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Concretamente quanto detto al precedente paragrafo porta a conseguenze molto importanti, soprattutto se paragonate alle conclusioni cui si giunge nel nostro ordinamento giuridico.

Innanzitutto, ammettere sic et simpliciter, come sembrano fare la dottrina e la giurisprudenza francesi in modo, ci sia consentito, alquanto generalizzato e superficiale, la possib

parere di chi scrive, ammettere il passaggio a prescindere dal risultato cui il giudizio di primo grado è approdato.

Converrà, tuttavia, fare una rapida analisi delle situazioni concretamente prospettabili, onde valutare se la possibilità del passaggio esista effettivamente all’interno di ciascuna di esse.

Si dia il caso, innanzitutto, in cui il giudizio di primo grado sia terminato con una sentenza di condanna all’adempimento.

Nulla queastio se, nelle more dell’adempimento forzoso e con l’aggravarsi della

situazione esistente, il creditore decida di chiedere in appello la risoluzione del

sidium, un rimedio straordinario

e la dottrina e la giurisprudenza italiane.

isfacimento del proprio diritto; ciò in conseguenza del fatto che la

iticare nel capitolo II - la possibilità di mutare la contratto, avendo oramai perso qualsiasi interesse ad ottenere la prestazione originaria. La fattispecie appare del tutto conforme all’idea largamente diffusa tra i giuristi d’oltralpe che la risoluzione rappresenti un ultimum sub

al quale l’adempimento va sempre preferito nei limiti, ovviamente, in cui risulti ancora realizzabile e possibile315.

La possibilità di esercitare in appello l’azione di risoluzione dopo che il giudizio di primo grado si è concluso con una sentenza di condanna ricalca la conclusione cui giungono anch

In entrambi gli ordinamenti giuridici, infatti, può darsi il caso in cui il creditore, nonostante la sentenza di condanna all’adempimento, non riesca concretamente ad ottenere il sodd

condanna all’esecuzione forzata del contratto non equivale all’adempimento concreto dell’accordo.

Si dia il caso, ad esempio, in cui il debitore si sia spogliato della prestazione infungibile promessa o, ancora, non possieda alcun bene sul quale il creditore possa soddisfarsi coattivamente.

A parte tale comune considerazione, le strade percorse nei due sistemi per giungere all’identica soluzione sono molto diverse.

Secondo l’orientamento sviluppatosi prevalentemente nel nostro ordinamento giuridico - che, peraltro, si è provveduto a cr

domanda in appello sarebbe la diretta conseguenza della natura di norma processuale riconosciuta all’art. 1453, II comma c.c. che, proprio in quanto tale, sarebbe idonea a

315

In tal senso, tra le tante, Cass. civ., III, 24 novembre 1993, in Bulletin civil, III, n. 151; Cass. com., 4 gennaio 1982, in Bulletin civil, IV, n. 1.

derogare al divieto previsto dall’art. 345 c.p.c. in tema di domanda nuova in appello316. Da tale punto di vista, la via percorsa nei due sistemi appare allora, all’evidenza, non solo diversa, ma addirittura opposta.

Se da un lato in Italia il passaggio viene di regola ammesso nei limiti in cui è possibile derogare al divieto di proporre domande nuove in appello, in Francia lo si ammette proprio perché si ritiene che esso non importi alcuna deroga all’analogo divieto pur previsto dall’art. 464 c.p.c. francese.

A detta soluzione si giunge perlopiù sulla base del significato particolarmente ampio

n significato talmente ampio che consente di ritenere che

bi i sistemi dal più volte citato carattere di

più interesse ad ottenerlo, potrà pur sempre ricorrere al rimedio estremo

uzione relativa che dottrina e giurisprudenza francesi attribuiscono al concetto di “oggetto della domanda”; trattasi, infatti, di u

domanda di adempimento e domanda di risoluzione abbiano sostanzialmente lo stesso oggetto.

Ci si può chiedere allora se la stessa soluzione possa essere eventualmente adattata al nostro ordinamento giuridico.

La risposta dipende, ovviamente, dal significato che si è disposti ad attribuire all’oggetto della domanda e dall’ampiezza che si intende assegnare a tale concetto. Qualora la questione del passaggio dalla domanda di adempimento alla domanda di risoluzione venga spostata su di un piano sostanziale ed astratto, la possibilità di sostituzione potrebbe farsi derivare in entram

ultimo rimedio riconosciuto alla risoluzione, nel senso cioè di ritenere che qualora il contraente non inadempiente non riesca ad ottenere l’adempimento o non abbia, eventualmente,

dello scioglimento del vincolo contrattuale.

Altrettanto pacifica appare, per le ragioni sopra esposte, la sol

316

Ad analoga soluzione si è giunti nel capitolo II attribuendo all’art. 1453, II comma c.c., contrariamente all’orientamento prevalente sia in dottrina che in giurisprudenza, un significato che non si esaurisce all’interno del singolo procedimento, o, meglio un significato non meramente processuale.

all’ipotesi in cui il giudizio di primo grado sia terminato con il rigetto della domanda di adempimento.

Si ritiene, infatti, che anche in tal caso nulla impedisca al creditore, che riesca a provare l’inadempimento del debitore, di richiedere la risoluzione del contratto.

Di più difficile soluzione risulta l’ipotesi inversa in cui il creditore attore abbia

ischio di privare il debitore di

la propria eventuale prestazione; il che si

i per l’adempimento del contratto318.

ità sostanziale, inizialmente agito per ottenere la risoluzione del contratto e, solo in un secondo momento, abbia cambiato idea e optato per l’adempimento.

Quegli autori che si sono occupati della questione hanno perlopiù affermato che «opter

en premier lieu pour la résolution n’interdit pas de demander par la suite l’exécution forcée du contrat, même pour la première fois en appel»317.

A tale opinione si è obiettato che essa porta con sé il r

qualsiasi protezione di carattere giuridico, costretto, nonostante l’eventuale sentenza di risoluzione del contratto, a non offrire altrove

ritorcerebbe, ovviamente, sul piano della sicurezza e della celerità dei traffici economici e giuridici, bloccate dall’eventuale révirement del creditore che, decidendo di ritornare sui propri passi, opt

Ciò senza contare che tale decisione potrebbe avere alla base un intento meramente speculativo del contraente non inadempiente.

Anche se si tratta di riflessioni sicuramente improntate ad esigenze di equ

trattasi non di meno di argomentazioni che non sembrano trovare alcun appiglio a livello normativo.

A sostegno del passaggio dalla risoluzione all’adempimento si può evidenziare che l’azione “per la risoluzione del contratto non s’intenta, di solito, coll’intenzione di

317

GHESTIN,JAMIN eBILLIAU, Traité de droit civil, op. cit., p. 509. 318

rinunciare all’adempimento, che il giudice stesso potrebbe imporre”319.

Vi è, infatti, e ciò rappresenta una differenza fondamentale rispetto al nostro sistema, che il creditore e il debitore sono consapevoli, sin dall’inizio del processo, del fatto che la domanda di risoluzione potrebbe essere disattesa dal giudice e che, quindi, il contratto

scindere dalla proposizione di una domanda

ferenza rispetto al diritto

’esercizio della facoltà non può assolutamente considerarsi sciolto sin dal momento dell’esercizio dell’azione, dovendo necessariamente attendersi l’esito del procedimento.

Ciò a maggior ragione se si pensa che di fronte ad una richiesta di risoluzione il giudice adito potrà non solo accoglierla o rigettarla, ma andare oltre, offrendo addirittura al debitore un termine per adempiere, pur a pre

di adempimento da parte del creditore320.

Si è visto, infatti, ed in ciò vi è sicuramente una profonda dif

italiano, che il passaggio dalla risoluzione all’adempimento non presuppone necessariamente la modifica da parte del creditore della domanda giudiziale proposta, potendo essere il suddetto passaggio il mero risultato dell

riconosciuta in capo all’autorità giudiziaria.

Conviene, tuttavia, a parere di chi scrive, distinguere ancora una volta in base al risultato concreto cui il giudizio di primo grado è approdato.

Così, se il giudizio di primo grado è terminato con la sentenza di risoluzione del contratto, si ritiene che solo al momento del passaggio in giudicato della sentenza

319

Ibidem. 320

Vi è di più. Il giudice potrebbe financo rigettare la domanda di risoluzione, pur ritenendo sussistente l’inadempimento della controparte, e condannare il convenuto al risarcimento del danno; e ciò potrebbe fare, secondo alcuni, addirittura in assenza di una richiesta di risarcimento avanzata dal creditore. Tale ampiezza di potere si giustifica perlopiù considerando l’azione di risoluzione come un’azione di responsabilità. Così, si afferma, se il giudice deve stabilire se il debitore sia o meno responsabile, gli si dovrà riconoscere anche il potere di stabilire quale sia, nel caso concreto, la riparazione più idonea alla fattispecie. Analogamente il giudice, qualora ritenga che la risoluzione non sia un rimedio sufficiente per riparare il danno subito dal creditore, potrà aggiungere alla pronuncia di scioglimento del contratto la condanna al risarcimento del danno. Si fa l’esempio del venditore che agisce in risoluzione a fronte del rifiuto del compratore di pagare il prezzo di acquisto di un immobile. Qualora dopo la conclusione del contratto il prezzo di mercato del bene si sia notevolmente abbassato, il venditore avrà diritto di ottenere non solo la risoluzione della vendita, ma anche il risarcimento del danno che gli permetterà di compensare la perdita di valore subita dal bene. Così CHABAS, op. cit. p. 1145.

l’accordo venga definitivamente e retroattivamente a mancare.

Ne consegue che fino a tale momento, sul presupposto di una pronuncia ancora provvisoria, il contraente non inadempiente potrà domandare in appello l’adempimento del contratto. Ciò senza andare ad indagare quali siano state in concreto le ragioni che

te parlato - pacificamente riconosciuto al giudice di rigettare la domanda

ulta, inoltre, perfettamente conforme all’orientamento della

isposizione, sia mediante l’offerta espressa in sede

ttuale agevolerà il cambio di scelta del

o, il cambio di

uanto accade in Italia, il passaggio dalla domanda di hanno spinto il contraente a cambiare idea e a chiedere l’esecuzione forzata del contratto. Spetterà semmai al giudice investito in grado d’appello valutare un’eventuale mala fede del medesimo contraente e rigettare la domanda.

Detto potere del creditore risulta, d’altronde, perfettamente in linea con il potere - di cui si è ampiamen

di risoluzione e di condannare il convenuto, pur in mancanza di una domanda in tal senso dell’attore, all’adempimento del contratto.

La sua ammissibilità ris

giurisprudenza favorevole a consentire al debitore di offrire la prestazione non eseguita addirittura dopo la pronuncia della risoluzione del contratto, sia attraverso la semplice dichiarazione della sua messa a d

d’appello321.

Quanto sopra senza dimenticare che il favore da sempre mostrato dai giudici d’oltralpe per la conservazione del vincolo contra

contraente non infedele.

Dal punto di vista processuale, analogamente a quanto sopra vist

domanda viene ancora una volta giustificato con il carattere non nuovo della domanda di risoluzione proposta in appello.

Volendo fare un raffronto con q

risoluzione alla domanda di adempimento deve fare i conti con il divieto espresso di cui

321

Cass. civ., 6 gennaio 1932 riportata da ZAKARIA, op. cit., p. 149. Nello stesso senso in dottrina già LAURENT, Principes de droit civil français, 17, Parigi, 1878, p. 151.

all’art. 1453, II comma, seconda parte c.c.

Ritenere che il divieto abbia una portata che va oltre il singolo giudizio ed il singolo

o a riconoscere al

itati a dire che la sentenza di

siva non viene fatta propriamente derivare dal divieto

l momento a decorrere dal quale

he con il divieto di cui all’art. 1453 c.c., deve fare i conti con

grado del giudizio porta con sé la negazione della sostituzione de qua.

Ma il passaggio da una domanda originaria di risoluzione ad una di adempimento in grado d’appello viene perlopiù negato anche da coloro che tendon

divieto una portata più limitata322.

Gli autori che hanno affrontato il tema si sono perlopiù lim

risoluzione, in quanto determina il venir meno del contratto, impedisce per ciò stesso la proposizione della domanda di adempimento, che risulterebbe priva di fondamento. Ne consegue che l’efficacia preclu

di cui all’art. 1453 c.c., ma sarebbe la conseguenza diretta della sentenza di risoluzione che spazza via il vincolo contrattuale e, con esso, gli effetti prodotti.

La soluzione della questione viene allora a dipendere da il contratto può considerarsi effettivamente venuto meno.

Secondo gli studiosi d’oltralpe, nell’arco temporale in cui la sentenza non ha ancora prodotto definitivamente i propri effetti, in quanto non ancora passata in giudicato, la sostituzione rimarrebbe possibile.

Trattasi di un ragionamento che non ha trovato seguito nel nostro ordinamento giuridico a causa, probabilmente, di una serie di argomentazioni volte a favorire e ad anticipare l’effetto preclusivo esistente nella fattispecie in esame.

Così, detto effetto, oltre c

una serie di principi e di esigenze presenti nel nostro sistema, tra i quali il divieto di domande nuove in appello – che, come visto, ha nel nostro paese una portata molto più ampia di quella che gli si riconosce in Francia – e l’esigenza di tutela del debitore.

Ciononostante, la riflessione portata avanti dagli studiosi e dai giudici francesi

322

meriterebbe una certa considerazione anche nel nostro ordinamento giuridico, non fosse

ostro anche alla luce del fatto che il giudizio di primo grado

llagmatico riginariamente concluso sarebbe un contratto claudicante ex uno latere, privato della

zionarlo, non rimanendo all’altro che sperare in un improbabile pimento spontaneo.

altro perché vi si ritrovano le stesse regole di funzionamento in materia di passaggio in giudicato della sentenza.

Se il giudizio di primo grado è, invece, terminato con una pronuncia di rigetto della domanda di risoluzione, ad esempio perché il giudice ha ritenuto insussistente ovvero non sufficientemente grave l’inadempimento del debitore, si ritiene che nulla impedisca al creditore di domandare in appello l’adempimento del contratto sul presupposto che egli riesca a provare la semplice esistenza dell’inesecuzione della Controparte.

L’esperibilità in appello della domanda di adempimento viene ammessa nel paese d’oltralpe così come nel n

ha di fatto lasciato inalterato il vincolo contrattuale con tutti gli effetti che ne derivano. A favore di tale soluzione ha sicuramente militato, in entrambi gli ordinamenti giuridici, la considerazione che, se così non fosse, ciò che rimarrebbe del contratto sina

o

propria giustificazione causale, posto che solo il contraente inadempiente potrebbe eventualmente a

adem

Trattasi, all’evidenza, di una situazione iniqua alla quale si è cercato di porre rimedio in Francia così come in Italia, anche se solo nel nostro ordinamento giuridico detta soluzione deve fare i conti con il divieto di cui all’art. 1453, II comma c.c.

14. La scelta tra esecuzione forzata e risoluzione dopo il passaggio in giudicato