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2.3.1: Termini di durata.

Il terzo comma dell’art. 267 c.p.p.121 attribuisce al Pubblico ministero il potere di disporre l’intercettazione, indicando le modalità e la durata delle operazioni. Il decreto che fissa le modalità operative e di durata dell’intervento deve tener conto delle esigenze investigative da un lato e del principio di segretezza delle comunicazioni dall’altro, attuando così un bilanciamento che si concretizza nell’attribuzione al giudice del dovere di fissare le concrete modalità esecutive dell’intercettazione. Dunque, il Pubblico ministero è libero di stabilire, all’interno dei limiti stabiliti dalla legge, la durata e le caratteristiche dell’operazione. Il dato normativo fissa nel termine di quindici giorni la durata dell’ascolto, limite che

121 Secondo alcuni autori la norma regolerebbe l’intercettazione urgente e non il procedimento di autorizzazione ordinario, in quanto solo nel primo caso si potrebbe parlare di un decreto del pubblico ministero che disponga dell’intercettazione. Naturalmente quando l’organo dell’accusa ricorre in via d’urgenza a captazioni foniche, deve anche fissarne le modalità esecutive, perché altrimenti si lascerebbe alla polizia giudiziaria il potere di disporne nei modi e nei tempi più conveniente alle indagini, tuttavia sostenere che l’art. 267, comma terzo c.p.p. non prenda in considerazione il caso in cui il controllo venga autorizzato dal giudice, porta alla conseguenza che, in tali ipotesi, l’ascolto potrebbe continuare senza alcun limite di tempo. Dunque se questa fosse l’interpretazione da seguire, la norma sarebbe probabilmente illegittima, in quanto la determinazione dei limiti cronologici dell’intervento costituisce una garanzia costituzionalmente obbligatoria. Di conseguenza, sono state formulate altre due interpretazioni, secondo la dottrina maggioritaria è preferibile quella che, ferma restando la competenza del pubblico ministero per il caso dell’intercettazione urgente, nel procedimento ordinario vede l’intervento, in un primo momento, dell’autorizzazione del giudice per le indagini preliminari e solo dopo, l’emissione del decreto non motivato da parte del pubblico ministero, con cui viene disposta l’intercettazione e in cui vengono indicate le modalità di attuazione e durata.

79 costituisce la scadenza massima, anche se, nella prassi, pochi

provvedimenti fissano un periodo minore. La norma non specifica il giorno in cui inizia a decorrere il termine ivi stabilito, tuttavia tale lacuna è stata facilmente colmata attraverso un’operazione interpretativa, che ne ha fissato la decorrenza a partire dall’effettivo inizio delle operazioni di controllo e non nella data di emanazione del decreto.122 Questo compito naturalmente appartiene alla competenza del Pubblico ministero, il quale, nel dare inizio alle operazioni, agisce sulla base di un atto del giudice, che gli ha conferito tale potere, in seguito ad un’analisi del materiale probatorio. Tuttavia, non si è di fronte ad un potere privo di limiti temporali, in quanto, se così fosse, l’organo inquirente sarebbe legittimato a spendere l’atto autorizzativo anche anni dopo, dando adito ad una prassi rischiosa, che si esporrebbe a ragionevoli eccezioni di invalidità. Da qui l’idea secondo cui, nel momento in cui sia trascorso un periodo di tempo tale da far ritenere che il quadro probatorio sia mutato, rispetto a quando fu emesso il decreto di autorizzazione, sarebbe preferibile rinnovare la richiesta al giudice. 123 Il termine di quindici giorni, come precedentemente affermato, costituisce il limite massimo di durata. Dunque, in via teorica, il Pubblico ministero potrebbe

122 Attraverso questa interpretazione si garantisce al pubblico ministero la possibilità di indicare il momento più idoneo per l’intervento, con l’obiettivo di limitare il più possibile la compressione del diritto alla segretezza. Di questa corrente di pensiero, si trova un’importante esempio in alcune pronunce giurisprudenziali, che fanno riferimento alla facoltà del pubblico ministero di procrastinare l’inizio delle operazioni di captazione, secondo esigenze coerenti al quadro investigativo.

80 fissare un termine inferiore oppure interrompere le operazioni

di ascolto prima che esso sia venuto a scadenza, qualora ritenesse che siano stati raggiunti i risultati per cui l’intercettazione era stata disposta. È opportuno dar conto delle ulteriori innovazioni prospettate nel corso della sedicesima legislatura, infatti sul versante degli ambiti operativi della disciplina, in riferimento ai c.d. casi di urgenza, sono stati sensibilmente ampliati i termini per la comunicazione al Tribunale del decreto che dispone le operazioni e dei termini entro cui il Tribunale deve convalidare il decreto. Anche la durata delle operazioni ha subito un drastico ridimensionamento, infatti la Commissione giustizia ha confermato il limite massimo di trenta giorni, prorogabile dal Tribunale per periodi successivi di quindici giorni, fino ad un massimo di tre volte, qualora permangano i presupposti delle operazioni. Nei reati di criminalità organizzata, in base a quanto stabilito dall’art. 13, del più volte citato d.l. 13 maggio 1991, n. 152, il limite alla durata dell’ascolto è di quaranta giorni. Già la relazione, approvata il 19 settembre 1990 dalla commissione parlamentare antimafia, aveva notato l’insufficienza del termine di quindici giorni per questa tipologia di indagini, che, data la spiccata attitudine da parte dei membri di associazioni mafiose ad esprimersi con una terminologia allusiva, rende opportuno un controllo prolungato nel tempo. La prassi infatti ha dimostrato che un linguaggio “segreto” difficilmente può essere decifrato sulla

81 base di poche telefonate, tendendo invece a sgretolarsi nel

lungo periodo.