Si tratta di poche righe sul retro di una foto29che ritrae un ragazzetto indige-no insieme con mons. Domenico Comin.
Potrebbe essere il primo scritto dalla nuova sede di Macas. Il viaggio fu com-piuto a partire dal 27 ottobre, come risulta dalla L 7 del 27 dicembre 1925.
Suor Maria chiede preghiere ed esprime riconoscenza per gli aiuti in denaro che riceve per la sua missione.
Fotocopia in AGFMA 28.6/124 (42)
[Chunchi, 1925]
Mia cara sorella Catterina.
Vedi questo è un selvaggio che io sto per entrare in questa foresta. Ho bisogno di tante preghiere.
Ho ricevuto la lettera tua cara in data 26 luglio. State tranquilli, sto bene, ho molto da lavorare: scriverò a lungo presto.
Scrivi una bella lettera a Giacomo il cugino: mi aiuta molto, sempre mi manda denaro, credi che ne ho proprio bisogno... C’è una grande povertà.
26Probabilmente si tratta di Pietro Plona, marito della defunta Angelina.
27Forse Giovanni Savardi, marito di Lucia (cf Genealogia I).
28Sembra che si riferisca alla figlia della defunta sorella Angelina. Per lei suor Maria avrà sempre affettuose sollecitudini e premurosi consigli, raccomandando-la spesso alle sorelle perché ne abbiano cura (cf L 29). Non è esclusa un’altra Maria: figlia del fratello Giacomo (cf Genealogia I).
29Cf Inserto fotografico: L 6.
Il vaglia per ora non l’ho ancora ricevuto, ma arriverà.
Grazie infinite.
[manca la firma]
7 Ai genitori
Indirizza questa lettera da Macas a tre settimane dal suo arrivo nella missio-ne. Descrive l’arrivo nella selva dopo “un lungo mese di viaggio”, “per vie infami”, con le avventure e i maltrattamenti da parte del cavallo: Cuenca, El Pan, le notti sulla riva del Rio Negro con l’incanto del cielo stellato e “la gran paura dei serpenti”.
Quindi l’arrivo a Méndez: qui si inserisce l’esperienza del primo intervento chirurgico realizzato da suor Maria, che si limita a commentare: “Ho visto un miracolo”. Poi è giunta a Macas, presso il grande fiume Upano, di fronte all’imponente vulcano Sangay. Accenna alle difficoltà nel campo dell’evange-lizzazione e manifesta stupore di fronte ad ogni realtà “mai vista”, né imma-ginabile. Su tutto prevale la speranza di incontrarsi con gli indigeni e il gran-de gran-desigran-derio di contribuire alla salvezza di tutti.
La lettera è stata pubblicata integralmente nella Positio,30mentre nelle biogra-fie: Selva, patria del cuore31e La grazia di un sì tutto donato, vengono citati solo alcuni brani.32
Orig. aut. in AGFMA 28.6/121 (5)
Macas, 27 dicembre 1925 Genitori miei sempre carissimi,
Li penso ansiosi di sapere mie notizie, come io sono deside-rosa di sapere le vostre. Già da tempo sono in aspettativa. Mi sembra di vedervi a domandarmi colla bocca e cogli occhi:
“Dimmi, Maria, qualche cosa della foresta”. È una curiosità ben
30Cf Summ. 539-544.
31Cf GRASSIANO, Selva 83 e 97.
32Cf COLLINO, La grazia di un sì 100-107. 124-125. 135. 140-141.
giustificata e ora come posso vi scriverò algo [qualcosa] perché a scrivervi tutto ci vorrebbero volumi, del lungo mio mese di viag-gio nella foresta. Sono partita da Chunchi il 27 di ottobre: due giorni lunghi a cavallo per arrivare a Cuenca; il cavallo mi ha maltrattata abbastanza per le vie infami che ci sono, in certi punti il cavallo si interra quasi per intero così che non avevo una fibra del mio corpo che non mi facesse male.
A Cuenca mi sono fermata fino al 9 settembre33per fare i prepa-rativi per la missione. Cuenca è una cittadella34abbastanza popo-lata, una buona parte è gente indigena e anche abbastanza bian-chi e anche qualche europeo e questi sono quelli che danno un poco di bellezza alla città fabbricando qualche casa un po’ bella.
Il giorno 9 siamo partite per il Pan, un altro giorno a caval-lo già incominciando ad entrare per la foresta; il Pan è un picco-lo paese di indi e molti bianchi, gente molto semplice, buona.
Hanno vera venerazione alle religiose, come se non fossimo per-sone di questo mondo! Come già corse la voce che al tal giorno passavano le 5 religiose missionarie,35di tanto in tanto incontra-vamo gruppi di uomini, donne e bambini con mazzi di fiori incantevoli di cui la foresta è ricca, fiori preziosi non mai visti.
Questa povera gente inginocchiandosi e spargendo fiori e petali al nostro passaggio improvvisarono cerchi di fiori e palme.
Il mio cavallo che era abbastanza briosetto con tante piogge di fiori si spaventava. Arrivate al Pan le campane [suonavano] a festa. Al Pan abbiamo dovuto fermarci 8 giorni perché monsi-gnor Comin36che ci accompagnava si ammalò un pochino. Noi
33Si tratta di un errore: era il mese di novembre, non settembre.
34Qui cittadella sta per: cittadina.
35Suor Domenica Barale, suor Manuela Cobos, suor Maria Troncatti e suor Carlota Nieto, accompagnate dall’ispettrice, suor Carolina Mioletti.
36Mons. Domenico Comin (1874-1963) Salesiano, nacque a Santa Lucia (Udine); professò nella Società Salesiana a Torino nel 1892; fu ordinato sacerdo-te nel 1900 e due anni dopo partì per l’Ecuador. Nel 1908 fu nominato ispetto-re e provicario della Missione. Dopo la rinuncia di mons. Giacomo Costamagna, nel 1920, venne eletto Vicario Apostolico di Méndez e Gualaquiza; fu consacra-to nella cattedrale di Cuenca. Qui lo troviamo cinque anni più tardi come guida
suore eravamo 5, tre suore missionarie che ci fermiamo a Macas37 e la mia buona Ispettrice che è una vera mammina buona, ha fatto un mese di cammino per vedere dove ci lasciava e un’altra suora38che accompagnerà la Sign. Ispettrice al ritorno.
Dal Pan salimmo [partimmo] il 17: un altro giorno a cavallo, puramente foresta. La notte l’abbiamo passata in una capanna, appena da poter star riparate dall’acqua che pioveva a dirotto; il nostro letto, tirarsi [stendersi] per terra, si possono immaginare che dolori alle ossa: al mattino Monsignore e due altri missiona-ri39celebravano la santa Messa e noi facevamo la santa comunio-ne e poi ci mettevamo in cammino. Da qui non passano più cavalli, pura selva oscura; cammini [sentieri] che non le so dire; io credo che le capre del mio paese forse non potrebbero passare.
Abbiamo dovuto toglierci l’abito da suora, metterci un grembiulone perché l’abito di lana certo sarebbe rimasto impic-cato agli alberi. Camminammo tutto il giorno e finalmente arri-vammo al Rio Nero, un enorme rio [fiume]. Lì ci avevano pre-parato una tettoia: stanche morte ci siamo distese per terra due minuti per prendere un poco di fiato; un ragazzo ci accendeva il fuoco, preparando qualche cosa di caldo, ossia un poco di brodo.
La notte si passava senza dormire, un poco per la stanchezza e per la gran paura dei serpenti; la notte era però un incanto con-templare le stelle quando il cielo era sereno e nel silenzio della
della spedizione missionaria che accompagna le FMA a Macas (cf VALENTINI, Profili 321-325).
37La prima comunità di Macas era formata da: suor Maria Troncatti, suor Domenica Barale e suor Carlota Nieto (cf nota alla L 8).
38Si tratta di suor Manuela Cobos (1884-1978) FMA equatoriana nata a San Fernando; una delle prime vocazioni autoctone; trascorse il periodo della for-mazione sotto la guida di mons. Giacomo Costamagna. Dopo la professione, il 24 maggio 1907, fu maestra di musica ed economa per 17 anni nelle case di Chunchi, Sigsig e Cuenca. Accompagnò il Vicario apostolico e le sorelle nei viag-gi in terra amazzonica. Morì a Cuenca (cf Facciamo memoria 1978, 122-123).
39Pare siano don Albino Del Curto (1875-1954) e don Carlo Crespi (1891-1982) Salesiani missionari italiani in Ecuador. Il primo entrò in contatto con gli Shuar nel 1909 (cf VALENTINI, Profili 325-329); il secondo partì per l’Ecuador come scienziato, appassionato delle missioni, e non tornò mai più in patria.
foresta solo la voce di qualche uccello. Il mio pensiero volava ai miei diletti genitori, alla mia bella casa natia, forse i miei amati genitori penseranno alla loro Maria [dicevo fra me]. Signore, tutto per voi! I sacrifici sono immensi, datemi la forza.
Sono quattro giorni senza un giorno di riposo. Oggi il secondo giorno di selve e selve: stanca molto, però grazie a Dio la salute di tutte è buona.
Oggi il terzo giorno, forse oggi si incontrerà qualche indige-no; si cammina, si cammina; rios horrorosi [fiumi orribili] si devono passare in cima a due legni, la Vergine Ausiliatrice ci sostiene e il nostro buon Angelo custode, colla speranza di vede-re qualche indigeno, ma invano.
Viene la notte, ci accendiamo il fuoco per prendere un poco di cibo. Si passa la notte. Al mattino si parte, oggi quarto gior-no, c’è speranza di arrivare in Méndez se il Signore vuole; là è una missione dove ci sono i nostri missionari salesiani. Si guar-da l’orologio, sono le 11, si sente un tiro, qualche indigeno che va a caccia, avanti avanti: era il padre Corbellini40con due indi-geni che venivano ad incontrarci. Che lieta festa, che spavento nel medesimo tempo nel vedere gli indigeni, figuratevi bestie che parlano. A noi suore facevano molta festa, qualcuno era nudo come il Signore lo ha creato.
Arrivati in Méndez ci siamo fermate 10 giorni a riposare per riprendere il cammino per Macas. Méndez è un posto molto cal -do e tutto popolato di Jivaros, cioè indigeni. Ad una ragazza ave-vano tirato una fucilata e come il padre Corbellini le ha detto che io ero medica, hanno voluto che le togliessi la palla. Immagi -natevi, senza il necessario, un solo temperino che tenevo in tasca.
La Madonna mi ha aiutata, ho visto un miracolo, ho
potu-40Don Telesforo Corbellini (1884-1953) Salesiano, nato a Galgagnano (Milano), professò a Ivrea nel 1907; ordinato sacerdote nel 1912, nello stesso anno, a novembre, partì per l’Ecuador. Trascorse due anni a Cuenca, come pre-fetto, e l’8 dicembre 1914 raggiunse la missione tra i Kivari. Cominciò a Indanza con don Albino Del Curto e passò poi a dirigere la nuova missione di Méndez dal 1916 al 1928. Si può dire che Méndez e don Corbellini erano una cosa sola (cf VALENTINI, Profili 404-406).
to estrarre la palla che la teneva vicino al cuore e la bambina si sanò [guarì], grazie a Maria Ausiliatrice e a Madre Mazzarello. Il 1° dicembre ci mettemmo in marcia per Macas; altri 4 giorni di cammino in questa foresta, [popolata] solo di indigeni. La gran difficoltà è capirli, [siccome] non esistono libri per studiare la lingua Jivaras si deve solo [cercare di] comprenderli: è una delle missioni più difficili. Prima di arrivare a Macas in una capanna dove abbiamo dormito, [abbiamo trovato] due chivaretti, che li tiene un cristiano, già preparati per il santo battesimo: alla bam-bina metto il nome di Maria e al bambino Giacomo, così è sod-disfatto il vostro gran ideale e che il Signore vi ricompenserà.
Dopo lunghi quattro giorni di cammino, finalmente siamo arrivate a Macas al quattro di dicembre. L’accoglienza dei Maccabei41è stata solennissima. Sono venuti ad incontrarci fino a un giorno di cammino. Sono gente buona, si capisce, gente molto ignorante sempre vissuta in una foresta senza sacerdoti, una donna che li battezzava e niente di più.
Il panorama è bellissimo, tutto circondato di indigeni e abbastanza fiere. Davanti alla nostra casa abbiamo il gran Sangai il famoso vulcano, il più grande di tutto il mondo,42si vede che continua a mandar fumo. Ai piedi del nostro orto un fiume enorme che si chiama Upano.
La gente è rispettosa. La mia più grande consolazione è che tengo già due indigene nella mia casa, due bambine, quasi non le intendo [capisco], però a qualcuna che capisce, dicono che vogliono stare colle Madri perché sono buone.
Ci sono molti infermi ed è il mio scopo di attenderli, pove-ri indigeni; vorrei che vedeste, non si crederebbe che c’è ancora tanta gente che non conosce nostro Signore e non si può farsi capire. Il Signore mi ha chiamata ad un’alta missione, davvero qui è terra vergine, non sanno che esiste un Dio.
41Maccabei sta per Machensi, ossia abitanti di Macas.
42Per l’esattezza, l’altitudine del “gigante” Sangay (m. 5230) è superata, in Ecuador stesso, dal Chimborazo (m. 6315): nozioni che non potevano essere a conoscenza della missionaria giunta da pochi giorni e colpita dall’imponenza del vulcano.
Aiutate[mi] miei cari genitori, sorelle, fratello e tutti quelli che mi leggono; aiutatemi colla preghiera, il campo mio è gran-de ma è difficilissimo, ma Gesù può toccare il cuore e colle vostre preghiere, coi vostri sacrifici Gesù terrà [avrà] compassio-ne e toccherà loro il cuore [agli indigeni].
Non ho potuto scrivervi per Natale, però non vi dimentico un istante, miei diletti genitori, nei miei sacrifici che non mi mancano. Mi dimenticavo di dirvi com’è la casa: non posso darvi un’idea, sono pali con qualche canna d’intorno e dove dor-miamo è di assi, è poverissima, ma non importa purché lavoria-mo per la salvezza delle anime.
Se potessero mandarmi qualche camicina, calzoni, vestine, pigiami, mi fareste una grande carità, sono tutti nudi. Nei pac-chi e nelle lettere mettete:
Suor MariaTroncatti.
Guayaquil – Riobamba – Macas43 Addio, miei cari: salutatemi tutti i miei parenti zii e zie, cugini e preghiamo molto per il Sig. Parroco44 e don Angelo e don Stefano.45
Preghino per la conversione degli indigeni. Addio, ai miei ge ni tori, infiniti ricordi e a mio fratello un saluto – suor Maria Troncatti.
Nell’angolo della busta nei pacchi mettete Sur De Oriente.
Le lettere vengono, impiegheranno un poco però arrivano. Ci sono due postini [distribuzione posta] al mese.
43Sottolineatura della scrivente.
44Il Parroco in quel tempo era don Pietro Federici, nominato arciprete di Corteno il 21 maggio 1920. Dal 1908 al 1913 era stato cappellano a Galleno di Corteno; dal 1913 al 1920 era stato poi in servizio nella chiesa di Lombro di Corteno fino al 1920. Rimase parroco di Corteno per un decennio. Morì l’8 set-tembre 1967.
45Don Stefano Tamini nacque a Galleno di Corteno il 15 ottobre 1898. Fu ordinato sacerdote il 6 novembre 1924. Morì il 18 novembre 1948.
Mi dimenticavo di dirle di una notte passata in casa d’un indigeno. Ho dormito da loro. Nell’entrare nella loro casa, la prima cosa è di servirci di cicia [yuca], figuratevi masticata dalle donne. Questa sarà una notte indimenticabile!