Analisi degli script originali e localizzati dei principali titoli della saga di Tomb Raider
Capitolo 4: Il videogioco come sistema culturale e il ruolo del traduttore
4.1 Videogiochi e cultura
4.1.1 Il videogioco come sistema culturale
Mäyrä (2008:12) sostiene che il videogioco non vada più considerato, nell’ambito di uno studio accademico, come parte di altre aree, bensì come una forma di cultura a sé stante:
Contemporary game studies differ from the earlier traditions of studying games within such disciplines as history, ethnography, military simulation or educational sciences principally for the emphasis on games as a particular form of culture.
Il motivo, prosegue, è legato alla già menzionata pervasività del gioco in ogni sua forma nella società moderna, e questa presa di posizione del videogioco come forma culturale viene paragonata al cultural turn degli anni ’90 all’interno dei Translation Studies:
It has become customary to speak about a ‘cultural turn’, which relates to the increasing role of linguistics and meaning for academic study. This development has often been linked philosophically to social constructionism, the view that our perceptions of reality are socially and culturally produced, rather than independent and objective facts. (13)
Ciò porta alla definizione di game culture come un system of meaning che è possibile paragonare al linguaggio stesso, ma anche alla musica o alla danza. L’autore sostiene che il gioco è stato spesso paragonato ad altre forme di storytelling come la letteratura e il cinema, ma vi sono altri modi per un gioco di produrre significato, proprio come la musica trasmette il suo significato attraverso un canale non linguistico. Il videogioco, in particolare, si avvale di canali linguistici e visuali per trasmettere il proprio significato, ma è presente una componente fondamentale, quella dell’interazione, che rappresenta una forma di comunicazione a sé stante.
Si tratta di quell’elemento astratto che si può definire gameplay. Si tratta delle regole fondamentali che stanno alla base di un gioco (video o altrimenti), le quali definiscono l’esperienza: “Gameplay is what you do. It’s not the interface (thus, saving your game is not gameplay), it’s not the graphics and it’s not the story. It’s the part of the game that absolutely requires the player’s participation.” (14). Vi sono
quindi delle component visive, sonore, testuali, ma vanno tutte a servire quello che rende un videogioco tale, ovvero la partecipazione attiva dell’utente: “Gameplay isn’t the entire experience of a game, but it’s what makes it a game, what makes it this game.” (von Barth, in Newman e Simons, 2007: 67).
Date queste caratteristiche uniche, il videogioco si distingue in maniera significativa dalla letteratura o dal cinema, e può pertanto essere considerato e studiato in ogni suo aspetto come forma culturale a sé stante, per quanto indubbiamente assorba influenze da altre forme culturali come l’arte.
Non è d’altro canto facile far rientrare il videogioco in una classificazione precisa in quanto forma artistica, poiché vi è uno spettro talmente ampio di tipologie di videogiochi, ognuno con il proprio scopo, i quali vanno a coprire “esigenze” completamente diverse: un videogioco potrebbe focalizzarsi completamente sulla storia, offrendo quindi un’esperienza narrativa simile a quella di un libro. Un altro potrebbe invece puntare su un comparto visivo che ricorda quello di una pièce teatrale. Ancora, e significativamente, un videogioco potrebbe staccarsi completamente da ciò che viene classificato come “arte” e proporsi come una forma esclusivamente competitiva, associabile quindi a uno sport o a un hobby.
Per quanto, come riporta ancora Mayra (23), considerare il videogioco come parte di una definizione di cultura ripresa dal campo dell’antropologia culturale, come la seguente:
The system of shared beliefs, values, customs, behaviours, and artefacts that the members of society use to cope with their world and with one another, and that are transmitted from generation to generation through learning. (Bates and Fratkin, 2002: 7)
possa sembrare azzardato, i numeri visti nel primo capitolo suggeriscono che il videogioco ha in effetti una parte importante nella vita delle persone, almeno per quanto riguarda certi range demografici e geografici.
L’importanza e l’impatto del videogioco che emerge come forma culturale a sé vanno a mettere in primo piano il significato della localizzazione videoludica, in quanto assume un ruolo di primaria importanza nel trasmettere le manifestazioni della game culture del luogo di origine e modificarle e adattarle per il luogo di arrivo.
Secondo la teoria dei polisistemi sviluppata da Even-Zohar (1990), la letteratura tradotta può giocare un ruolo più o meno importante a seconda del sistema letterario in oggetto, ma in ogni caso il suo ruolo viene definito dalla cultura di arrivo e non dalla cultura di partenza. Si tratta quindi di una forma di adattamento agli stilemi dettati dal sistema letterario preesistente. Allo stesso modo si può supporre che la parte testuale di un videogioco si conformi a questo tipo di transizione durante il processo di traduzione, adattandosi quindi alla cultura di arrivo: è ancora una volta quello che la localizzazione vuole intendere con il trasmettere il look and feel del testo originale. Tuttavia, se si considera il videogioco come forma culturale a sé stante, esso va visto, al momento di portarlo verso un’altra cultura, nella sua totalità: come prodotto sì testuale ma anche visivo, sonoro, interattivo. Non è però semplice adattare un videogioco alla cultura di arrivo a livello, ad esempio, di prodotto visivo, a meno di ricorrere a elementi come la censura, scene tagliate o altri espedienti di questo tipo. A conti fatti, la localizzazione rimane il processo che in maniera più preponderante decide e decreta in che modo si voglia far percepire un videogioco nella cultura di arrivo, controllandone e decidendone l’appartenenza al sistema culturale e agli stilemi della game culture del paese di arrivo.