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I PARTE IL PANORAMA GENERALE DELLA COMUNICAZIONE PER LO SVILUPPO

Capitolo 1. La comunicazione per lo sviluppo: definizione, storia, teorie e modell

1.1. Introduzione alla comunicazione per lo sviluppo

1.1.5. Verso un nuovo concetto di sviluppo

A partire dagli anni ’80, si delinea una situazione mondiale complessa che non può più essere interpretata secondo gli assi centro-periferia, validi fino a quel momento. La caduta del Muro di Berlino (1989) e lo sgretolarsi dell’Unione Sovietica, l’allargamento dell’Unione Europea, l’aggressiva entrata in scena delle

tigri asiatiche36, il rapido sviluppo di macro-nazioni come Cina e India, provocò l'incrinarsi dell’equilibrio esistente.

A partire dalla nuova situazione socio-politica mondiale, le teorie sullo sviluppo iniziarono a porre al centro della propria riflessione fattori come

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Fejes, F., “El imperialismo de los medios de comunicación”, Análisi: quaderns de comunicació i

cultura, n°10/11, 1986, pag. 87-99.

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In questo senso un testo fondante è Dorfman, A., Mattelart, A., How to read Donald Duck:

Imperialist Ideology in a Disney Comic, International General, New York, 1975.

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Con questo termine la stampa mondiale si riferisce a Corea del Sud, Singapore, Taiwan, Hong Kong, per sottolineare l’aggressiva politica economica che ha portato un sviluppo esponenziale di questi paesi, in tempi rapidi.

multidimensionalità, relatività culturale, costruzione dell’identità comunitaria. Le nuove relazioni fra gli stati si intrecciarono a vari livelli, economici ma anche e soprattutto sociali e politici, e i problemi stessi assunsero una dimensione globale, all’insegna di una crescente interdipendenza. Tanto la teoria evolutiva quanto quella della dipendenza non furono più sufficienti a spiegare la variabilità dei fenomeni in atto, mentre si stava facendo strada un nuovo paradigma.

Fondato sull’ipotesi di autodeterminazione all’interno delle stesse comunità, il nuovo concetto di sviluppo iniziò a difendere l’idea che non esistono stati o società completamente autonome o autosufficienti, in grado di determinare completamente la propria traiettoria politica ed economica, né completamente dipendenti da soggetti esterni. Centro e periferia divennero pertanto parametri da utilizzare tanto nelle relazioni esterne come in quelle interne alle società: per comprendere le dinamiche in atto, l’analisi andava perciò estesa tanto ai singoli poli che nelle loro relazioni. Le divisioni fra Primo, Secondo e Terzo (o Quarto) mondo persero significato anche nel dibattito sui movimenti di globalizzazione e localismo che predominano ancora oggi l’ambito di studi sulla cooperazione. Si fa quindi strada un nuovo concetto di sviluppo, finalizzato alla soddisfazione dei bisogni e quindi alla sconfitta della povertà, endogeno e autodiretto, ecologico sia dal punto di vista ambientale che culturale:

la Commissione Mondiale su Cultura e Sviluppo presieduta da Javier Pérez de Cuéllar (1995), […] argomentava che lo sviluppo svincolato dal proprio contesto umano e culturale sarebbe cresciuto senza l'anima. Significava che la cultura non può essere ridotta in ultima istanza ad una posizione sussidiaria, come mera promotrice dello sviluppo economico. Il report continua affermando che “i governi non possono determinare la cultura della gente: invece, essi sono da essa parzialmente determinati”37

La cultura viene messa al centro di qualsiasi riflessione sullo sviluppo, e non si tratta solo di una corrente intellettuale o di un’adesione ideologica, perché

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concerne questioni politiche fondamentali. I governi non possono imporre il rispetto per la cultura, ma possono attuare e supportare linee politiche di sviluppo che ne tengano conto, non solo come fattore marginale ma ponendolo al centro delle proprie azioni.

Contrariamente agli approcci di stampo economico e politico che abbiamo descritto finora, il nuovo paradigma sostiene che non esiste un modello universale adeguato per tutti i livelli e i problemi all’interno delle società. Lo sviluppo è un processo dialettico e multidimensionale che varia a seconda del tipo di contesto, della società, della comunità. Per questo non si può prescindere, come è invece avvenuto spesso nella pratica, dai soggetti destinatari nei progetti degli aiuti allo sviluppo che li prevedono come beneficiari, perché non solo sono i migliori conoscitori del proprio intorno economico, politico, sociale e culturale, ma anche perché devono essere messi in grado di prendere le redini del proprio processo di sviluppo. Secondo questa prospettiva, non ha senso parlare di società più o meno sviluppate, perché i parametri sono assolutamente relativi e variabili: quello che all’interno di un certo contesto è considerato il massimo beneficio, in un altro può non esserlo, per cui l’unica linea di sviluppo possibile deve essere dettata dalla cultura, che ovviamente non è misurabile in termini quantitativi.

Il nuovo concetto di sviluppo non poteva non provocare una decisa virata negli studi e nelle ricerche sulla comunicazione applicate a questo ambito. Infatti, nonostante le differenze, sia i modelli esposti in precedenza che le applicazioni che ne sono succedute, condividevano la premessa che la mancanza di certe nozioni o conoscenze fosse la causa dei problemi, e che il sottosviluppo si sarebbe potuto risolvere colmando questo vuoto. Nei testi dei primi studiosi, di cui abbiamo già scritto, le culture locali vennero viste come ancorate ad una tradizione che impediva l'introduzione di pratiche innovative, strumenti di modernità e quindi di sviluppo. Da sottolineare come questa interpretazione non fosse scevra da influenze di dottrine strettamente economiche, che hanno contribuito all’origine di un’interpretazione dell'aiuto allo sviluppo all’insegna della carità e del dono, invece di una vera cooperazione, e ad azioni attraverso le quali si è preteso forzare l'introduzione di nuove tecnologie nella convinzione che, fossero il passo immediatamente successivo (e il più giusto) verso il miglioramento delle condizioni di vita.

Questa visione è rimasta a lungo sottesa alla comunicazione per lo sviluppo, tanto che anche le teorie e i modelli successivi, pur affrancandosi dal modello semplicistico della modernizzazione (sintetizzabile nella formula: informazione+modernità=sviluppo), hanno mantenuto come paradigma il cambiamento di comportamento (Behaviour Change) fondato sulla persuasione, comunque imposto dall’esterno. Le cause dell'analfabetismo, dello scarso sviluppo agricolo, degli alti tassi di mortalità venivano messe in relazione con l'esistenza di valori e comportamenti tradizionali che impedivano la modernizzazione, per cui la soluzione venne individuata nel cambiamento degli stessi, attraverso l'informazione e la comunicazione.

Per completare questo excursus storico sulla disciplina, nei paragrafi seguenti descriveremo alcune strategie attuali di diretta derivazione dal paradigma tradizionale della comunicazione per lo sviluppo appena esposto (come il marketing sociale), utilizzate ancora oggi da agenzie internazionali come l’Organizzazione Mondiale della Sanità o il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA).

1.1.6. Dal nuovo concetto di sviluppo ai nuovi paradigmi della