• Non ci sono risultati.

Teoria dell’adeguatezza sociale dell’azione – Così, nasceva

Nel documento I reati "fuori dei casi di concorso" (pagine 109-113)

La complicità mediante azioni “quotidiane”

I. Teoria dell’adeguatezza sociale dell’azione – Così, nasceva

“oggettiva” la teoria che per prima, storicamente, ha posto il problema della sot-

274 Così l’autore a pag. 515, in Was ist Beihilfe?, cit.. Concorda Kai AMBOS, Beihilfe durch Alltagshand-

lungen, in JA, 2000, 720-725, che afferma a pag. 724: «es Alltagshandlungen per se nicht gibt, vielmehr jede an sich neutrale Handlung durch eine entsprechende Zweckbestimmung zu einer deliktischen ge- macht werden kann».

trazione al piano della tipicità penale delle azioni “normali”275, perché conformi

all’ordinamento pratico consolidato dell’agire socialmente accettato.

In polemica con il dominante eziologismo positivistico, ma senza voler sconfinare nel diritto penale dell’atteggiamento interiore, Hans WELZEL rivestì le

umane condotte di una sovrastruttura assiologica, di modo che la produzione cau- sale di un evento dannoso, la lesione naturalistica del bene giuridico276, non sa-

rebbe stata sufficiente – ai fini dell’affermazione di responsabilità – ove non fos- se originata da un comportamento in contrasto con i valori di fondo della comu- nità.

Erano le prevedibili, ancorché estreme, conseguenze teoriche dell’aver con- densato e confuso, nella categoria dell’Unrechtstypus, il tipo e l’antigiuridicità, la rilevanza penale e la sua giustificazione, il bene giuridico protetto e i beni con funzione scriminante.277 Tale indebita commistione conduceva, come si è cercato

di segnalare più volte nel corso della trattazione, a tendenze applicative, tra loro anche opposte, ma tutte sicuramente fuorvianti. Da un lato, la propensione ad as- serire, in presenza di una causa di giustificazione, l’assenza di offesa in senso giuridico, riducendo così la lesione naturalistica prodotta dal fatto tipico a mera quantité négligeable ed enfatizzando oltre misura le oggettività giuridiche sottese al motivo esimente; dall’altro, all’inverso, quella a neutralizzare ogni “capacità scriminante” dei beni giuridici contrapposti a quello leso, quando della norma in-

275 Socialmente adeguate, secondo la definizione di Hans WELZEL, sono le azioni che «si muovono funzio-

nalmente all’interno dell’ordinamento storicamente determinato della vita della comunità di un popolo» («die sich funkionell innerhalb der geschichtlich gewordenen Ordnung des Gemeinschaftslebens

eines Volkes bewegen») (ID., Studien zum System des Strafrechts, in ZStW, 1939, pp. 491-566, a p. 516).

276 Nel citato saggio, che per i toni altisonanti e per la perspicuità dello stile voleva senz’altro costituire

una sorta di teoria generale del reato, l’illustre autore ripete costantemente che la teoria dell’offensività «nient’altro è che il completamento del dogma causale nel campo dell’antigiuridicità» («nichts anders ist

als das Korrelat des Kausaldogmas auf dem Gebiet der Rechtwidrigkeit») (ivi, a p. 509).

277 La dottrina successiva superò agevolmente e in tempi relativamente brevi l’idea dell’adeguatezza so-

ciale dell’azione, messa peraltro in crisi dai numerosi ripensamenti teorici dello stesso WELZEL: il quale la

qualificò in un primo momento come causa di esclusione del fatto tipico, poi come scriminante di natura consuetudinaria, infine come ragione di elisione del normale effetto indiziante della tipicità penale (c.d.

mangelde Unrechtsindizierung). Sugli andirivieni dommatici di Hans WELZEL, a questo proposito, si dif-

fondono G. GREGORI, Adeguatezza sociale e teoria del reato, Cedam, Padova 1969, pp. 51 e ss.; C. FIORE,

L’azione socialmente adeguata nel diritto penale, Morano, Napoli 1966, pp. 201 e ss.. Rimase fermo, al

contrario, il fattore che l’aveva generata – l’ “illecito”, il “fatto tipico antigiuridico”, l’Unrechtstatbestand – il quale inevitabilmente continuò, perpetuando tuttora, a diffondere una serie di effetti distorsivi, auten- tiche forze centrifughe rispetto al principio di legalità, sull’intera teoria del reato.

criminatrice si voglia fornire una lettura estensiva e rigoristica; infine, in genera- le, la tendenza a considerare requisito della condotta penalmente rilevante un conflitto con valori non riconosciuti dal diritto positivo.

La conclamata vetustà ed inadeguatezza dell’ordinamento vigente all’epoca della formulazione della teorica in esame, veniva quindi superata e corretta po- stulando l’in/adeguatezza della condotta, ma secondo i parametri di una giustizia materiale, extralegale. Lo svilimento della funzione garantistica di una legge pe- nale che si avverte lontana dal rinnovato sentire popolare si esprime nell’avversi- tà e nella sfiducia rispetto all’opera del legislatore, sensazioni che emergono niti- damente in affermazioni come le seguenti: «il concetto di autore deve essere co- struito indipendentemente dalle disposizioni positive sulla partecipazione»278; «il

legislatore positivo può senz’altro equiparare la partecipazione all’autorìa per ciò che concerne le conseguenze sanzionatorie, ma non può per ciò solo credere di aver tramutato il concorso nel fatto altrui in vera e propria autorìa»279.

Nonostante, all’epoca, la teoria dell’adeguatezza sociale dell’azione doves- se apparire come un frutto del pensiero moderato e un limite alla discrezionalità giudiziale, visto che, ben prima, idee come quella del tipo d’autore normativo avevano spalancato le porte dell’arbitrio, è comunque agevole cogliere in essa il tentativo di imporre una pericolosa visione di fondo: l’essenza – reale o valoriale – delle cose precede e fonda il precetto della legge, la quale non può far altro che riconoscerla.

In effetti, la nuova idea si legava alla concezione finalistica dell’azione280.

Se quest’ultima intendeva esprimerne la struttura ontologica (das Sein), il giudi- zio di in/adeguatezza – nelle intenzioni del suo demiurgo WELZEL – avrebbe do-

vuto costituirne l’abito deontologico (das Sollen).

Essa, inoltre, pur pretendendo di spandere i propri effetti su tutto il sistema, vantava un campo di applicazione privilegiato nella dottrina della partecipazione criminosa.281 Il che è facilmente comprensibile ove si ponga mente all’indetermi-

278 Affermazione del LANGE, riportata a suffragio da WELZEL a pag. 494, op. cit.. 279 Ivi, p. 540.

280 Sulla quale si v. altresì H. WELZEL, Il nuovo volto del sistema penale, trad. it. di Cesare Pedrazzi, in Jus,

1952, pp. 31-70, passim.

281 «La struttura esistenziale dell’azione, pur trascurata come questione, fa tuttavia ancora sentire il pro-

natezza ed elasticità delle clausole incriminatici solitamente operanti in questo settore.

Proprio da quest’ultima notazione prende spunto oggi un altro autore per raffinare, e adattare all’attualità, l’ormai ammuffita costruzione welzeliana. Oc- cupandosi del fenomeno del trasferimento di capitali all’estero a fini di evasione fiscale e, in particolare, della complicità di banche e consulenti, Klaus LÜDERSSEN

coglie con grande acutezza il nodo centrale sotteso al problema delle azioni so- cialmente adeguate.

Celata dietro una semplice formuletta concettuale –la c.d. Sozialädaquanz appunto – starebbe, specialmente se si accolga una lettura della complicità delit- tuosa come fattispecie ampia ed aperta, una questione assai scottante e peraltro fondamentale: quella del necessario bilanciamento fra beni giuridici convergenti. Da una parte il valore della libertà d’agire, giustamente specificata dalle varie li- bertà professionali riconosciute dall’ordinamento; dall’altra, il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice.282

Non basta dunque che il comportamento agevolatore abbia incrementato il rischio della lesione del bene giuridico; occorre muovere un secondo passo. Biso- gna cioè verificare se tale potenziale compromissione dell’oggetto di tutela pena- le non sia per altro verso giustificata (bilanciert) a favore della sfera di compe- tenza di altri beni, altrettanto degni della considerazione del sistema giuridico.283

Così, dopo aver ammiccato non poco all’idea dell’adeguatezza professiona- le coniata da HASSEMER, di cui si dirà nel prosieguo, LÜDERSSEN decide, a conclu-

sione delle proprie riflessioni, di proporre una nuova formula:

«se un bene giuridico è assai pregiato, molte e più remote vie per attaccarlo verranno ad esser normativamente bloccate (tramite la fissazione della punibilità in una fattispecie), e ciò ad aggravio della contestualmente violata libertà d’agire. Se invece il bene giuridico è meno pregiato, allora saranno meno e più prossime

Ciò, in nessun ambito si evidenzia più chiaramente che nella dottrina della partecipazione» (H. WELZEL,

Studien zum System des Strafrechts, cit., a pag. 493).

282 Così, K. LÜDERSSEN, Beihilfe, Strafvereitelung und objektive Zurechnung, in E. SAMSON, G. GRÜNWALD

(hrsg.), Festschrift für Gerald Grünwald zum siebzigsten Geburtstag, cit., pp. 329-350, a p. 339.

le vie di lesione ad esser normativamente bloccate, e ciò a vantaggio delle libertà d’agire, non intaccate da questi vincoli»284.

Nel documento I reati "fuori dei casi di concorso" (pagine 109-113)

Outline

Documenti correlati