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SALUTE E SICUREZZA DEI LAVORATORI NELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA: UNA PROSPETTIVA MULTILIVELLO

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Academic year: 2022

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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI MODENA E REGGIO EMILIA Dipartimento di Economia Marco Biagi

Corso di laurea in RELAZIONI DI LAVORO

SALUTE E SICUREZZA DEI LAVORATORI NELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA:

UNA PROSPETTIVA MULTILIVELLO

Relatore: Tesi di Laurea di:

Prof. Michele Tiraboschi Marco Contu

Anno Accademico 2018-2019

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Ai sacrifici e al sudore operaio

di mio padre e mia madre.

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Indice

INTRODUZIONE ... 3

I La tutela prevenzionistica nella contrattazione collettiva. Dalla conflittualità degli anni sessanta al Testo Unico per la sicurezza. ... 5

1.1 Dalle lotte operaie contro le nocività alla contrattazione collettiva dell’ambiente di lavoro. ... 5

1.2 Verso un nuovo quadro normativo: l’impulso della Riforma Sanitaria e della Comunità Europea ... 12

2.1 Il ruolo dell’autonomia collettiva dopo il TU del 2008 e le scelte interconfederali. .... 16

2.2 I rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. ... 22

2.2.1 Il numero dei RLS e le modalità di elezione e designazione. ... 24

2.2.2 Attribuzioni e prerogative dei RLS. ... 28

2.2.3 La formazione e le tutele. ... 32

3. Dalla dimensione interconfederale a quella settoriale: premessa e inquadramento ... 35

II Il ruolo della contrattazione collettiva e delle relazioni industriali in alcuni settori: il livello nazionale ... 39

Parte I. Il settore metalmeccanico. ... 39

1.1 La contrattazione collettiva nazionale nel settore metalmeccanico ... 39

1.2 Gli organismi di partecipazione e confronto ... 41

1.2.1 Gli Osservatori ... 42

1.2.2 Le Commissioni ... 44

1.3 RLS e formazione ... 49

1.3.1 Gli aspetti formativi ... 52

1.4 L’ambiente di lavoro e i registri informativi ... 53

1.5 Le tutele per i lavoratori malati ... 57

Parte II. Il settore chimico. ... 60

1.1 La contrattazione collettiva nazionale nel settore chimico e affini ... 60

1.2 Gli organismi di partecipazione e confronto ... 62

1.3 RLS e formazione ... 69

1.3.1 Gli aspetti formativi ... 72

1.4 L’ambiente di lavoro e i registri informativi ... 73

1.5 Le tutele per i lavoratori malati ... 78

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III Il ruolo della contrattazione collettiva aziendale ... 85

1.1 La contrattazione collettiva aziendale ... 85

1.2 Gli organismi di partecipazione aziendale ... 87

1.3 RLS e formazione ... 94

1.4 Sicurezza degli impianti e degli spazi ... 97

1.5 Le tutele per i lavoratori malati ... 99

1.5.1 Le misure per i lavoratori più anziani ... 102

1.5.2 Programmi per la salute e il benessere ... 103

CONCLUSIONI ... 105

ALLEGATI ... 111

Allegato 1. Tabella dei contratti collettivi nazionali del settore metalmeccanico ... 111

Allegato 2. Tabella dei contratti collettivi nazionali del settore chimico e affini ... 112

Allegato 3. Tabella dei contratti collettivi aziendali del settore metalmeccanico ... 114

Allegato 4. Tabella dei contratti collettivi aziendali del settore chimico e affini ... 121

BIBLIOGRAFIA ... 130

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INTRODUZIONE

«Longe praestantius est praevenire quam curare sicut satius est tempestatem praevidere ac illam effugere quam ab ipsa evadere»1, così si espresse Bernardino Ramazzini, padre fondatore della medicina del lavoro, nel suo De Morbis Artificum Diatriba. «Meglio prevenire che curare», diremmo oggi. In questi tempi di emergenza sanitaria e sociale, possiamo cogliere in maniera esemplare l’importanza di tenere fede a questo principio e le conseguenze disastrose di una sua disapplicazione.

La prevenzione è proprio uno dei principi fondamentali su cui si basa la normativa italiana in materia di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, a cominciare dal Decreto Legislativo n.81 del 2008, meglio noto come Testo Unico sulla Sicurezza. In un sistema multilivello, come è quello che informa il diritto del lavoro italiano, obbiettivo del presente elaborato è verificare il ruolo assunto dall’autonomia negoziale collettiva nel regolare gli aspetti connessi alla salute e alla sicurezza dei lavoratori, partendo dagli spazi ad essa concessi dal Legislatore.

Per lungo tempo la prevenzione è stato un concetto estraneo alla organizzazione del lavoro nelle unità produttive; morire e ammalarsi di lavoro era così frequente da essere considerato un rischio ineluttabile. I CCNL prevedevano una maggiorazione salariale per chi svolgeva mansioni particolarmente nocive e lo Stato concedeva un indennizzo economico per i danni subiti nello svolgimento del proprio lavoro.

Negli anni sessanta e settanta le lotte del movimento operaio portarono a un radicale cambio di prospettiva, teso a ridefinire il binomio salute-lavoro, che si rifletteva nell’inserimento di originali disposizioni contrattuali per il controllo delle condizioni ambientali, a garanzia della salubrità degli spazi di lavoro e di una tutela dai rischi ex ante e non solo a ristoro del danno avvenuto.

È da uno sguardo storico su quegli avvenimenti che prende avvio la presenti tesi, per poi passare in rassegna i principali interventi normativi della seconda metà del

1 «È di gran lunga meglio prevenire che curare, così come è più conveniente prevedere la tempesta ed evitarla, piuttosto che tentare di uscirne»

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Novecento, da ultimo il D.Lgs. 626/1994, promulgato sotto la pressione delle direttive comunitarie e antesignano dell’attuale Testo Unico.

L’analisi del Decreto Legislativo 81/2008 è un passaggio fondamentale per comprendere il vigente assetto regolativo di natura negoziale, in quanto ci permette di individuare puntualmente gli spazi di intervento concessi all’autonomia collettiva;

più pragmaticamente, in questa parte del testo, avremo modo di capire su quali temi, come e in quale rapporto con il dettato normativo, le Confederazioni e le Federazioni sindacali e datoriali possono regolamentare salute e sicurezza in fabbrica.

Il lavoro prosegue poi analizzando le scelte concretamente effettuate dalle associazioni sindacali e datoriali, nel succedersi dei livelli contrattuali e dunque nei tavoli di trattativa interconfederali, nazionali di categoria, aziendali.

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I La tutela prevenzionistica nella contrattazione collettiva. Dalla conflittualità degli anni sessanta al Testo Unico per la sicurezza.

1.1 Dalle lotte operaie contro le nocività alla contrattazione collettiva dell’ambiente di lavoro. 1.2 Verso un nuovo quadro normativo: l’impulso della Riforma Sanitaria e della Comunità Europea. 2.1 Il ruolo dell’autonomia collettiva dopo il TU del 2008 e le scelte interconfederali. 2.2 I rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. 2.2.1 Il numero dei RLS e le modalità di elezione e designazione. 2.2.2 Attribuzioni e prerogative dei RLS. 2.2.3 La formazione e le tutele 3. Dalla dimensione interconfederale a quella settoriale: premessa e inquadramento.

1.1 Dalle lotte operaie contro le nocività alla contrattazione collettiva dell’ambiente di lavoro.

Il decennio appena trascorso si è concluso con 6.518.517 denunce di infortunio sul lavoro, di cui 12.529 mortali e con 543.569 denunce di malattia professionale presentate all’Inail. Se prendiamo a riferimento il decennio 1960-69, cinquant’anni fa, vediamo che si registravano 14.704.080 infortuni e 40.837 morti sul lavoro;

le denunce di malattia professionale si attestavano invece sulle 397.4212. Da questo sintetico confronto emergono due evidenze: nel corso degli anni vi è stato un complessivo e incisivo miglioramento nella tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro ma tanto deve ancora essere fatto, se assumiamo come interesse comune a tutta la collettività l’obiettivo dell’azzeramento totale di ogni lesione all’integrità fisica e psichica delle lavoratrici e dei lavoratori causata dallo svolgimento del proprio mestiere. Il progressivo miglioramento delle condizioni di lavoro, il concretizzarsi di un diritto alla salute nei luoghi della produzione non sono frutto del caso, sono il risultato, il portato storico, delle lotte condotte dal movimento

2 Calcoli effettuati su dati Inail. Per i casi di infortunio e malattia professionale denunciati nel

decennio 1960-1969 e negli anni dal 2010 al 2013 si è fatto riferimento alle “Statistiche storiche - Casi denunciati”, v. https://www.inail.it/cs/internet/attivita/dati-e-statistiche/statistiche-storiche/casi- denunciati.html; per i casi denunciati nelle annate del quinquennio 2014-2018 si è fatto riferimento alla “Banca Dati Statistica”, v. https://bancadaticsa.inail.it/bancadaticsa/login.asp; per l’anno 2019 si è fatto riferimento al “Bollettino trimestrale delle denunce di infortunio e malattie professionali - IV Trimestre 2019”, v. https://www.inail.it/cs/internet/docs/bollettino-trimestrale-dicembre-2019.pdf.

Si tenga presente che per le denunce delle tecnopatie fino al 1975 i dati si riferiscono alla sola gestione

“Industria e servizi”, dal 1976 includono la gestione “Agricoltura” e dal 2008 la gestione “Conto Stato”.

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operaio a partire dagli anni sessanta, le quali da una parte hanno capovolto la narrazione dell’ineluttabilità della nocività dei luoghi di lavoro e messo in discussione l’organizzazione scientifica del lavoro, dall’altra hanno posto a dura critica la prassi sindacale di contrattare la salute solo nel senso della monetizzazione del danno e non in termini anche prevenzionali; critica colta dalle organizzazioni sindacali che ben presto cambiarono la linea d’azione, con il cosiddetto “modello sindacale di lotta per la salute”3. Una vertenza pilota per l’ottenimento del diritto a un ambiente di lavoro salubre fu quella condotta nel 1961 alla Farmitalia di Settimo Torinese, una grande azienda di prodotti chimico-farmaceutici4. La Cgil torinese, intenta a ricercare una nuova e rinnovata strategia sindacale mirò alla contrattazione di tutti gli aspetti delle condizioni di lavoro all’interno degli stabilimenti, a cominciare dalla sicurezza degli impianti, dei ritmi di lavoro e della salubrità dell’ambiente. Uno dei principali problemi dei sindacati e dei lavoratori era dimostrare la nocività delle lavorazioni e il nesso di causalità tra queste e le malattie professionali; ciò era dovuto alla mancanza di competenze medico-scientifiche e quindi tecniche di questi soggetti, al fatto che troppo spesso le aziende non davano alcun tipo di informazione rispetto alle sostanze utilizzate e soprattutto al fatto che i medici esterni alla fabbrica non potevano accedere ai luoghi di lavoro. La Filcep- Cgil, diede così vita a un’approfondita inchiesta sulla salute degli operai in Farmitalia dalla quale emerse un ambiente di lavoro malsano e molto pericoloso5 e nel quale vi era un rischio altissimo di contrarre malattie professionali. Dai risultati di tale inchiesta si partì per costruire una piattaforma sindacale coerente con la

3 Cfr. P. Tonelli, Salute e Lavoro, in L. Falossi (a cura di), Il '900. Alcune Istruzioni per l'uso, La Giuntina, 2006, 45-65; L. Montuschi, Diritto alla salute e organizzazione del lavoro, Franco Angeli, 1986, 11-45

4 Per una ricostruzione complessiva di tale esperienza si rimanda a E. Davigo, Per un controllo operaio della nocività ambientale. L’esperienza della Camera del Lavoro di Torino (1961 – 1969), in Giornale di Storia Contemporanea, 2016, 2, 207-228

5 Ivi., 213, descrive «un ambiente di lavoro fortemente malsano, caratterizzato dalla mancanza di aspiratori e depuratori dell’aria, e dalla conseguente elevata concentrazione di sostanze nocive, in particolar modo solventi. In alcuni casi gli operai erano costretti a lavorare con porte e finestre aperte, esposti quindi alle condizioni climatiche esterne. A questo si aggiunga che la fornitura di mezzi di protezione individuale, quali maschere e guanti, era inadeguata, e inesistente nei reparti dove erano

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necessità di difesa della salute operaia; si chiedeva l’effettuazione di visite mediche pre e post assuntive, l’introduzione di dispositivi di protezione individuale (d’ora in avanti, DPI) adeguati, l’installazione di aspiratori e l’isolamento dei reparti con lavorazioni pericolose nonché lo svolgimento di indagini ambientali e la previsione di limiti di concentrazione per le sostanze nocive, i c.d. MAC. Quello che in sede di contrattazione si riuscì ad ottenere fu però solamente «la possibilità di servirsi di un medico di fiducia per svolgere le indagini ambientali nei reparti»6, in ogni caso un risultato non scontato. Eppure quella piattaforma, in buona parte, metteva sul tavolo delle trattative nulla più di quanto già previsto dalla normativa vigente da ormai un quinquennio7, precisamente il D.P.R. 547 del 27 Aprile 19558 con i suoi 406 articoli, integrato dal D.P.R. 302 del 19 Marzo 19569 e il Regolamento Generale per l’Igiene del Lavoro (il D.P.R. 303/1956)10, tutti emanati in virtù della Legge Delega 51/195511, un complesso di disposizioni, anche abbastanza corposo e ben costruito, ma con tutta evidenza rimasto lettera morta12. La vertenza Farmitalia fu comunque un nuovo inizio, un faro per l’impostazione di successive vertenze sulla salute.

I lavoratori non dovevano più essere soggetti passivi della ricerca o delle misurazioni sulla nocività e tantomeno dovevano essere oggetto variabile da adattare al lavoro;

i tecnici, in quanto osservatori esterni, non potevano più prescindere dal punto di

effettuate lavorazioni sperimentali, poiché – spiegava la direzione – non si poteva conoscere preventivamente il loro grado di nocività»

6 Ivi., 214

7 Ibidem

8 Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (GU n.158 del 12-7-1955 - Suppl. Ordinario)

9 Norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro integrative di quelle generali emanate con decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547 (GU n.105 del 30-4-1956 - Suppl. Ordinario)

10 Norme generali per l'igiene del lavoro (GU n.105 del 30-4-1956 - Suppl. Ordinario)

11 Delega al Potere esecutivo ad emanare norme generali e speciali in materia di prevenzione degli infortuni e di igiene del lavoro (GU n.54 del 7-3-1955)

12 Cfr. L. Fantini, A. Faventi, L’impianto del testo unico: quadro di sintesi, in M. Tiraboschi (a cura di), Il testo unico della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, Giuffré, 2008, 36-37; cfr. C. Smuraglia, La sicurezza del lavoro e la sua tutela penale, Giuffré, 1974, 30-31 e diffusamente nel testo, l’Autore nell’individuare la “scarsa funzionalità del sistema”, divideva le cause in cinque gruppi: la disapplicazione del sistema punitivo; l’incompletezza del sistema; la lacunosità ed inefficacia del sistema ispettivo e di vigilanza; la lacunosità del sistema processuale; l’inidoneità del sistema penale a risolvere da solo la complessa problematica della sicurezza del lavoro. Cfr., per una lettura fortemente critica sulla legislazione dell’epoca, R. Ricchi, La morte operaia. Indagine sugli omicidi bianchi e gli incidenti sul lavoro in Italia, Guaraldi, 1974, 293-314

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vista dei lavoratori, erano loro che conoscevano i macchinari, i movimenti delle mansioni specifiche, i rischi, i fattori causanti nocività, disturbi muscolari, ansie, stress, questi ultimi peraltro non misurabili con gli strumenti scientifici tradizionali13. I tecnici dovevano ora interagire con i lavoratori e, secondo il modello sindacale, con loro dovevano essere vagliate e discusse anche le soluzioni alla nocività, era questa la c.d. “validazione consensuale”. I lavoratori di uno stesso reparto cui veniva affidato il lavoro di indagine interna formava il “Gruppo Operaio Omogeneo”, il quale doveva dividere la propria analisi secondo l’osservazione di 4 tipi di fattori nocivi: la nocività ambientale generica (luce, rumore, temperatura, ventilazione, umidità); la nocività ambientale specifica (presenza di gas, polveri, fumo, vapori); la fatica fisica e muscolare spesa durante il lavoro; gli effetti stancanti dovuti ai ritmi di lavoro richiesti, la monotonia, l’ergonomia, l’ansia14. Il Gruppo Omogeneo doveva poi segnare i risultati ottenuti da tali analisi nel “Registro dei dati ambientali” e nel

“Registro dei dati biostatici” nonché per i singoli lavoratori nel “libretto individuale di rischio” e nel “libretto sanitario individuale”15. L’importanza storica, la lungimiranza e la maturità dell’auto-organizzazione operaia a difesa della salute può essere colta con la lettura del vigente testo unico per la sicurezza e dei vari CCNL, dove, come vedremo, è possibile trovare ancora l’esistenza di quei Registri, ormai da tempo istituzionalizzati e obbligatori in tutti i luoghi della produzione.

Secondo la riflessione dell’epoca, dinnanzi a un legislatore poco attento e poco intenzionato a far rispettare con tutte le sue forze la normativa vigente, la contrattazione collettiva, nazionale e aziendale, doveva essere la porta principale del

13 «[…] mentre la rumorosità, i gas venefici, la temperatura, la luminosità sono misurabili con appositi strumenti, sicché il controllo può essere agevolmente affidato a un operatore tecnico, gli ‘effetti stancanti’ possono essere denunciati e accusati solo dagli operai, poiché solo essi sono in grado di esprimere una valutazione e un apprezzamento che, sebbene empirico, risulterà scientificamente inoppugnabile», così L. Montuschi, Diritto alla salute e organizzazione del lavoro, op.cit., 176

14 Cfr. l’importantissima dispensa sindacale della Fiom-Cgil, L’ambiente di lavoro, 1969, 5; per i 4 fattori vedi anche Quaderni di Rassegna Sindacale, 1971, 28, 54-56

15 Cfr. Gruppo di Prevenzione ed Igiene Ambientale del CDF Montedison di Castellanza, La salute in fabbrica (vol.II). L'esperienza e le lotte per la gestione operaia della salute, Savelli, 1974, dove oltre a raccontare l’esperienza del gruppo di lavoro contro la nocività alla Montedison, son riportati vari accordi raggiunti in fabbrica nonché le descrizioni dettagliate, le istruzioni per la compilazione e le rappresentazioni grafiche dei libretti e dei registri.

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cambiamento16. I primi risultati arrivarono con l’introduzione di organismi interni alle fabbriche, partecipati dai lavoratori, con potere di intervento sugli aspetti della nocività ambientale17. La vera svolta arrivò con i rinnovi contrattuali del 1969, a cominciare dal settore chimico dove si materializza il cambiamento del paradigma sindacale rispetto al tema della salute, con la cancellazione dell’accordo sull’indennizzo della nocività lavorativa e la sua sostituzione con l’introduzione delle tabelle dei Massimi Accettabili di Concentrazione (MAC), cioè la previsione di limiti di concentrazione per le sostanze nocive, già da tempo presenti in alcuni Paesi industrializzati; inoltre venne prevista la partecipazione delle rappresentanze sindacali aziendali (d’ora in poi, RSA) «alla ricerca e all’adozione delle misure di prevenzione e di sicurezza intese ad eliminare le cause che determinano condizioni di pericolo, nocività o particolare gravosità di lavoro»18; vennero introdotti anche il libretto sanitario e di rischio oltre al diritto alla contrattazione aziendale sulla nocività19. Sulla stessa linea si muoveranno i rinnovi della ceramica, della concia, dei cartai, dell’industria alimentare, dell’edilizia, delle confezioni in serie, della gomma, della plastica, dei tessili20. In breve tempo ci fu un forte sviluppo della contrattazione

16 Secondo C. Smuraglia, La sicurezza del lavoro…, op.cit., 8, l’opera prevenzionistica del legislatore non poteva che essere carente «per la sua naturale caratteristica di generalità e di astrattezza» e per la sua difficoltà ad essere tempestiva perché ogni settore e ogni azienda avevano specifiche nocività in continua evoluzione e per questo occorreva agire «attraverso la contrattazione collettiva, a vario livello, ma specialmente a livello aziendale; infatti le organizzazioni sindacali possono raccogliere più immediatamente e direttamente un complesso di notazioni e di esperienze e farne oggetto di specifica contrattazione, specialmente oggi che il contratto collettivo non è più limitato alla disciplina degli istituti tradizionali […]; ci si riferisce non a clausole che riproducano genericamente quanto già previsto dalla legge ma ad una più penetrante individuazione contrattuale dei fattori ambientali e tecnologici di pericolo e ad una specifica indicazione degli obblighi dei datori di lavoro, dei limiti di tollerabilità e così via»

17 Cfr. l’art.3 dell’«Accordo Interconfederale del 18 Aprile 1966 per la costituzione ed il funzionamento delle commissioni interne», il quale prevede che queste ultime potranno «intervenire presso la direzione per l’esatta osservanza delle norme di legislazione sociale e di igiene e sicurezza del lavoro». Spesso tali organismi avevano solamente un ruolo formale e con poca reale incisività nelle politiche aziendali

18 Cfr. E. Guidi, D. Valcavi et al., Movimento sindacale e contrattazione collettiva 1945-1973, Franco Angeli, 1974, 195

19 Cfr. M.L. Righi, Le lotte per l’ambiente di lavoro dal dopoguerra ad oggi, in Studi Storici, 1992, 2- 3, 633

20 Cfr. R. Ricchi, La morte operaia…op.cit., 251

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sui temi della salute e della sicurezza21 al quale certamente contribuì l’introduzione nel 1970 dello Statuto dei Lavoratori e del suo articolo 9, quale primo esplicito riconoscimento legislativo della dimensione collettiva della sicurezza del lavoro22. L’art. 9 prevede infatti che «i lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica». I lavoratori come collettività di una unità produttiva, di un reparto, di un’azienda, erano ora sempre più legittimati a essere titolari di un diritto di agire a difesa della loro salute, tramite propria rappresentanza, sia effettuando controlli, e quindi potenzialmente chiamando all’interno del luogo di lavoro medici e tecnici di fiducia, sia effettuando ricerca ed elaborando soluzioni, sia agendo con gli strumenti legali per garantire l’attuazione dei diritti e poteri appena richiamati. Da notare che il testo fa riferimento a «loro rappresentanze» e non a «le loro rappresentanze», non implicando dunque necessariamente il coinvolgimento delle RSA o di altre forme di rappresentanza sindacale o di fabbrica già precostituite, sebbene attraverso la contrattazione collettiva, nella maggior parte dei casi, le funzioni vennero assunte proprio dagli organismi sindacali. Le rivendicazioni sindacali e la contrattazione collettiva nazionale successiva allo Statuto23 hanno consolidato e rafforzato i risultati conseguiti dai Chimici nel 1969, seguendo tutti, in sede di trattativa, la stessa direttrice e ottenendo risultati finali più o meno avanzati a seconda della forza contrattuale delle Federazioni di settore. Sui problemi dell’ambiente di lavoro la contrattazione si è soffermata su alcuni specifici punti, individuabili nell’attuazione dell’articolo 9 dello Statuto, nell’istituzione di commissioni operative, nel diritto di contrattazione aziendale delle rappresentanze sindacali sui temi della salute e della sicurezza, nella rilevazione dei dati ambientali e nell’introduzione dei MAC,

21 Nel periodo 1969-1972 le rivendicazioni contrattuali inerenti l’ambiente di lavoro passarono dal 3%

al 16% sul totale delle rivendicazioni, cfr. M.L. Righi, Le lotte per l’ambiente di lavoro… op.cit., 35

22 Così M. Lai, La sicurezza del lavoro tra legge e contrattazione collettiva, Giappichelli, 2002, 59

23 Il contenuto dei CCNL sono stati ricavati da E. Guidi, D. Valcavi et al., Movimento sindacale e contrattazione collettiva 1945-1973, op.cit.

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nell’inserimento obbligatorio nelle unità produttive di tutti i registri e di tutti gli strumenti informativi sulla salute dei lavoratori e sull’ambiente di lavoro, per una contrattazione continua delle condizioni ambientali24. Anche la contrattazione aziendale, come già accennato, non mancò di intervenire sul tema, soprattutto in questa sua fase di nuova vitalità apertasi nel 1968 con le lotte operaie che hanno riguardato anche la rivendicazione di una vera contrattazione articolata, dove da un ruolo solamente integrativo sulle poche e rigide materie ad essa demandate dai CCNL, assunse un ruolo più autonomo, allargando il suo campo «a tutte le materie più direttamente collegate alla realtà delle varie e concrete situazioni aziendali»25 fino a conquistarsi un «ruolo propulsivo dell’intero sistema contrattuale, contribuendo anche a rendere il contratto nazionale più incisivo nei suoi contenuti e più aderente alla realtà produttiva dei settori»26, e questo è particolarmente vero per la lotta contro le nocività, dove i CCNL nella seconda metà degli anni settanta hanno formalizzato le migliori esperienze realizzate negli accordi aziendali. Sui temi che qui ci interessano, i contratti di secondo livello dei primi anni settanta hanno sostanzialmente seguito la traccia dei CCNL, presidiandone in sede aziendale l’effettiva operatività delle misure e precisando e perfezionando quanto previsto dai contratti di categoria27. Per tutti gli anni settanta i contenuti della Contrattazione si muoveranno attorno alle direttrici tematiche appena descritte, si perfezionarono e si resero più dettagliate le norme dei rinnovi precedenti sulla base di alcune esperienze aziendali; inoltre in alcuni settori si ottenne il diritto alla formazione con le “150 ore”

retribuite, in applicazione dell’art. 10 dello Statuto, che saranno rilevanti per una

24 Cfr. A. Giansiracusa, Primo bilancio della contrattazione sull’ambiente di lavoro, in Quaderni di Rassegna Sindacale, 1971, 28, 61-62

25 Cfr. E. Guidi, D. Valcavi et al., Movimento sindacale e contrattazione collettiva, op.cit., p.421

26 Cfr. G. Vinay, Il livello categoriale, in Quaderni di Rassegna Sindacale, 1972, 35, 11

27 Un accordo di rilievo in tema di ambiente di lavoro, per la centralità dell’azienda nel sistema produttivo italiano, fu sicuramente quello raggiunto in Fiat nel Luglio 1971, per il testo dell’accordo cfr. Cgil, Cisl, Uil, La contrattazione integrativa aziendale e di gruppo nel 1971, Edizioni SEUSi, 1972, 185 ss.

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«diffusione capillare del modello sindacale di prevenzione»28. La seconda metà del decennio ha peraltro rappresentato una fase di riflusso nella lotta sindacale contro le nocività29; le resistenze degli industriali si son fatte più forti, la crisi economica ha spinto l’attenzione verso altre preoccupazioni più legate alla salvaguardia dei posti di lavoro e agli aspetti salariali30 e la svolta dell’Eur del febbraio 1978 non ha fatto altro che rendere sempre più residuali gli spazi per la salvaguardia della salute e per i consigli di fabbrica nella contrattazione31 finanche a regredire in alcuni casi rispetto a precedenti conquiste, scorgendosi un ritorno alla monetizzazione.

1.2 Verso un nuovo quadro normativo: l’impulso della Riforma Sanitaria e della Comunità Europea

Il 1978 non è stato solamente l’anno di un nuovo corso sindacale ma anche quello della Legge 83332, con l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale che finalmente disegnò un modello di intervento pubblico della prevenzione nei luoghi di lavoro, ponendo tra i suoi obbiettivi primari la prevenzione delle malattie e degli infortuni sul lavoro e la promozione e la salvaguardia della salubrità e dell’igiene dell’ambiente di lavoro33. La Legge 833 raccoglie nel suo testo talune conquiste sindacali, entrate nei luoghi di lavoro grazie alle lotte operaie e alla contrattazione

28 Cfr. P. Causarano, “Il male che nuoce alla società di noi lavoratori”. Il movimento dei delegati di fabbrica, la linea sindacale sulla prevenzione e i corsi di 150h nell’Italia degli anni 70, in Giornale di storia Contemporanea, 2016, 2, 76-86

29 Cfr. F. Carnevale, A. Baldasseroni, Il complesso rapporto tra salute e lavoro nei 150 anni dell’Italia Unita, in Epidemiologia e Prevenzione, 2011, 35, suppl.2, 30

30 Cfr. L. Montuschi, La tutela della salute e la normativa comunitaria: l’esperienza italiana, in M.

Biagi (a cura di), Tutela dell’ambiente di lavoro e direttive Cee, Maggioli, 1991, 14

31 Cfr. M.L. Righi, Le lotte per l’ambiente di lavoro, op.cit., 645

32 Istituzione del servizio sanitario nazionale (GU Serie Generale n.360 del 28-12-1978 - Suppl.

Ordinario)

33 Cfr. art. 2 della L.833/1978. Sul rapporto tra ambiente di lavoro e riforma sanitaria si segnala la riflessione di L. Montuschi, Ambiente di lavoro e riforma sanitaria (capitolo di libro), in L.

Montuschi, Diritto alla salute…op.cit.; cfr. L. Fantini, A. Faventi, L’impianto del testo unico…op.cit., 37, per i quali con la Riforma Sanitaria «da un lato si è istituzionalizzata la partecipazione dei lavoratori, attraverso i loro organi di rappresentanza, alla concreta realizzazione del sistema prevenzionale, dall’altro si è affermato che lo stesso non doveva necessariamente esaurirsi nelle prescrizioni tecniche espressamente previste dal legislatore». È bene segnalare inoltre che è con la delega contenuta nell’art. 24 delle L.833 che si può trovare un primo tentativo legislativo di dare vita a un Testo Unico per la sicurezza sul lavoro.

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collettiva; in un periodo di crisi delle organizzazioni dei lavoratori, ciò permise di non lasciare a sé stesso il diritto alla salute dei lavoratori nei luoghi della produzione, ora presidiato, come in un passaggio di testimoni34, dalle USL. Ciò non deve far pensare a una eclissi delle organizzazioni sindacali e del Contratto Collettivo, al contrario la legge di riforma sanitaria aveva richiamato la loro partecipazione e il loro coinvolgimento per garantire luoghi di lavoro sicuri; è un esempio di quanto appena affermato l’art. 20, c. 3, dove si prevede che gli interventi di prevenzione delle USL all’interno degli ambienti di lavoro «concernenti la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di misure necessarie ed idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori […] sono effettuati sulla base di esigenze verificate congiuntamente con le rappresentanze sindacali ed il datore di lavoro, secondo le modalità previste dai contratti o accordi collettivi applicati nell’unità produttiva». Sempre a mente dell’articolo 20 – ma questa non è una novità rispetto ai contenuti dei contratti collettivi sopra citati – i datori di lavoro hanno l’obbligo di comunicare le sostanze presenti nel ciclo produttivo, le loro caratteristiche tossicologiche ed i possibili effetti sull’uomo e sull’ambiente e dovranno formulare mappe di rischio aziendali35; sulla base o meno di queste informazioni le USL controlleranno i fattori di nocività e di pericolosità negli ambienti di lavoro36 e comunicheranno i risultati alle rappresentanze sindacali e ai lavoratori37.

La contrattazione collettiva degli anni ottanta proseguì senza particolari innovazioni, riproponendo per lo più testi standardizzati nelle parti riguardanti l’ambiente di lavoro e adeguando i propri riferimenti alla legge 833/1978. Inizia a materializzarsi in questi anni un progressivo passaggio «da un modello di azione essenzialmente unilaterale, di tipo rivendicativo, volto a contrattare modifiche rispetto a decisioni

34 Cfr. F. Carnevale, “La salute non si vende”. La stagione delle lotte per la salute dei lavoratori in Italia, 1961-1978, in Rivista Sperimentale di Freniatria, 2018, 2, 12

35 Cfr. art.20, comma 1, lett. d)

36 Cfr. art.20, comma 1, lett. a)

37 Cfr. art.20, comma 1, lett. b)

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produttive e organizzative già assunte dal datore di lavoro, ad una gestione partecipata delle tematiche ambientali»38.

La normativa tecnica allora vigente in materia di prevenzione e tutela della salute, ferma agli anni cinquanta, doveva prepararsi a cambiare fisionomia con l’arrivo della Direttiva quadro 89/391/CEE «concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro»39 e che pretendeva l’armonizzazione della normativa in tutti i Paesi aderenti alla Comunità Europea. Il testo della Direttiva prevedeva delle prescrizioni minime alle quali gli ordinamenti statali dovevano adeguarsi e delineava un quadro chiaro con, da una parte i debitori di sicurezza, gli imprenditori e le dirigenze aziendali, dall’altra i creditori di sicurezza, i lavoratori. A questi ultimi non andava più garantita solo passivamente la sicurezza sul luogo di lavoro, essi dovevano essere coinvolti direttamente e tramite rappresentanze sindacali specializzate40, dovevano essere informati41, formati42, consultati43, secondo quel principio che il testo della direttiva definisce della «partecipazione equilibrata»44; se la maggior parte di questi presupposti, in Italia erano stati già fatti propri dalla contrattazione collettiva, quel che doveva cambiare era la loro effettiva messa in pratica nei luoghi di lavoro. Ora la partecipazione e il diritto di controllo della sicurezza dei lavoratori dovevano essere pretesi con la forza della legge, a prescindere dalle eventuali richieste e istanze di parte sindacale45, anche in quei posti di lavoro dove non esisteva sindacato, dove la contrattazione collettiva non arrivava, non certo luoghi residuali in una Italia, ieri

38 Cfr. M. Lai, La sicurezza del lavoro tra legge e contrattazione collettiva, op.cit, 94

39 Direttiva 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro (GU delle Comunità Europee n. L 183 del 29/06/1989 pag. 0001 – 0008). Per un ampio commento alla Direttiva comunitaria cfr. M. Biagi, Tutela dell’ambiente di lavoro e direttive Cee, Maggioli, 1991

40 Cfr. art.3, lett. c)

41 Cfr. art.10 (Informazione dei lavoratori)

42 Cfr. art. 12 (Formazione dei lavoratori)

43 Cfr art.11 (Consultazione e partecipazione dei lavoratori)

44 Sul significato di tale formula cfr. L. Angelini, Rappresentanza e partecipazione nel diritto della salute e sicurezza dei lavoratori in Italia, in Diritto della sicurezza sul lavoro, 2020, 1, 97-99

45 Scrive L. Montuschi, a commento della direttiva, in La tutela della salute e la normativa comunitaria…, op. cit., 18, «è il datore che deve essere costantemente attento, sensibile, disponibile ad

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come oggi, divisa in due. La direttiva esigeva un deciso cambio di passo, di metodologia, di mentalità, ponendo al centro la programmazione della prevenzione, agendo ex ante sui fattori di rischio e direttamente sui rischi alla fonte e non ex post ad attività produttiva iniziata; e il datore di lavoro doveva farlo materialmente, con una valutazione di tutti i rischi «anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici e nella sistemazione dei luoghi di lavoro»46, adeguando il lavoro all’uomo, tenendo conto delle attrezzature e dei metodi di lavoro

«in particolare per attenuare il lavoro monotono e il lavoro ripetitivo e per ridurre gli effetti di questi lavori sulla salute»47. Tutti passaggi, occorre ribadirlo, da svolgere consultando i lavoratori e i loro rappresentanti, secondo una logica partecipativa delle relazioni industriali tendente a superare i modelli conflittuali e della contrapposizione48. Il legislatore italiano ha recepito la Direttiva europea, e altre direttive particolari ad essa legate, solamente nel 1994 con il decreto legislativo 62649 che solo in parte ha sostituito la normativa precedente, riprendendo e specificando principi già presenti nell’ordinamento e introducendone completamente di nuovi.

Tra le novità del Decreto possono essere citati il campo di applicazione delle norme per la tutela dei lavoratori; la programmazione della sicurezza, con un sistema prevenzionale proceduralizzato dove ognuno, a cominciare dal datore di lavoro, ha dei precisi e scadenzati compiti da svolgere in maniera obbligatoria; l’individuazione di nuovi soggetti responsabili della sicurezza (il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, il medico competente, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione); gli obblighi di informazione, formazione, consultazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti. Per quanto riguarda il profilo che a noi più interessa, quello

attuare, senza bisogno di pressioni, tutte le misure necessarie: il debito di sicurezza non ha bisogno, per essere adempiuto delle sollecitazioni o addirittura del negoziato con il creditore»

46 Cfr. art.6, comma 3, lett. a)

47 Cfr. art.6, comma 2, lett. d)

48 Cfr. M. Biagi, Dalla nocività conflittuale alla sicurezza partecipata: relazioni industriali e ambiente di lavoro in Europa verso il 1992, in M. Biagi (a cura di), Tutela dell’ambiente di lavoro e direttive Cee, op.cit., 136

49 Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE e 90/679/CEE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro (GU n.265 del 12-11-1994 - Suppl. Ordinario n. 141)

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degli spazi riservati alla contrattazione collettiva, si può rilevare che ad essa rimane in gran parte estraneo l’ «individuazione del contenuto degli obblighi di sicurezza»50; più cospicua è la delega a intervenire sulla disciplina dei Rappresentanti per la sicurezza (d’ora in poi, RLS), i metodi per la loro individuazione e per l’esercizio dei loro compiti; minimi sono i casi in cui essa ha il compito di specificare il precetto legale51. Questo breve e generico quadro è peraltro rimasto sostanzialmente immutato nell’attuale TU sulla sicurezza del 200852.

Quest’ultimo, approvato in attuazione della delega prevista dall’articolo 1 della Legge 123/200753 è un corposo testo normativo, attualmente composto di 306 articoli e ben 52 allegati, che si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici e a tutte le tipologie di rischio nonché a tutti i lavoratori, da intendersi come tutte le persone che indipendentemente dalla tipologia contrattuale o dal ricevimento di una retribuzione, svolgono un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro54, in ciò distinguendosi e ampliando la definizione del d.lgs.626/1994 che

“riduceva” il lavoratore-creditore di sicurezza alla «persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro […] con rapporto di lavoro subordinato anche speciale»55.

2.1 Il ruolo dell’autonomia collettiva dopo il TU del 2008 e le scelte interconfederali.

50 Cfr. M. Lai, La sicurezza del lavoro tra legge e contrattazione collettiva, op.cit, 94

51 Un esempio è quanto previsto dall’ articolo 54 sui lavoratori videoterminalisti, per i quali le modalità del diritto a interrompere l’attività con una pausa o con un cambio di attività, devono essere specificate tramite contrattazione collettiva anche aziendale.

52 Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (GU n.101 del 30-4-2008 - Suppl. Ordinario n. 108); al D.Lgs.81/2008 è dedicato il successivo paragrafo e ad esso si rimanda per un un’analisi più dettagliata delle singole norme che più ci interessano, vista la loro continuità, seppur parziale, con il testo del 1994 e delle sue successive modifiche. Per una introduzione generale al decreto legislativo 81/2008 e alle sue origini cfr. M. Tiraboschi, La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro alla prova del «testo unico», in M. Tiraboschi (a cura di), Il testo unico della salute… op.cit., 1-13

53 Misure in tema di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e delega al Governo per il riassetto e la riforma della normativa in materia (GU n.185 del 10-8-2007)

54 Cfr. D.Lgs. 81/2008, art. 2, lett. a)

55 Cfr. D.Lgs. 626/1994, art.2, lett. a)

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Il Decreto Legislativo 81/2008 e le successive modifiche attualmente in vigore hanno fondamentalmente seguito il percorso tracciato dal decreto legislativo 626/1994, razionalizzando e integrando la disciplina ivi prevista in taluni aspetti56, su cui dodici anni di esperienza applicativa hanno consigliato un cambio di passo, insieme a una organizzazione delle fasi produttive e degli assetti di fabbrica resi sempre più velocemente mutevoli dall’innovazione tecnologica e da una composizione della forza lavoro, e quindi della comunità di rischio, sempre più diversificata sia in termini contrattuali, sia in termini anagrafici, sia a seguito di importanti processi migratori57. Fermo è rimasto in ogni caso l’approccio partecipativo alla prevenzione di matrice comunitaria, ispirato e imposto, come visto, anzitutto dalla direttiva- quadro 89/39158, caratterizzato dal coinvolgimento e dalla presenza di rappresentanti dei lavoratori nelle varie fasi della gestione della sicurezza procedimentalizzata, presenza peraltro rafforzata dal testo unico del 2008 rispetto al passato.

Nel passato la contrattazione collettiva si era conquistata un ruolo importante e, con tutti i limiti del caso, si era attribuita, potremmo dire, una funzione suppletiva rispetto a una normativa poco omogenea, che diventava anno dopo anno sempre più obsoleta e la cui vigenza era più formale che sostanziale. Oggi con un assetto

56 Cfr. G. Natullo, “Nuovi” contenuti della contrattazione collettiva, organizzazione del lavoro e tutela della salute e sicurezza dei lavoratori", in WPO-Working Papers di Olympus, 2012, 5, 5; cfr. L.

Fantini, A. Faventi, L’impianto del testo unico…op.cit, 40; M. Lai, Il diritto della sicurezza...op.cit.,54

57 Non è un caso che l’articolo 28, comma 1 del TU prevede, ex novo, che nella valutazione di tutti i rischi presenti in azienda, il datore di lavoro deve tenere in debita considerazione anche «quelli connessi alle differenze di genere, all'età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro». Cfr. M. Lai, Il diritto della sicurezza sul lavoro…op.cit., 126-128; cfr. S. Ferrua, M. Giovannone, Gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari e tipologie di lavoro flessibile: la valutazione del rischio, in M.

Tiraboschi (a cura di) Il testo unico della salute… op.cit. 415-429; sui contratti di lavoro flessibili cfr.

M. Tiraboschi, Campo di applicazione e tipologie contrattuali, in M. Tiraboschi (a cura di) Il testo unico della salute… op.cit., 67-72; cfr. R. Nunin, Precarietà, lavoro femminile e tutela della salute e della sicurezza, in Lavoro e Diritto, 2010, 3, 425 ss.; sulla sicurezza di genere cfr. R. Nunin, Lavoro femminile e tutela della salute e della sicurezza: nuovi scenari per una prospettiva di genere dopo il d.lgs. n. 81/2008, in Rivista del Diritto della Sicurezza Sociale, 2011, 2, 383 ss.; sui lavoratori immigrati cfr. N. Persico, I lavoratori immigrati, in M. Tiraboschi (a cura di) Il testo unico della salute… op.cit., 293-297; cfr. C. Di Carluccio, Salute e sicurezza sul lavoro del lavoratore migrante tra conferme e sviluppi, in Diritto della Sicurezza sul Lavoro, 2017, 1, 45 ss.

58 Per una ricostruzione più ampia dell’intervento del diritto comunitario in materia di salute e sicurezza sul lavoro cfr. M. Lai, Diritto della salute e della sicurezza sul lavoro, Giappichelli, 2010,

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regolativo molto più puntuale – supportato da un complesso sistema istituzionale e da enti e organismi tecnici, attento a tutti i fattori di rischio anche in maniera molto dettagliata – la contrattazione collettiva non ricopre, comprensibilmente59, un ruolo di primo piano nella legislazione su salute e sicurezza sebbene il TU non manca di richiamarla e coinvolgerla in modo variamente graduato.

Volendo individuare dei criteri nel coinvolgimento della contrattazione collettiva da parte del D. Lgs. 81/2008, possiamo distinguere alcune funzioni ad essa affidate:

a) una funzione specificativa e integrativa del dettato normativo, derivante da una delega esplicita, il cui adempimento è funzionale al completamento del disegno riformatore e che può esplicitarsi tanto in ottica generale quanto con riferimento a specifici settori o attività. Ci riferiamo in primis alla regolazione degli istituti sindacali, in particolare a quella che è la materia più cospicua rinviata alla negoziazione delle Parti, la disciplina del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza60 (v. infra 2.2. nel dettaglio), per la quale non mancano limiti e prescrizioni minime di legge entro cui l’autonomia collettiva deve muoversi61 o clausole di salvaguardia in caso di inerzia e mancanza di accordi collettivi62. Sempre con riguardo ai RLS, ma con specifico riferimento al settore agricolo, possiamo qui richiamare l’articolo 3, il quale al comma 13 prevede che, nel caso in cui la forza lavoro utilizzata in azienda fosse composta esclusivamente da lavoratori agricoli stagionali, sarà compito dei contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative definire specifiche modalità di attuazione delle previsioni concernenti il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.

155-181; cfr. anche A. Rossi, L’obbligo di sicurezza del datore di lavoro nella politica sociale comunitaria, in Rivista del Diritto della Sicurezza Sociale, 2013, 1, 101-10

59 Cfr. G. Natullo, “Nuovi” contenuti della contrattazione collettiva… op.cit., 2-3, l’Autore riconduce ciò alla «scarsa o nulla “negoziabilità” della materia stessa, in funzione del carattere indisponibile del bene tutelato – la salute –, che necessariamente comporta la necessità di rigidi vincoli legislativi».

Sempre secondo Natullo la disciplina che va dal d.lgs. 626/1994 al correttivo al TU del 2008 «ha tendenzialmente “messo nell’angolo” la contrattazione collettiva come potenziale fonte di standard minimi di tutela, lasciandole di fatto un ruolo ben più marginale di previsione di regole (e pratiche)

“virtuose”, ma che vengono per così dire in seconda linea rispetto al rispetto degli standard obbligatori di tutela».

60 Cfr. art. 37, c. 11; artt. 47-50

61 Cfr. art. 37, c. 11; art.47, c.7; art. 48, c. 7

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Un altro spazio di intervento aperto alla contrattazione collettiva, «anche aziendale», è la definizione delle modalità di interruzione della prestazione dei lavoratori videoterminalisti63, intesi come coloro che «utilizza[no] un’attrezzatura munita di videoterminali, in modo sistematico o abituale, per venti ore settimanali»64. Infatti, per via dei rischi insiti nell’utilizzo continuativo e duraturo di questi strumenti – si pensi ai potenziali danni alla vista, ai problemi legati alla postura ed all’affaticamento fisico o mentale, alle condizioni ergonomiche – i lavoratori hanno il diritto ad una interruzione dell’attività, mediante pausa o cambiamento di attività;

anche in questo caso la normativa ricorre alla tecnica della salvaguardia, prevedendo, nel caso di assenza di una previsione contrattuale, il diritto ad una pausa di quindici minuti ogni centoventi minuti di applicazione continuativa al videoterminale65; b) una funzione di parametro normativo, dove la contrattazione viene assunta a parametro di riferimento ai fini di sostanziare determinate tutele. È il caso dell’

articolo 26, comma 6, in tema di appalti; qui si prevede un obbligo in capo agli enti aggiudicatori, a che «nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture», valutino che il valore economico delle offerte sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e ai costi previsti per la sicurezza;

in particolare il valore del costo del lavoro, al quale fare riferimento per valutarne la congruità, è quello determinato dai contratti collettivi stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi e, in assenza di un contratto applicabile, si farà riferimento al CCNL «del settore merceologico più vicino a quello preso in considerazione»66;

62 Cfr. art.48, c.2

63 Cfr. art. 175, c. 2

64 Cfr. art. 173, c.1, lett. c)

65 Cfr. art. 173, c.3

66 Per la precisone, l’art.26, c. 6 prevede che il costo del lavoro deve essere determinato dal Ministero del Lavoro periodicamente e con la pubblicazione di apposite tabelle, basandosi per l’appunto sui valori economici dei CCNL ma anche sui valori economici «delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali».

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c) una funzione di semplice riferimento; si richiamano qui l’articolo 4, comma 3 e l’articolo 3, comma 10. Il primo è relativo al computo dei lavoratori nelle attività stagionali; il TU nello stabilire che il personale ivi impiegato vada computato «a prescindere dalla durata del contratto e dall’orario di lavoro effettuato», rimanda alla contrattazione collettiva nazionale l’individuazione di attività stagionali diverse da quelle già riconosciute tali dal D.P.R 1525/196367. Il secondo è invece relativo ai lavoratori subordinati che effettuano una prestazione continuativa a distanza; per la verifica della corretta attuazione della normativa sulla sicurezza a questa tipologia di lavoratori, gli accessi al luogo di lavoro da parte del datore, dei RLS e delle autorità competenti, dovranno avvenire «nei limiti della normativa nazionale e dei contratti collettivi». A differenza del punto a), nei casi di cui alle lettere b) e c), possiamo rilevare come il contenuto normativo di riferimento richiamato prescinde da un legame funzionale con il TU.

Dinnanzi a spazi di intervento così limitati per la contrattazione collettiva, non possiamo non segnalare come appaiano in parziale controtendenza le recenti vicende sulla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nell’emergenza del coronavirus.

In particolare si sottolinea l’importanza del Protocollo firmato il 14 Marzo 2020 tra le principali Confederazioni dei datori di lavoro e i Sindacati68. La genesi del Protocollo è stata prima auspicata dal Governo con il Dpcm dell’11 Marzo 202069, in seguito i suoi contenuti sono stati valorizzati e richiamati sempre tramite decreto presidenziale70 fino ad assumere, secondo recente e autorevole dottrina71, una

«potestà lato sensu normativa» a seguito dell’intervento del decreto legge 19/202072.

67 Cfr. art. 4, c. 3

68 Cfr. «Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro», siglato il 14 Marzo 2020 tra Confindustria, Confapi, Confartigianato, Cgil, Cisl, Uil. Per una rassegna degli accordi collettivi ai vari livelli cfr.

https://olympus.uniurb.it/index.php?option=com_content&view=article&id=22008:acc&catid=151&It emid=101

69 Cfr. art. 1, c. 9 del Dpcm 11 Marzo 2020 «Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale» (GU Serie Generale n.64 del 11-03-2020)

70 Cfr. art. 1, c. 3 del Dpcm 22 Marzo 2020 « Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza

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Tornando al sistema delineato dal TU, occorre soffermarsi sul livello negoziale cui si riferiscono i rinvii operati dal D.lgs. 81/2008. In maniera non propriamente omogenea, questi sono talvolta specificamente rivolti agli «accordi interconfederali»73, altre volte alla «contrattazione collettiva nazionale»74 e «di categoria» oppure si fa riferimento alla «contrattazione collettiva» senza ulteriori specificazioni75; talora ci si riferisce ponendo come alternativa una di queste ultime agli Accordi Interconfederali76

È bene chiarire che tutti i livelli negoziali sono coinvolgibili nel regolare la disciplina della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, dagli Accordi Interconfederali ai contratti aziendali; ognuno nel rispetto, anzitutto, dei livelli minimi di tutela stabiliti dalle fonti normative e dal livello contrattuale superiore e, in senso migliorativo, inserendosi negli spazi di intervento dagli stessi concessi. Nel prosieguo del presente capitolo, nell’analizzare i rinvii del TU all’autonomia collettiva, faremo costante riferimento alle scelte pattuite dalle parti sociali negli accordi interconfederali, rinviando al secondo capitolo invece gli interventi operati in alcuni settori produttivi dalla contrattazione nazionale di categoria e da quella aziendale.

Tra le intese interconfederali applicative del TU cui faremo riferimento, la più recente è l’«Accordo interconfederale sulla rappresentanza e pariteticità in materia di salute e sicurezza», allegato all’«Accordo attuativo del Patto per la Fabbrica in tema di salute e sicurezza» firmato il 12 Dicembre 2018 da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, e che ha sostituito integralmente, dopo ventitré anni, l’A.I. del 22 Giugno 1995 attuativo del precedente d.lgs. 626/1994, firmato dalle stesse Confederazioni.

Il sistema dell’artigianato fa invece riferimento a quello che è stato il primo A.I.

epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale» (GU Serie Generale n.76 del 22-03-2020)

71 Cfr. P. Pascucci, Ancora su coronavirus e sicurezza sul lavoro: novità e conferme nello ius superveniens del d.P.C.M. 22 marzo 2020 e soprattutto del d.l. n.19/2020, Diritto della Sicurezza sul Lavoro, 2020, 1, 123

72 Misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19. (GU Serie Generale n.79 del 25-03-2020)

73 Cfr. art. 48, c.3

74 Cfr. art. 37, c. 11; art. 50, c. 3; art. 4, c. 3

75 Cfr. art. 47, c. 5 e c. 6; art. 48, c. 7; art. 49, c. 3; art. 50, c. 1; art. 51, c. 2; art. 3, c. 13

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firmato a seguito del TU del 2008, l’«Accordo applicativo del D.Lgs. 81/2008 e smi»

del 28 Giugno 201177. Per quanto riguarda le PMI bisogna fare riferimento, in ultimo, all’accordo sui RLS e la sicurezza del 20 Settembre 2011 firmato da Confapi78, mentre il vigente AI del sistema cooperativo risale al 5 Ottobre 199579.

2.2 I rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.

Come annunciato, il rinvio più cospicuo operato dalla normativa all’autonomia collettiva riguarda il ruolo dei RLS, figura centrale della sicurezza partecipata, che deve essere presente «in tutte le aziende o unità produttive»80 nella sua declinazione aziendale ed eventualmente territoriale o di sito produttivo81. Qualunque sia il livello di rappresentanza effettivamente operante, unica è la definizione minima data dal Testo Unico alla figura del RLS, egli infatti è la «persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro»82. La modifica e il rafforzamento della dimensione collettiva della rappresentanza per la sicurezza è stata proprio una delle novità più importanti del TU del 2008, necessitata da un cambio di rotta rispetto al «deludente bilancio applicativo»83 del d.lgs. 626/1994; tale rafforzamento si traduce nella effettività ed esigibilità della presenza del RLS84 - in assenza del quale deve essere eletto o

76 Cfr. art. 47, c. 7; art. 48, c. 2

77 La stesura definitiva e la firma finale è stata apposta il 13 Settembre 2011 da Confartigianato, CNA, Casartigiani, Claai e Cgil, Cisl, Uil. L’Accordo ha sostituito interamente quello precedente, risalente al 3 Settembre 1996.

78 Cfr. Accordo interconfederale sui rappresentanti dei lavoratori per la salute e sicurezza in ambito lavorativo e sulla pariteticità (in applicazione al D.Lgs. 9.4.2008 n. 81 e s.m.i.)

79 Cfr. Protocollo d’intesa tra Agci, Cci, Legacoop e Cgil, Cisl, Uil per l’applicazione del D.Lgs.

19.9.94 n.626 (concernente il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro. Dalla lettura dell’ «Accordo interconfederale sulle linee guida per la riforma delle relazioni industriali» firmato il 12 Dicembre 2018 dalle Centrali Cooperative e dalla Triplice, sembrerebbe atteso un nuovo accordo viste le annunciate intenzioni di rinnovare il sistema di relazioni SSL.

80 Cfr. art. 47, c. 2

81 Cfr. art. 47, c.1

82 Cfr. art. 2, c. 1, lett. d)

83 Cfr. P. Campanella, I rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, in L. Zoppoli, P. Pascucci, G.

Natullo (a cura di), Le nuove regole per la salute e la sicurezza dei lavoratori, IPSOA, 2010, 477

84 Cfr. B. Veneziani, L’impatto sulle relazioni industriali, in La nuova normativa su prevenzione e sicurezza, Collana Intersind, 1995, 104, dove l’Autore nel commentare l’art. 18, c. 1 del D.Lgs.

626/1994 - del tutto coincidente con l’art. 47, c.2 dell’attuale TU - afferma che tale previsione sembra

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designato un RLST o un RLS di Sito Produttivo – e in un suo più ampio coinvolgimento nella macchina della sicurezza, con maggiori attribuzioni e più attenzione alla sua formazione. Il RLS rappresenta dunque l’unità di base e deve essere presente in ogni azienda o unità produttiva a prescindere dalle dimensioni aziendali, ed è questa una caratteristica del sistema italiano in Europa, dove diversamente, in molti Paesi, la presenza di una rappresentanza è invece legata al numero di lavoratori assunti85. Se nelle aziende fino a 15 lavoratori, così come previsto anche nella precedente normativa86, può essere individuato di norma un RLST per più aziende, parimenti alla elezione interna del RLS87, la novità introdotta nel 2008 è il carattere suppletivo della figura del RLST (e del RLS-Sp)88, generalizzato a tutte le aziende, di qualsiasi dimensione, in cui non dovesse essere eletto o designato il RLS (salvo diverse intese sindacali) con l’obbiettivo di porre fine a vuoti di rappresentanza89.

In ordine alle scelte effettuate dagli Accordi Interconfederali si può rilevare come il rappresentante territoriale assume oggi una importanza centrale nel settore artigiano, l’Accordo del 2011 prevede infatti che il RLST venga istituito in tutte le imprese che occupano fino a 15 lavoratori, riconoscendo tale figura come «la forma di rappresentanza più adeguata alle realtà imprenditoriali del comparto artigiano»90; anche l’A.I. Confapi prevede che nelle aziende fino a 15 lavoratori il RLS sia di norma territoriale91. La rivalutazione della figura del RLST è peraltro una delle grandi novità dell’Accordo tra Confindustria e Sindacati, dopo che gli industriali si

«indicare un percorso obbligato […], una volontà di imperio che svela la presenza di un interesse super partes di ordine pubblico alla gestione collettiva del valore della salute quando esso si cala all’interno del gioco contrattuale dei privati»

85 Cfr. P. Campanella, I rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza… op.cit., 481

86 Cfr. art. 18, c. 2 del Decreto Legislativo 626/1994

87 Cfr. art. 47, c. 3

88 Cfr. M. Lai, Il diritto della sicurezza sul lavoro tra conferme e sviluppi, Giappichelli, 2017, 135

89 Cfr. art. 47, c. 8

90 Cfr. art. 2

91 Cfr. art.2, c. 1

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son sempre opposti a una sua regolazione, ritenendola una rappresentanza poco aderente alle realtà aziendali di Confindustria92.

2.2.1 Il numero dei RLS e le modalità di elezione e designazione.

Il numero dei RLS presenti in azienda deve essere definito «dagli accordi interconfederali o dalla contrattazione collettiva»93; nel fare ciò l’autonomia collettiva trova un limite posto dalla normativa, la quale stabilisce che i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza devono essere almeno uno nelle aziende o unità produttive sino a 200 lavoratori, minimo 3 e minimo 6 rispettivamente in quelle da 201 a 1000 lavoratori e in quelle con oltre i mille lavoratori94.

Tutti gli accordi interconfederali tengono fermo il numero minimo così come indicato dall’art.47, rimandando alla contrattazione collettiva di categoria la possibilità di aumentarne il numero95. A quest’ultimo proposito, l’accordo attuativo del Patto per la Fabbrica prevede che nelle aziende da 16 a 200 lavoratori, il CCNL possa individuare un numero di RLS superiore a uno nel caso in cui il CCNL stesso

«abbia definito un numero di RSU superiore a quello del TU sulla Rappresentanza del 10 Gennaio 2014»96, mentre nelle aziende con oltre 200 lavoratori la definizione di un numero minimo superiore a quello previsto potrà avvenire sempre ad opera dei CCNL «in relazione all’individuazione di specifiche esigenze di prevenzione e protezione dai rischi connesse all’attività lavorativa, individuabili anche da apposite commissioni paritetiche di categoria»97.

92 Cfr. C. Frascheri, Una conferma del modello partecipativo quale via privilegiata per la prevenzione e le tutele della salute e sicurezza sul lavoro dalle Parti sociali per il settore industria. Intesa tra Confindustria e Cgil, Cisl, Uil, sui temi della salute e sicurezza sul lavoro, in Diritto della Sicurezza sul Lavoro, 2018, 2, 14, l’Autrice enfatizza questo cambio di passo e lo riconduce al cambiamento della dimensione media delle imprese aderenti all’organizzazione, oltre a una crescente pressione proveniente dalle emanazioni territoriali e dagli organismi paritetici.

93 Cfr. art. 47, c. 7, ultimo periodo

94 Cfr. art. 47, c. 7, primo periodo

95 Cfr. punti 2.2, 2.3.1,2.3.2 AI Confindustria; art.3 AI Confapi; cfr. punti 4.1, 4.2, 4.3 AI Cooperative; punti 2 e 2.2 AI Artigiani

96 Cfr. il punto 2.3.1

97 Cfr. punto 2.3.2; analoga previsione è riscontrabile nei punti 4.2 e 4.4 dell’AI Cooperative

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