La complicità mediante azioni “quotidiane”
III. Teorie eclettiche – Il già spiccato eclettismo delle teorie dell’imputa-
zione viene, se possibile, ulteriormente enfatizzato dalle concezioni espresse re- centemente in alcuni studi monografici.
298 Cfr. op. cit., pp. 308 e ss..
299 Per questa critica, si v. H. NIEDERMAIR, Straflose Beihilfe durch neutrale Handlungen?, cit., p. 521 e s.,
nonché H. KUDLICH, Die Unterstützung fremder Straftaten durch berufsbedingtes Verhalten, Duncker &
Humblot, Berlin 2004, p. 106.
Un approccio proteiforme, peraltro, sarebbe giustificato sia da ragioni filo- sofiche, quali la necessità di tener conto di tutti gli interessi e gli aspetti sottesi al caso da risolvere, sia dall’esigenza costituzionale di trattare in modo diverso si- tuazioni di fatto difformi. Inoltre, dal punto di vista pratico, un unico criterio riso- lutore non sarebbe in grado di fornire risposte sempre soddisfacenti.301
Così, avvertita la sotterranea presenza ed operatività di una causa di giusti- ficazione alla quale, tuttavia, non si riesce a dare un nome, si costruisce un com- plesso meccanismo di bilanciamento degli interessi, funzionante secondo le ca- denze dell’analisi costi-benefici, in cui la rappresentazione psichica dell’agente è l’“oggetto” della valutazione compiuta dall’ordinamento, il quale a sua volta fun- ge da “soggetto” di un giudizio di prevalenza comunque sempre largamente di- pendente dalla fattura del caso concreto.302 Solo la massima attenzione alle circo-
stanze fattuali consentirà infatti al giudice di addossarsi il peso dell’argomenta- zione. Solo il duro cozzare dei suoi pregiudizi contro la realtà delle cose ne farà scaturire la decisione giusta.303
Non solo: poiché può constatarsi la tendenza dogmatica e giurisprudenziale ad affermare la responsabilità del complice ogniqualvolta questi conosca i propo- siti delittuosi altrui, il giudice che volesse discostarsi da questo consolidato inse- gnamento dovrebbe farsi carico di motivare la “nuova” soluzione, magari valo- rizzando la particolare tenuità dei “costi” nel caso sottoposto al suo esame o, al contrario, la particolare consistenza dei “vantaggi”.304
Viene quindi formulato un elenco di criteri guida per la definizione delle vi- cende concrete.305
(a) I l g r a d o d i c e r t e z z a d e l l a v e r i f i c a z i o n e d e l f a t t o - r e a t o d a p a r t e d e l l ’ a g e n t e . In questo preciso senso, l’inti- ma rappresentazione del soggetto è l’“oggetto” del giudizio di valore dell’ordina- mento, nella misura in cui, ovviamente, quanta maggiore contezza abbia quegli circa la saldezza delle altrui intenzioni delittuose, tanto più grave sarà la valuta-
301 Così, ad esempio, si esprime M. WOHLLEBEN, Beihilfe durch äußerlich neutrale Handlungen, Beck,
München 1996, p. 100 e ss..
302 Ivi, pp. 117-120.
303 Ivi, pp. 124-125, richiamando ALEXY.
304 Ivi, p. 126-127, citando, questa volta, PERELMAN.
zione penalistica del suo comportamento da pesare sul piatto del meccanismo di bilanciamento.
(b) L a d i p e n d e n z a c o s t i t u t i v a d e l l ’ a z i o n e a g e v o l a - t r i c e d a l s u s s e g u e n t e d e l i t t o . Si adduce il seguente esempio: se un condominio viene fabbricato su commissione di chi notoriamente pretenda fit- ti usurari ed unicamente per tale ragione e scopo, non c’è interesse che giustifichi la nuova costruzione, né quello di creare posti di lavoro né quello della libertà d’impresa dell’appaltatore.
(c) L a r a g i o n e v o l e z z a d e l l ’ o m i s s i o n e d e l s o s t e g n o a c c e s s o r i o . Questo criterio, che evoca immediatamente questioni nostrane circa il rapporto bivalente fra imprenditori e criminalità organizzata (complici o vittime?), si sposa a quello dell’esigibilità del comportamento alternativo lecito. Ci si chiede, in sostanza, se il garagista o il meccanico debbano rifiutare le com- messe di riparazione delle autovetture quando il proprio capo non paghi le impo- ste sulle entrate, anche a costo di rischiare, in tal modo, un licenziamento; o se il concorso oggettivo in evasione fiscale non sia invece giustificato dal conflitto in- teriore così sperimentato.
(d) I l p e r i c o l o s o c i o p s i c o l o g i c o d i e m u l a z i o n e . Poi- ché ogni caratteristica esteriore di una condotta reca con sé un messaggio comu- nicativo, dovrà considerarsi particolarmente dannoso, perché diseducativo, il no- cumento consapevolmente arrecato, sia pure in via ancillare e secondaria, alla vittima del delitto. Il fatto stesso che accadano comportamenti simili avrebbe in- fatti l’effetto di fiaccare le difese inibitorie sociali contro il crimine.
(e) I l v a l o r e s o c i a l e r e l a t i v o d e g l i i n t e r e s s i c o n - t r a p p o s t i n e l c a s o c o n c r e t o . Per stabilire a quale a quale dei due poli assegnare prevalenza, se a quello dei costi o a quello del vantaggi, determi- nati dall’azione incriminata, è decisivo indagare quale consistenza sociale rive- stano, dal punto di vista fattuale, le due opposte costellazioni. Ad esempio, per dirla con JAKOBS, c’è differenza se a trasportare il ladro sul luogo del furto sia il
quale, nelle sue forme, è socialmente consentita in quanto utile, il “ruolo” del tas- sista gode di riconoscimento sociale»306.
Combinando i criteri così esposti, vengono poi elaborate quindici regole307
per la risoluzione di trentacinque casi di scuola308 elencati giusta in apertura del
saggio, nella pretesa – forse eccessiva – di aver come forgiato ex novo una sorta di sottosistema positivo.
Ma a parte questa notazione, ciò che ovviamente non convince è l’eteroge- neità della soluzione proposta da WOHLLEBEN, che attinge un po’ da tutte le teori-
che più sopra studiate, inserendole nell’unico “calderone” del bilanciamento, il quale, peraltro, avrebbe la funzione di operare sul piano dell’illiceità, non certo su quello della colpevolezza, al cui ambito tuttavia parrebbero più propriamente inerire alcuni dei criteri appena visti, primo fra tutti il tema dell’esigibilità.
Anche Hans KUDLICH, in quello che sinora è senza dubbio il più completo
contributo sul tema delle azioni professionalmente condizionate, parte dichiarata- mente da un approccio composito.309 Preliminarmente, viene sgombrato il campo
da una – a suo dire – troppo facile conclusione: la molteplicità di regole che di- sciplinano le condotte professionali, nei più disparati settori e ai più differenti li- velli nel sistema delle fonti, valgono genuinamente solo per il contesto in cui na- scono e cui si riferiscono, sicché non possono essere trasportate, sic et simplici- ter, in ambito penalistico, onde segnare il confine del lecito310, ancorché non se
ne possa negare, ove pertinenti, l’indubbia efficacia ausiliaria.311 In particolare,
306 Ivi, p. 134. 307 Ivi, p. 159 e ss.. 308 Ivi, p. 169 e ss..
309 ID., Die Unterstützung fremder Straftaten durch berufsbedingtes Verhalten, cit., p. 20.
310 Ivi, alle pp. 217 e ss.; nonché a p. 240, ove l’autore puntualizza: «In linea di massima si potrebbe tener
per fermo che alla mancata violazione di divieti extrapenali corrisponde a stento un’anticipata valutazione per ciò che concerne la questione della punibilità, mentre la positiva osservanza di analoghe prescrizioni extrapenali può essere di ben maggior significato». Il che, si badi, è perfettamente assentibile, ma forse, al tempo stesso, altrettanto ovvio. È infatti palese che, nell’interpretazione del divieto penale, non assuma alcun rilievo il fatto che non siano infrante proibizioni d’altro genere, sempre che non si acceda all’idea che l’Unrecht, l’illecito penale, postuli costitutivamente anche la simultanea violazione di precetti extra- penali. È invece di grande interesse che una norma non penale, che agisca in direzione convergente – an- corché non necessariamente secondo la logica del conflitto –, facultizzi o addirittura prescriva il compor- tamento penalmente tipico.
«l’ipotesi di una non punibilità non dovrebbe automaticamente condurre a ciò, che il comportamento agevolatore sia anche positivamente da inquadrare come conforme al diritto (e perciò anche civilmente o costituzionalmente non interdibi- le)»312.
Di più: la maggior parte dei precetti del Kernstrafrecht si rivolgerebbe a chiunque, ossia al cittadino considerato in quanto tale e non già per il mestiere eventualmente svolto. Certo, non potrebbe negarsi che, quando in tali divieti in- cappi anche l’attore professionale, il suo particolare stato possa assumere una qualche rilevanza. Ma, in ogni caso, non in quanto tale, bensì soltanto se inqua- drabile sotto un principio generale di esclusione della pena o di mitigazione della risposta sanzionatoria.313
Sulla base di queste considerazioni introduttive, KUDLICH organizza un siste-
ma di imputazione oggettiva assistito da correttivi, in cui il meccanismo base, però, è pur sempre quello della creazione di un rischio vietato per il bene giuridi- co, seguito dalla sua concretizzazione nell’evento tipico. Pertanto, non può esclu- dersi l’utilizzo di riflessioni fondate sul decorso alternativo ipotetico degli acca- dimenti, quantomeno onde asserire che, di regola, le prestazioni cc.dd. “neutrali” implicano un reale aumento del rischio, consistente nel fatto che «l’autore ha ef- fettivamente ricevuto la prestazione necessaria, mentre modalità alternative di procurarsela potrebbero in ogni caso far emergere delle difficoltà impreviste»314.
312 Ivi, p. 240. Anche in questa asserzione può notarsi una certa inversione dei termini del problema che ci
affatica. In quest’ottica, infatti, non è tanto rilevante riaffermare la funzione sussidiaria dell’intervento pe- nale, quanto piuttosto indagarne i collegamenti con l’ordinamento giuridico complessivo, onde ricavarne argomenti in ordine alla possibilità di attribuire alle azioni quotidiane o professionali la doppia qualifica di condotte lecite sebbene penalmente tipiche.
313 H. KUDLICH, Die Unterstützung fremder Straftaten, cit., passim, ma in partic. le pp. 35-36 e 65, dove
l’autore propone i seguenti esempi: il tassista risponde di omicidio colposo o di guida in stato di ebbrezza esattamente al pari del quisque de populo; il commerciante che inganna il cliente sulla qualità della merce può parimenti rispondere di truffa; così, il medico che àlteri i dati di una cartella clinica può commettere un falso documentale. Tuttavia, a parte la notazione che gli esempi addotti appaiono un po’“fuori tema”, in quanto incentrati su ipotesi di responsabilità monosoggettiva, potrebbe sulla stessa linea parimenti re- plicarsi: il fatto che in alcuni casi lo statuto giuridico dell’attore professionale coincida con quello del co- mune cittadino, non significa che ciò accada in tutti. Si supponga infatti che il tassista, nello stesso istante in cui si accorga di una persona in pericolo sul ciglio della strada, riceva la chiamata per un’altra corsa: il mancato immediato avviso all’Autorità integra omissione di soccorso?
(a) Un primo correttivo è il seguente: non può rispondere penalmente chi abbia semplicemente contribuito alla produzione dell’oggetto materiale del reato o alla formazione del bene giuridico protetto. Ad esempio: gli operatori bancari che collaborino all’investimento del danaro di un cliente, non si rendono, per ciò solo, complici nell’evasione delle imposte sui profitti commessa da quest’ultimo. Il contributo all’insorgenza di una pretesa erariale non può essere equiparato ad una partecipazione alla sua elusione.315
(b) In secondo luogo, il fatto tipico obiettivo neppure potrebbe dirsi integra- to quando il comportamento dell’attore professionale consista unicamente nell’o- mettere una variazione rispetto al suo modo d’agire uniforme e consueto. Ad esempio: l’offerta di beni o servizi attraverso distributori automatici o la semplice messa a disposizione di infrastrutture fruibili da un numero indefinito di persone reca senz’altro con sé il rischio che taluno ne possa abusare per scopi criminosi, ma l’utilità sociale di cui tali prestazioni sono intrinsecamente dotate osterebbe comunque alla configurabilità di un dovere di interromperle, ancorché a benefi- ciarne sia il delinquente, anziché l’onesto cittadino.316
(c) Una complicità psichica, poi, dovrebbe ritenersi generalmente esclusa, essendo l’azione “neutrale” normalmente priva della necessaria “significanza espressiva”, consistendo essa non già in «un rafforzamento istigatorio dell’auto- re, bensì nell’esercizio dell’attività professionale»317.
(d) Un correttivo di natura soggettiva, infine, risiederebbe nella più volte in- dicata distinzione tra dolo diretto e dolo eventuale. Se chiunque svolga un me- stiere o una professione dovesse rispondere anche solo per aver dubitato, in gene- rale, del possibile e remoto utilizzo delittuoso della propria prestazione, allora la libera esplicazione di qualsivoglia attività umana, pur garantita sulla carta costi- tuzionale, sarebbe di fatto irrimediabilmente conculcata. Opposte, però, dovreb- bero essere le conclusioni – tratte sulla base del principio di affidamento318 – lad-
dove il dubbio dell’agevolatore si appunti su di un indizio concreto e specifico circa l’attuale e prossimo impiego criminoso dello strumento fornito o del contri-
315 Ivi, p. 450. 316 Ivi, p. 451. 317 Ibidem.
buto prestato. Solo tramite questo doppio giuoco di regole ed eccezioni potrebbe realizzarsi l’ottimo bilanciamento fra protezione dei beni giuridici e libertà indi- viduali.319
Le considerazioni sopra svolte in merito all’opera di WOHLLEBEN, possono
essere sostanzialmente riprodotte per il lavoro del KUDLICH, senza mancare di sot-
tolineare, da un lato, la maggiore profondità e raffinatezza di quest’ultimo e, dal- l’altro, la strisciante presenza al suo interno di alcune incongruenze che ci ripro- mettiamo di indicare nel prosieguo.