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I tratti costitutivi del servizio di consulenza in materia di investimenti

In questo paragrafo cercheremo di analizzare in cosa consiste il “nuovo” servizio di consulenza, la direttiva MiFiD, nel collocare la consulenza in materia di investimenti fra i servizi di investimento principali, ne ha anche dettato una nozione differente da quella prevista sino ad oggi dall’ordinamento giuridico italiano, assoggettandola a una disciplina peculiare, distinta da quella a cui sono sottoposti tutti gli altri servizi di investimento orientati alla distribuzione.

Si ritiene quindi opportuno partire dalla definizione che viene proposta dall’art.1 comma 5 septies del TUF che afferma: “per consulenza in materia di investimenti si intende la prestazione di raccomandazioni personalizzate a un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa del prestatore del servizio, riguardo a una o più operazioni relative ad un determinato strumento finanziario. La raccomandazione è personalizzata quando è presentata come adatta per il cliente o è basata sulla considerazione delle caratteristiche del cliente. Una raccomandazione non è personalizzata se viene diffusa al pubblico mediante canali di distribuzione”.

In precedenza non era presente nel nostro ordinamento nessuna definizione del servizio di consulenza, tuttavia, le comunicazioni della CONSOB (pre MiFID) avevano cercato di supplire a tale mancanza, ciò nonostante, tali comunicazioni avevano condotto ad una diversa nozione con evidenti punti di discordanza da quella odierna “l’attività di consulenza consiste, in linea generale, nel fornire al cliente indicazioni utili per effettuare scelte di investimento e nel consigliare le operazioni più adeguate in relazione alla situazione economica ed agli obiettivi del cliente stesso”, veniva inoltre precisato che

“l’attività suscettibile di costituire oggetto di un rapporto di consulenza […] non è solo

quella che si risolve nell’indicazione di specifiche scelte di investimento, ma anche quella che si concretizza in una pianificazione sistematica del portafoglio finanziario del cliente”.

Da un primo confronto è molto semplice osservare notevoli differenze tra la definizione data dalla CONSOB nel contesto antecedente al recepimento della normativa comunitaria e il contesto post MiFID, la prima, forse la più visibile consiste nel riconoscere che con l’avvento del nuovo impianto normativo l’attività di consulenza assume un contenuto meno ampio ed è palese l’enfasi posta esclusivamente sulla caratteristica della personalizzazione della raccomandazione.

Analizzando la definizione vincolante proposta dal TUF si può affermare che per parlare di servizio di consulenza si deve verificare la presenza simultanea di una serie di caratteri costitutivi che cercheremo ora di esaminare.

In primo luogo si deve trattare di raccomandazioni personalizzate, cioè dirette a un destinatario ben preciso, è innegabile l’influsso esercitato dalla MiFID II che aveva provveduto a fornire il seguente chiarimento “tale raccomandazione deve essere presentata come adatta per tale persona, o deve essere basata sulla considerazione delle caratteristiche di tale persona, e deve raccomandare la realizzazione di un’operazione appartenente a una delle seguenti categorie:

a. comperare, vendere, sottoscrivere, scambiare, riscattare, detenere un determinato strumento finanziario o assumere garanzie nei confronti dell’emittente rispetto a tale strumento;

b. esercitare o non esercitare qualsiasi diritto conferito da un determinato strumento finanziario a comperare, vendere, sottoscrivere, scambiare, riscattare, detenere un determinato strumento finanziario”.

La prestazione della raccomandazione tuttavia deve essere bilaterale, quindi è di fondamentale importanza che sussista una relazione diretta tra il consulente e il cliente, indipendentemente da quale dei due soggetti abbia preso l’iniziativa.

Ma affinché questa sia personalizzata, deve anche essere adatta al soggetto cui si rivolge, riprendendo le parole del legislatore8, il consulente, ”Sulla base delle informazioni ricevute dal cliente, e tenuto conto della natura e delle caratteristiche del servizio fornito, gli intermediari valutano che la specifica operazione consigliata o realizzata nel quadro della prestazione del servizio di gestione di portafogli soddisfi i seguenti criteri:

8Art. 40 REGOLAMENTO INTERMEDIARI n.16190 del 29/10/2007 (Valutazione dell’adeguatezza)

a) corrisponda agli obiettivi di investimento del cliente;

b) sia di natura tale che il cliente sia finanziariamente in grado di sopportare qualsiasi rischio connesso all’investimento compatibilmente con i suoi obiettivi di investimento;

c) sia di natura tale per cui il cliente possieda la necessaria esperienza e conoscenza per comprendere i rischi inerenti all’operazione o alla gestione del suo portafoglio”.

In tal senso è evidente come la valutazione di adeguatezza rappresenta il momento centrale della disciplina della nuova consulenza come si evince dalla lettura del testo dell’art. 39 del regolamento intermediari9, le raccomandazioni personalizzate, chiaramente, si distinguono dalle raccomandazioni generali, le quali non sono presentate come adatte al singolo cliente, bensì sono indirizzate al pubblico e non tengono conto del profilo del singolo investitore, il carattere generale della raccomandazione si presume nel caso in cui sia utilizzato per la sua diffusione un canale distributivo destinato alla generalità dei clienti o dei potenziali clienti, come, ad esempio, un quotidiano, un giornale, una rivista o una trasmissione televisiva o radiofonica o un sito internet.

Altro elemento costitutivo della fattispecie in esame attiene all’oggetto della raccomandazione personalizzata, che, come illustrato in precedenza deve condurre alla realizzazione di un’operazione appartenente a precise categorie (comprare, vendere, etc.) e deve far riferimento ad un determinato strumento finanziario, questa nuova fattispecie

9 Art. 39 REGOLAMENTO INTERMEDIARI n.16190 del 29/10/2007 (Informazioni dai clienti nei servizi di consulenza in materia di investimenti e di gestione di portafogli)

1. Al fine di raccomandare i servizi di investimento e gli strumenti finanziari adatti al cliente o potenziale cliente, nella prestazione dei servizi di consulenza in materia di investimenti o di gestione di portafoglio, gli intermediari ottengono dal cliente o potenziale cliente le informazioni necessarie in merito:

a) alla conoscenza ed esperienza nel settore di investimento rilevante per il tipo di strumento o di servizio;

b) alla situazione finanziaria;

c) agli obiettivi di investimento.

2. Le informazioni di cui al comma 1, lettera a), includono i seguenti elementi, nella misura in cui siano appropriati tenuto conto delle caratteristiche del cliente, della natura e dell’importanza del servizio da fornire e del tipo di prodotto od operazione previsti, nonché della complessità e dei rischi di tale servizio, prodotto od operazione:

a) i tipi di servizi, operazioni e strumenti finanziari con i quali il cliente ha dimestichezza;

b) la natura, il volume e la frequenza delle operazioni su strumenti finanziari realizzate dal cliente e il periodo durante il quale queste operazioni sono state eseguite;

c) il livello di istruzione, la professione o, se rilevante, la precedente professione del cliente.

3. Le informazioni di cui al comma 1, lettera b), includono, ove pertinenti, dati sulla fonte e sulla consistenza del reddito del cliente, del suo patrimonio complessivo, e dei suoi impegni finanziari.

4. Le informazioni di cui al comma 1, lettera c), includono dati sul periodo di tempo per il quale il cliente desidera conservare l’investimento, le sue preferenze in materia di rischio, il suo profilo di rischio e le finalità dell’investimento, ove pertinenti.

5. Gli intermediari possono fare affidamento sulle informazioni fornite dai clienti o potenziali clienti a meno che esse non siano manifestamente superate, inesatte o incomplete.

6. Quando gli intermediari che forniscono il servizio di consulenza in materia di investimenti o di gestione di portafogli non ottengono le informazioni di cui al presente articolo si astengono dal prestare i menzionati servizi.

7. Gli intermediari non possono incoraggiare un cliente o potenziale cliente a non fornire le informazioni richieste ai sensi del presente articolo.

produce uno scostamento concettuale non indifferente rispetto a quella che era l’idea del servizio di consulenza, consolidatasi nel previgente ordinamento.

Prima dell’entrata in vigore della nuova normativa, il servizio di consulenza si configurava in un’attività notevolmente più ampia che prevedeva l’acquisizione di informazioni sulla situazione finanziaria e patrimoniale del cliente, nonché riguardo ai suoi obbiettivi di investimento per fornire raccomandazioni sulla migliore allocazione del suo patrimonio secondo una precisa pianificazione; si trattava decisamente di un’attività che non poteva essere ridotta solamente a singoli consigli o suggerimenti, riguardanti specifiche scelte di investimento, ma era un’attività piuttosto estesa che si concretizzava in una pianificazione del portafoglio finanziario del cliente.

Leggendo le disposizioni sopra riportate, nella nuova definizione, si percepisce una significativa limitazione dell’oggetto diretto della consulenza e sembra scomparire la distinzione tra consulenza oggettiva e consulenza strumentale, anzi, sembra essere giustificata la sensazione di una consulenza intesa solamente in senso strumentale poiché scompare all’interno della definizione il riferimento alla pianificazione sistematica del portafoglio finanziario del cliente e quindi non si considerano più all’interno dell’attività di consulenza le attività di asset allocation e financial planning (che rientrano nella cosiddetta consulenza generica) e diventano così attività non più soggette a riserva di legge, e come tali potranno essere esercitate liberamente.

Questa situazione pone un problema da non sottovalutare riguardo l’applicabilità delle regole di comportamento di settore solo quando a svolgere tali attività sia un intermediario abilitato e rimane un grosso punto interrogativo per il resto dei casi anche se, qualora la consulenza non si riferisca ad un determinato strumento finanziario ma ad un “tipo” di strumenti finanziari si configura un’attività che il legislatore comunitario qualifica come

“consulenza generica”.

L’attività di consulenza “generica” consiste nella prestazione di raccomandazioni relative a tipi di strumenti finanziari o di prodotti finanziari o di servizi di investimento. In concreto, essa si estrinseca in un’attività di pianificazione ideale del portafoglio della clientela, distinguendosi, così, dal servizio di consulenza in materia di investimenti che, invece, si estrinseca nella prestazione di raccomandazioni personalizzate relative ad uno specifico strumento o prodotto finanziario o ad uno specifico servizio di investimento. Per la sua natura generica l’attività in oggetto, pur potendo avere una sua autonomia causale ed essere perciò prestata in via autonoma e a fronte anche di una autonoma remunerazione

diretta da parte del cliente, assolve, di norma, ad una funzione preparatoria di altri servizi, compresi quelli sopra descritti di consulenza, di collocamento e di ricezione e trasmissione di ordini.

Nella prestazione del servizio di consulenza generica l’intermediario deve agire nell’interesse del cliente e, a tal fine, si impegna, in particolare, a fornire consigli generici coerenti con le informazioni relative al cliente stesso di cui sia comunque in possesso.

La consulenza generica è disciplinata in via indiretta dalla MiFID, là dove nei considerando della direttiva di secondo livello il legislatore comunitario prefigura la possibilità per cui, qualora tale attività sia preparatoria e strumentale alla prestazione del servizio di consulenza, essa deve essere considerata parte integrante di tale servizio di investimento e dunque la relativa disciplina verrebbe attratta da quella dell’adeguatezza prevista per le raccomandazioni aventi ad oggetto specifici strumenti finanziari10.

Un aspetto che fa quantomeno riflettere osservando il nuovo quadro normativo è che in nessun luogo viene specificato che la consulenza deve essere fondata su un’analisi imparziale, questa situazione fa sorgere più di un dubbio poiché non si comprendono bene le ragioni per cui il legislatore comunitario escluda dalla riserva di legge questa attività cosiddetta di “consulenza generica” che come evidenziato in precedenza ha sicuramente un confine operativo molto più ampio della “nuova consulenza” e comprende anche le attività di asset allocation e financial planning che oltre ad essere sicuramente complementari alla prestazione di tale servizio, per il cliente risultano essere anche le attività a maggior valore aggiunto.