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"Il made in Italy in Cina: risultati di una ricerca di mercato per il settore agroalimentare"

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Economia e Management

Corso di laurea magistrale in “Marketing e Ricerche di Mercato”

Tesi dal titolo:

“Il made in Italy in Cina: risultati di una ricerca di mercato per il

settore agroalimentare”

Relatore:

Relatore

Candidato:

Prof. Monica Pratesi

Monica Manzo

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INTRODUZIONE   4

 

CAPITOLO 1   6

 

1.1 INTRODUZIONE   6

 

1.2 IL MADE IN ITALY: COMPONENTI MATERIALI E SIMBOLICHE   6

 

1.3 I PRINCIPALI SETTORI ESPORTATI   9

 

1.4 LE RELAZIONI COMMERCIALI DELL’ITALIA NEL PERIODO 2012-2013   10

 

1.5 LE RELAZIONI COMMERCIALI ITALIA-CINA   11

 

CAPITOLO 2   15

 

2.1 INTRODUZIONE   15

 

2.2 IL MERCATO AGROALIMENTARE IN CINA   15

 

2.3 L’EXPORT AGRO-ALIMENTARE ITALIANO IN CINA   19

 

2.3.1FOCUS SUI PRODOTTI TRAINANTI IL MADE IN ITALY   20

 

CAPITOLO 3   35

 

3.1 INTRODUZIONE   35

 

3.2 MODALITÀ DI ENTRATA   35

 

3.2.1MODALITÀ D’ENTRATA ESPORTATIVE   37

 

3.2.2MODALITÀ D’ENTRATA CONTRATTUALI   45

 

3.2.3MODALITÀ DI ENTRATA CON INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI   50

 

3.3 I FATTORI D’INFLUENZA   52

 

3.3.1FATTORI INTERNI   53

 

3.3.2FATTORI ESTERNI   56

 

3.4 CANALI DI DISTRIBUZIONE NEL MERCATO CINESE   62

 

3.4.1LA STRUTTURA DELLA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE   63

 

3.5 LE FOREIGN INVESTED COMMERCIAL ENTERPRISES (FICE)   70

 

3.6 LE POTENZIALITÀ DEL CANALE ON LINE NEL MERCATO CINESE   70

 

3.7 IL SISTEMA DELLA DISTRIBUZIONE AL DETTAGLIO IN CINA   72

 

3.8 LE FORME DISTRIBUTIVE PIÙ DIFFUSE SUL MERCATO CINESE   76

 

3.9 MADE IN ITALY IN CINA: LA DISTRIBUZIONE   79

 

3.9.1LA DISTRIBUZIONE DELL’AGRO ALIMENTARE   79

 

CAPITOLO 4   85

 

4.1 INTRODUZIONE   85

 

4.2 IL PERCHÉ DELL’INDAGINE: RICONOSCIMENTO E DEFINIZIONE DEL PROBLEMA   85

 

4.3 OBIETTIVI DELL’INDAGINE   88

 

4.4 PERIODO DI SVOLGIMENTO   88

 

4.5 IL CAMPIONAMENTO   88

 

4.5.1INDIVIDUAZIONE DI AGGREGATI DI UNITÀ PER UN’EVENTUALE SELEZIONE A PIÙ STADI   90

 

4.6 FASI DELLA RICERCA   93

 

4.7 QUESTIONARIO   93

 

4.8 STIME PUNTUALI   97

 

4.9 STIME INFERENZIALI   99

 

CAPITOLO 5   103

 

5.1 INTRODUZIONE   103

 

5.2 I LUOGHI E I CRITERI DI ACQUISTO   103

 

5.3 I CIBI PREFERITI DAL CAMPIONE   107

 

5.3.1IL CONSUMATORE DI CIBO EUROPEO   108

 

5.4 L’INTERNET RETAILING PER I PRODOTTI INTERNAZIONALI   111

 

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5.4.2COLORO CHE ACQUISTANO CIBO INTERNAZIONALE IN RETE   112

 

5.5 IL MADE IN ITALY   115

 

5.1.1LA CONOSCENZA   115

 

5.6 LA PERCEZIONE   118

 

5.7 LA DIFFUSIONE DI CAMPAGNE PUBBLICITARIE PER I PRODOTTI MADE IN ITALY   120

 

CONCLUSIONI   121

 

BIBLIOGRAFIA   123

 

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Introduzione

La Cina, per la forza dei suoi numeri, è destinata a essere il più grande mercato di consumo del mondo.

Negli ultimi tempi “la terra del dragone” ha deciso di assegnare maggiore priorità allo sviluppo del mercato interno e non più al solo sviluppo delle esportazioni. Accedere a un mercato potenziale di questa dimensione vorrà dire, per le aziende che ci riusciranno, un importante aumento dei volumi di vendita, ma anche, cosa più importante per le piccole aziende italiane, l’opportunità di accrescere significativamente la propria dimensione e capacità competitiva a livello mondiale. Questo, ovviamente, se saranno capaci di operare in Cina bene e meglio dei loro competitor diretti.

Il settore economico di riferimento nel presente elaborato è l’agroalimentare italiano, che sta conquistando la Cina e che nel 2013 ha esportato beni per quasi 13 miliardi di euro, in crescita rispetto al 2012. Questi dati ne fanno uno dei settori più dinamici del Made in Italy in Cina. Nella prima parte della tesi sono stati presi in considerazione dati secondari inerenti alle relazioni commerciali Italia-Cina riguardo al settore alimentare. Sono state inoltre illustrate le varie possibilità di entrata per le aziende italiane in Cina e le modalità di distribuzione disponibili per la commercializzazione dei prodotti da esportare.

La seconda parte del lavoro, invece, è interamente dedicata all’analisi di mercato svolta sul campo, in particolare presso la Nanjing Audit University, a Nanchino, Jiangsu province.

La ricerca di mercato svolta ha avuto come oggetto il settore agroalimentare italiano in Cina. Tramite un attento piano di campionamento è stato estratto un campione di 450 studenti universitari cinesi ai quali è stato sottoposto un questionario cartaceo auto-somministrato con ausilio dell’intervistatore.

I dati sono stati poi archiviati in un database e analizzati accuratamente in modo da fornire una approfondita descrizione del consumatore cinese di età compresa tra i 18-24 anni.

Il quadro finale ottenuto consente di affermare che la penetrazione dei prodotti alimentari e della ristorazione italiana in Cina presenta, insieme, rischi e opportunità:

• rischi perché il forte legame della popolazione locale con le proprie tradizioni gastronomiche è molto forte, per cui è difficile al momento prevedere un cambiamento sostanziale nelle abitudini alimentari cinesi. La cucina italiana suscita senza dubbio un altissimo interesse tra i giovani, è apprezzata per le proprietà salutari, ma non è ancora nella posizione di “sfondare” il muro delle tradizioni alimentari locali. In sostanza è difficile ipotizzare, come avvenuto in alcuni mercati esteri, che la cucina italiana diventi un modello alimentare di massa;

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attraente per diverse fasce della popolazione cinese. Mentre in passato solo le fasce più ricche potevano accedere ai nostri prodotti, oggi l’emergere della classe media sta "cambiando le carte in tavola" e una quantità crescente di consumatori può permettersi il prodotto italiano.

In conclusione, le aziende italiane devono rispondere alla domanda di prodotti italiani con beni che rientrano nelle aspettative dei consumatori cinesi.

In altre parole, dobbiamo caratterizzare i nostri prodotti con ciò che i cinesi sono capaci di riconoscere come “italiano”. La ricerca compiuta ha dimostrato come un numero elevato di soggetti provenienti da città costiere mostra forti segnali di occidentalizzazione nei consumi alimentari.

Il mercato continua a crescere nel medio termine e nel giro di pochi anni avrà dimensioni molto superiori a quelle attuali; la legislazione locale sarà progressivamente semplificata, facilitando l’ingresso sul mercato di nuovi importatori e distributori.

Mangiare cibo italiano sarà sempre più di moda e darà profitti adeguati agli operatori più dinamici del settore, inducendo sempre più cinesi e italiani ad investire in questo business.

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Capitolo 1

1.1 Introduzione

Il seguente capitolo affronterà nelle sue prime pagine il tema del made in Italy; esploreremo insieme le caratteristiche per cui un prodotto possa godere di questa denominazione e gli aspetti più intrinseci e simbolici che ne permettono la conoscenza sul mercato internazionale.

La capacità di tale patrimonio culturale di evocare e di far vivere ai suoi consumatori un mix di sensazioni, emozioni e status permette all’export italiano di raggiungere i mercati più lontani e difficili, come ad esempio la Cina. A tal proposito e ai fini della ricerca che sarà presentata nei capitoli successivi verrà tracciato lo stato attuale delle relazioni commerciali Italia-Cina ponendo enfasi sui settori più esportati del made in Italy nella “Terra del dragone”.

1.2 Il made in Italy: componenti materiali e simboliche

In un contesto di globalizzazione dei mercati, fortemente dinamici e competitivi , il tema del “paese d’origine” assume un’indubbia rilevanza nel processo di internazionalizzazione anche delle imprese italiane che possono rintracciare, in attributi valoriali e simbolici come il made in italy, un importante fattore di differenziazione dell’offerta.

Cosa esattamente significa “made in italy”?

La marchiatura made in Italy su un prodotto può essere apposta soddisfacendo precisi requisiti;

 

l'istituto per la Tutela dei Produttori Italiani ha realizzato un sistema di certificazione in base al quale i produttori distinguono le loro creazioni da quelle di dubbia provenienza italiana, dando certezza al consumatore finale sull'origine e la qualità.

L'iter di Certificazione si avvia con la sottoscrizione volontaria da parte dell'Azienda del Regolamento del Sistema IT01 e della Richiesta di Certificazione.

 

Ad oggi, dopo diverse controversie e svariate modifiche normative è possibile inserire la dicitura made in Italy soltanto se:

• il prodotto è stato interamente realizzato in Italia oppure se

• ai sensi dell’art. 36 del Codice Doganale Comunitario Aggiornato, il bene ha subito in Italia l’ultima trasformazione sostanziale;

in particolare, i prodotti che si intendono commercializzare, usando i marchi e i segni distintivi "made in Italy Certificate", devono anche essere realizzati con semilavorati Italiani, costruiti con materiali naturali di qualità e di prima scelta, costruiti adottando le lavorazioni artigianali tradizionali tipiche italiane .

I prodotti simbolo del made in Italy sono sostanzialmente attribuibili a tre categorie di beni: - i beni durevoli per la cura della persona (es: abbigliamento, calzature, gioielli);

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- i prodotti per l’arredamento, (es: mobili, cucine, piastrelle, rubinetteria);

- i beni alimentari che fanno parte della nostra tradizione (la cosiddetta dieta mediterranea)2; È evidente che questi settori merceologici non possono esaurire l’intero export italiano, ed è per questo che vengono inclusi anche i settori della meccanica e delle autovetture.

L’espressione made in italy dal designare l’origine delle specializzazioni internazionali del sistema produttivo italiano si è comunque arricchita col tempo di nuovi significati e si sta evolvendo verso un fenomeno più complesso.

Sinonimo di leadership nel design, di qualità e affidabilità riconosciute a livello mondiale, il made in italy è ormai una sorta di marchio collettivo che richiama alla mente l’immagine unica e distintiva delle nostre produzioni, la creatività, la capacità d’innovazione e lo stile di vita tipici italiani. Il made in Italy, fondato su valori unici e connotato da una forte valenza simbolica, può diventare, in un’ottica di country branding, paragonabile a un megabrand.

Infatti, un country brand diventa un megabrand quando gode di un accumulo di risorse fiduciarie e reputazionali tali da agevolare un rapido processo di accreditamento presso i molteplici pubblici internazionali sotto il profilo della notorietà, dell’appeal e della creatività. In altri termini il megabrand rappresenta una sorta di lingua franca, capace di comunicare in modo quasi automatico ad una varietà di destinatari appartenenti a contesti, luoghi e culture differenti. Il made in italy può essere così inteso come un processo di elaborazione d’indentità finalizzato a trovare nuovi equilibri tra componenti tecnico-economiche e componenti culturali.

L’analisi delle diverse interpretazioni del fenomeno made in Italy, mette in luce che il fattore di distintività è la forte connessione tra prodotto e territorio. Il forte legame del prodotto con la dimensione locale, portatrice di un’identità unica, rappresenta un elemento di straordinaria efficacia su cui fondare il processo di creazione di valore delle imprese italiane.

Paradossalmente, un effetto della globalizzazione è proprio quello di aver conferito un vantaggio competitivo all’identità locale del prodotto made in Italy che, da sempre, si contraddistingue all’estero per la sua elevata qualità e originalità, frutto di tradizioni e competenze storiche, radicate in particolari territori.

A fronte di un apprezzamento delle produzioni italiane nel mondo, ma di un quadro ancora poco chiaro circa il vissuto del made in Italy da parte dei consumatori esteri, è interessante evidenziare quanto emerso da un’indagine che evidenzia gli aspetti distintivi qualificanti dei prodotti italiani di successo:

- l’estetica, garanzia di stile ed eleganza, indicata quale valore che pervade non soli i prodotti, ma anche lo stile di vita degli italiani;

- l’artigianalità, sinonimo di passione, creatività e cura per i dettagli, alla base delle produzioni alimentari di eccellenza (pensiamo ai vini DOC, all’olio extra vergine, al Parmigiano Reggiano e al caffè espresso);

                                                                                                               

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- la cultura, intesa come rapporto vivo e consapevole con il territorio, la sua storia e le sue radici; - la qualità sociale e relazionale, determinata dal forte legame con i valori tradizionali, come la

famiglia e la comunità di appartenenza, che diventa un punto di forza anche sotto il profilo economico-produttivo (si pensi alla dimensione familiare e distrettuale di molte piccole e medie imprese italiane);

- la varietà - molteplicità, espressione della ricchezza non solo naturale-paesaggistica ma anche culturale-produttiva.

La percezione che emerge, riconosce, ai prodotti del made in Italy, non solo un elevato valore intrinseco (valore d’uso), in quanto “ingredienti” strumentali al raggiungimento di una migliore qualità della vita, ma anche un elevato valore simbolico, grazie alla loro capacità di evocare la cosiddetta “dolce vita italiana”.

Si pensi, ad esempio, alla dieta mediterranea che, grazie alla forte valenza culturale, è stata riconosciuta patrimonio immateriale dell’umanità.

La principale forza del modello produttivo italiano risiede nella capacità di coniugare, in modo inedito e difficilmente imitabile, istanze apparentemente poco conciliabili come la tradizione e la modernità, l’artigianalità e l’innovazione tecnologica, la passione per l’estetica e la funzionalità. Questi valori, connaturati all’identity del megabrand Italia e dei suoi prodotti, sembrano poter soddisfare quelle istanze, anche di tipo immateriale, espresse da un numero crescente di segmenti di consumatori europei ed extraeuropei. Tuttavia se da un lato la globalizzazione può accrescere il valore delle specializzazioni, accentuando i punti di forza (reali o percepiti) del Paese d’origine, dall’altro non pochi studiosi rilevano come la diffusione dei prodotti cosiddetti “ibridi” (prodotti le cui componenti derivano da più paesi) possa ridurre l’importanza stessa della provenienza dell’offerta. La grande sfida nella competizione globale è garantire che il made in Italy sia interpretabile “in nuove lingue, pur conservando una forte identità distintiva” e sia capace di generare “nuove filiere” in aree di prodotto-mercato finora poco esplorate.

In questo quadro, è facilmente comprensibile come la gestione strategica del patrimonio socio-culturale ed economico del made in Italy, nei mercati in espansione come la Cina, rappresenti il nuovo confronto competitivo per quelle realtà aziendali italiane che mirano a sviluppare e consolidare il proprio business a livello internazionale.

È proprio da questa consapevolezza che è stata elaborata e realizzata la ricerca che sarà presentata nei capitoli successivi.

La Cina, seconda potenza economica mondiale dopo gli Stati Uniti e davanti al Giappone, si configura, infatti, non più solo come minaccia in termini competitivi, ma anche come opportunità di crescita dove poter sfruttare e valorizzare l’immagine distintiva dei prodotti delle imprese manifatturiere italiane.

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Il forte dinamismo dell’economia cinese è confermato anche dagli ultimi dati ufficiali secondo i quali il PIL nel 2011, pari a oltre 5880 miliardi di euro, è cresciuto del 9,2%. Da area per l’approvvigionamento di materie prime e di manodopera a basso costo, la Cina è divenuta anche un mercato di sbocco fortemente in espansione, grazie soprattutto all’affermarsi della nuova classe media, il cui reddito sta crescendo, così come la domanda di beni e servizi.

Nel contesto di una crisi internazionale che continua a manifestare i suoi effetti, provocando nella maggior parte dei Paesi Occidentali una contrazione dei consumi, in Cina vi sono circa 250 milioni di abitanti (su una popolazione di 1,3 miliardi) in grado di esprimere per gusti e capacità di spesa una domanda qualificata che può essere soddisfatta anche dal made in Italy. L’attaccamento alle tradizioni è infatti accompagnato dalla crescente propensione, soprattutto nelle fasce più giovani della popolazione, all’acquisto di marchi internazionali, percepiti di elevata qualità e strumentali alla condizione sociale che vuole essere trasmessa all’esterno. In quest’ottica, il made in Italy, sintesi di qualità, lusso, creatività e design, sembra poter rafforzare la marca come espressione di status sociale, accrescendone il potere attrattivo agli occhi del consumatore cinese.

Tuttavia, in questo paese la domanda manifesta istanze in continua evoluzione e ricche di contraddizioni, che sembrano sfidare la forza del made in Italy, il cui ruolo nella creazione del valore di marca assume significati peculiari e impone nuovi e importanti interrogativi sulle tradizionali leve competitive delle imprese italiane, come la qualità, il prezzo e l’innovazione. La forte pressione concorrenziale esercitata dalla Cina, infatti, deriva non solo dal più basso costo del lavoro rispetto all’Occidente, ma anche da macchinari importati di ultima generazione (in primo luogo dall’Italia), dalla capacità di imitare (e purtroppo non di rado anche di contraffare), dall’innalzamento progressivo della qualità sia dei prodotti sia dei processi.

La necessità di un progressivo insediamento nel mercato cinese, ricco di opportunità, ma altamente complesso, determina per le imprese italiane l’esigenza di elaborare uno specifico percorso strategico, all’interno del quale assume un ruolo fondamentale la conoscenza dei settori e del mercato di riferimento.

1.3 I principali settori esportati

Come già argomentato, il made in Italy, con la sua complessità e diffusione trasversale nei molteplici contesti settoriali del sistema imprenditoriale italiano, rappresenta un patrimonio socio-economico a elevato valore. La qualità, il design e l’affidabilità sottesi a questo megabrand hanno consentito di ottenere posizioni di eccellenza in diverse nicchie del mercato internazionale dove il made in Italy è presente con marchi di elevato prestigio. In particolare, com’è noto, la nostra competitività sui mercati rimane legata al modello di specializzazione

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riconducibile essenzialmente a quelle che vengono definite le “4A”: Agroalimentare, Abbigliamento-moda, Arredamento-casa, Automazione-meccanica3.

L’appeal che l’Italian life-style assume agli occhi dei consumatori cinesi offre buone prospettive di sviluppo soprattutto ai diversi comparti del sistema moda, tra i quali anche l’oreficeria e gioielleria.

In particolare accanto alle ipotesi di un forte incremento nei ritmi di espansione del comparto meccanico e alimentare, la grande sfida è rappresentata dalla crescita nelle vendite nei beni di lusso, dove la Cina si sta avviando a diventare il primo mercato al mondo, sorpassando Stati Uniti e Giappone4.

La prima voce dell’export italiano è rappresentata dai “macchinari e apparecchiature” che da soli costituiscono quasi la metà del totale esportato verso la Cina, seguita dai “prodotti chimici” e dagli “articoli di pelle (escluso abbigliamento e simili) ” che hanno registrato una crescita del ben 36% rispetto al 2010. Interessante evidenziare l’importanza crescente dai “prodotti tessili” che, dalla decima posizione del 2010, sono diventati l’ottavo settore con incremento del 17,8%, mentre gli “articoli di abbigliamento (anche in pelle e pelliccia) ” occupano l’undicesima posizione nella classifica. I “prodotti alimentari e bevande” sono al 14° posto ma hanno ottenuto un incremento del 26,9%, mentre i mobili sono al 17° con un aumento rilevante del 39,6%. Sintetizzando le informazioni appena citate, così da ottenere una panoramica di sintesi delle performance dei quattro macrosettori dell’eccellenza manifatturiera italiana, si rileva che: • l’Automazione-meccanica è l’attività primaria dell’export in Cina con 4.519 milioni di euro; • Segue l’abbigliamento-Moda con 1.754 milioni di euro

• Arredo-casa con 600 milioni di euro

• Agro-alimentare con quasi 225 milioni di euro.

1.4 Le relazioni commerciali dell’Italia nel periodo 2012-2013

Per l’anno corrente l’Istat segnala che le vendite italiane all’estero hanno inaugurato il 2013 con un balzo dell’8,7% tendenziale, cioè su base annua (a gennaio rispetto allo stesso mese del 2012) mentre le importazioni sono risultate in discesa (-1,8%).

Su base congiunturale, cioè mensile (da dicembre 2012 a gennaio 2013) entrambi i flussi con l’estero risultano positivi, con un rialzo più marcato delle esportazioni (+1,4%) e uno più lieve dell’import (+0,4%). Si assottiglia quindi il deficit della bilancia commerciale; il saldo commerciale a gennaio è stato ancora negativo (-1,6 miliardi) ma in forte miglioramento rispetto al gennaio del 2012 (-4,6 miliardi) e rappresenta una sintesi fra un limitato surplus con i Paesi dell’Ue (+0,7 miliardi) e un deficit con gli Stati extra Ue (-2,3 miliardi).

                                                                                                               

3 Fortis M. (2005), Il made in Italy nel nuovo mondo: protagonisti, sfide, azioni, Il Mulino, Bologna 4 Pegan G. (2011), Il made in Italy in Cina: un quadro di sintesi, Cedam, Padova

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Quanto ai prodotti italiani che sono più apprezzati oltre i nostri confini, a gennaio rispetto a dodici mesi prima risulta molto forte l’espansione delle vendite di prodotti alimentari, di bevande e di tabacco (+21,5%), seguite dagli articoli farmaceutici, chimico-medicinali e botanici (+17,2%) e infine dagli apparecchi elettrici (+16,2%).

Le importazioni su base annua sono invece in contenuta diminuzione nonostante il forte incremento degli acquisti dal Belgio (+36,1%), dalla Turchia (+25,9%) e dalla Russia (+23,6%). L’associazione Coldiretti sottolinea, in particolare, il grande successo che continua ad avere all’estero la produzione agroalimentare italiana. Con un balzo record del 21% il made in Italy enogastronomico segna a gennaio un tasso di crescita più che doppio rispetto alla media (+8,7%) e questo dopo un 2012 che già è stato da record, con un fatturato di settore pari a 31,8 miliardi di euro. Il vino è stato nel 2012 il prodotto agroalimentare più esportato dall’Italia con un valore record di 4,7 miliardi di euro, seguito dall’ortofrutta fresca, dalla pasta e dall’olio di oliva che sono i componenti base della dieta mediterranea riconosciuta in tutto il mondo per le sue qualità a vantaggio della salute5.

1.5 Le relazioni commerciali Italia-Cina

Nonostante la crisi internazionale continui a produrre i suoi effetti, la competitività del made in Italy nei mercati esteri ha evidenziato una ripresa. Dopo l’anno critico del 2009, in cui le esportazioni italiane a livello mondiale erano diminuite del 25%, si sta, infatti, assistendo a un progressivo sviluppo dell’export globale con un incremento dell’11.4% nel 2011, grazie soprattutto alla dinamicità dei Paesi extra UE (+16,7%). Tra questi, i cosiddetti BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) hanno un’incidenza ormai rilevante sul totale dell’export italiano: in dieci anni il loro peso è più che raddoppiato passando dal 3,2% del 2000 al 7,5% del 2011 (ICE-ISTAT, 2012).

Tab.1-Le esportazioni dell’Italia verso i principali Paesi di sbocco6

Paesi     Export  (migliaia  di  euro)  

    2010   2011   Var  %   Germania   43.869.411   49.347.914   12,5   Francia   39.238.726   43.709.765   11,4   Stati  Uniti   20.330.329   22.858.916   12,4   Svizzera   15.824.008   20.656.369   30,5   Spagna   19.597.691   19.887.903   1,5   Regno  Unito   17.577.481   17.519.317   -­‐0,3  

                                                                                                               

5 La Stampa, “Made in Italy, il 2013 parte col turbo” 3/03/2013 di Luigi Grassia 6 Elaborazioni ICE su dati ISTAT (2012)

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Cina   8.623.464   10.022.406   16,2   Belgio   8.678.863   9.750.022   12,3   Turchia   8.028.933   9.628.400   19,9   Polonia   8.554.294   9.410.111   10,0   Russia   7.907.124   9.314.682   17,8   Paesi  Bassi   8.368.796   9.117.185   8,9   Austria   8.003.669   8.709.341   8,8   Romania   5.192.019   6.044.662   16,4   Brasile   3.878.881   4.788.019   23,4   Grecia   5.472.628   4.757.362   -­‐13,1   Giappone   4.011.932   4.738.772   18,1  

Emirati  Arabi  Uniti   3.685.439   4.736.233   28,5  

Hong  Kong   3.610.707   4.179.552   15,8  

Repubblica  Ceca   3.581.971   4.163.993   16,2  

MONDO   337.434.622   375.975.611   11,4  

Interessante evidenziare che le vendite italiane dei prodotti cosiddetti “belli e ben fatti” del made in Italy, emblema dell’eccellenza manifatturiera italiana, hanno raggiunto un valore di 51 miliardi di euro nel 2011 (pari al 14% di tutto il manifatturiero italiano). Si prevede che, nei prossimi cinque anni, la domanda globale d’importazioni di questa categoria nei trenta principali nuovi mercati emergenti crescerà fino a 136 miliardi di euro (+44% rispetto a oggi). A trainare questo sviluppo sarebbero almeno per un terzo la Russia, la Cina e gli Emirati. Il riposizionamento geografico del nostro export, iniziato già nel corso degli anni Novanta, si è intensificato nel primo decennio del 2000, con un tasso di crescita medio annuo del 12% verso i Paesi emergenti, contro il 7% di crescita dell’export verso i Paesi avanzati.

Tuttavia, come si approfondirà, la Cina, anche se è il secondo tra i paesi clienti del made in Italy extra UE dopo gli Stati Uniti, costituisce un mercato in cui il valore dell’export italiano è ancora piuttosto basso, ben lontano dalle esportazioni verso i principali partner europei.

Focalizzandoci ora sulle relazioni commerciali Italia-Cina, l’Italia occupa l’undicesimo posto tra i principali Paesi di destinazione delle esportazioni della Cina7- che da sempre privilegia

come partner l’Asia (35,4% nel 2011), l’Europa (19,7% nel 2011) e gli Stati Uniti (17,9% nel 2011) – mentre si trova in ventesima posizione nella classifica generale dei Paesi fornitori da cui proviene l’import della Cina, e nella terza come partner europeo dopo la Germania e la Francia.

                                                                                                               

7 Nel 2011 le esportazioni globali della Cina hanno raggiunto un valore totale di 1.899.280 milioni di USD, registrando una crescita

del 19,5% pari al 27,3% del PIL. La crisi globale ha determinato un ridimensionamento della quota dell’export sul PIL cinese, che, con la lenta ripresa dei mercati di sbocco, sembra continuerà anche nel 2012. La composizione delle esportazioni cinesi sotto il profilo merceologico è piuttosto concentrata: circa il 49,7% è costituito da macchinari e mezzi di trasporto, mentre il 23,8% riguarda i prodotti derivanti dalle attività manifatturiere (Euromonitor International, 2012, Country profile, January).

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La crescente rilevanza assunta dalla Cina come mercato di sbocco per i prodotti made in Italy è testimoniata dalla progressiva scalata in classifica nella graduatoria dei Paesi destinatari dell’export italiano: da 14° nel 2007, la Cina è divenuta il nostro 7° cliente nel 2011 (nel 2010 era 8°), ma è il 1° extra UE, mentre conferma la terza posizione come fornitore nella graduatoria dei Paesi di provenienza dell’import dell’Italia.

Tab.2-Posizione acquisita dall’Italia e dalla Cina rispettivamente come Paese fornitore e cliente8 Posizione  occupata  dall'Italia  come  fornitore  e  cliente  della  Cina    

  2007   2008   2009   2010   2011  

Italia  fornitore  della  Cina   21°   20°   20°   20°   20°  

Italia  cliente  della  Cina   11°   11°   12°   10°   11°  

Posizione  occupata  dalla  Cina  come  fornitore  e  cliente  dell'Italia    

  2007   2008   2009   2010   2011  

Cina  fornitore  dell'Italia   3°   3°   3°   3°   3°  

Cina  cliente  dell'Italia   14°   14°   11°   8°   7°  

Pur rimanendo ancora esigui, il valore delle nostre esportazioni nel mercato cinese in dieci anni è più che triplicato: dai 3.274 milioni di euro di merci esportate nel 2001, si è passati agli oltre 10.000 milioni di euro di export nel 2011, con un incremento del 16,2% rispetto al 2010. Si tratta di un valore ancora lontano dalle esportazioni della Germania verso la Cina (68.962 milioni di euro) e della Francia verso la Cina (14.262 milioni di euro.)9. È importante tuttavia evidenziare che, anche nell’anno critico 2009, quando le esportazioni subirono flessioni verso tutti i principali Paesi di sbocco, lo scambio con il Paese asiatico registrò una crescita del 3,1%. I prodotti del made in Italy che riscontrano maggiore successo, come sarà approfondito in seguito, sono i macchinari, le pelli e gli articoli in pelle, i prodotti chimici, con un notevole incremento dei prodotti d’abbigliamento, gioielli e cibo.

Volendo tracciare un profilo della provenienza geografica del nostro export, si evidenzia il ruolo svolto dall’Italia nord-occidentale (in particolare Lombardia e Piemonte), che pesa per circa il 45,8% del valore totale dell’export italiano verso la Cina. In seconda posizione si trova l’Italia nord-orientale, dove spicca il Veneto, seguito da Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia. Posizioni più deboli, sono occupate dall’Italia Centrale, con protagonista la Toscana, e il Mezzogiorno, dove emerge il ruolo della Campania10.

                                                                                                               

8 Fonte:Adattamento da Osservatorio Economico su dati FMI-DOTS(2012)

9 Cfr. dati http://comtrade.un.org/.

(14)

Esaminando lo scambio sotto il profilo delle importazioni provenienti dal mercato cinese (eccezion fatta per l’anno 2009 dove si assistette a un decremento del 18%), il loro valore è sempre stato crescente e superiore11 a quello dell’export made in Italy.

Sotto il profilo merceologico, le categorie principalmente importate dal mercato cinese sono i prodotti meccanici ed elettronici, i prodotti tessili e l’abbigliamento, i metalli e i prodotti in metallo, i prodotti chimici, le borse e calzature12. Attualmente il nostro Paese rientra tra i venti maggiori investitori in Cina. L’Italia si pone al 5° posto tra i Paesi europei per quanto riguarda gli investimenti in termini di valore, e al 18° posto nella classifica mondiale, dove prevale Hong Kong (con una quota del mercato del 16,7%), il Giappone (11,4%), la Corea del Sud (9,7%) e gli Stati Uniti (6,5%).

Se si considera il numero di iniziative italiane di internazionalizzazione, la Cina rappresenta il secondo tra i mercati non UE dopo gli Stati Uniti. Le imprese italiane insediate in Cina con modalità di entrata diversificate sono oltre 2000, di cui circa 1000 con investimenti diretti, complessivamente riconducibili a oltre 60 000 posti di lavoro e un fatturato di circa 5 miliardi di euro. Dal punto di vista settoriale, gli investimenti diretti esteri italiani in Cina si concentrano nei settori delle macchine e apparecchiature elettriche e ottiche, apparecchi meccanici, tessile, autoveicoli e mobili. Sotto il profilo geografico, dopo un primo periodo in cui si privilegiavano soprattutto le zone costiere (ovvero Shanghai, Jiangsu, Shandong), le imprese italiane ora sono presenti anche in altre aree del territorio cinese13.

Dopo questo inquadramento generale sull’interscambio Italia-Cina, il prossimo capitolo sarà dedicato all’approfondimento delle opportunità settoriali per il comparto Agro-alimentare del made in Italy, al fine di evidenziarne i punti di forza e di debolezza, nonché le performance dello stesso nel mercato cinese.

 

 

                                                                                                               

11 È comunque importante evidenziare che l’incremento delle importazioni italiane dalla Cina è anche legato alla crescente

delocalizzazione delle nostre imprese.

12 ICE2012

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Capitolo 2

2.1 Introduzione

Nel seguente capitolo saranno analizzati gli stati dell’arte del mercato agroalimentare cinese con richiami alle preferenze dei consumatori cinesi; verrà inquadrato lo stato dell’export agroalimentare italiano verso il continente rosso in modo da poter comprendere le ragioni che stanno alla base della ricerca realizzata e di cui si dirà nei capitoli successivi.

2.2 Il mercato agroalimentare in Cina

Il mercato dell’agroalimentare in Cina si classifica al primo posto tra i Paesi emergenti e terzo al mondo per dimensione dopo Stati Uniti e Giappone; ha raggiunto un valore di circa 285 miliardi di USD14 nel 2010, con un’incidenza sul PIL pari al 4,8%.

Il segmento più dinamico è costituito dalle bevande, con un valore di 164,6 miliardi di USD, pari al 56% delle vendite complessive nel 2010 e con previsioni di crescita che lo porterebbero al 60% nel 2015. Andando più nello specifico, il 70% del fatturato del settore è rappresentato dagli alcolici con prevalenza della birra, che da sola raggiunge un valore di 48,3 miliardi di USD. Si prevede anche un forte tasso di crescita della domanda di bevande analcoliche, dove il caffè risulta, il principale protagonista.

Il mercato delle bevande è molto concentrato, il 50% del segmento degli alcolici è in mano a cinque operatori locali che ne detengono il dominio, grazie soprattutto alla notorietà di marca, ai prezzi competitivi e alla distribuzione capillare. Per quanto riguarda le multinazionali straniere, queste sono riuscite ad affermarsi solo nel comparto dei soft drink, in particolare troviamo Coca Cola e Pepsi che detengono rispettivamente il 17% e il 7%. di quota di mercato.

Al proposito è interessante citare il risultato straordinario raggiunto dall’azienda produttrice della bevanda “kekou kele” in grado di riprodurre alla perfezione il nome americano (Coca cola) e, contemporaneamente, ispirare i cinesi con una traduzione che suona come "deliziosa felicità". Insomma, un indiscutibile successo di marketing15.

Il comparto alimentare ha invece raggiunto nel 2010 un valore di 120,3 miliardi di USD, e si presenta alquanto frammentato con il predominio di dieci operatori locali che detengono il 25% di quota di mercato. Tuttavia grazie all’elevato tasso di crescita del settore, marchi consolidati a

                                                                                                               

14 Il dato si riferisce al mercato del Food and Beverage (F&B) che esclude i cibi non confezionati(Euromonitor International,2010, Packaged Food in China, October)

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livello internazionale, come Nestlè e Mars, iniziano gradualmente a conquistare visibilità assorbendo entrambe il 4% delle vendite a valore del comparto16.

La domanda interna della Cina, che sappiamo essere in forte espansione, è soddisfatta sia dalle importazioni che dalla solida produzione locale.

Questa è cresciuta notevolmente negli ultimi decenni soprattutto nella produzione di cereali, carne e pesce, seguiti da latte e uova che hanno arricchito la dieta alimentare tradizionale e contemporaneamente consentito di migliorare lo standard di vita dei cinesi.

La Cina ha invece raggiunto un valore d’importazioni pari a oltre 39 miliardi di USD17 nel 2011, segnando un aumento dell’import del 24,3% rispetto al 2010 (ICE-ISTAT, 2012). Oltre alla richiesta degli alimenti della tradizione culinaria locale (come soia, olio e grassi, pesci e crostacei), negli ultimi anni si sono registrati incrementi nelle importazioni per quelle categorie di beni che da poco sono entrate a far parte della dieta cinese (latte e derivati, uova e miele). Aumenti rilevanti si sono registrati per quanto riguarda i cereali per la colazione e le bevande, cosi come le spezie, il caffè, il cacao e lo zucchero. Anche se, sotto il profilo quantitativo si può trattare di valori marginali, sono segnali interessanti dei progressivi mutamenti che stanno coinvolgendo le abitudini di consumo alimentare del consumatore cinese.

Come si può osservare dalla tabella sottostante all’apice dei Paesi fornitori della Cina, si trovano Stati Uniti e Malesia come principali partner commerciali. Pur riconoscendo l’indiscussa leadership statunitense, è importante evidenziare che, negli ultimi anni si è assistito a una progressiva scalata dell’Unione Europea: dal 2005 le esportazioni di generi alimentari e bevande della UE in Cina sono più che triplicate, passando dai 327 agli attuali 1.773 milioni di euro.

Le categorie di prodotti più richieste sono i prodotti pre-confezionati quali biscotti salati, cibo pronto (incluso quello destinato alla prima infanzia, salse) e le bevande (alcolici, bevande non alcoliche e oli alimentari)18.

Tab.3-Classifica dei principali Paesi fornitori della Cina di generi alimentari e bevande19

Paesi fornitori della Cina Valori in migliaia di USD (ordinati in base ai valori del 2011) 2008 2009 2010 2011 Stati Uniti 3.746.895 3.070.323 4.024.148 5.860.983 Malesia 4.015.166 2.927.332 3.346.468 4.953.519 Indonesia 2.434.758 2.077.007 2.604.687 3.723.649 Brasile 1.045.221 606.287 2.038.042 2.700.171

                                                                                                               

16 Unicredit-Accenture (2011) Destinazione Cina

17 Se, invece, si considerano le importazioni nel mercato cinese inerenti il Food & Beverage (che esclude i prodotti non

confezionati) il valore nel 2010 era pari a 4,9 miliardi di USD, raggiunto soprattutto grazie alle importazioni del vino e dei dolci. Unicredit-Accenture (2011) Destinazione Cina,cit

18 Eu Sme Centre (2011), Food & Beverage market in China, 10 Maggio 2012 19 Adattamento su dati ICE-IGT (2012)  

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Nuova Zelanda 830.641 1.127.385 1.879.780 2.391.419 Francia 1.176.756 929.351 1.272.592 2.065.591 Australia 1.130.301 894.764 1.393.898 1.821.913 Russia 1.291.821 1.226.886 1.344.958 1.668.837 Canada 723.478 735.827 1.611.267 1.489.820 Thailandia 628.993 723.745 958.861 1.215.435 India 519.367 409.996 695.631 866.655 Argentina 2.547.695 1.708.289 606.481 770.411 Paesi Bassi 437.948 413.311 517.616 678.289 Danimarca 369.850 265.389 522.282 503.311 Cile 416.120 508.533 431.818 492.093 Spagna 117.024 164.388 258.252 481.282 Germania 179.999 173.611 311.844 479.419 Singapore 218.062 376.316 456.397 425.462 Regno Unito 195.531 201.159 281.484 388.335 Italia 134.585 158.268 252.838 349.852 Mondo 25.681.562 22.225.768 29.807.315 39.401.934

Le importazioni si inseriscono in un contesto delicato, dove la radicata tradizione gastronomica a volte assorbe con titubanza i prodotti stranieri, spesso troppo distanti dalla cultura cinese. Infatti, nell’alimentazione e nelle abitudini culinarie, la Cina vanta una delle più ricche ed antiche tradizioni al mondo, che la rendono “forte” ed apprezzata anche all’estero. Sono, tuttavia numerosi i fattori propulsivi che stanno contribuendo alla progressiva apertura della Cina verso l’importazione di prodotti agro-alimentari, favorendo nuove opportunità di sviluppo anche per i prodotti italiani. Tra i principali vanno ricordati lo sviluppo economico e l’urbanizzazione, il progressivo miglioramento dei sistemi di trasporto, la riduzione delle imposte per l’importazione, la liberalizzazione del settore della distribuzione, la crescita delle catene di hotel e ristoranti internazionali20.

Il progressivo insediamento di una nuova cultura alimentare in Cina più aperta al cambiamento è stato possibile anche grazie allo sviluppo di catene di grande distribuzione (es: supermercati e ipermercati), iniziato nelle grandi città verso la metà degli anni Novanta; gradualmente sono diventati la tipologia di rivendita più diffusa per l’acquisto di generi alimentari tra la popolazione cinese.

Si va ad aggiungere a ciò anche una maggiore sensibilità nei confronti delle marche e verso un livello qualitativo più elevato dei prodotti che si traduce in maggiori garanzie d’igiene soprattutto in riferimento al packaging. Queste nuove istanze del mercato sono state recepite anche dal governo che ha intrapreso un processo di modernizzazione dell’offerta, prestando

                                                                                                               

20 Interprofessional network (a cura di) (2010), Dossier Cina. L’impresa verso i mercati internazionali, http://www.go.camcom.gov.it/allegati/pdf/promozione/Dossier_Cina.pdf

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molta più attenzione alla qualità dei manufatti e alla sicurezza della filiera anche in seguito allo scandalo del latte alla melanina scoppiato nel 200821.

I mutamenti ai quali si sta assistendo sono stati incentivati anche dal maggior contatto con i modelli alimentari occidentali, avvenuto non solo grazie allo sviluppo recente della ristorazione internazionale, concentrata soprattutto nelle zone urbane, ma anche grazie all’aumento del turismo cinese all’estero22. Il progressivo cambiamento della dieta abituale dei cinesi, soprattutto di quelli con maggiore potere d’acquisto, si sta traducendo nella tendenza a ridurre l’impiego di prodotti tradizionali a favore di pesce, carni bianche, latticini, oli vegetali, uova e prodotti pre-confezionati. Oltre all’ampliamento dell’alimentazione è opportuno citare l’emergere di una tendenza a consumare i pasti fuori casa23. A oggi, infatti, il mercato cinese conosce e fruisce già dell'Italian food attraverso le forme di consumo out of home. Il canale out of home deve fungere da piattaforma di lancio e punto di primo contatto con il consumatore cinese. Conoscere il consumatore cinese è fondamentale per testare e riadattare il prodotto ma anche per far in modo di vivere l'esperienza di “mangiare italiano” e indurre il consumatore a replicare a casa i piatti provati24.

Il mercato alimentare cinese si può complessivamente dividere in due macro-segmenti con potenzialità di crescita differenti:

• un “mercato di massa”, costituito da consumatori di fascia medio-bassa poco fedeli al marchio e molto attenti al prezzo, serviti principalmente dalla produzione locale; • un “mercato di nicchia” caratterizzato invece da consumatori ad alto reddito che,

ponendo enfasi sul marchio e sulla qualità, tendono a preferire i prodotti d’importazione, soprattutto quando consumano il pasto fuori casa o quando si tratta di beni ad elevato coinvolgimento, come ad esempio nel caso di articoli da regalo e prodotti destinati alla prima infanzia.

In questo quadro, che sottolinea le notevoli opportunità di crescita per le imprese del comparto interessate ad investire in Cina, è importante tuttavia evidenziare la presenza di una minaccia particolarmente rilevante dettata dalle frodi alimentari che ostacola proprio la penetrazione del made in Italy. Si stima, infatti, che la contraffazione alimentare di prodotti italiani valga più di 20 miliardi di euro, collocando la Cina tra i primi Paesi per il fenomeno della contraffazione dei prodotti DOP. Rappresentativo è il caso del prosciutto di Parma, per il quale è addirittura stato inaugurata a sud-ovest di Pechino, nella provincia di Ganzu, la città di Parma dove si allevano suini e si producono salumi. Grazie a questo “stratagemma” vengono commercializzati

                                                                                                               

21 CeSIF(2010), La Cina nel 2010. Scenari e prospettive per le imprese, Fondazione Italia-Cina.

CeSIF(2011), La Cina nel 2011. Scenari e prospettive per le imprese, Fondazione Italia-Cina.

22 ICE (Shanghai) Market Report (2011), Il turismo cinese all’estero,

http://www.ice.it/paesi/asia/cina/upload/174/Il_turismo_cinese_all’estero_(2011).pdf 23 Eu Sme Centre (2011), Food & Beverage market in China, cit

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prosciutti “made in Parma” con tanto di denominazione di origine protetta25. Il fenomeno della

contraffazione ha effetti dirompenti non solo in termini economici ma anche d’immagine, con il rischio di diffondere nelle usanze alimentari di consumatori stranieri, come quelli cinesi, un falso made in Italy che sottrae spazio di mercato al prodotto autentico, banalizzando il frutto di tecniche di lavoro artigianali, espressione di tradizioni radicate in territori unici. Non di rado, infatti, nei Paesi emergenti come la Cina il prodotto contraffatto può anticipare la penetrazione di quello originale, ostacolandone lo sviluppo26.

2.3 L’export agro-alimentare italiano in Cina

Com’è noto il settore agro-alimentare, rappresenta uno dei protagonisti del made in Italy nel mondo. La qualità, l’artigianalità e il forte legame con il territorio, principali tratti distintivi di tutte le nostre produzioni di successo, sono particolarmente presenti in questo comparto27.

Il sopra citato fenomeno della contraffazione rappresenta un paradosso nel quale il riconoscimento del valore del made in Italy crea al tempo stesso un ostacolo alla sua diffusione. A fronte di notevoli opportunità di sviluppo, dettate soprattutto dalla progressiva occidentalizzazione delle abitudini di consumo e di acquisto dei prodotti alimentari, la diffusione del falso ha reso, infatti, ancora più complessa per le imprese del made in Italy l’entrata in un mercato già caratterizzato da una cultura alimentare molto antica e radicata. Il valore delle esportazioni italiane in Cina, negli ultimi anni ha registrato progressivi aumenti: dal 2007 al 2011 si è quadruplicato passando da 40 a quasi 225 milioni di euro (ICE-ISTAT, 2012).

L’Italia occupa il settimo posto tra i paesi UE il ventesimo della classifica mondiale dei Paesi fornitori di generi alimentari e bevande della Cina, con un aumento del 27,7% rispetto al 2010. Tuttavia, se valutiamo le importazioni solo dei prodotti tipici28, il cui valore complessivo di importazione è pari a circa 2 miliardi di USD, le performance del made in Italy sono molto superiori.

Tab.4-Esportazione dei principali prodotti agro-alimentari italiani in Cina29

Prodotti Milioni di euro (2010)

Var % (2009/2010)

Quota% su tot export alimentari italiane in Cina

Posizione Italia sul tot. import in Cina Cioccolato 57,8 55,5 39,2 1 Vino 48,3 94 27,3 4 Olio oliva 24,2 87,2 16,4 2 Caffè 4,8 40,2 3,3 3

                                                                                                               

25http://parma.repubblica.it/dettaglio/nasce-una-parma-in-cina-per-produrre-prosciutti-dop/ 20 Giugno 2012

26“Made in Italy: dalla Cina l’86% delle contraffazioni”, http://diariodelweb.it/comunica/agroalimentare/ 10 Gennaio 2012 27 Stampacchia P.(1999), L’internazionalizzazione dell’industria alimentare, Prismi Editrice.

28 Prodotti tipici: vino, formaggio, caffè, cioccolato, olio d’oliva, pasta, marmellate,kiwi, acque minerali, prodotti da forno 29 Adattamento su dati ICE, Market Report (2011)  

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Pasta 4,2 19,1 2,8 1

Formaggio 4,4 39 1,8 5

Altro 11,2 - 9,2 -

Totale 154,9 64,5 100 4

L’Italia con un fatturato complessivo di circa 155 milioni di euro e una quota di mercato dell’8,3%, infatti, si è riposizionata al quarto posto dopo Francia, Stati Uniti e Australia, con ai primi posti il cioccolato, il vino e l’olio di oliva, seguiti poi dal caffè, la pasta e il formaggio. Si tratta dei prodotti alimentari che, pur trovandosi ancora in una fase d’introduzione del ciclo di vita nel mercato cinese, grazie alla loro capacità di evocare l’Italian lifestyle, sono anche i maggiormente apprezzati dai consumatori cinesi.

Di seguito sarà fornito un resoconto per singola categoria di prodotti sullo stato dello stesso in Cina e le prospettive specifiche per l’import italiano.

2.3.1 Focus sui prodotti trainanti il made in Italy

Il mercato del cioccolato in Cina: opportunità e limiti di crescita

Il comparto dei prodotti dolciari al cioccolato si trova ancora in fase d’introduzione, con un tasso di consumo annuo che non supera i 50 grammi pro-capite, contro i 12 chilogrammi pro capite dell’Europa. Questi dati sono dovuti al fatto che il cioccolato non appartiene alla tradizione alimentare cinese.

Tuttavia, in anni recenti, si è assistito ad una progressiva espansione della domanda, che dal 2006 ha registrato una notevole crescita, sia in termini di valore (+71%) che di volume (+47%), raggiungendo nel 2011 un fatturato complessivo di circa 1.392 milioni di euro e un volume di vendite totale di 160.000 tonnellate. In termini di formato, riscontrano maggiore successo i cioccolatini assortiti, seguiti dalle tavolette e dalle barrette ripiene, che hanno registrato la maggiore crescita rispetto al 2010 (+18,9%)30.

Come già detto queste importanti evoluzioni, sono un segnale del graduale processo di occidentalizzazione che sta caratterizzando la dieta alimentare cinese; nello specifico lo sviluppo del comparto in questione può anche essere riconducibile ai benefici percepiti anche di tipo edonistico che il cioccolato può offrire. In altri termini, il benessere economico ha spinto soprattutto le donne cinesi a privilegiare i prodotti dolciari a base di cioccolato, vissuti come gratificazione da regalarsi all’interno di una giornata dai ritmi lavorativi sostenuti. Le occasioni d’uso del cioccolato in Cina si sono cosi diversificate, trasformandolo da articolo destinato esclusivamente al regalo in un prodotto da utilizzare anche per il consumo personale. Considerando il divario tra consumo mondiale e quello locale, il potenziale di mercato è

                                                                                                               

(21)

enorme. I teenager sono gli utilizzatori principali, seguiti dai giovani tra i 20-24 anni e dagli adulti oltre i 35 anni.

Il mercato del cioccolato in Cina risulta articolato in tre segmenti di prodotto associabili a diverse categorie di consumatori31:

• cioccolato importato: si tratta di un cioccolato di alta qualità percepita, destinato ad una fascia alta di mercato costituita da consumatori ad elevato potere d’acquisto; • cioccolato prodotto in loco da joint venture con multinazionali: è un cioccolato dal

sapore gradevole, con packaging accattivante venduto a prezzi moderati, destinato ad una fascia media di consumatori, per lo più giovani

• cioccolato locale prodotto da piccole aziende cinesi: costituito da un prodotto di qualità scarsa e venduto a prezzi economici, dal packaging poco attraente, destinato ad una fascia bassa del mercato.

In Cina la produzione di cioccolato, seppure in crescita, è ancora contenuta e si aggira attorno alle 100.000 tonnellate. I principali motivi sono riconducibili alla mancanza d’infrastrutture, all’obsolescenza dei macchinari, alla mancanza di investimenti in ricerca e sviluppo, all’incapacità di allinearsi agli standard internazionali32.

Quanto alle importazioni di cioccolato, esse sono in graduale ma costante sviluppo: dal 2008 al 2010 sono in sostanza raddoppiate passando da 79,8 a 158 milioni di USD. I produttori esteri di cioccolato sono entrati in Cina agli inizi degli anni Novanta e sono riusciti a conquistare in tempi molto rapidi la fascia media e medio-alta del mercato. Il settore del cioccolato in Cina è molto concentrato con il predominio di quattro grandi marchi che ricoprono circa il 70% del mercato: Mars (41%), Nestlé (11%), Ferrero (9,3%) e Le Conte Shenzhen (5,3%), unico gruppo locale33.

Mars (China) Co Ltd, leader nel settore della pasticceria al cioccolato con una quota del 41% nel 2010, con i suoi marchi Dove, M&M’s e Snickers, copre la fascia media e medio-alta del mercato. Grazie ai suoi costanti investimenti nelle strategie di branding volte ad accrescere la penetrazione anche nelle città di terza e quarta fascia, continua a salvaguardare la sua leadership nel mercato cinese.

Nestlé (China) rappresenta il secondo player con i suoi principali brand Nestlè Wafer (9,9%) e KitKat (1%). Negli ultimi anni, grazie all’ampliamento del suo portafoglio prodotti e a un’efficace strategia di posizionamento, Nestlé ha acquisito una maggiore notorietà, consolidando la propria reputazione nel mercato cinese. Ferrero, in terza posizione con una quota di mercato del 9,3%, negli ultimi anni ha visto un incremento delle vendite grazie soprattutto a un’accurata attività di comunicazione e a intense promozioni nel punto vendita.

                                                                                                               

31 ICE (Shanghai), Market Report (2010), Il mercato cinese dei prodotti agroalimentari e del vino cit.

32 ICE (Shanghai) (2011), Market Report Food and Wine,cit

(22)

Altre imprese sono Shanghai Golden Monkey Food Co, Cadbury e Shanghai Hersey Food che raggiungono insieme il 10% del fatturato.

Il rimanente 23% del settore è caratterizzato da un’elevata frammentazione di piccole e medie aziende locali con livelli di offerta inferiori.

La forte presenza di marchi stranieri sta comunque spingendo i produttori cinesi a migliorare i propri prodotti sia sotto il profilo qualitativo sia dal punto di vista della promozione.

È interessante evidenziare che negli ultimi anni l’aumento del costo del cacao ha provocato un generale incremento dei livelli di prezzo del comparto. I produttori locali hanno fronteggiato il rincaro riducendo l’utilizzo del cacao mediante la commercializzazione di prodotti al cioccolato farciti con le nocciole (che richiedono una quantità inferiore di cacao) oppure abbassando il livello quantitativo dei prodotti. I produttori stranieri hanno invece puntato sulla differenziazione del prodotto nei segmenti in maggiore crescita, come quello del cioccolato fondente di alta qualità. Centrale rimane sempre il tema del regalo, evidenziato sia nell’attività promozionale di Dove come premio dopo una giornata stressante, sia nell’esperienza di Ferrero che ha riscontrato i maggiori successi attraverso prodotti come i Ferrero Rocher e i Mon Cherì, commercializzati principalmente mediante confezione regalo (wedding pack).

Il cioccolato made in Italy

La tradizione di eccellenza del cioccolato italiano nel mondo è confermata dai dati dell’export con una quota di mercato che si assesta attorno al 6,8%, al settimo posto tra gli esportatori mondiali di cioccolata che vedono in testa Germania e Belgio. I nostri principali mercati sono la Francia e il Regno Unito. Tuttavia, è proprio in Paesi come la Cina (+55,5%), la Libia (+49,1%) e il Marocco (77,7%) che si sono registrati gli incrementi maggiori (ICE, 2011).

Come già evidenziato in Tabella 4, il cioccolato rappresenta la prima voce dell’export dell’agro-alimentare made in Italy in Cina e, nella classifica dei Paesi fornitori del mercato cinese, l’Italia si aggiudica il primo posto con una quota di mercato del 44% seguita dal Belgio (8%) e dalla Germania (7%). Nel 2010 il valore delle esportazioni del cioccolato made in Italy è stato superiore a 55 milioni di euro (circa 70 milioni di USD), in crescita del 55,5% rispetto al 2009 con azienda principale Ferrero che detiene una quota di mercato del 9,3%.

Il mercato del vino in Cina

Le potenzialità del mercato del vino in Cina sono tra le più alte del mondo34,nonostante si tratti di un prodotto estraneo alla tradizione alimentare locale. Infatti, negli ultimi anni si è assistito sia a uno sviluppo della produzione interna, sia ad un incremento delle importazioni.

                                                                                                               

34 Da una ricerca IWSR(International Vino and Spirit Record) effettuata su 114 mercati e 28 produttori di vini alcolici, la Cina

(23)

Per quanto concerne la produzione locale nel 2010 ha raggiunto i 10,8 milioni di ettolitri, per un valore pari a circa 667 milioni di euro, registrando un aumento del 13,3% in termini di quantità e del 28% in termini di valore, rispetto al periodo precedente; questa crescita trova la sua ragione nell’ampliamento della superficie dedicata alla produzione di vino aumentata del 200% in dieci anni e che ha raggiunto dimensioni pari ai vigneti dell’Australia e degli Stati Uniti messi insieme.

Il settore è abbastanza concentrato, con circa il 27% del mercato detenuto da quattro imprese locali: Yantai Changyu Pioneer Wine, COFCO Wine & Spirits, Yantay Weilong Grape, Dynasty Winery. In particolare, i primi sei produttori del Paese rappresentano circa il 40% della produzione totale in quantità ed il 51% in valore. I principali marchi nazionali di vino in Cina sono: Changyu (il più grande produttore di vini in tutta l’Asia), Great Wall, Weilong, Dragon Seal35.

Le importazioni hanno registrato progressivi aumenti, passando dai 245 milioni di USD del 2007 ai 799 milioni di USD nel 2010, con un aumento del 74,7% rispetto al 2009.

I produttori stranieri riescono a coprire solamente il 6% della domanda domestica; le ragioni sono molteplici, in primis troviamo la forte pressione concorrenziale in termini di prezzo da parte dei vini locali seguita dalla presenza di forti dazi d’importazione e d’ingenti tasse che determinano un rincaro del prezzo originale del prodotto importato che può arrivare anche al 60%. Se il potenziale di sviluppo è ampio, la domanda di mercato attuale risulta ancora piuttosto limitata. L’estraneità del vino alla tradizione alimentare locale e la conseguente scarsa conoscenza del prodotto da parte del consumatore cinese, che privilegia notevolmente la birra (consumata dal 78% dei cinesi) o altri alcolici tipici (come il vino di riso chiamato Huangjiu), hanno limitato la penetrazione del mercato. Si stimano in 10 milioni i consumatori abituali di vino, mentre in 20 milioni quelli occasionali, con un tasso medio di consumo pro-capite nei centri urbani inferiore a 1,5 litri l’anno, contro una media mondiale di 4,5 litri. La marginalità del consumo in Cina è ancora più evidente se si considera che in Italia vengono bevuti circa 60 litri l’anno (in USA 22 litri e nel Regno Unito 12 litri all’anno).36

Le vendite totali del comparto nel 2011 hanno raggiunto un volume complessivo di 3,9 miliardi di litri (off-trade 1,9 miliardi di litri; on-trade 1,81 miliardi di litri) e un valore di 26,2 miliardi di euro (off-trade 7,3 miliardi di euro e 18,9 miliardi di euro on-trade), aumentando rispettivamente del 12% e del 21,9% rispetto al 2010 (ma del 78,7% e del 142,7% rispetto al 2006). È interessante quindi notare come le maggiori vendite a valore si realizzano nel canale on-trade, costituito da bar, hotel e ristoranti.37

Volendo tracciare una sorta di profilo del consumatore medio è possibile affermare che risiede nelle grandi città, appartiene al ceto medio-alto e possiede un alto livello di scolarizzazione, ha

                                                                                                               

35 Euromonitor International (2011), Wine in China, December.

36 ICE (Shanghai)(2011), Market Report Food and Wine, cit

(24)

un’età tra i 30 e 45 anni, compie frequenti viaggi all’estero e concepisce il vino come uno status symbol.

Il consumo avviene soprattutto nei ristoranti, hotel, bar. Solitamente il consumatore preferisce vini giovani, invitanti e di prezzo medio ed è curioso di sperimentare gusti diversi. I fattori rilevanti d’acquisto sono in primo luogo il brand, seguito dal prezzo e infine dall’origine del prodotto.

Negli ultimi anni, tra i giovani consumatori è emersa una preferenza per il vino d’importazione a prezzo e qualità superiore, e in relazione al gusto c’è un significativo orientamento verso il vino rosso (soprattutto nei lounge-locali notturni, nelle discoteche e nei ristoranti esclusivi) che rappresenta l’88% delle vendite totali. Anche se alcune imprese hanno tentato di sviluppare il comparto dei vini bianchi introducendo sul mercato nuovi prodotti, e le consumatrici cinesi38

iniziano ad apprezzare questa categoria, il vino rosso continua a dominare il comparto perché si sposa meglio con i piatti della cucina cinese (il pesce e i crostacei vengono accompagnati alla birra)39.

I gusti e i marchi dei vini risultano variamente distribuiti a seconda della specifica localizzazione geografica, con i consumatori della costa est in genere più maturi e competenti rispetto a quelli residenti all’interno del Paese. Tuttavia è più importante porre l’accento su come il consumo di vino, soprattutto di quello importato di qualità, sia pressoché assente al di fuori dei grandi centri urbani di prima e seconda fascia. Shanghai rappresenta il luogo strategico per cogliere le tendenze del consumatore: qui i rossi d’importazione hanno conquistato l’80% del mercato e i marchi italiani e francesi, presenti da diversi anni, sono molto conosciuti (ICE 2010).40

Il prodotto viene tuttavia veramente apprezzato solo da un numero esiguo di consumatori cinesi. La maggioranza concepisce il vino come semplice bevanda per accompagnare un pasto o per festeggiare (è tradizione frequente in Cina brindare ripetutamente durante il corso della serata) e attribuisce quindi particolare rilievo al fattore prezzo. È comunque importante evidenziare che il prezzo elevato del vino importato, anche se rimane un freno, non sembra costituire il principale ostacolo alla sua diffusione, che rimane invece fortemente influenzata dagli aspetti culturali. Le maggiori opportunità vanno quindi ricercate non nella massa ma nelle nicchie di mercato che riconoscono nel vino uno status symbol: si tratta, come già evidenziato, di quell’elitè di consumatori cinesi che desiderano emulare lo stile di vita occidentale, attribuendogli il valore di bene di lusso.

                                                                                                               

38 Il maggiore apprezzamento dei vini bianchi da parte delle donne cinesi sembra essere legato anche alla credenza che tale prodotto

possa fare bene alla pelle. Per questo motivo si sta diffondendo la moda di berne un bicchiere prima di coricarsi a letto. Talamona G. (2012),”Vino italiano, in Asia il successo passa anche dalla cucina”, Affari di Gola.

39 Euromonitor International (2011),Wine in China, cit 40 ICE 2010, Chinese Wine Report

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