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60 Università degli Studi di Firenze Dottorato di Ricerca in Tecnologia dell’Architettura e Design Ciclo

produttivi (agricoltura, allevamento, pesca, caccia, raccolta) che trasformano gli elementi di na- tura in elementi di cultura. I fattori culturali, dal canto loro, sono rappresentati dal dipanarsi degli accadimenti storici, dal disporsi dei flussi migratori, dal susseguirsi dei processi di acquisizione/ scambio delle conoscenze, dall’influire dei dettami religiosi, dall’alternarsi delle mode e dei co- stumi che ovunque collegano il cibo alla possibilità (scelta) di essere mangiato o meno. E che il cibo incarni in sé un fatto appartenente a pieno titolo alla sfera dei valori culturali dell’uomo lo si può agevolmente dedurre dalla circostanza che esso, fuoriuscendo da un discorso meramen- te nutrizionale, si iscrive all’interno delle pratiche identitarie e dei comportamenti socialmente condivisi. Da ciò che si mangia, da quanto si mangia, da dove si mangia e da come si mangia, infatti, ciascuno comunica di sé, e comprende dell’altro, ciò che più intimamente lo riguarda. Co- munica cioè, prima ancora e senza il bisogno di esibire qualsiasi documento di identificazione, da quale territorio si provenga, a quale classe sociale si appartenga, quale culto si professi e perfino quali disagi psicologici si patiscano.”12

“Ogni cultura ha un codice di condotta alimentare che privilegia determinati alimenti e ne vieta o ne rende indesiderabili altri. Esso è determinato dalle compnenti geografiche, ambientali, eco- nomiche , storiche e nutrizionali che caratterizzano la cultura stessa. Se si evita di considerare i casi in cui è la mera sussistenza a dettare ciò che si deve mangiare, il cibo cessa di essere un bisogno fisiologico e diventa una necessità culturale” .

Il cibo diventa “elemento culturale” nel momento in cui cessa di essere legato alla sussistenza e viene “modificato dalla cultura del gruppo che agisce su di esso” (Montanari 2004). Il cibo è certamente un forte elemento di radicamento ai luoghi ma ha anche rappresentato nel passato e rappresenta ancora talvolta, un motivo di sradicamento; le prime migrazioni sono avvenute per motivi connessi al cibo e alla sua disponibilità e i flussi migratori attuali trovano quasi sempre nel cibo e più in generale nella ricerca di migliori condizioni di vita il motto scatenante Questo passaggio avviene dapprima con le trasformazioni legate al fuoco e alla cottura, successivamen- te con lo sviluppo dell’agricoltura e si completa con la scoperta delle tecniche di conservazione degli alimenti e nel medioevo con la diffusione delle spezie. Sarà proprio l’importazione e la dif- fusione di queste ultime a generare i primi fenomeni di contaminazione del gusto.

La cultura del cibo, ben prima della definizione di un’identità politica à stata per il nostro paese un preciso elemento di definizione di un’identità nazionale. L’Italia della cultura è nata ben prima dell’Italia politica e in questa identità culturale i cibi hanno giocato un ruolo fondamentale. La cultura gastronomica italiana si definisce all’interno di una più ampia identità europea alla quale la cultura romana da un contributo primario.

“Il delinearsi di una cultura alimentare ‘italiana’, avenne a poco a pco all’interno della più ampia Koinè europea che si era formata nei primi secoli medioevali grazie all’incontro tra romani e “barbari” (come in segno di disprezzo li chiamavano i romani). Questo incontro, preceduto da una fase di durissimo contrasto, determinò la circolazione e, in parte, l’integrazione di modelli culturali diversi, dando origine ad una realtà nuova che in qualche modo coniugava le tradizioni e gli stili di vita delle popolazioni mediterranee e di quelle continentali, spostando il baricentro dell’occidente dal Mediterraneo all’Europa. Lo scontro incontro fra Romani e Barbari, fu anche

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Ernesto Di Renzo, Mangiare geografico: i modelli alimentari nel lazio tra tradizione e riproposizione culturale dal sito  

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Università degli Studi di Firenze Dottorato di Ricerca in Tecnologia dell’Architettura e Design - Ciclo XXV

Il concetto di identità CAPITOLO PRIMO

uno scontro.incontro di valori alimentari: la cultura del pane, del vino e dell’olio (simboli della civiltà agricola romana) si mescolò con la cultura della carne e del latte, del lardo e del burro (simboli della civiltà ‘barbarica’, legata all’uso della foresta più che alla pratica dell’agricoltura”13

Questo confronto tra modelii culturali, diede luogo, nell’alto medioevo, ad una base comune europea, favorito anche dal diffondersi di una comune religione cristiana.

In questa base comune, la cui ricchezza deriva dagli apporti delle varie dominazioni, portatrici ognuna di un proprio specifico culturale, si definì tuttavia una specificità legata alle particolarità dei luoghi. Ogni luogo infatti in base al proprio clima, alle specificità geografiche (mare, pianura, montagna), alle risorse fisiche e culturali, suggerì una propria declinazione. Nel 1800 si verifica il passaggio dal servizio “alla francese”, con il quale tutte le portate venivano presentate in tavola contemporaneamente, a quello “alla russa”, con il quale le vivande vengono servite in sequenza. Il determinarsi di una diversità dei cibi in Italia si evidenziò in quella “rete di città” che ha de- finito il modello territoriale e culturale del nostro paese. In uno scenario consolidatosi in fase medioevale, le città ( e i mercati che in esse si svolgevano) erano espressione del territorio e del contado ma anche base del confronto con gli altri mercati. Di tale legame città-territorio, sono espressione i nomi di alcuni fomaggi quali il “parmigiano”, il “lodigiano”, il”piacentino” che fin dal XIII-XIV secolo identificavano un prodotto del territorio col nome della città capoluogo (Mon- tanari 2010). I ricettari di cucina che fanno la loro apparizione a partire dal XIV secolo col Liber de coquina elaborato a Napoli presso la corte del rè Carlo II d’Angiò, (per quanto il primo vero ricettario sia il De re coquinaria, testimonianza della stravaganza culinaria di Apicio dei primi secoli dopo Cristo), definiscono una cultura gastronomica ricca, con influssi francesi, arabi.. L’orgoglio di queste identità cresce soprattutto fra il XVIII e il XIX secolo ed è allora che in Italia compaiono libri di ricette riferiti alle cucine locali e ai prodotti tipici.

“La dimensione territoriale -scrive Giuseppe Lotti- ha acquistato una valenza crescente soprat- tutto nel caso di contesti che nell’immaginario collettivo occupano un ruolo significativo. Per al- cuni sistemi produttivi il plusvalore che il prodotto deve avere per essere competitivo può essere

garantito proprio dall’appartenenza dello stesso ad un luogo” 14

E’ così per l’agroalimentare dove il rapporto con le tradizioni locali è un elemento di ricchezza e la diversità culturale viene perseguita e tutelata come patrimonio capace di generare crescita economica. Ciò che sino a trent’anni fa era considerato patrimonio naturale delle culture autoc- tone è ora diventato elemento trainante di precise azioni di marketing territoriale che hanno consentito a territori spesso svantaggiati dalla mancanza di elementi di attratività turistica di trarre benefici economici dal proprio patrimonio di tradizioni.

Scrive Lawrence Durrel “Quando cominci a conoscere l’Europa gustandone i vini, i formaggi ed il carattere dei differenti paesi, cominci a comprendere che dopo tutto il fattore determinate di una cultura è lo spirito del luogo”

La dimensione territoriale dei cibi è in realtà un elemento impalpabile legato, non a tecnologie e materiali, ma ad una trasmissione orale dei saperi. Il rapporto dei cibi con i luoghi si misura nei

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Massimo Montanari , L’identità italiana in cucina, Edizioni Il Nocciolo, Laterza, Bari 2010, pgg. 3-4

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Giuseppe Lotti, La casa dei valori:una ricerca di identità – in Bollettino dell’Accademia degli Euteleti n.72 Dicembre 2005 – Titivillus Edizioni –Corazzano (PT) 2005