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Il perché dell’indagine: riconoscimento e definizione del problema

177 Unicredit-Accenture (2011), Destinazione Cina

4.2 Il perché dell’indagine: riconoscimento e definizione del problema

L’obiettivo di svolgere un’analisi di mercato, è stato quello di reperire informazioni per riconoscere le opportunità e i problemi che le aziende italiane possono incontrare quando decidono di esportare i propri beni in un paese complesso come la Cina.

La ricerca di mercato è uno strumento essenziale per conoscere i consumatori del settore di riferimento e, in un contesto imprenditoriale può indirizzare” un’impresa che decide di investire, in quanto è in grado di fornire conoscenze preliminari, da integrare attraverso ricerche più mirate.

Il risultato atteso dall’indagine svolta è il soddisfacimento dei bisogni conoscitivi generati dalla necessità di sviluppare azioni e strategie all’interno di un’organizzazione.

Il mezzo per ottenere questo risultato ha come momento cruciale l’individuazione e l’analisi sistematica e oggettiva delle informazioni rilevanti per la soluzione di un problema o l’individuazione di un’opportunità.

Nel caso specifico di questa ricerca svolta nella città di Nanjing, capoluogo della provincia dello Jiangsu è stato scelto il settore agroalimentare italiano; in questo campo, infatti, il made in Italy è un grande patrimonio che il nostro Paese deve ancora valorizzare e sfruttare adeguatamente.

La situazione presente e le prospettive future delle aziende italiane nel mercato cinese devono essere esaminate con misurato realismo al fine di non rimanere schiacciati tra eccessive illusioni e pericolose delusioni.

In primo luogo bisogna riconoscere che l’Italia aumenta il suo export verso la Cina che acquista sempre più peso tra le nostre destinazioni. È un fenomeno positivo, che deriva sia dal traino della Cina (un Paese che aumenta in modo senza precedenti le proprie importazioni) che dalle iniziative delle nostre aziende (che pongono finalmente il mercato cinese tra le loro priorità). La composizione merceologica delle importazioni cinesi è sbilanciata verso due macro-settori: le materie prime e la tecnologia. Le prime le consentono di mantenere il suo immenso apparato produttivo; la seconda è lo strumento per migliorarlo. Energia, minerali e materie prime alimentari servono per far crescere la grande "fabbrica del mondo", un ruolo conquistato con decenni di risparmi ed investimenti.

Sono invece più modeste, seppure con grandi prospettive di crescita, le importazioni di beni di consumo, vale a dire il settore che ci interessa in questo lavoro. La Cina ha smentito le facili previsioni di chi la considerava pronta ad aprirsi a stili di vita e di consumo differenti, da raggiungere attraverso l'acquisizione di prodotti stranieri.

A questo si aggiunge la poca conoscenza del mercato, delle abitudini e delle preferenze del consumatore cinese, resistenze culturali, alti prezzi dei prodotti importati, lentezze nella distribuzione, nazionalismo dei consumi, tutti fattori che hanno finora privato l'industria italiana di uno sbocco commerciale che è stato assai più rapido verso altri paesi.

Fa eccezione a questa impasse il comparto del lusso, del quale la Cina rappresenta il secondo mercato mondiale. Ironicamente, il lusso si unisce a petrolio e macchinari: la Cina ne acquista perché non ne ha.

Naturalmente occorre lavorare per essere in prima linea quando la nuova domanda dei beni di consumo comincerà a esprimersi in grandi quantità; emblematico è il caso del vino dove, nonostante il primato italiano, il mercato di importazione vede come protagonisti soprattutto i francesi. La rivoluzione enogastronomica cinese è una realtà che si sta pian piano aprendo per il settore agroalimentare italiano e questo rappresenta un immenso mercato di potenziali consumatori. Insomma, i cinesi amanti della buona tavola sono sempre più inclini a sperimentare percorsi gastronomici diversi. Bisogna anche tener conto che il nostro agroalimentare in Cina è particolarmente penalizzato dal divieto d’importazione di prodotti freschi e di carni lavorate e non solo. Senza considerare il fatto che il nostro export è anche ostacolato da tre fattori strutturali.

Primo: pochi sono i grandi gruppi italiani che affrontano il mercato cinese con una strategia

mirata; un’eccezione è Ferrero, mentre gli altri operatori italiani sono per lo più medio-piccoli.

Secondo: il mercato cinese fino a poco tempo fa badava più al prezzo che alla qualità, mentre

ora la situazione sta velocemente cambiando e le imprese sono state prese “alla sprovvista”.

Terzo: l’Italia in Cina, a differenza dei suoi concorrenti (in particolare i francesi), non ha né

catene distributive, né grandi gruppi alberghieri tramite i quali promuovere e vendere i suoi prodotti. Prodotti che, anche per questo, hanno maggiori difficoltà a rientrare nel circuito della vendita al dettaglio.

E in questo la Cina non si differenzia da altri mercati asiatici molto più sviluppati (Giappone, Hong Kong, Corea) dove la presenza della cucina italiana nella dieta domestica rimane marginale. Ecco perché la ristorazione, che ultimamente sta trovando sempre più operatori cinesi pronti a condividere l’investimento, è destinata a giocare un ruolo cruciale nella partita dell’agroalimentare italiano. Andrà sostenuta, anche a livello istituzionale, perché lo sbarco in

Cina non è una passeggiata, condizionato com’è da costi di affitto esorbitanti, difficoltà nel reperimento di materie prime, e la presenza di barriere culturali e comunicative.

Non è facile scardinare le abitudini culinarie dei cinesi. Nonostante questo, l’export italiano cresce dell’8% annuo, gli asiatici apprezzano l’agroalimentare italiano soprattutto Dop, Igp, e biologico.

Non di rado però sugli scaffali dei supermercati capita di vedere olio spagnolo, pizze tedesche, formaggi danesi, gelati americani, biscotti francesi, olive greche; prodotti alimentari tipici del made in Italy ma battenti bandiere estere. Oltre alle difficoltà di business che si incontrano quando si sceglie un mercato ricco di contraddizioni come la Cina, bisogna anche confrontarsi con il fenomeno della contraffazione che sfrutta l’Italian sounding che va a conciliarsi con le difficoltà tra barriere doganali, usanze religiose e scarsa conoscenza della qualità del made in

Italy a tavola.

Pensiamo per esempio a tre produzioni che noi italiani concepiamo come una sorta di esclusiva, e sulle quali abbiamo un primato di gusto e di qualità: la pizza, il caffè, il gelato.

A che cosa le assocerebbe un consumatore cinese? Al golfo di Napoli? Al Colosseo? A piazza San Marco?

Sicuramente le assocerebbe a Pizza Hut, a Starbucks, a Hagen-Dazs.

È evidente che questi marchi offrono al consumatore un'esperienza e non soltanto un prodotto, l'accessibilità (data la diffusione dei punti vendita) e quindi la quotidianità.

In ogni caso il prodotto italiano è vissuto sicuramente come un prodotto al top in termini di qualità e di immagine, e quindi sicuramente un prodotto verso il quale il consumatore cinese e, soprattutto quello più giovane, si sente attratto.

Rimane però un prodotto distante, che evoca quasi una sorta di timore; un timore reverenziale indotto anche dalla consapevolezza di un diverso modo di stare a tavola, costumi e ritualità che per i cinesi risultano esotici.

Le chance di business sono enormi per i nostri produttori. Sarà fondamentale inventare di continuo qualcosa che attiri i cinesi, soprattutto i giovani, ad avvicinarsi al cibo e al vino italiano e soprattutto a riconoscere quelli autentici.

I fattori sui quali si dovrebbe pensare di puntare sono tre: la curiosità, il sound of Italy, e la sicurezza alimentare. La Cina giovane sta scoprendo il made in Italy alimentare e si aprono porte allettanti per le nostre imprese del food&beverage.

una piccola porzione di territorio e popolazione; infatti il primo errore che compiono gli italiani è di pensare alla Cina come a un unicum. Mentre invece in Cina si ragiona per città e per province.

Ed è proprio per questo motivo che l’indagine svolta ha avuto come oggetto l’analisi di una popolazione studentesca universitaria la cui provenienza era per lo più dalla provincia dello Jiangsu.

I risultati della presente indagine consentono di valutare la possibilità di promuovere campagne di marketing e programmi di educazione alimentare appositamente per i giovani consumatori cinesi, adulti di domani, cosi da ampliare il bacino di utenze al di là dei consumatori occidentali che frequentano alberghi e negozi a loro dedicati e poi supportare le nostre imprese agroalimentari, specie le più piccole, nel processo di penetrazione sui mercati dell’Asia.