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Una lettura trasversale dei Programmi di Sviluppo Locale

Gli strumenti di sviluppo locale analizzati nel presente lavoro presentano caratteristiche ed obiettivi specifici che li diversificano tra loro. Un elemento che li accomuna è costituito dal generale obiettivo di creare uno sviluppo integrato che vede il coinvolgimento dei diversi soggetti che operano sul territorio, finalizzato alla creazione, a livello locale, della comune consapevolezza e condivisione degli obiettivi da perseguire e delle relative azioni positive da mettere in campo.

Le strategie attivate perseguono la finalità ultima di realizzare il miglioramento delle condizioni socioeconomiche delle popolazioni residenti ed una migliore occupabilità delle risorse, sia nella forma di nuova occupazione, sia nella forma di emersione da forme di lavoro irregolari che caratterizzano in negativo il mercato del lavoro delle regioni dell’obiettivo 1.

La tabella 2 sintetizza le peculiarità dei programmi di sviluppo locale alla luce di tre aspetti cruciali:

• le modalità di attuazione;

• il ruolo svolto dal partenariato;

• gli effetti prodotti (o ricercati) nell’ambito del mercato del lavoro e della valorizzazione del capitale umano.

Una prima considerazione di carattere generale, riguarda l’aspetto temporale che determina l’apprezzamento dei risultati allo stato attuale. Una valutazione complessiva è operabile soltanto per i Patti territoriali e i programmi Leader, che associano alla caratteristica di essere gli strumenti numericamente più diffusi sul territorio - e dunque quelli che offrono maggiori spunti di interesse - quella di aver già concluso le attività manifestando gli effetti macro che ciascuno di essi ha prodotto, sia in maniera diretta sia indiretta, sui territori in cui sono ricadute le azioni.

In particolare, ci si riferisce all’impossibilità di stilare un giudizio completo sugli interventi finanziati ad opera dei Progetti Integrati Territoriali dal momento che, come già sottolineato, costituiscono lo strumento di più recente ideazione e che non ha ancora conseguito, al momento in cui è stata svola la presente analisi, quel livello minimo di realizzazione che permetta di esprimere una, seppur generale, valutazione. Ad oggi il dibattito in corso sui PIT attiene più agli aspetti formali del Programma, e più in particolare ai meccanismi di funzionamento dello strumento e della partnership. Altri programmi, come ad esempio i Contratti d’Area ed Urban, presentano ambiti e modalità di intervento molto specifiche che poco si prestano a letture di tipo trasversale o comparativo soprattutto per la loro esigua numerosità.

La modalità di accesso ai programmi, unitamente ai diversi soggetti deputati al coordinamento ed all’erogazione dei finanziamenti, vedono coinvolti i soggetti istituzionali ai vari livelli: nazionale, comunitario (per quel che riguarda i Patti territoriali per l’occupazione) e regionale (per quel che attiene ai Progetti Integrati Territoriali). Alla base dell’avvio delle azioni vi sono solitamente degli accordi formali traducibili in Convenzioni, Protocolli d’intesa, Accordi quadro.

Con riferimento al partenariato si può pensare, in via generale, ad un tavolo composito attorno al quale sono seduti tutti i rappresentanti degli interessi specifici cui il programma intende offrire risposte positive traducibili in azioni. Tuttavia, ciascun programma vede un diverso coinvolgimento delle parti economiche e sociali, che determinano in positivo o in negativo la realizzazione del metodo della concertazione e della coesione.

E’ evidente, infatti, che lo sviluppo locale si realizza al meglio laddove si riesce a costruire quel consenso sociale al quale le parti economiche e sociali offrono il contributo più incisivo. I Patti territoriali per l’occupazione, ad esempio, hanno visto in un equilibrato e paritetico peso delle diverse componenti istituzionali ed economico sociali il fattore cruciale di successo nella programmazione ed attuazione delle iniziative. Di contro, nei PIT, allo stato attuale, alcuni interlocutori privilegiati hanno evidenziato la debolezza espressa dalla presenza di un partenartiato sbilanciato sul versante istituzionale.

Dal punto di vista formale, tuttavia, si osserva un sostanziale equilibrio nella composizione partenariale pubblica (Comuni, Province, Comunità montane, Regioni, Centri per l’impiego, etc.) e privata (Organizzazioni sindacali, Associazioni imprenditoriali dell'industria, Associazioni imprenditoriali, dell'agricoltura, Associazioni imprenditoriali del commercio, Associazioni imprenditoriali, dell'artigianato, Associazioni della cooperazione, ONG e del terzo settore, Associazioni ambientaliste). Si può quindi ipotizzare che la prevalenza degli interessi dei soggetti istituzionali può essere dipesa dalle modalità previste per l’ideazione e la definizione concreta dei PIT o che tale prevalenza sia solo “percepita” in quanto segno tangibile di una crescente voglia di protagonismo del partenariato socioeconomico, che rivendica un ruolo di maggiore responsabilità. D’altra parte, vale la pena sottolineare che tra i soggetti privati si è osservata una più diffusa presenza rispetto al passato di Banche e Camere di Commercio, che conferisce in linea teorica più solide basi operative al partenariato.

Il tema della valorizzazione del capitale umano e degli effetti sul mercato del lavoro locale, traducibile nell’attivazione di iniziative formative piuttosto che di aiuti finalizzati alla creazione di nuova occupazione rappresenta il principio ispiratore cui i diversi strumenti hanno offerto risposta, seppure in maniera distinta. La strategia europea per l’occupazione enfatizza, facendone due dei suoi pilastri, l’importanza sul lifelong learning e sulla autopromozione di lavoro. Ciascuno degli strumenti di sviluppo locale prevede in tal senso l’individuazione di modalità specifiche con cui perseguire tali obiettivi (come ad esempio l’animazione territoriale, prevista dall’IC Leader, oppure il

sostegno diretto alla creazione e consolidamento di attività imprenditoriali, previsto nei Patti territoriali). In generale, si osserva una forte presenza di interventi finalizzati alla formazione dei beneficiari coinvolti nelle diverse iniziative. Talvolta, le iniziative presentano anche una specifica vocazione all’emersione dal lavoro sommerso, anche se il tema non assume mai centralità all’interno del progetto complessivo di sviluppo (pur potendosi ravvisare le condizioni perché ciò avvenga in non pochi casi). Tuttavia, va rilevato che l’elemento connesso al potenziale impatto sul mercato del lavoro si traduce spesso nella “semplice” quantificazione dell’occupazione prevista, che non di rado viene effettuata senza avere parametri di riferimento, quando in realtà i benefici sul mercato del lavoro possono riflettersi sotto forme diverse (miglioramento delle condizioni di occupazione, miglioramento delle prospettive di progressione di carriera in loco, ecc.).

Ad esempio, appare curioso che anche in relazione a programmi come Leader o Urban, certamente non mirati a produrre in maniera diretta nuova occupazione e che intervengono su una scala territoriale ridotta, l’elemento più enfatizzato sia alla fine proprio quello dei risultati in termini di unità lavorative create e/o mantenute. Per lo stesso motivo, ovvero per la loro natura di veri e propri programmi di sviluppo d’area, nonché per la loro più rilevante dimensione finanziaria, sarebbe invece lecito attendersi per i PIT una attenta valutazione ex ante dei potenziali effetti sul mercato del lavoro locale, elemento che è stato invece generalmente considerato non centrale in fase di selezione dei progetti dalle Regioni.

In tale scenario, ciò che sembra maggiormente interessante è la presenza di diversi strumenti sulle medesime aree territoriali. In questo senso, si può sostenere che i processi di sviluppo endogeno tendono a produrre spontaneamente (se assumiamo che la nascita dei diversi progetti e la loro collocazione territoriale non sia eterodiretta) una concentrazione di risorse e di iniziative nelle aree in cui maggiore è la probabilità di consolidare sistemi a rete sfruttando anche le sinergie prodotte dai singoli programmi di sviluppo.

In effetti si sono rilevati dei casi in cui diversi strumenti hanno insistito su di uno stesso territorio, potendo configurarsi come logica prosecuzione di una preesistente iniziativa operante nello stesso ambito territoriale (ad esempio Patto Territoriale per l’Occupazione dell’Alto Belice Corleonese, da cui è originato l’omonimo Patto Territoriale Agricolo; Patto Territoriale Vibo Valentia, Patto Territoriale Turismo Vibo Valentia, Patto Territoriale Agricoltura e Pesca Vibo Valentia) e che tale evidenza si è accompagnata ad esperienze nel complesso più positive della media.

Tale aspetto va quindi considerato positivamente, in quanto indice del fatto che laddove si afferma una leadership territoriale e i meccanismi partenariali dimostrano di funzionare si è in grado di sfruttare appieno le opportunità che scaturiscono dai diversi canali di finanziamento dello sviluppo.

Tab. 2 - Analisi comparata dei programmi di sviluppo locale

PARTENARIATO MODALITÀ DI ACCESSO POLITICHE ATTIVE

DEL LAVORO

Patto territoriale

Patti di 2° generazione

Enti locali, soggetti pubblici locali, rappresentanze imprenditoriali e dei lavoratori e soggetti privati.

Possono partecipare: Regione, Banche e Finanziarie regionali, Consorzi Garanzia fidi e consorzi di sviluppo industriale.

Patti di 2° generazione

Le parti sociali attuano la concertazione attraverso uno specifico Protocollo d’Intesa. Il Ministero del Bilancio approva i Patti e assicura l’assistenza alla progettazione degli interventi.

Sono promossi interventi per la: "crescita e lo sviluppo del mercato del lavoro in una logica di qualificazione e flessibilità"

Patto territoriale per l’occupazione

Amministrazioni nazionali, regionali o locali, imprese, PMI, organizzazioni socio-economiche, pres. Comitati di Sorveglianza su interventi strutturali dell’UE, ass. per lo sviluppo, parti sociali, rappresentanti delle associazioni, Cciaa, istituti di formazione e ricerca.

1) Presentazione del patto alle autorità nazionali con un accordo che specifica impegni per ciascun partner.

2) Gli Stati membri vengono informati sui contenuti del patto e la Commissione, insieme allo Stato, ne valuta il contenuto.

La Ue fornisce assistenza tecnica per la formulazione dei piani d’azione.

Il ruolo dei partenariati sociali è formulare proposte per favorire la creazione di nuovi posti di lavoro e valorizzazione delle risorse umane.

Contratto d’Area

Soggetti promotori: Organizzazioni sindacali e datori di lavoro Sottoscrittori: Promotori,

amministrazioni statali e regionali, enti locali, imprese investitrici e intermediari in grado di attivare sovvenzioni globali UE.

Altri soggetti: enti pubblici/economici, società a partecipazione pubblica, banche, altri operatori finanziari

Le amministrazioni e gli enti pubblici stipulano un Accordo di Programma Quadro.

Le parti sociali sottoscrivono un’intesa qualificata dagli obiettivi e dai contenuti indicati nell’Accordo per il lavoro sottoscritto il 24 settembre 1996.

Il Cd'Area è definito come una forma di "partenariato sociale per la

Non prevede un vero e proprio partenariato.

I sottoscrittori dell’accordo sono solamente due, il Ministero

(originariamente del Bilancio e adesso delle Attività Produttive) e l’impresa investitrice.

Fasi:

1) Presentazione della domanda e del piano progettuale

2) Istruttoria tecnica e approvazione del Ministero.

3) Presentazione degli specifici progetti da realizzare.

La realizzazione di grandi progetti prevede sia la formazione e

Enti Locali, Associazioni di categoria, imprese trainanti a livello locale, PMI, Organizzazioni sindacali,

Organizzazioni no-profit, Consorzi, GAL/ Agenzie di sviluppo, Pro loco/Agenzie turistiche, Comunità montane.

Il processo, differisce da regione a regione, prevedendo due modalità:

1) Le Regioni individuano i contesti settoriali e territoriali, demandando agli Enti Territoriali la progettazione operativa.

2) Le Regioni stabiliscono alcuni limiti e priorità sulla base dei quali è realizzata la progettazione promossa dal territorio.

L’obiettivo è quello di promuovere l’insediamento di nuove iniziative imprenditoriali e creare un contesto favorevole allo

Costituzione di GAL (Gruppi di azione Locale): partenariato rappresentativo di op. pubblici e privati del territorio.

I partenariati possono essere costituiti anche tra diversi territori rurali di uno stesso Stato membro oppure tra territori di differenti Stati membri e in alcuni casi anche con Paesi terzi.

Le Autorità di gestione (Regioni per l'A.I e II e il Min. Politiche Agricole e forestali per A. III) presentano un programma che viene approvato dalla UE. Sulla base del programma, le autorità di gestione selezionano i beneficiari (GAL) e i Piani di Sviluppo Locale (PSL) da questi presentati

La caratteristica delle iniziative, volta prevalentemente alla animazione ed

all’attivazione di azioni di formazione, finalizza lo strumento al sostegno delle politiche formative.

Programma di Iniziativa Comunitaria

Urban

L’autorità nazionale responsabile è il Ministero dei lavori Pubblici, mentre il beneficiario finale è generalmente l’Ente Comunale. In Urban II si è rafforzata la partecipazione del livello locale .

1) UE: definisce stanziamenti indicativi e n° di zone urbane per Stato membro.

2) Gli Stati stabiliscono le zone e ripartiscono gli stanziamenti avvalendosi di indicatori e previa selezione in base a d una procedura concordata con UE.

3) Autorità Locali Elaborano i programmi

Creazione di posti di lavoro nell'ambiente, cultura, servizi e integrazione classi sociali svantaggiate nei sistemi educativi e formativi

Fonte: elaborazioni Isfol

3. L’INDAGINE SU UN CAMPIONE