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SUCCESSO DEGLI ARTISTI TICINESI A TORINO

Nel documento Cronache Economiche. N.002, Anno 1986 (pagine 103-107)

Piera Condulmer

Fig. 1 - Isidoro Bianchi da Campione: Particolare dei soffitto decorato a stucchi. Torino, Castello del Valenti-no. Sala dello Zodiaco.

In un precedente excursus ho accennato alla presenza nutrita di architetti, ingegneri militari, artisti dello stucco luganesi e di capaci maestranze in Piemonte fino al se-colo XVII; tale presenza si fa sempre più interessante a mano a mano che l'indagine biografica oltre che archivistica nei Conti della Tesoreria, della Ragioneria e degli Esecutori testamentari, ci fa scoprire le ori-gini di artisti ed artigiani che credevamo anagraficamente piemontesi o quantomeno italiani.

Il che sta ad indicare che la loro presenza nella nostra terra non fu effimera, legata solo ad un determinato lavoro, fu bensi un assimilarsi loro all'ambiente piemontese attraverso per lo più, il prolungato servizio presso la corte ducale e poi regia, e tale da portare a sentire culturalmente la storia della monarchia, fino a narrarla ed anche enfatizzarla nei loro affreschi, nei loro qua-dri, nelle sequenze dei loro stucchi splen-denti, nella ricerca di adeguate raffigura-zioni mitologiche allusive da

rappresenta-re.

Così uomini e cose, aspetti fisici umani e paesistici, flora, fauna, monti, fiumi del Piemonte, spesso con felicità compositiva, entrano come protagonisti, entrano come elementi autonomi o come cornici nei fregi a stucco dei ticinesi, o nei loro quadri o af-freschi, a impreziosire soffitti e pareti di palazzi e di ville.

Abili e affidabili come mastri da muro, molto spesso vinsero concorsi d'appalto anche di grande impegno architettonico, artistico e urbanistico, quale ad esempio quello della Villa della Regina nel 1648, aggiudicato a Stefano Borgnetta di Rovio, rimasto sull'opera fino alla fine di essa. Oppure nella ricostruzione castellamontia-na del castello del Valentino, aggiudicata al luganese Battista Somazzi o Somazzo, o a quella complessa di Palazzo Vecchio o del Vescovo, assegnata ad A. Ademino, Cristoforo Capoduro, A. Pessina. All'inter-no del ValentiAll'inter-no campeggiaAll'inter-no i All'inter-nomi dei Casella di Carona, Gianandrea, Giacomo, Alessandro, allievi del Cortonese a Roma, che profusero la loro opera nella Sala così detta della Magnificenza, dedicata alle rea-lizzazioni urbanistiche di Carlo Emanuele II il Magnifico, per cui compaiono in ri-quadri il Palazzo Reale, la Regia Accade-mia, l'Arsenale, il porticato di via Po e la Porta di Po del Guarini; nella sala Verde, sullo sfondo del quale colore spiccano gli stucchi dorati, la pittura centrale è di Isi-doro Bianchi operante al Valentino fin dal 1638 con i figli Pompeo e Francesco, come indicano i registri di fabbrica.

Il suo primo lavoro per i Savoia fu il com-pletamento di un lavoro del Morazzone al castello di Rivoli, e, subito apprezzato, fu fatto segno, il Bianchi, di molti onori da parte dei duchi e, tra l'altro del cavalierato dei S.S. Maurizio e Lazzaro; egli fu colui che ottenne il patronato dell'Altare di san-t'Anna nella chiesa di San Francesco d'As-sisi e divenne priore dell'omonima Com-pagnia. Di lui al Valentino ammiriamo la sala delle fatiche d'Ercole, della Guerra, del Negozio con i fatti della vita di Vittorio Amedeo I; il suo stucco può essere magi-stralmente plastico ed assumere insieme te-nuità pittoriche, come si può vedere nella sala dello Zodiaco, dove pare circoli la poeticità di Filippo d'Agliè, e dove stucchi e pitture (molte delle quali rifatte), gareg-giano nel mettere in evidenza l'abilità del ticinese e l'originalità della concezione e

Fig. 2 - Giuseppe Maria e Giovanni Domenico Cartoni: monumento funebre a Tomaso Cartoni da Rovio t 1667. Torino. Chiesa di San Francesco di Paola. Fig. 3 - Alessandro Casella da Carona: particolare del soffitto e fregio. Torino, Castello del Valentino. Sala delle Magnificenze.

Fig. 4 - Tommaso Cartoni da Rovio: altare maggiore nella chiesa di San Francesco di Paola in Torino. Fig. 5 - Tommaso Cartoni da Rovio. Statua marmorea della Vergine ausiliatrice nella Chiesa di San Francesco di Paola in Torino.

Fig. 6 - Torino, Palazzo reale. Sala degli Svizzeri. Cami-no eseguito da BernardiCami-no Quadri, Carlo Pozzo, Ales-sandro e Bernardino Casella e Deodato Ramello. Fig. 7 - Giuseppe Muttoni da Lugano. Torino, Palazzo Reale, Armeria. Stucchi della sopra-porta che dà ac-cesso alla Reggia.

della disposizione delle figure in ampi car-tocci, mentre al centro l'Eridano, in un grande quadro, si atteggia a maestà regale tra i simboli dell'abbondanza generata dal-la sua sodal-la presenza neldal-la ricca terra pie-montese.

La pittura primeggia nella Sala del Valen-tino, cioè nella sala degli ozi sovrani, che erano gli otia latini voluti da Maria Cristi-na pei suoi figli.

Molto attivo al castello troviamo Alessan-dro Carlone con figli e nipoti oriundi di Rovio. Questi è soprattutto scultore e come tale si sottoscrive in una placca nella cappella di San Giuseppe nella chiesa di San Carlo dove si trova il bel monumento funebre dell'uomo d'arme Fr. M. De Bro-glie da lui scolpito, e cioè: «Architectus et artifex Thomas Carulus luganensis». Ma di questo insigne fra i luganesi si trova va-sta testimonianza anche nella chiesa di San Francesco da Paola, ove lavorò fin dopo la norte di Maria Cristina che per prima si era servita di lui. Per volere del duca egli fu sepolto con onore in tale chiesa, e sulla sua tomba i figli eressero un busto marmo-reo, che nell'epitaffio reca enumerate le opere da lui eseguite in quella stessa chie-sa, indicandolo come «maximus artis Fidi-ae cuitor».

Non mi soffermo su questa chiesa di cui ho già ampiamente parlato nel mio libro dedi-cato a Via Po, mettendo in risalto i meriti di questo ticinese, il quale non ha limitato la sua attività a Torino, ma si è espanso fino a Genova e in tutti i castelli sabaudi. Altre dinastie ticinesi di stuccatori e inta-gliatori in legno e in marmo che non posso tacere, è quella dei Recchi, dei Papa, dei Solaro, che diedero a Torino i più alti esempi di maestria decorativa, che si svi-luppa nelle dodici sale del palazzo Cari-gnano e nel Palazzo Reale e nel castello del Valentino ancora, nel Castello di Ma-dama, nella rutilante chiesa dei S.S. Marti-ri, nel palazzo Caraglio o della Società Fi-larmonica in Piazza San Carlo.

Festosità e fastosità che non abbandona certo questa città nel settecento, quando il più generalizzato benessere economico consentirà ai privati di gareggiare con la corte, e gli stucchi e gli intagli in legno do-rato invaderanno porte, sguanci di finestre oltre che pareti e soffitti, anche se la corpo-sità secentesca lascierà il posto ad una maggiore levità talvolta pittorica, in armo-nia con l'evoluzione del gusto e degli stili. Esponente della transizione tra i due modi di sentire la decorazione, da alcuni è rite-nuto Domenico Beltramelli con la serie dei

suoi familiari, ritenuti di solito luganesi, ma operanti a Savigliano dai primissimi del '700; il loro campo d'azione fu soprat-tutto il cuneese, e in particolare la bella chiesa dei Battuti Bianchi di Bra, la chiesa di Santa Croce di Cuneo, e la chiesa di Santa Maria del Popolo in Cherasco, in cui anche l'architettura e la presenza assidua degli architetti hanno rappresentato una li-mitazione, una misura al loro impeto crea-tivo. Nell'edilizia privata possiamo ricor-dare i vari soffitti stile XVI e XVII diffusi nell'astigiano e in molte parti del Piemon-te, splendidi soprattutto quelli di alcune sale del Palazzo della Filarmonica a Tori-no, per i quali si possono fare i nomi di Giorgio Muttone e Giuseppe Somasso en-trambi dell'area ticinese.

Tutti i nominativi fin qui ricordati li ritro-viamo attivi in Palazzo Reale, che dalla metà del '600 alla metà dell'800 è stato un campo aperto a tutte le migliori esperienze artistiche in tutti gli aspetti.

Anche per l'edificazione di quest'opera vinsero il concorso d'appalto dei luganesi, Antonio Antoniotto da Daveso e A. Pessi-na da Valsolda. Lavorarono agli ordini dell'architetto e ingegnere militare Ame-deo di Castellamente. Mano a mano che le strutture venivano ultimate, subentravano altri luganesi che affiancandosi ad artigiani e artisti nostrani, fecero via via assumere a quella dimora ducale e poi reale l'aspetto che le è proprio.

Ecco come al solito solo alcuni nomi luga-nesi attivi nel Palazzo Grande: P. Sardi da Morcote e Francesco Righini; al pica-pietra Mattia Solaro era stata affidata la costruzione di un monumentale ingresso, poi non si sa per quale ragione, il progetto fu accantonato, mentre egli compì con G. B. Casella lo scalone elegantemente scultu-rato nella balconata e nelle balaustre, e gli stucchi d'ornato nelle nicchie sono di Qui-rico Castelli di Melide, e la statua di Carlo Alberto che si collocherà nella nicchia cen-trale sarà del luganese Vincenzo Vela, mentre Pietro Isella di Morcote è il fine stuccatore di pareti e soffitto.

All'interno, nelle squadre d'intagliatori e stuccatori e indoratori che attueranno i soffitti disegnati da M. e C. Morello, le porte e gli sguanci delle finestre ecco com-parire Tommaso e G. B. Carlone, C. Cor-tella, G. A. Casella, D. Pozzo, G. C. Neu-rone, F. Borello, G. Stazio, Aimo Prau, S. Musso e via via tutti del Ceresio. Le venti

statue che contornano la grande fontana del giardino sono da attribuirsi ad A. Ca-sella, P. Mari, S. Musso. A sopraintendere ai lavori in marmi troviamo l'ingegnere e scultore Bernardino Quadri.

Altro nome che finora non abbiamo ricor-dato è quello di Carlo Plura che a Palazzo Reale ha lasciato lo splendido Crocefisso della cappella che con quello della chiesa di San Francesco d'Assisi, dalla anatomia perfetta, forse sono i migliori di quelli sparsi per le chiese del Piemonte, pure esse adornate di molte statue del Plura in mar-mo e in legno; egli è autore di mar-molte di quelle «macchine» artistiche che si porta-vano nelle processioni.

Tutti questi luganesi noi li troviamo a Stu-pinigi, alla Venaria, a Villa della Regina, a Racconigi, e salirono operosi fino alla cap-pella della Santa Sindone, il sacrario del tesoro sacro di Torino, e umili e fervorosi essi si mossero nel magico mondo del gran-de Guarini rimanendovi fin dopo la morte di questi,' a compiere con i loro colleghi piemontesi un'opera che avrebbe portato per il mondo nei secoli fa fama della mag-gior gloria artistica e religiosa di Torino. Rimasero attivi e fervorosi chini sul pavi-mento il pica-pietre Francesco Aprile e l'ottonaio Pietro Cortesi, mentre Carlo Cortella saliva fino al cupolino per dipin-gerlo; tutto questo mentre Antonio Bertola elaborava il complesso altare in legno coa-diuvato da C. Neuroni e V. Possino. Nell'ottocento ancora si vorrà arricchire questa cappella con quattro grandi monu-menti funebri, le cui grandi statue marmo-ree (quella del principe Tommaso del co-macino Marchesi, e quella di Emanuele Fi-liberto di G. Gaggini da Bissone) sembrano scorte d'onore al sacro Lenzuolo.

A proposito del Vela, accennando qui ad alcune sue opere raccolte in interni e non a quelle esterne per la città, è presente certa-mente alla certa-mente di tutti il preziosissimo gruppo delle due regine, Maria Teresa e Maria Adelaide nel santuario della Conso-lata, sufficiente a dare allo scultore il titolo di grande, pel modo con cui tratta il mar-mo e per l'anima che v'infonde e fa scatu-rire da esso.

Ma parlando di luganesi a Torino e in Pie-monte, sarebbe imperdonabile non mettere in giusta evidenza un pittore ottocentesco che ha dato a questa città ed agli eventi ri-sorgimentali il meglio di sé, in quadri in cui non si sa talvolta s'egli voglia esaltare

di più il paesaggio immerso in un mare di luminosità trasfigurante o il fatto, l'episo-dio bellico al quale egli era stato autorizza-to a partecipare come illustraautorizza-tore per il

Ti-mes di Londra.

Non solo la guerra tuttavia eletrizza il pen-nello di Carlo Bossoli, bensì pure la pace, la pace operosa e serena di questa Torino sua seconda patria, patria di rifugiato poli-tico; egli la consegna ai posteri, con quel-l'armosfera di diffusa discrezione e signori-lità che investe anche il popolino nelle sue scene di vita. In dodici incisioni mirabili poi, fa vibrare stupefacenti architetture che tanti suoi compatrioti hanno collaborato ad elevare.

Nel documento Cronache Economiche. N.002, Anno 1986 (pagine 103-107)