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90 Università degli Studi di Firenze Dottorato di Ricerca in Tecnologia dell’Architettura e Design Ciclo

alla base della definizione stessa di industrial design, coincide nel XX secolo con l’uscita dagli am- biti artigianali di produzione e con uno sdoppiamento nella fabbricazione degli strumenti del vi- vere tra sistemi industriali, nei quali il concepimento dell’oggetto e scisso dalla sua realizzazione, e sistemi artigianali, che proseguono in un doppio binario di coincidenza e divisione tra cultura del fare e cultura del progetto.

Il progressivo arretramento degli ambiti artigianali a seguito di un progressivo sviluppo delle del- le imprese industriali non è quasi mai avvenuto in maniera omogenea ma ha riguardato dappri- ma i poli industraili sviluppatisi nelle grandi città (nel nostro paese in alcune aree del centro nord) per poi diffondersi profressivamente anche in ambiti geografici non necesssariamente toccati dal processo industriale.

Tale arretramento ha talvolta decretato la scomparsa definitiva di ambiti produttivi omogenei legati alla presenta di particolari risorse del territorio o a una specializzazione sviluppata nell’arco di secoli in un continuo tramandarsi di conoscenze tacite.

“Fino al sopraggiungere della modernità le varie comunità si sono sviluppate in maniera rela- tivamente autonoma e indipendente, subendo le influenze del tempo, dei popoli con cui sono entrate in contatto e dei modi nei quali ciò è avvenuto, dei territori e dei loro cambiamenti mor- fologici e politici”..

Le uniche forme di artigianato che hanno mantenuto un legame con le metropoli industriali che si andavano definendo sono quelle legate al riparare piuttosto che al fare e quindi calzolai, spaz- zacamini, sarti, arrotini, impagliatori di sedie rtc...

La modernità ha portato con se un nuovo modo di relazionarsi con le cose, dovuto gran parte al cambiamento delle modalità di produzione degli oggetti e a tutte le conseguenze economiche e sociali da essa generate. La standardizzazione, la serialità, l’economia di scala, la semplificazione insita nella produzione basata sulle macchine, la generazione di bisogni necessaria alla vendita di un numero sempre più elevato di prodotti, sono tutti caratteri con i quali le varie culture ma- teriali e le comunità da loro sottese si sono dovute confontare in tempi e modi differenti, ma che in ultima analisi hanno contribuito allo sfaldamento dei legami fino ad allora esistenti tra le comunità e i rispettivi territori.

Osserva La Cecla “La diffusione ormai planetaria di certi oggetti, dagli accendini di plastica ai mini-calcolatori, dalle bottiglie di Coca-Cola al water-closet, rappresenta un temtativo ben riu- scito, di diffondere la stessa tipologia di oggetti dapertutto. Gli oggetti, gli stessi dalle periferie di Bogotà alla bainlieu parigina, dal mercato di Lhasa alla bidonville di Barmako, sono il “discorso universale”. e ancora “Con gli oggetti entra la modernità di un discorso universale. Come una “ lingua franca” il discorso universale consente di intendersi tra parlanti lingue incomunicabili e come una lingua franca minaccia i domini rispettivi delle lingue degli interlocutori. Nella ripeti- zione indigena l’originale continua ad esistere in tutte le copie . Nell’oggettistica moderna non ci

sono come ho già detto che copie”(2)

L’Italia più di altri paesi ha reagito alle lacerazioni della modernità secondo modalità del tutto particolari. Il coacervo di differenze e imperfezioni derivanti dalla frammentata storia politica e artistica del nostro paese ha funto da base esperenziale per un attecchimento parziale della mo- dernità stessa. A livello produttivo queste frammentazioni si sono tradotte in una moltitudine di

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Franco La Cecla “Oggetti anima. oggetti feticcio” in Non è Cosa - Vita affettiva degli oggetti, Eleuthera, Milano 1998.pgg.39-40

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Università degli Studi di Firenze Dottorato di Ricerca in Tecnologia dell’Architettura e Design - Ciclo XXV

L’identità nel sistema degli oggetti CAPITOLO SECONDO

espressioni figlie di una altrettanto numerosa quantità di reazioni alla tardiva industrializzazione, generando un sistema distrettuale che farà la fortuna dell’Italia negli anni a venire e costituendo paradossalmente la caratteristica distintiva della nostra produzione.Direttamente e intimamente legato al discorso sui distretti industriale è quello sul design Italiano. Per molti anni il Made in Italy sarà una realtà che comprenderà al suo interno l’artigianato, l’industria e il design, e nono- stante modalità di applicazione differenti da distretto a distretto, produrrà effetti riconducibili ad un unico concetto, il Made in Italy appunto.

La distrettualità italiana era un efficace modello di cooperazione orizzontale, dove aziende di pic- cole dimensioni avevano instaurato un rapporto di reciproca collaborazione e scambio culturale con le aziende artigiane e di alto artigianato facenti parte dello stesso ben definito territorio, e detentrici di un insieme di conoscenze tacite ed esperienze tecniche sviluppatesi e affinatesi in secoli di storia e produzione. Tutto ciò ha reso possibile da un lato la lavorazione di materiali che in altre realtà maggiorente ì industrializzate erano scomparsi dal territorio, come il vetro, le ceramiche, l’argento, dall’altra il mantenimento di tutto un patrimonio di elaborazioni tecno- logiche andato perso in seguito alla rivoluzione industriale in queste aree. Il design italiano si è sviluppato all’interno di questo complesso insieme di relazioni tra progettisti, artigiani e produt- tori seguendo percorsi spontanei che si sviluppavano in collaborazioni tra singoli imprenditori e progettisti, conservando ognuno la propria autonomia.

Sono queste “autonomie” e queste relazioni che hanno permesso un parallelo sviluppo di pro- getti rivolti alcuni alla produzione artigianale, altri alle piccole e grandi serie, altri ancora alle nu- merose sperimentazioni che si sono susseguiti nella storia del design italiano, fungendo ognuna da stimolo e contaminazione dell’altra in un dialogo continuo tra progettazione ricerca e produ- zione. Il valore di questa continuità di relazioni assume ancor più valore constatando le difficoltà riscontrate da altri paesi, in cui queste relazioni sono pù rigide e gerarchiche, con l’avvento dei mercati frazionati e con la necessità di elaborare strategie di innovazione continue.

La globalizzazione del XX secolo se da un lato ha avuto un impatto differente sulla realtà italiana, dall’altro non ha evitato di portare con se dei caratteri di indebolimento della struttura produtti- va. L’evoluzione della tecnica, le necessità di serialità e di produzione standardizzata, hanno ge- nerato un effetto di separazione sempre più netta tra progettazione e produzione che non hanno più necessità di essere intimamente legate. Ciò ha permesso la delocalizzazione della produzione in aree del mondo economicamente vantaggiose, depauperando i territori di quell’humus di capacità, conoscenze (tacite e codificate) e relazioni che per anni hanno costituito l’essenza stes- sa del sistema distrettuale Italiano oltre che la sua fortuna. Le relazioni che intercorrono tra le attività produttive, i lavoratori, i progettisti, i territori e le risorse che li caratterizzano, e la stessa società, sono diventati più labili, hanno smesso di essere l’anello di giunzione tra questi caratteri e il benessere di un territorio. Quello che prima era un sistema di condivisione orizzontale che spesso assumeva un vero e proprio carattere di filiera ora si è tramutato in un sistema verticale di relazioni, in cui aziende medio-grandi non fanno altro che commisionare parte delle loro produ- zioni a piccole aziende e a sempre meno artigiani, interrompendo di fatto quello scambio quasi osmotico di informazioni e saperi che ha alimentato la pluralità e la creatività della produzione legata ai territori.

“La dimensione territoriale -scrive Giuseppe Lotti- ha acquistato una valenza crescente soprat- tutto nel caso di contesti che nell’immaginario collettivo occupano un ruolo significativo. Per al- cuni sistemi produttivi il plusvalore che il prodotto deve avere per essere competitivo può essere