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Le esportazioni dirette

3.3 I fattori d’influenza

3.3.1 Fattori intern

Si riferiscono ad aspetti aziendali quali ad esempio: la mission, la cultura d’impresa, le capacità finanziarie e le competenze del management.

Tra i fattori interni più rilevanti con riferimento alla scelta di entrata nel mercato cinese, si segnalano i seguenti:

• dimensioni dell’impresa • risorse finanziarie disponibili

• caratteristiche del prodotto e del know how: queste possono influenzare in modo significativo la scelta di entrata110. In primo luogo, caratteristiche fisiche quali la

dimensione e/o il peso del prodotto, tendono a influenzare i costi logistici111, inducendo l’impresa a evitare quelle modalità di entrata, come le esportazioni, dove è elevata l’incidenza dei costi di trasporto e magazzino. Si pensi ad esempio alle bevande, per le quali sono tipicamente realizzati degli accordi, di licenza o franchising, se non addirittura investimenti diretti in aziende di imbottigliamento locale, per essere più vicini al mercato di sbocco.

Un altro aspetto da prendere in considerazione è quello della quantità e/o trasferibilità del know how112: prodotti con qualità elevata oppure con know how avanzato, che richiedono un elevato grado di competenza tecnica e di controllo, richiedono da parte dell’azienda una gestione attenta delle fasi di approvvigionamento e produzione. Questa può essere garantita solo mantenendo la produzione nel Paese di origine oppure, all’opposto, con scelte d’investimento diretto all’estero (si pensi ad una delocalizzazione produttiva attraverso un WOFE).

La complessità del prodotto va considerata anche in un’ottica commerciale. Non sempre, infatti, il distributore cinese è in grado di gestire la vendita di un prodotto

                                                                                                               

109 Hollensen S. (2011), Global Marketing: a decision oriented approach 5° Ed.,Pearson Education, Harlow 110 Czinkota M., Ronkainen I.(2012), International Marketing, 10th Ed.,Cengage,Mason,OH ;

Shenkar O., Luo Y. (2008), International business, Sage, Thousand Oaks.

111 Vianelli D. (2001), “L’atmosfera del punto vendita in un contesto multi-culturale:una ricerca empirica su consumatori di diversa nazionalità”, Industria e distribuzione.

complesso, rendendo l’esportazione una modalità di entrata debole sia dal punto di vista del servizio che della gestione delle strategie e politiche di marketing113

• notorietà del brand: le aziende che decidono di operare nel mercato cinese possono stabilire di adottare un brand globale, cioè un brand già adottato in altri Paesi, alcune possono operare con brand globali e locali, oppure con un brand unicamente locale (la tipologia meno adottata).

Le imprese che decidono di imporsi nel mercato cinese dovranno attuare una forte politica di marca; questo implica l’individuazione di una modalità di entrata che garantisca il presidio e, quindi il controllo diretto delle scelte di marketing attuate nel Paese. Le difficoltà sono comunque numerose e solo pochi dei grandi nomi del lusso italiano sono riusciti a imporsi in un contesto competitivo che vede emergere, nel mercato cinese, molti marchi stranieri e un crescente numero di marchi locali. Se per i marchi italiani di fama internazionale la Cina è un mercato complesso, a maggior ragione lo è per le piccole e medie imprese che si trovano spesso davanti ad un trade off non semplice da gestire. Da un lato, disponendo di limitate risorse da investire nel marketing, esse delegano, con modalità d’entrata indirette, l’attività di vendita a partner locali, certamente più esperti in termini di conoscenza del mercato, ma con scarse competenze nelle politiche di prodotto e di brand. Dall’altro, per aver successo, non possono rinunciare alla creazione di quel valore di marca che assume un ruolo di primaria importanza nel processo di acquisto dei consumatori cinesi. Quando si parla di beni di consumo, il brand è quindi fondamentale114, ma è altrettanto importante acquisire la consapevolezza che la sua conoscenza a livello internazionale non determina automaticamente la notorietà e quindi il successo nel mercato cinese. Per questo le aziende che possono “permetterselo” dovrebbero preferire modalità di entrata più dirette e coinvolgenti, come le forme contrattuali collaborative o gli investimenti diretti;

• caratteristiche del management: non capita di rado che le aziende italiane abbiano poca dimestichezza con il mondo del business cinese, questo porta le aziende ad affidarsi a partner esteri che compensano questi gap115. D’altra parte però ci sono anche aziende che hanno preferito crescere internamente da un punto di vista manageriale e riuscire a mantenere la propria autonomia attraverso investimenti diretti116. Infine ci sono numerose imprese che conciliano una presenza diretta con il ricorso a partner locali; Zegna, ad esempio, è presente sia direttamente attraverso una rete di negozi di

                                                                                                               

113 Andersen O., Kheam L.S (1998), “Resource-Based Theory and International Growth Strategies: An Explorary Study”,

International Business Review, 7,2:163-84  

114 Fiocca R., Marino A., Testori M. (2007), Brand Management, Etas Libri, Milano.

115 Wang L.,Kess P (2006),”Partnering motives and partner selection: case studies of Finnishh distributor relationship in China”,International Journal of Physical Distribution & Logistics Management, 36,6:466-478.

proprietà, sia attraverso una joint venture paritetica con una società cinese. Questo consente di:

1) avere una presenza diretta nelle attività core, quindi esercitare un forte controllo sul business principale;

2) ricevere aiuto dai partner locali per le attività nelle quali non è semplice acquisire quell’esperienza manageriale necessaria per operare efficacemente. • cultura aziendale e orientamento al rischio: oltre alla specifica esperienza manageriale,

è importante riconoscere anche il generale orientamento culturale in cui si muovono l’impresa e i suoi manager117. Al riguardo è comodo far riferimento alla nota

classificazione di Howard Perlmutter (1969), che dopo quarant’anni può essere ancora considerata attuale secondo la quale è possibile distinguere un orientamento etnocentrico, policentrico oppure globale.

Orientamento etnocentrico: si riconosce quando, nelle scelte organizzative e nelle strategie manageriali e di marketing domina l’esperienza maturata a livello locale. In altri termini, vi è la convinzione che la formula imprenditoriale, che ha reso possibile la crescita nel mercato nazionale, possa essere facilmente replicata anche all’estero con garanzia di successo.

Orientamento policentrico: l’impresa valorizza i mercati esteri creando unità strategiche e organizzative autonome, facendo dell’integrazione con il mercato estero una delle principali fonti di vantaggio competitivo. Ne deriva sicuramente una debolezza in termini di struttura dei costi, che sarà più pesante e che potrebbe penalizzare la profittabilità, se non compensata da un proporzionale aumento dei ricavi.

Orientamento globale: il mercato viene diviso in segmenti transnazionali, consentendo un approccio integrato e omogeneo nella gestione delle attività nei diversi Paesi. Standardizzare non significa rinunciare al riconoscimento delle peculiarità nazionali: ogni impresa, conoscendo le attività svolte nei singoli mercati, saprà valutare costi e benefici legati alle scelte di standardizzazione o adattamento, raggiungendo quell’equilibrio necessario per massimizzare la redditività.

La scelta di entrare in Cina certamente comporta un rischio d’impresa superiore a quello di altri mercati esteri118. Il paese è distante sia da un punto di vista geografico che

                                                                                                               

117 Vianelli D. (2001), “L’atmosfera del punto vendita in un contesto multi-culturale: una ricerca empirica su consumatori di diversa nazionalità”, Industria e distribuzione

Battaglia L., Cedrola E. (2010), “Interazione culturale e processi di negoziazione”, in Guercini S. (a cura di), Marketing e

management interculturale, il Mulino, Bologna

Pagano A.(2010), “Lo sviluppo di competenze interculturali a livello individuale e organizzativo”, in Guercini S. (a cura di),

Marketing e management interculturale, il Mulino, Bologna

 

culturale119, il mercato ha un elevato potenziale sia in termini assoluti di vendite, sia di

futuro sviluppo, ma la concorrenza è elevata e lo sarà sempre di più negli anni a venire. Solo le aziende che sono già fortemente orientate ai mercati esteri possono essere pronte per affrontare questo Paese emergente: imprese che sanno di voler e poter rischiare in un investimento che potrebbe dare grandi frutti, anche se non nel breve periodo, ma anche trasformarsi in un pericoloso fallimento.

Barilla, per esempio, ha recentemente colto la sfida di investire molto in comunicazione per promuovere una nuova cultura della pasta nel mercato cinese;

• orizzonte temporale di riferimento: tanto più la modalità di gestione è indiretta, tanto minore è lo sforzo da dedicare alle attività estere. Vendere a una società di esportazione che si occupa della successiva commercializzazione dei nostri prodotti, ovvero entrare in Cina in modo indiretto, consente all’azienda di fatturare in breve periodo quanto previsto. Investire invece direttamente, creando una propria immagine e costruendo passo dopo passo la propria quota di mercato in Cina, richiede invece un orizzonte temporale di lungo periodo che molte volte le aziende non vogliono/possono aspettare120.

In ogni caso per le aziende italiane molte volte il problema è per lo più culturale; l’Italia, a differenza della Cina, è un paese con un indice di orientamento di lungo periodo121 molto basso (Cina=118; Italia=34). In generale, vi è quindi la tendenza ad

aspettarsi risultati nel più breve tempo possibile e a investire poco nelle relazioni. 3.3.2 Fattori esterni

Questi prendono in considerazione elementi quali le caratteristiche del mercato target in termini di dimensione e crescita, il comportamento e la cultura del consumatore, il sistema distributivo e la concorrenza.

La differenza cruciale con i fattori esterni è che questi ultimi possono essere “gestiti” e l’azienda può quindi “attrezzarsi” per superare le difficoltà e migliorare quei fattori che possono frenarne la crescita all’estero; diversamente avviene quando la barriera è creata da fattori esterni, che non possono essere cambiati e che devono quindi essere gestiti come tali.

                                                                                                               

119 Zanier V (2011), “Un’analisi socioeconomica degli stili di vita e dei valori dei consumatori cinesi”, in Vescovi T.(a cura di), Libellule sul drago: modelli di business e strategie di marketing per le imprese italiane in Cina, Cedam, Padova, 17-33 120 Hill J.S (2009), International business: managing globalization, Sage, Los Angeles.

Esempio: Procter&Gamble, L’Oreal, KFC hanno impegato rispettivamente 3-9-10 anni prima di raggiungere il break-even e affermare il proprio modello di business nel mercato cinese (Alon et al., 2012)

121  Hofstede ha formulato un modello e l’indice di cui si parla è uno delle sue dimensioni. Questa dimensione descrive l’orizzonte

temporale di una società. Le culture con orientamento a breve termine apprezzano i metodi tradizionali, dedicano una notevole quantità di tempo alla formazione di relazioni e in genere hanno una visione circolare del tempo. Questo fa sì che passato e presente siano interrelati e che ciò che non può essere fatto oggi può essere rinviato a domani. All’opposto si trova l’orientamento a lungo

termine, in cui si vede il tempo come lineare e si guarda al futuro più che al presente o al passato. È un atteggiamento mirato al

risultato, in cui si da valore alle ricompense ottenibili.

Un recente studio122 ha messo in evidenza come molti di questi fattori che costituiscono un

ostacolo per le aziende straniere che vogliono entrare nel mercato cinese, sono percepiti come delle vere e proprie problematiche anche dei manager cinesi.

Nel dettaglio, i principali fattori esterni che possono essere presi in considerazione sono: • distanza socioculturale: questa influenza la scelta della modalità di entrata in

quanto crea, nelle aziende, una forte incertezza accompagnata da un aumento del rischio percepito123. In tale situazione, quindi, l’impresa preferirà forme di ingresso

più flessibili rispetto all’investimento diretto, che la aiutino ad avvicinarsi al mercato soprattutto nei primi anni del processo d’internazionalizzazione e crescita. Tutte le aziende tendenzialmente hanno una chiara percezione delle problematiche legate ai partner, quali l’affidabilità per esempio, sottostimano invece gli ostacoli creati dalla cultura e dalla lingua. Un dirigente ICE in Cina sottolinea: “le aziende arrivano qui consapevoli che gestire la cultura locale è complesso. Ma quando iniziano ad operare, si rendono conto che il problema non è complesso, lo è molto, molto di più di quello che si aspettavano”. Questo elemento è importante da considerare perché il non riconoscimento di tali difficoltà in tutta la loro portata, rischia di indurle a sottovalutare il ruolo della cultura cinese nella gestione del business;

• rischio Paese: il rischio Paese include molteplici dimensioni quali quella politica, economica e sociale, ma è importante considerare anche la dimensione settoriale e quella legata alle caratteristiche della singola azienda. Ad esempio, scegliere di operare in un altro Paese significa confrontarsi con sistemi settoriali dove sono disponibili servizi di qualità più bassa, risorse umane impreparate o sistemi competitivi diversi da quelli conosciuti dall’azienda. Anche a livello di singola impresa i rischi sono alti e sono diversamente percepiti. Rischi di proprietà intellettuale, legati al know how della singola azienda, così come tempi di pagamento molto lunghi che possono rappresentare un rischio per le PMI, sono solo alcuni esempi di problemi che le aziende devono affrontare;

• caratteristiche della domanda-dimensione e trend del mercato: mercati di grandi dimensioni, con trend di crescita elevati, inducono spesso l’impresa a scegliere modalità di entrata dirette anche se queste richiedono un elevato impiego di risorse124. Il successo di una strategia di crescita in un mercato grande dipende

                                                                                                               

122 Niu Y., Dong L.C., Chen R.(2012), “Market entry barriers in China”, Journal of Business Research, 65,1:68-76

123 Lopez-Duarte C., Vidal-Suarez M.M (2010), “External uncertainty and entry mode choice:cultural distance, political risk and language diversity”, International Business review, 19: 157-588

124 Griffin R.W., Pustay M.W. (2003), International business: a managerial perspective, 3th Ed., Prentice Hall, Upper Saddle River,

anche e soprattutto da quanto l’impresa lo considera strategicamente rilevante e, quindi, da quanto decide di investire.

La Cina è senza dubbio un mercato di grandi dimensioni, che nel 2009 contava una popolazione ben superiore al miliardo di abitanti. Se negli anni futuri le previsioni di crescita sono marginali rispetto al boom avuto nel passato, molto più rilevanti saranno i cambiamenti nel rapporto tra popolazione urbana e rurale, con un impatto significativo sul reddito e i modelli di consumo. Se fino a qualche anno fa i Cinesi acquistavano prodotti non differenziati, senza dare importanza al marchio o a specifici attributi distintivi, oggi la maggiore disponibilità di reddito, unita ad un contesto di mercato dove l’offerta è sempre più ricca e la competizione è sempre più agguerrita, li porta ad acquistare di più e ad essere più esigenti e selettivi. Tale tendenza può senza dubbio rappresentare una significativa opportunità per i prodotti italiani. In generale, se una stima corretta del potenziale di mercato rappresenta un elemento chiave per il successo in Cina, la sua valutazione non è semplice; si può rischiare a volta di sovrastimare (bisogna perciò sempre “tenere sotto controllo” i concorrenti) o sottostimare il mercato (la velocità di cambiamento è molto elevata e i consumatori cinesi sono ricettivi alle novità molto più di quanto si pensi);

• barriere commerciali: barriere tariffarie e non tariffarie rimangono ancora uno dei principali problemi all’entrata nel mercato cinese. Tasse, regolamenti, limiti all’importazione sono solo alcuni esempi di barriere che devono essere gestite e superate dalle imprese125. Nonostante l’accesso alla World Trade Organization (WTO) abbia migliorato la regolamentazione commerciale tra la Cina e altri Paesi esteri diminuendo il protezionismo di fatto il governo tende comunque a favorire per lo più gli investimenti che sono in linea con gli obiettivi strategici del Paese o che sono finalizzati alla produzione di beni ad alta tecnologia.126 Il protezionismo continua tuttavia ad esistere con forme più nascoste, che ricadono nell’ambito delle cosiddette barriere non tariffarie. Un esempio frequente è rappresentato dalla richiesta di adattamenti del prodotto o di certificazioni, non semplici da ottenere ma soprattutto molto costose che scoraggiano l’azienda straniera ad entrare nel mercato. O ancora, da normative non trasparenti, di fronte alle quali le aziende non sanno come comportarsi e si limitano ad aspettare di capire se un prodotto può essere venduto o meno nel Paese. Il protezionismo spesso non è un problema che s’incontra solo al momento dell’entrata nel Paese, ma rischia di compromettere anche la successiva attività di vendita. In conclusione, le barriere commerciali possono influenzare significativamente la scelta della modalità di entrata orientando

                                                                                                               

125 Keegan W.J., Green M. (2008), Global Marketing, 5Ed., Prentice Hall, Upper Saddle River, NJ. 126 Euromonitor (2010) Business Environment-China  

l’azienda verso forme di esportazione indiretta oppure modalità d’entrata collaborative; in questo modo l’azienda viene “aiutata” a entrare nel mercato appoggiandosi a un partner cinese che, oltre ad una migliore conoscenza del mercato, riesce certamente a esercitare una maggiore influenza sulle autorità locali; • Intensità della concorrenza: in Cina la concorrenza è sempre più elevata e

variegata, con un contesto imprenditoriale composto da joint venture tra imprese cinesi e straniere, da multinazionali e da aziende straniere presenti con diverse modalità di entrata, nonchè da imprese locali che, in alcuni casi, hanno cominciato a sviluppare intensi programmi di internazionalizzazione127.

Le aziende italiane sono limitate nella possibilità di successo per la loro difficoltà di fare “sistema”128. Un imprenditore italiano operante in Cina afferma “i francesi

sono bravissimi con il marketing: sono riusciti a far credere ai cinesi che gli abiti sono tutti francesi, i profumi sono tutti francesi, la cucina migliore del mondo è quella francese e i vini sono francesi. E i cinesi ci credono, non a caso Armani è considerato francese. Spesso in termini di prodotto non sono bravi come noi, ma sono bravi a fare marketing e a farlo tutt’insieme, facendo sistema, anche tra aziende concorrenti, cosa di cui gli italiani sono assolutamente incapaci”.

In conclusione, molti settori dell’eccellenza italiana quali ad esempio caffè, pizza, gelati e vino, sono marginalizzati su nicchie di mercato sia da concorrenti quali Starbucks, Pizza Hut e Haagen Daz, sia dagli innumerevoli prodotti di vino francese, cileno e australiano che occupano quasi tutto lo spazio negli scaffali dei supermercati e nell’offerta dei più importanti ristoranti. E non è tutto, non solo le aziende straniere sono competitive: vi sono, infatti, marchi locali in continua crescita129, sia in termini di qualità che di valore del brand, che riescono a dare filo

da torcere non solo alle PMI ma anche a colossi internazionali;

• canali di distribuzione: la lunghezza del canale, in termini di numero di stadi, è una variabile da prendere in considerazione nella strategia di entrata, perché può influire sia sul controllo delle politiche di marketing, sia sulla price escalation130.

Canali troppo lunghi rischiano di indebolire l’immagine del prodotto dell’impresa per la difficoltà di esercitare un controllo elevato su tutti gli intermediari che intervengono nel canale distributivo. Si possono anche verificare casi di price escalation, nei quali l’attribuzione di margini ai diversi intermediari, uniti ai dazi, al

                                                                                                               

127 Alon I., McIntyre J.R. (2008), “Globalization of Chinese Enterprises”, Palgrave Macmillan, New York

128 Mattiacci A. (2008), Nicchia e competitività. Strategie di focalizzazione per la competizione globale, Carrocci, Roma

129 Reid D.M., Walsh J. (2003), “Market Entry Decisions in China”, Thunderbird International Business Review, May/June,

45,3:289-312.

130 Si intende l’aumento del prezzo nei mercati esteri determinate dal numero maggiore di intermediary, dai costi di trasporto, dazi,

assicurazioni (ecc). In altri termini, se la price escalation è molto elevata, la differenza tra prezzo a sell in (prezzo di vendita del produttore) e prezzo a sell out (prezzo “a scaffale” per il cliente finale) diventa troppo alta, pregiudicando la possibilità di assortimento da parte del mercato finale.

costo del trasporto e ad altri costi che intervengono nel processo di esportazione, determina un aumento non controllato del prezzo di sell out. Il rischio è quindi quello di alterare sia il posizionamento d’immagine sia la possibilità di raggiungere il proprio target, che potrebbe apprezzare il prodotto, ma non essere in grado poi di acquistarlo a causa di un prezzo troppo elevato131.

Fig.6- Modalità di entrata e canali di distribuzione nel mercato cinese

Sono queste le considerazioni che hanno portato molte aziende a preferire un investimento diretto, ad esempio con filiale commerciale oppure con negozi di proprietà, a un’esportazione indiretta o diretta dove il canale è molto più lungo. Per concludere queste osservazioni sui canali di distribuzione è bene citare un caso pratico, inerente a un’azienda italiana che opera proprio nel settore che sarà preso come riferimento per la ricerca empirica presentata nelle pagine a seguire, il made in Italy agroalimentare.

Focus 1: Grandi Salumifici Italiani: scelte d’entrata e canali distributivi

Con un fatturato complessivo di 680 milioni di euro, Grandi Salumifici Italiani (GSI) è presente nel mercato con diversi marchi quali Casa Modena, Senfter e altri marchi minori.

Entrata in Cina nel 1994 tramite una joint venture, GSI rappresenta un esempio di azienda italiana che ha dimostrato come la crescita del mercato cinese e il maggior presidio dei canali