglia funzione pubblica deriverebbe dalla impossibilità di sanzionare il datore di lavoro che non eserciti il potere disciplinare nei confronti dei lavoratori rei di sciopero illegittimo ex lege n. 146. Più in generale, la corte costituzionale nel suo primo intervento in materia ha parlato di introduzione non di nuove sanzioni disciplinari, ma di una nuova figura di illecito disciplinare. Tale affermazione è stata sostanzialmente accolta dalla dottrina, che ha evidenziato la necessità di ricondurre la giustificazione del potere disciplinare del datore di lavoro, più che all'art. 4, all'impianto generale della l. n. 146, che affida alla contrattazione collettiva, in sede di elaborazione dei codici di autoregolamentazione, l'individuazione delle prestazioni indispensabili. Quello esercitato non sarebbe che una «species del più generale genus« potere disciplinare, dal quale si distinguerebbe esclusivamente in ragione dei tratti distintivi della sua disciplina. La sua attribuzione al datore di lavoro non costituirebbe, perciò, altro che un mezzo per sfruttare, ai fini pubblici della legge, l'interesse dallo stesso nutrito, in qualità di erogatore del servizio. La l. n. 83/2000 interviene nel dibattito in maniera indiretta, ma importante.

La prima novità è rappresentata dall'inserimento della «salvaguardia dell'integrità degli impianti« fra le esigenze199 delle quali, insieme alla natura del servizio e alla sicurezza, le parti contraenti devono tener conto in sede di determinazione delle prestazioni indispensabili. Si tratta di un'innovazione di particolare rilievo: per la prima volta, in una legge posta a tutela dei diritti della persona costituzionalmente garantiti, il legislatore fa riferimento a un interesse che discende direttamente dal diritto di iniziativa economica privata, dalla lesione del quale – ove collegata alla mancata erogazione delle

prestazioni indispensabili – potrà derivare una sanzione individuale o collettiva. Tale innovazione, che pone in rilievo un interesse diverso da quello degli utenti, sembra sostenere la tesi della riconducibilità del potere sanzionatorio al potere disciplinare, confutata, invece, dall'introduzione della previsione ai sensi della quale a conclusione del procedimento di valutazione200, la Commissione «prescrive al datore di lavoro di applicare le sanzioni disciplinari«. Già in sede di commento della L. n. 146, era stata evidenziata la necessità o almeno l'opportunità di attribuire, anche nei confronti dei lavoratori, un ruolo di rilievo alla Commissione o a un soggetto comunque super partes, per evitare strumentalizzazioni del potere sanzionatorio a fini privati.

Per alcuni, tale novità trasformerebbe il potere disciplinare in un «potere-dovere di stampo pubblicistico«, con sostanziale distorsione dello spirito e della portata dell'apparato sanzionatorio nei confronti dei prestatori e il rischio di gravi conseguenze. L'attribuzione alla Commissione del compito di giudicare anche i singoli lavoratori, punendoli con sanzioni disciplinari, infatti, da un canto, caricherebbe oltremodo la stessa di competenze difficilmente esercitabili in mancanza di uffici periferici e, dall'altro, priverebbe i prestatori delle garanzie loro riservate in sede disciplinare201. Tali notazioni hanno spinto a cercare una diversa lettura della norma, nella quale si evidenzia come, se effettivamente in prima battuta il legislatore assegna alla Commissione il compito di «deliberare le sanzioni previste dall'articolo 4«, senza ulteriore specificazione, subito dopo, in relazione ai singoli lavoratori, le attribuisce solo un potere di prescrizione, da esercitare non nei confronti dei prestatori ma dei datori di lavoro, perchè adottino a loro volta le sanzioni disciplinari. Questo potere è stato interpretato in modo diverso. Alcuni ritengono che il datore di lavoro sia tenuto ad

200 Art. 4, co. 4-quater, L. n. 146/'90, introdotto dalla L. n. 83/'00 201 Scognamiglio, “Manuale di diritto del lavoro”, Jovene, Napoli, '05

applicare le sanzioni, restando libero di scegliere in merito sia alla loro entità, sia ai soggetti cui destinarle, in attuazione di una «potestà atipica« diretta a proteggere contemporaneamente l'interesse suo e degli utenti. Altri, in armonia con la disciplina codicistica e statutaria, che, nel parlare di applicazione delle sanzioni, fanno riferimento all'intero procedimento disciplinare, ritengono che, a seguito della prescrizione della Commissione, in capo ai datori di lavoro sorga semplicemente l'obbligo di dare inizio all'ordinario procedimento disciplinare , tesi, quest'ultima, che parrebbe confermata dalla mancata menzione dei singoli lavoratori fra i soggetti la cui condotta è oggetto del procedimento di valutazione attribuito ai garanti. Per possa rimproverarsi al legislatore di aver utilizzato un'espressione piuttosto sibillina, la novità introdotta sembra mirare più che altro a costituire un legame fra la valutazione della Commissione nei confronti delle organizzazioni sindacali e le sanzioni disciplinari, senza sconvolgere troppo il sistema esistente, ma dando una forte spinta in termini di effettività, nel momento in cui impedisce al datore di lavoro di ignorare le scelte sanzionatorie compiute a livello centrale. L'interpretazione descritta è stata confermata dai garanti, intervenuti con una apposita delibera, nella quale sono contenute poche, ma importanti indicazioni.

I comportamenti dei singoli lavoratori vengono distinti in conseguenti e coerenti rispetto alle modalità di esercizio dello sciopero predeterminate nella proclamazione sindacale, da un lato, e illegittimi di per sé, a prescindere dal comportamento sindacale, perchè posti in essere in violazione delle regole sull'esercizio legittimo dello sciopero, dall'altro. Solo nel primo caso, ove la Commissione giunga a una delibera di «condanna« della condotta del sindacato, il datore di lavoro sarà tenuto ad applicare la sanzione disciplinare e, in caso di inottemperanza, potrà anche essere punito202; nel

secondo, invece, egli potrà valutare autonomamente il comportamento dei prestatori, salvo che sia in corso una procedura nei confronti del sindacato, nel qual caso l'applicazione della sanzione disciplinare rimarrà sospesa fino alla relativa pronuncia. La citata delibera si conclude con la precisazione che «in ogni caso l'applicazione delle sanzioni disciplinari dovrà avvenire nel rispetto degli obblighi di legge e di contratto« previsti per la loro irrogazione. La Commissione esclude il suo coinvolgimento nella procedura di valutazione dei singoli lavoratori, che pertanto continuerà a svolgersi con le garanzie legali e contrattuali.

Il datore di lavoro resta titolare del procedimento disciplinare e la prescrizione, lungi dal trasformarlo in un mero esecutore materiale, mira piuttosto a spingerlo a garantire l'effettività del sistema, pena sanzioni a suo carico. Per quanto riguarda, la disciplina vigente nel caso in cui a proclamare e porre in atto l'astensione sia solo un gruppo spontaneo, i lavoratori parrebbero punibili solo in sede disciplinare, ma in mancanza di un'organizzazione sindacale «vera e propria«, l'adozione della sanzione non potrebbe avvenire a seguito di prescrizione della commissione di garanzia, che non avrà nessuna organizzazione sindacale di cui valutare il comportamento. In questa situazione alcuni ipotizzano che la Commissione possa «valutare anche il comportamento dei lavoratori non uti singoli, ma come gruppo«, riconducendo nelle organizzazioni sindacali anche i gruppi spontanei. Tale ipotesi interpretativa non sembra accoglibile. Da un canto, infatti, ragioni pratiche rendono oltremodo difficile la notifica sia dell'apertura del procedimento, sia della delibera della Commissione alle parti interessate203. Dall'altro, la

ratio della norma pare quella di scongiurare fenomeni di inerzia, non di modificare la

titolarità del potere disciplinare, che, d'altronde, potrebbe essere esercitato dal datore di

lavoro in ogni caso di mancata fornitura di prestazioni indispensabili, in virtù della presenza in una norma di legge dell'obbligo di garantirle. Per quanto quest'opzione possa apparire rischiosa in termini di effettività, pare, comunque, preferibile non attribuire alcun ruolo alla Commissione di garanzia nei confronti dei gruppi spontanei, che, così come i singoli lavoratori, non rientrano fra i soggetti sottoposti alla sua valutazione. Un problema lasciato apparentemente irrisolto dal legislatore è quello relativo alla possibilità o meno per il datore di lavoro di irrogare sanzioni nei confronti degli scioperi che, in assenza di un accordo sulle prestazioni indispensabili, si pongono in contrasto con le «comandate« determinate unilateralmente dallo stesso. Mentre la dottrina appare divisa, la giurisprudenza ordinaria, e la Commissione di garanzia si sono attestate in maggioranza nel senso d ritenere che tale comportamento non configuri una condotta antisindacale, soprattutto nel caso in cui le prestazioni richieste siano quelle individuate dalla Commissione di garanzia. La riforma204, prevede, che, nel caso le parti non riescano a raggiungere un accordo, la proposta formulata dalla Commissione di garanzia abbia efficacia vincolante con riguardo all'effettuazione delle prestazioni indispensabili e al rispetto delle modalità e delle procedure di erogazione, nonché di tutte le altre misure previste al co. 2° dell'art. 2.