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Nell'analisi dello sviluppo portuale asiatico e mediterraneo, la diffusione della pratica del transhipment merita una menzione particolare: essa infatti ha inciso enormemente sia sulla struttura e la funzionalità degli scali portuali sia sullo sviluppo della loro gerarchia. Numerosi porti mediterranei e asiatici, grazie alle loro caratteristiche, nell’ultima fase del loro sviluppo sono stati relegati a svolgere esclusivamente una funzione di trasporto hub-spoke.

Questa modalità prevede la pratica del transhipment (trasbordo), tra una nave “giramondo” ed una “nave cellulare (feeder)”. Il carico in questione viene in un primo momento scaricato nel porto hub, in seguito rimesso su navi cellulare, le quali lo trasportano fino al porto di destinazione.

150 UNESCAP, Past and forecast global container volumes (1980 – 2015), (2015;

http://www.unescap.org/sites/default/files/pub_2398_ch3.pdf, data ultima consultazione 16/12/16). 151 LEGA NAVALE ITALIANA, Dizionario Enciclopedico Marinaresco, MURSIA, Milano (1972), pag. 519.

152 PEPE, I. La Geostrategia marittima della Repubblica Popolare Cinese: dalla Nuova Via della Seta al filo di Perle, Tesi di Laurea Magistrale, Università Ca' Foscari di Venezia (2014) pp. 47 – 49.

153 “Tipo di unità navale mercantile attrezzata e adibita al trasporto di merci entro chiatte o bettoline che possono essere imbarcate e sbarcate stando alla fonda in rada” v. ENCICLOPEDIA TRECCANI

La diffusione del sistema dei porti di transhipment è stata evidente durante l'ultimo ventennio: circa il venti per cento dei porti più grandi del mondo sono porti che utilizzano il sistema di trasbordo154.

Questi scali non entrano in competizione con i porti tradizionali, al contrario svolgono nei loro confronti una funzione complementare. I grandi porti import–export, non dovendosi più occupare delle operazioni di trasbordo verso piattaforme specializzate possono concentrarsi sullo sviluppo efficiente dei propri hinterland cercando di ampliarne le dimensioni e massimizzarne le prestazioni logistiche.

La nascita e lo sviluppo di questo nuovo sistema di trasporto presenta effetti evidenti in Europa: per le attività dei porti nel Nord Europa il transhipment non occupa più del 30 per cento delle attività portuali totali, mentre nel Mediterraneo la percentuale va oltre il 50 per cento155.

Se nel complesso gli effetti del transhipment sono positivi per le grandi compagnie di navigazione in quanto favoriscono una riduzione delle economie di scala, il sistema a mozzo-raggio ha delle ricadute economiche e funzionali negative sui singoli porti che si occupano principalmente di funzioni di transhipment.

Secondo uno studio compiuto dal Ministero degli Interni156, in Italia un semplice passaggio di un container in un porto che svolge una mera funzione hub-spoke, genera un fatturato di 300 euro, un utile di 20 euro e un beneficio complessivo per il paese di 110, con una creazione, per ogni quantità di 1000 container di 5 posti di lavoro.

Secondo la stessa analisi, le attività di un porto import–export producono una ricchezza esponenzialmente maggiore: per ogni container si ha un ricavo di circa 2300 euro, un utile di 200 ed un beneficio complessivo per lo stato che supera i 1000 euro. In questo caso, per 1000 unità, si verificherebbe la creazione di 42 posti di lavoro157.

Un altro esempio delle ricadute economiche di un porto hub si ottiene evidenziando che uno scalo di puro transhipment, non si occupà più di una gran parte di attività legata al transporto delle merci, riducendo enormemente il valore aggiunto globale del suo traffic158. È in questo scenario che all'interno degli scali portuali hub si è verificata nel tempo una decisa riduzione di intere categorie professionali che si occupavano di manovre del trasporto delle merci.

154 Un porto di transhipment è tale quando più del 50% dei container movimentati sono destinati ad operazioni di trasbordo. Per un porto di transhipment rimane fondamentale la sua localizzazione geografica. Per raggiungere lo scalo, infatti, una nave deve idealmente effettuare, il minor numero di deviazioni dalla rotta originale. Il porto deve inoltre possedere efficienti servizi feeder. Sono importanti alcune caratteristiche dei porti di transhipment come la lunghezza della banchina.

155 Questo è avvenuto perché i porti dell'Europa Settentrionale hanno saputo raggiungere un prolungato e definito grado di sviluppo delle proprie infrastrutture e dei retroterra, con politiche nazionali lungimiranti, portando alla nascita di hinterland sempre più vasti che vanno ben oltre i confini nazionali.

156 CORSINI, S. ; EINAUDI, L. Iniziative di studio sulla portualità italiana, Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica, Ministero degli Interni (2011).

157 SELLARI, P. Geopolitica dei trasporti, Editori Laterza (2013) cap. I pag.45.

158 PEPE, I. La Geostrategia marittima della Repubblica Popolare Cinese: dalla Nuova Via della Seta al filo di Perle, Tesi di Laurea Magistrale, Università Ca' Foscari di Venezia (2014) pag. 49.

Figura 15 – La diffusione del transhipment nel Mediterraneo Fonte: www.drewry.com/uk

La diffusione su larga scala prima della containerizzazione ed in seguito del transhipment ha inoltre contribuito a modificare profondamente la relazione tra porto e città marittima. È in seguito a questi due fenomeni che è avvenuta una progressiva delocalizzazione dei servizi portuali dalle città di appartenenza.

Le compagnie di navigazione, interessate al raggiungimento di efficaci economie di scala, hanno spinto enormemente sullo svolgimento di questo processo: nello specifico della logistica europea e mediterranea, che andremo ad analizzare in seguito, questo ha fatto sì per esempio che – in seguito all'allargamento verso est dell'Unione Europea avvenuto nel 2004 – la fascia territoriale compresa tra Praga, Budapest e Bratislava si affermasse come polo logistico europeo. Le compagnie marittime si basano sulla scelta di uno scalo portuale esclusivamente basandosi sulla sua produttività159. Il processo di delocalizzazione portuale non sarà – almeno nel breve tempo – invertibile, in quanto nel traffico commerciale internazionale lo Stato rimane palesemente sempre più inadatto e incapace di difendere i propri interessi nazionali strategici, lasciando lo spazio alla globalizzazione160.

Si assiste quindi ad uno scenario in cui nasce una competizione tra i vari porti “minori” per attrarre gli investimenti delle grandi compagnie di navigazione.

Fra i numerosi fattori che caratterizzano il grado di competitività di un porto ve n'è uno che assume un'importanza decisamente rilevante: la struttura del retroterra portuale.

159 SELLARI, P. Geopolitica dei trasporti, Editori Laterza (2013), cap I. pag.49. 160 LIZZA, P. Scenari geopolitici, UTET, Torino (2009) cap. II.

Esso è identificato con l'area prossima al porto in cui lo scalo esercita la maggior parte delle sue attività: i suoi confini variano a seconda della tipologia del porto stesso161, e rimane estremamente difficile delinearli. Anche in questo caso gli effetti della diffusione del traffico containerizzato sono fondamentali in quanto hanno ampliato enormemente la dimensione dei grandi retroterra portuali, incentivando la competizione fra essi162.

L'ampiezza e lo sviluppo del retroterra portuale è influenzato da numerosi fattori, in primis quelli geografici. L'idrografia del retroterra dei porti sul Mare del Nord, per esempio, ha permesso la nascita di un hinterland costituito da una rete di canali navigabili che rende il trasporto di container verso l'Europa continentale estremamente veloce ed economico, garantendo a porti come Rotterdam un vantaggio competitivo difficilmente eguagliabile.

Inoltre, la diffusione massiccia del traffico containerizzato ha portato i retroterra portuali ad acquisire maggiore rilevanza nella struttura generale del porto.

Lo sviluppo dell'intermodalità per esempio ha avuto un decisivo effetto strutturante sull'articolazione della relazione del porto con il proprio hinterland: essa ha spinto i porti ad orientare la loro attività verso l'interno e anche a grandi distanze, modificando quindi la natura stessa del retroterra e causando delle condizioni di discontinuità in aree situate in prossimità del porto stesso163.

Il risultato di questo nuovo sistema gerarchico portuale, legato all'acquisizione di un'importanza sempre maggiore da parte dei grandi porti regionali e ad una grande importanza dell'intermodalità ha fatto sì che fra i grandi nodi logistici si instaurasse una gerarchia sempre più accentuata. I porti sono, come sottolineato da alcuni esperti164, solo un nodo di una rete più ampia, in cui essi sono connessi ad altri porti e ad altre destinazioni terrestri con collegamenti e corridoi di trasporto radiali.

Le grandi compagnie di navigazione quindi, in un contesto di crescente competitività portuale, scelgono effettivamente su che scalo portuale operare in base alla posizione, lo sviluppo tecnologico e logistico e il grado di competitività portuale. Le loro decisioni possono cambiare, anche repentinamente, al variare di qualche situazione contingentale.

Emblematico è, come scrive Sellari, il caso della compagnia danese MAERSK, che con uno scarno comunicato, ha abbandonato il porto di Gioia Tauro per spostarsi su Port Said in Egitto165.

Al giorno d'oggi, il numero delle grandi compagnie di navigazione si è ridotto rispetto al passato. Fra le più grandi

161 L'estensione del retroterra varia a seconda delle merci (possono essere rinfuse o container), del periodo (i fattori sono la stagionalità, i cicli congiunturali, livello tecnologico e politica dei trasporti), dalle modalità prevalenti o dalle dinamiche del mercato globale. v. SELLARI, P. Geopolitica dei trasporti, Editori Laterza (2013) cap. I pag. 25.

162 GARDNER, B. Theories and practises of multimodal transport in Europe, Cardiff (2010), pag. 18.

163 NOTTEBOOM, T.; RODRIGUE, J.P. Containerisation, Box Logistics and Global Supply Chains: the integration of ports and

liner shipping networks, Palgrave Macmillan, IAME (03/2008), vol. 10, pp. 152 – 174.

164 VALLEGA, A. Geografia delle strategie marittime, Mursia, Milano (2000) cap. I pag. 188.

165 La motivazione segnalata era quella di un'eccessiva burocratizzazione del porto italiano. Alla base vi era anche una ragione legata al minore costo di manodopera dello scalo egiziano. v. SELLARI, P. Geopolitica dei trasporti, Editori Laterza (2013).

compagnie166, la maggioranza di esse sono asiatiche o cinesi:

1. NYK (Giappone), con una flotta di 776 navi portacontainer;

2. Evergreen Marine Corporation (Cina), con una flotta di 150 navi portacontainer; 3. CMA – CGM (Francia), con una flotta di 200 navi portacontainer;

4. Maersk (Danimarca), con una flotta di 600 navi portacontainer con una capacità combinata di 19 milioni di

TEU;

5. MSC (Svizzera), con una flotta di 779 portacontainer con una capacità combinata di due milioni e mezzo di

TEU;

6. Hapag-Lloyd (Germania), con una flotta di 147 navi portacontainer; 7. COSCO (Cina), con una flotta di circa 500 navi portacontainer;

8. Orient Overseas Container Line (Hong Kong), con una flotta di 270 navi di varie dimensioni.

Visto il nuovo grado di potere delle compagnie di navigazione, in grado di distaccarsi da porti o da zone – specialmente nel Mediterraneo – a favore di altri porti, si assiste alla nascita di nuove gerarchie portuali nel Mediterraneo.

A tal proposito è sempre Sellari a parlare di un “Mediterraneo Capovolto” cioè uno scenario in cui i porti mediorientali ed africani, pur dedicandosi per la maggior parte al transhipment hanno iniziato un nuovo percorso di dinamismo che è destinato ad influenzare e modificare la gerarchia portuale mediterranea a discapito, almeno in questa fase, di altri porti storicamente forti come quelli italiani.

Nel Mediterraneo Occidentale, il porto di Tangeri è destinato a diventare uno dei più grandi hub dell'area. Esso è già in grado di movimentare una notevole quantità di traffico – oltre 3,5 milioni di TEU – ed ha raggiunto, nel 2015, un volume di oltre 5 milioni di TEU di traffico.

La collocazione geografica e morfologica di tutta l'area portuale situata vicino allo stretto di Gibiliterra, unito a lungimiranti politiche economiche del governo di Rabat (che punta a costruire attorno al porto di Tangeri una newtown che accoglierà 150 mila lavoratori con moderne infrastrutture) faranno del porto marocchino un gateway per l'Africa sahariana e sub–sahariana167.

A causa delle favorevoli condizioni politiche e di investimento (vista la messa in discussione delle relazioni una volta solide tra Stati Uniti ed Egitto) la compagnia cinese COSCO ha iniziato nel 2015 una serie di investimenti per 5 miliardi di dollari per il rinnovamento di Port Said. L'interesse cinese per gli scali egiziani ha subito un nuovo impulso proprio in corrispondenza dell'inizio del progetto New Silk Road in quanto, dopo l'allargamento del Canale di Suez, la Cina continua

166Per elenco v. MARINE INSIGHT, 10 largest container shipping companies in the world (23/07/2016;

http://www.marineinsight.com/know-more/10-largest-container-shipping-companies-in-the-world/, data ultima consultazione 20/12/2016).

ad essere dipendente nei confronti del chokepoint egiziano168.

La COSCO, oltre ad aver acquisito anche lo scalo del porto egiziano di Damietta, ha investito assieme a Maersk e ad APL su Port Said, facendolo diventare uno dei principali hub del mediterraneo, al ventinovesimo posto nella classifica mondiale, con investimenti che faranno arrivare la capacità del porto ad oltre 11 milioni di TEU169.