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28 Università degli Studi di Firenze Dottorato di Ricerca in Tecnologia dell’Architettura e Design Ciclo

una serie, e non vi è più l’originale, c’è il prototipo, che è un’altra cosa, è un’idea, un progetto”.2

Il tempo appartiene ancora agli oggetti, nei linguaggi (l’obsolescenza percepita) e nelle tecnolo- gie (l’obsolescenza programmata), il luogo non rappresenta più uno degli elementi base del fare degli oggetti. In maniera differente per le diverse identità territoriali e quasi sempre a partire dalla prima rivoluzione industriale e dal modificarsi dei sistemi di realizzazione degli oggetti, il luogo è progressivamente scomparso dalle componenti costitutive dei manufatti e con esso è progressivamente scomparsa la diversità culturale che ha sempre accompagnato e stimolato il nostro essere al mondo.

Lo studio della cultura nei tempi e nei luoghi è oggetto specifico delle tre scienze sociali di base (sociologia, psicologia sociale e antropologia culturale) che esaminano il fare dell’uomo sotto

differenti aspetti e tra esse l’antropologia studia i processi di costruzione delle identità locali,

il modo in cui le popolazioni costruiscono il proprio patrimonio culturale. Gli stessi processi riguardano il mondo del progetto che nell’occuparsi dello sviluppo delle culture materiali non può prescindere dagli studi e dalle analisi degli antropologi (seppure spesso ciò necessiti di una riorganizzazione di conoscenze secondo i metodi e le impostazioni della propria disciplina).

Ma il progetto nella modernità si è progressivamente disinteressato ai tempi e ai luoghi inse- guendo la chimera di un linguaggio universale figlio di una modernità che ha sostituito le di- stanze con i tempi, la diversità con l’universalità, la complessità con la semplificazione. Tuttavia a partire dagli anni sessanta anticipando quello che diverrà in seguito un movimento contro la globalizzazone3 si inizia a parlare dapprima di ribellione all’architettura internazionalista e

successivamente di risorse dei territori, allargando gli ambiti all’urbanistica, al disegno del pa- esaggio, al disegno degli oggetti. Lo studio, la difesa, la teorizzazione dell’identità territoriale, diventa la nuova sfida delle pratiche progettuali a partire dal superamento della modernità e dall’affacciarsi di un nuovo approccio alla cultura.

Anche la disciplina del design che nell’età contemporanea è la misura del fare culturale degli og- getti, mette in discussione la sua corrispondenza univoca al processo industriale e accetta che l’ar- tigianato, li dove vi sia una separazione tra atto ideativo e atto realizzativo, rappresenti come so-

stiene Branzi “un segmento specializzato del processo produttivo”4 e che quindi i diversi processi,

industriale e artigianale, possano avere pari leggittimità nel dare forma al processo ideativo del designer. D’altronde il design italiano, sin dalle sue prime espressioni è sempre stato figlio di una cultura produttiva dell’invenzione tecnica all’interno di processi manuali e di piccole produzioni. Uno sguardo attento alla storia del design nel nostro paese non può non mettere il luce il ruolo delle pratiche artigianali nella definizione di una fortunata scuola italiana.

2    

Ivan Fassin, La cultura materiale in Case rurali e territorio in Valtellina e Valchiavenna / Elio Bertolina, Giovanni Bettini, Ivan Fassin , Sondrio : Ente provinciale turismo, 1979 3

Tra i primi a parlare di ribellione al sistema e lotta contro il modello consumistico sa- ranno i protagonisti del movimento radicale alla fine degli anni sessanta e nel Labora- torio Global Tool che concludderà nel 73 quella fortunanta stagione, si parlerà del’uso di materie e tecniche naturali e relativi comportamenti.

4

Andrea Branzi in “Artigianato e design - Conversazioni e scenari”, videointerviste a 6 designers italiani sul tema “Artigianato e Design” su http://www.youtube.com/ watch?v=0IpIdJkN0HA consultato in data 12 Gennaio 2012.

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Università degli Studi di Firenze Dottorato di Ricerca in Tecnologia dell’Architettura e Design - Ciclo XXV

Il concetto di identità CAPITOLO PRIMO

Accettare che non sia più il sistema di produzione a decretare l’appartenenza o meno di un oggetto all’universo del design , significa probabilmente riscrivere una storia del design (Branzi 2009) che parta dai sistemi manifatturieri e da una continuità evolutiva degli oggetti che non ha certo origine

nella rivoluzione industriale.Una storia pregressa degli oggetti legata al fare manuale che ne ha

definito usi, forme e tipologie. I nostri libri di design raccontano in realtà una storia dell’evoluzione del processo industriale sotto l’aspetto dei linguaggi e delle tecniche, che esclude a priori sia il tem- po evolutivo delle cose (la loro evoluzione tipologica, estetica e tecnica), sia il loro rapporto con i luoghi. Restituire il tempo e i luoghi agli oggetti significa aprire nuove direzioni partendo dai segni già tracciati.

1.1.2

Luoghi

Benvenuto il luogo lungo e stretto con attorno il mare , pieno di regioni come dovrebbero essere tutte le nazioni , un luogo pieno di dialetti strani di sentimenti quasi sconosciuti ....

Giorgio Gaber Benvenuto il luogo che

Tra i molti luoghi possibili ( il luogo fisico, il luogo matematico, il luogo in genetica, il luogo me- tafisico, il luogo in medicina, il luogo tecnologico, il luogo della memoria), il luogo del progetto per un designer non è un luogo fisico (il luogo geografico o topografico compete gli urbanisti, gli architetti e gli ingegneri) ma è luogo nella sua accezione di contenitore di risorse, che co- stituiscono ciò che alimenta o può alimentare il progetto alle diverse scale e cioè da un lato le risorse materiali, dall’altro il contesto socio-culturale. Guardare ai luoghi come contenitori di risorse d’altronde, non è una prerogativa della modernità e già per Aristotele il luogo (topos) era

un contenitore “limite immobile del corpo contenente”5, ne più ne meno di un vaso ma che, a

differenza di questo, non può venir spostato; è “immobile” e quindi radicato. Ogni luogo ha un limite, una collocazione, ma anche un contenuto ”è una “parte di spazio delimitata, considera- ta in funzione di ciò che in essa si colloca ” (dal dizionario Sabatini Coletti) .

Per la geografia antropica, che pone l’uomo alla base della diversità tra i luoghi, questi sono de- finiti sulla base delle loro caratteristiche non fisiche, sono spazi “emotivamente vissuti”. e quin- di identificabili per i sentimenti, le memorie e le suggestioni che trasmettono a ogni individuo. L’approccio alla comprensione dei luoghi che pone l’uomo al centro del rapporto con lo spazio ha origine (come la nascita stessa della geografia antropica) alla fine dell’ottocento con la figura

di Friedrich Ratzel6 etnologo e geografo tedesco che per primo parlò di “spazio vitale” in rela-

zione ad un luogo. Sebbene dagli studi di etnologia di Ratzel presero avvio, nel passaggio alla geopolitica, le teorie espansionistiche del nazionalsocialismo, egli fu un precursore degli studi dei rapporti che intercorrono tra luoghi e persone.

Ratzel sostiene che la natura condiziona in maniera determinante ogni atto umano, l’ambiente in cui si vive può influenzare le capacità intellettuali e operative degli uomini, le caratteristiche sociali e culturali ed economiche di un dato popolo. All’inizio del novecento la scuola geografica

5  

Aristotele , Phys. IV 4, 212 a 21-30 6  

Friedrich Ratzel (Karlsruhe 1844/Ammerland 1904) è stato un etnologo e geografo tedesco autore di testi fondamentali quali Anthropogeographie (1882) e Politische Geographie ( 1897).