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Suoni emozionati Le scienze cognitive della musica verso nuovi orientamenti terapeutic

Nel documento Apprendimento, cognizione e tecnologia (pagine 132-137)

Cristina Meini

Dipartimento di Studi Umanistici, Università del Piemonte Orientale cristina.meini@uniupo.it

1. Abstract

Musica laetitiae comes, medicina dolorum, ricorda un motto latino. Ep-

pure, in un’epoca di grande successo delle musicoterapie, si stenta a com- prendere a fondo il potenziale curativo della musica.

La scienza cognitiva sta producendo risultati sempre più interessanti sul rapporto tra musica ed emozioni, che tuttavia solo raramente arrivano a in- fluenzare l’intervento clinico. I tempi sono invece maturi per un’integrazione profonda e fruttuosa, che sarà tanto più significativa quanto più si lascerà o- rientare dalla filosofia, sin dai tempi antichi interessata a esaminare l’influenza della musica sulla persona e in particolare sulle sue emozioni. 2. Musica e filosofia

Nata nella Grecia antica, proseguita nel rinascimento e rinvigorita nel pensiero romantico, la riflessione sul rapporto tra musica ed emozioni vive oggi un periodo particolarmente florido. Molte posizioni diverse sono ricon- ducibili alla dicotomia fondamentale tra le teorie percettive/immaginative e le teorie disposizionali. Secondo le prime, le proprietà emotive della musica so- no percepite o immaginate dall’ascoltatore attento, che le coglie essenzial-

mente nella dinamica della melodia. Per considerare la formulazione più no- ta, il “contorno” musicale si presenta all’ascoltatore come un comportamento emozionato, in particolare come una voce o un gesto emozionati (Kivy 1980) che poi, eventualmente, ci contagia (Davies 1994). O forse non è vero che veniamo contagiati dall’emozione manifesta nella musica, ma siamo piuttosto mossi dalla sua qualità estetica: non ci rattrista la musica strutturalmente tri- ste, ma la musica brutta (Kivy 2002). Le teorie disposizionali compiono il cammino opposto: non riconosciamo l’emozione nella musica per poi venirne eventualmente contagiati, ma possiamo percepire l’emozione solo perché ne facciamo in primo luogo esperienza. Le qualità emotive sono dunque tali in quanto ci dispongono a provare un’emozione che poi attribuiamo alla struttu- ra musicale (Matravers, 1998; Robinson 2005). Non mancano posizioni mi- ste, anche molto interessanti - p.es. Levinson (1990), che difende una teoria del contorno di tipo immaginativo, secondo cui nel profilo melodico immagi- niamo i gesti di una persona emozionata -, così come non mancano richiami al potere emotigeno di dimensioni diverse dalla melodia: timbro, intensità, ecc. (Robinson 2005).

Al netto di alcune posizioni difficilmente sostenibili, buona parte delle teorie presentate contengono semi di verosimiglianza (Meini, 2015). Non c’è da stupirsi. Le emozioni sono stati mentali compositi, costituiti da qualche tipo di giudizio, da reazioni corporee, disposizioni comportamentali nonché correlati fenomenici; parallelamente, vi sono emozioni di base, aventi valore per la sopravvivenza, nonché emozioni complesse, di natura almeno parzial- mente cognitiva.

D’altro canto, anche lo stimolo musicale è complesso. C’è il capolavoro - tradizionalmente l’unico oggetto di indagine filosofica –, ma c’è anche la musica popolare, o proveniente da tradizioni diverse. L’attenzione pressoché univoca alla tradizione romantica, dai “sentimenti forti”, ha probabilmente esaltato l’aspetto empatico, facendo perdere di vista altri modi di emozionar- si, ben evidenti invece nel piacere generato dalle perfezioni architetturali del rinascimento. Un discorso a parte andrebbe riservato alla musica atonale e a gran parte della musica contemporanea.

A fronte di tale complessità è verosimile che la risposta emotiva sia ete- rogenea: nel contorno riconosciamo istintivamente un gesto emozionato che talvolta ci muove – ma non solo contagiandoci; in altre occasioni, invece, a emozionarci è la qualità estetica. Che l’emozione preceda e fondi il ricono- scimento delle proprietà formali sembra più controverso, ma resta verosimile che l’esperienza emotiva, una volta raggiunta, aiuti in una sorta di retroazione la percezione di nuovi e più ricchi aspetti dello stimolo.

3. La musica nelle scienze cognitive

Anche la ricerca empirica ha recentemente insistito sulla ricchezza dei

loci emotivi (Juslin e Sloboda 2010), sfidando la riflessione filosofica ad am-

pliare l’orizzonte di analisi considerando musica che, oltre che ascoltata, vie- ne realizzata o comunque vissuta fuori dalle algide sale da concerto. I dati sono molti e impongono un confronto costante tra le discipline: la peculiare capacità filosofica di distinguere deve aiutare a leggere dati sperimentali tal- volta affrettatamente interpretati; a sua volta, la scienza della musica deve aiutare la filosofia a uscire dall’auditorium per dire qualcosa della musica che

ogni essere umano naturalmente cerca e apprezza.

Da questa sinergia emergono numerosi spunti interessanti, impossibili da trattare seppur sinteticamente in questa sede. Mi concentrerò su un aspetto, che vede la musica come una straordinaria produttrice di forme vitali, costrut- to teorico introdotto in psicologia dello sviluppo da Stern (2010) per denotare ciò che viene scambiato tra adulto e bambino durante la protoconversazione, ma che ancora nell’età adulta rappresenta un elemento cruciale per raggiun- gere una sintonizzazione e, con essa, la sensazione di condividere un’esperienza. Si tratta di una forma astratta, individuata in primo luogo dalle caratteristiche dinamiche, cui non a caso Stern fa riferimento attraverso ap- pellativi musicali quali crescendo e decrescendo, staccato, legato ecc. Egli considera le forme vitali una Gestalt composta da cinque elementi (movimen- to, tempo, spazio, forza e intenzionalità/ dinamicità) che sono tipici anche di un contorno melodico (si veda anche la nozione di musicalità comunicativa di Malloch e Trevarthen (2010). L’adulto e il bambino “dialogano” senza pa- role attraverso la reciproca manifestazione di forme vitali; entrambi alternano gesti e vocalizzi in uno scambio multimodale che, per esempio, esordisce con un contorno e una dinamica crescenti, ricchi di staccati, per diventare, quan- do la gioia rischia di divenire sovraeccitazione, decrescente, legata, in una

risoluzione capace di ricondurre alla calma. Le ripetizioni sono frequenti ma

sempre imperfette, come accade in un vero dialogo che non è mai l’eco dell’interlocutore, né è completamente prevedibile. Ebbene, nella misura in cui produce forme vitali, ovvero elementi strutturanti e motivanti della co- municazione in ogni fase della vita, la musica rappresenta un efficace stru- mento di intervento all’interno di una nuova terapia della musica fondata su basi epistemologicamente più solide di quelle attuali.

4. Verso la terapia

Proviamo a fare il punto. La musica parla di emozioni; il suo contorno ri- chiama, enfatizzandola, la prosodia del discorso, pur non possedendo un si- gnificato referenziale (la musica, in assenza di un testo, non si riferisce a og- getti del mondo). Richiama anche il gesto emozionato e costituisce esso stes- so una forma vitale. Produce contagio, ma sollecita anche una comunicazione emotiva non meramente rispecchiante, semplificata dalle molte ripetizioni e caratterizzata da un discreto grado di prevedibilità. L'ascoltatore coglie dun- que, accettandole di buon grado, alcune proprietà importanti della relazione interpersonale senza doversi impegnare in una vera interazione, con tutta la corporeità e i fraintendimenti che può portare con sé. In un contesto terapeu- tico queste caratteristiche sono suscettibili di promuovere, in una situazione più sostenibile, lo sviluppo di aspetti significativi dell'intelligenza interperso- nale, quali il riconoscimento degli scopi (attraverso la “direzione” della mu- sica”) o la comprensione di alcuni basilari meccanismi dialogici. E proprio attraverso questo percorso di crescita della competenza interpersonale la mu- sica può promuovere la conoscenza delle proprie emozioni e una competenza autoregolativa, specie nelle situazioni patologiche in cui il contatto troppo stretto e prolungato con gli altri può essere fonte di difficoltà. Un bambino autistico, per esempio, può non di rado manifestare problemi relazionali con i coetanei, che pur avrebbero molto da insegnargli; nondimeno, a condizione di rispettarne il complicato profilo sensoriale (Meini et al., 2012), facilmente amerà la musica, regalando così al terapeuta un'occasione preziosa di inter- vento.

A nostro avviso (Meini e Guiot, 2015) non si tratta solo, come la maggior parte dei modelli teorici enfatizza (p.es., Overy e Molnar-Szakacs 2009), di sincronizzarsi su un ritmo o una pulsazione, ma di dialogare attraverso i con- torni melodici. Lo si può fare anche con bambini che non sanno suonare uno strumento melodico, a condizione che siano disposti a vocalizzare o, almeno, a mostrare sensibilità per la melodia. Il contorno trasmette emozioni, le pre- senta e induce a reagire a esse, veicolando segnali emotivi che vengono colti innescando un vero dialogo di sentimenti e sollecitando spontaneamente l'at- tenzione per l'altro e per i suoi scopi. Inoltre, con il senso di sospensione, at- tesa e risoluzione che veicola, la melodia è in grado di richiamare alcuni a- spetti non semantici del dialogo, a partire dalla struttura domanda-risposta, che rappresentano un prezioso modello per presenza di difficoltà comunicati- ve. In breve, la musica allena, semplificandole e rendendole gradevoli, all’esercizio di competenze almeno parzialmente trasferibili alla vita quoti-

diana e che trascendono i limiti della sincronizzazione per invadere il più complesso ambito della comunicazione.

Bibliografia

Davies, S. (1994) Musical Meaning and Expression, Cornell UP, Ithaca,.

Juslin, P.N., Sloboda, J.A. (2010, a cura di) Handbook of Music and Emotion: The- ory, Research, Applications, II ed., Oxford UP, New York.

Kivy, P. (1980) The Corded Shell: Reflections on Musical Expression, Princeton UP, Princeton.

Kivy, P. (2002) Introduction to a Philosophy of Music, Oxford UP, Oxford.

Levinson, J. (1990) Music, art and Metaphysics, Cornell University Press, Ithaca, NY. S. Malloch S. e Trevarthen C. (2010, a cura di) Communicative Musicality: Exploring the Basis of Human Companionship, Oxford UP, Oxford.

Matravers, D. (1998) Art and Emotions, Claredon Press, Oxford.

Meini, C. (2015) Musica, emozioni e scienze cognitive. Con qualche ambizione tera- peutica. Sistemi Intelligenti, XXVII, 2, pp. 373-398.

Meini, C., Guiot G. (2015) Musica, canto e relazione. Verso il Relational Singing Model. In D. Bruni, G. Ruggiero (a cura di) Il ritmo della mente. Scienze cogniti- ve, psicoterapia e musica, Mimesis, Milano, Mimesis, pp. 183-207.

Meini, C., Guiot, G., Sindelar, M.T. (2015), Musica e Autismo, Erickson, Trento. Overy, K., Molnar-Szakacs, I. (2009) Being together in time: Musical experience and

the mirror neuron system. Music Perception, 26, pp. 489-504.

Robinson, J. (2005) Deeper than Reason. Emotion and its Role in Literature, Music and Art, Clarendon Press, Oxford.

Stern, D.N. (2010) Forms of Vitality: Exploring Dynamic Experience in Psychology, the Arts, Psychotherapy, and Development, Oxford UP, Oxford.

Atteggiamenti e credenze di genitori ed insegnanti

Nel documento Apprendimento, cognizione e tecnologia (pagine 132-137)

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