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Verso un nuovo quadro normativo: l’impulso della Riforma Sanitaria e della

Il 1978 non è stato solamente l’anno di un nuovo corso sindacale ma anche quello della Legge 83332, con l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale che finalmente disegnò un modello di intervento pubblico della prevenzione nei luoghi di lavoro, ponendo tra i suoi obbiettivi primari la prevenzione delle malattie e degli infortuni sul lavoro e la promozione e la salvaguardia della salubrità e dell’igiene dell’ambiente di lavoro33. La Legge 833 raccoglie nel suo testo talune conquiste sindacali, entrate nei luoghi di lavoro grazie alle lotte operaie e alla contrattazione

28 Cfr. P. Causarano, “Il male che nuoce alla società di noi lavoratori”. Il movimento dei delegati di fabbrica, la linea sindacale sulla prevenzione e i corsi di 150h nell’Italia degli anni 70, in Giornale di storia Contemporanea, 2016, 2, 76-86

29 Cfr. F. Carnevale, A. Baldasseroni, Il complesso rapporto tra salute e lavoro nei 150 anni dell’Italia Unita, in Epidemiologia e Prevenzione, 2011, 35, suppl.2, 30

30 Cfr. L. Montuschi, La tutela della salute e la normativa comunitaria: l’esperienza italiana, in M.

Biagi (a cura di), Tutela dell’ambiente di lavoro e direttive Cee, Maggioli, 1991, 14

31 Cfr. M.L. Righi, Le lotte per l’ambiente di lavoro, op.cit., 645

32 Istituzione del servizio sanitario nazionale (GU Serie Generale n.360 del 28-12-1978 - Suppl.

Ordinario)

33 Cfr. art. 2 della L.833/1978. Sul rapporto tra ambiente di lavoro e riforma sanitaria si segnala la riflessione di L. Montuschi, Ambiente di lavoro e riforma sanitaria (capitolo di libro), in L.

Montuschi, Diritto alla salute…op.cit.; cfr. L. Fantini, A. Faventi, L’impianto del testo unico…op.cit., 37, per i quali con la Riforma Sanitaria «da un lato si è istituzionalizzata la partecipazione dei lavoratori, attraverso i loro organi di rappresentanza, alla concreta realizzazione del sistema prevenzionale, dall’altro si è affermato che lo stesso non doveva necessariamente esaurirsi nelle prescrizioni tecniche espressamente previste dal legislatore». È bene segnalare inoltre che è con la delega contenuta nell’art. 24 delle L.833 che si può trovare un primo tentativo legislativo di dare vita a un Testo Unico per la sicurezza sul lavoro.

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collettiva; in un periodo di crisi delle organizzazioni dei lavoratori, ciò permise di non lasciare a sé stesso il diritto alla salute dei lavoratori nei luoghi della produzione, ora presidiato, come in un passaggio di testimoni34, dalle USL. Ciò non deve far pensare a una eclissi delle organizzazioni sindacali e del Contratto Collettivo, al contrario la legge di riforma sanitaria aveva richiamato la loro partecipazione e il loro coinvolgimento per garantire luoghi di lavoro sicuri; è un esempio di quanto appena affermato l’art. 20, c. 3, dove si prevede che gli interventi di prevenzione delle USL all’interno degli ambienti di lavoro «concernenti la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di misure necessarie ed idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori […] sono effettuati sulla base di esigenze verificate congiuntamente con le rappresentanze sindacali ed il datore di lavoro, secondo le modalità previste dai contratti o accordi collettivi applicati nell’unità produttiva». Sempre a mente dell’articolo 20 – ma questa non è una novità rispetto ai contenuti dei contratti collettivi sopra citati – i datori di lavoro hanno l’obbligo di comunicare le sostanze presenti nel ciclo produttivo, le loro caratteristiche tossicologiche ed i possibili effetti sull’uomo e sull’ambiente e dovranno formulare mappe di rischio aziendali35; sulla base o meno di queste informazioni le USL controlleranno i fattori di nocività e di pericolosità negli ambienti di lavoro36 e comunicheranno i risultati alle rappresentanze sindacali e ai lavoratori37.

La contrattazione collettiva degli anni ottanta proseguì senza particolari innovazioni, riproponendo per lo più testi standardizzati nelle parti riguardanti l’ambiente di lavoro e adeguando i propri riferimenti alla legge 833/1978. Inizia a materializzarsi in questi anni un progressivo passaggio «da un modello di azione essenzialmente unilaterale, di tipo rivendicativo, volto a contrattare modifiche rispetto a decisioni

34 Cfr. F. Carnevale, “La salute non si vende”. La stagione delle lotte per la salute dei lavoratori in Italia, 1961-1978, in Rivista Sperimentale di Freniatria, 2018, 2, 12

35 Cfr. art.20, comma 1, lett. d)

36 Cfr. art.20, comma 1, lett. a)

37 Cfr. art.20, comma 1, lett. b)

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produttive e organizzative già assunte dal datore di lavoro, ad una gestione partecipata delle tematiche ambientali»38.

La normativa tecnica allora vigente in materia di prevenzione e tutela della salute, ferma agli anni cinquanta, doveva prepararsi a cambiare fisionomia con l’arrivo della Direttiva quadro 89/391/CEE «concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro»39 e che pretendeva l’armonizzazione della normativa in tutti i Paesi aderenti alla Comunità Europea. Il testo della Direttiva prevedeva delle prescrizioni minime alle quali gli ordinamenti statali dovevano adeguarsi e delineava un quadro chiaro con, da una parte i debitori di sicurezza, gli imprenditori e le dirigenze aziendali, dall’altra i creditori di sicurezza, i lavoratori. A questi ultimi non andava più garantita solo passivamente la sicurezza sul luogo di lavoro, essi dovevano essere coinvolti direttamente e tramite rappresentanze sindacali specializzate40, dovevano essere informati41, formati42, consultati43, secondo quel principio che il testo della direttiva definisce della «partecipazione equilibrata»44; se la maggior parte di questi presupposti, in Italia erano stati già fatti propri dalla contrattazione collettiva, quel che doveva cambiare era la loro effettiva messa in pratica nei luoghi di lavoro. Ora la partecipazione e il diritto di controllo della sicurezza dei lavoratori dovevano essere pretesi con la forza della legge, a prescindere dalle eventuali richieste e istanze di parte sindacale45, anche in quei posti di lavoro dove non esisteva sindacato, dove la contrattazione collettiva non arrivava, non certo luoghi residuali in una Italia, ieri

38 Cfr. M. Lai, La sicurezza del lavoro tra legge e contrattazione collettiva, op.cit, 94

39 Direttiva 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro (GU delle Comunità Europee n. L 183 del 29/06/1989 pag. 0001 – 0008). Per un ampio commento alla Direttiva comunitaria cfr. M. Biagi, Tutela dell’ambiente di lavoro e direttive Cee, Maggioli, 1991

40 Cfr. art.3, lett. c)

41 Cfr. art.10 (Informazione dei lavoratori)

42 Cfr. art. 12 (Formazione dei lavoratori)

43 Cfr art.11 (Consultazione e partecipazione dei lavoratori)

44 Sul significato di tale formula cfr. L. Angelini, Rappresentanza e partecipazione nel diritto della salute e sicurezza dei lavoratori in Italia, in Diritto della sicurezza sul lavoro, 2020, 1, 97-99

45 Scrive L. Montuschi, a commento della direttiva, in La tutela della salute e la normativa comunitaria…, op. cit., 18, «è il datore che deve essere costantemente attento, sensibile, disponibile ad

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come oggi, divisa in due. La direttiva esigeva un deciso cambio di passo, di metodologia, di mentalità, ponendo al centro la programmazione della prevenzione, agendo ex ante sui fattori di rischio e direttamente sui rischi alla fonte e non ex post ad attività produttiva iniziata; e il datore di lavoro doveva farlo materialmente, con una valutazione di tutti i rischi «anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici e nella sistemazione dei luoghi di lavoro»46, adeguando il lavoro all’uomo, tenendo conto delle attrezzature e dei metodi di lavoro

«in particolare per attenuare il lavoro monotono e il lavoro ripetitivo e per ridurre gli effetti di questi lavori sulla salute»47. Tutti passaggi, occorre ribadirlo, da svolgere consultando i lavoratori e i loro rappresentanti, secondo una logica partecipativa delle relazioni industriali tendente a superare i modelli conflittuali e della contrapposizione48. Il legislatore italiano ha recepito la Direttiva europea, e altre direttive particolari ad essa legate, solamente nel 1994 con il decreto legislativo 62649 che solo in parte ha sostituito la normativa precedente, riprendendo e specificando principi già presenti nell’ordinamento e introducendone completamente di nuovi.

Tra le novità del Decreto possono essere citati il campo di applicazione delle norme per la tutela dei lavoratori; la programmazione della sicurezza, con un sistema prevenzionale proceduralizzato dove ognuno, a cominciare dal datore di lavoro, ha dei precisi e scadenzati compiti da svolgere in maniera obbligatoria; l’individuazione di nuovi soggetti responsabili della sicurezza (il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, il medico competente, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione); gli obblighi di informazione, formazione, consultazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti. Per quanto riguarda il profilo che a noi più interessa, quello

attuare, senza bisogno di pressioni, tutte le misure necessarie: il debito di sicurezza non ha bisogno, per essere adempiuto delle sollecitazioni o addirittura del negoziato con il creditore»

46 Cfr. art.6, comma 3, lett. a)

47 Cfr. art.6, comma 2, lett. d)

48 Cfr. M. Biagi, Dalla nocività conflittuale alla sicurezza partecipata: relazioni industriali e ambiente di lavoro in Europa verso il 1992, in M. Biagi (a cura di), Tutela dell’ambiente di lavoro e direttive Cee, op.cit., 136

49 Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE e 90/679/CEE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro (GU n.265 del 12-11-1994 - Suppl. Ordinario n. 141)

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degli spazi riservati alla contrattazione collettiva, si può rilevare che ad essa rimane in gran parte estraneo l’ «individuazione del contenuto degli obblighi di sicurezza»50; più cospicua è la delega a intervenire sulla disciplina dei Rappresentanti per la sicurezza (d’ora in poi, RLS), i metodi per la loro individuazione e per l’esercizio dei loro compiti; minimi sono i casi in cui essa ha il compito di specificare il precetto legale51. Questo breve e generico quadro è peraltro rimasto sostanzialmente immutato nell’attuale TU sulla sicurezza del 200852.

Quest’ultimo, approvato in attuazione della delega prevista dall’articolo 1 della Legge 123/200753 è un corposo testo normativo, attualmente composto di 306 articoli e ben 52 allegati, che si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici e a tutte le tipologie di rischio nonché a tutti i lavoratori, da intendersi come tutte le persone che indipendentemente dalla tipologia contrattuale o dal ricevimento di una retribuzione, svolgono un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro54, in ciò distinguendosi e ampliando la definizione del d.lgs.626/1994 che

“riduceva” il lavoratore-creditore di sicurezza alla «persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro […] con rapporto di lavoro subordinato anche speciale»55.

2.1 Il ruolo dell’autonomia collettiva dopo il TU del 2008 e le scelte