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Drammi senza regista. Gesta apud Zenophilum e Acta purgationis Felicis episcopi Autumnitani: edizione con introduzione, traduzione e commento.

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I

Indice

PREMESSA ... i

INTRODUZIONE ... I 1. Introduzione storica ... I 1.1. Le origini dello scisma donatista ... I 1.2. L'intervento di Costantino ... VI 2. Il Trattato contro i donatisti di Ottato e la sua Appendice ... X 2.1. Tradizione manoscritta ed edizioni ... X 2.2. Le origini dell'Appendice ... XII 2.3. Il redattore dell'Appendice ... XV 3. Il genere degli Acta e dei Gesta ... XX 4. Acta e Gesta: lingua e stile di un "genere letterario" ... XXIV 4.1. Latino volgare: solecismi veri o presunti ... XXIX 4.2. La lingua del dialogo... XXXVIII 4.3. Lingue settoriali: latino giuridico e cancelleresco ... XLVII 4.4. Strategie difensive e strategie inquisitorie: la lingua all'interno dei processi... LV CONCLUSIONI ... LXX NOTA AL TESTO ... LXXIII Gesta apud Zenophilum ... 1

Acta purgationis Felicis episcopi Autumnitani... 29

COMMENTO ... 43

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i PREMESSA

Il lavoro che presento come tesi magistrale consiste in un'edizione critica con traduzione e commento di due verbali giudiziari, noti come Gesta apud Zenophilum e Acta purgationis Felicis episcopi Autumnitani. Trattandosi di testi particolari per genere, contenuto, modalità di trasmissione e produzione, si è resa necessaria un'indagine preliminare su ciascuna di queste caratteristiche peculiari, finalizzata a collocare tali documenti nel loro contesto originario. Essi rappresentano infatti la trascrizione di due udienze tenutesi agli inizi del sec. IV d.C. nell'Africa Romana e vertono sulla controversia che vide opposte nelle città africane la chiesa donatista e quella cattolica al termine delle persecuzioni dioclezionee e agli inzi dell'età costantiniana. I membri di ciascuna delle due parti accusarono i loro avversari di aver collaborato con le autorità, con lo scopo di eliminare la chiesa avversa attraverso una condanna giudiziaria imperiale e ottenere così il pieno controllo della vita religiosa nella provincia. Circa mezzo secolo dopo gli eventi, il vescovo Ottato di Milevi scrisse un trattato polemico antidonatista al quale allegò, per convalidare la propria ricostruzione delle origini dello scisma donatista, una decina di documenti della cancelleria imperiale, tra i quali appunto i Gesta apud Zenophilum e gli Acta purgationis Felicis, la cui tradizione testuale si riduce per noi a un unico codice dell'opera di Ottato.

I primi due capitoli dell'introduzione saranno dunque dedicati all'illustrazione del contesto storico, dello stato della tradizione e delle caratteristiche peculiari dei due testi, che appartengono a un genere specifico, quello degli acta publica, rispondente a determinate norme linguistiche. La consapevolezza di questi aspetti storico-testuali risulta infatti indispensabile alla piena comprensione e alla costituzione stessa del testo. Seguono poi nei capitoli successivi alcuni esempi tratti dai due verbali, appositamente scelti per mostrare alcune caratteristiche della lingua e dello stile degli acta, sia per quanto riguarda il modo di esprimersi dei personaggi di cui vengono riportate le dichiarazioni sia per quanto riguarda i mezzi di cui i segretari si sono serviti nel processo di trascrizione. Chiarite tali questioni preliminari, fornirò dunque l'edizione critica dei due testi con traduzione a fronte e il relativo commento. Per analizzare e comprendere questi brani, data la loro natura particolare, si dovrà fare ricorso non solo alla linguistica storica, ma spesso anche alla pragmatica e a teorie di linguistica giudiziaria. Pertanto, il commento a questi passi si rivelerà utile a illuminare alcuni aspetti del latino volgare e della lingua della conversazione, nonchè elementi tipici di alcune lingue settoriali (come il latino giuridico e cancelleresco e in parte anche una lingua speciale come il latino cristiano), ma non sarà privo di interesse sotto il profilo letterario e per gli studi di letteratura. Infatti, sganciati dal loro contesto, i nostri verbali possono apparire al lettore moderno come una sorta di copione teatrale, in cui le battute dei vari personaggi si alternano con un'apparenza di forte realismo. Lo scopo di chi li ha redatti non era certo quello di produrre un'opera letteraria per un pubblico di lettori, ma quello ben più pratico di svolgere la propria professione all'interno delle strutture giudiziarie dell'Impero

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ii

romano; tuttavia, quanto più scrupolosamente i segretari adempivano alla loro mansione, tanto più realistici e drammatici risultano ai nostri occhi i testi da loro prodotti. Infatti, se da una parte i mezzi linguistici utilizzati per tradurre in forma scritta un'interazione dialogica nel modo più fedele possibile possono prestarsi al confronto con quelli impiegati in opere propriamente letterarie, intenzionalmente progettate con una finalità realistica, dall'altra parte il processo stesso di trasferimento da un canale all'altro costituisce un'operazione in sé letteraria, che richiede determinate abilità linguistiche. Se si considera l'effetto e non lo scopo, si potrà allora vincere ogni esitazione a considerare questi verbali giudiziari (a distanza di molti secoli) anche come una forma di mimesi letteraria, un tentativo di rispecchiare la realtà oggettiva, di risolvere il problema del realismo, un problema che è stato spesso posto a fondamento della letteratura.

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I INTRODUZIONE

1. Introduzione storica

1.1. Le origini dello scisma donatista

Lo scisma donatista fu una conseguenza specificamente africana della Grande Persecuzione avviata da Diocleziano nel biennio 303-304.1 Già l'espulsione dei cristiani dall'esercito nel 299 può essere considerata un'avvisaglia della persecuzione futura. Ancora, nel 302, quando il proconsole d'Africa consultò l'imperatore sul comportamento da assumere nei confronti dei manichei, chiedendo se dovessero essere trattati come i cristiani, Diocleziano rispose per lettera ordinando di condannarli a morte per maleficia e mostrando di considerarli una minaccia proveniente dal nemico persiano. Con il primo editto di persecuzione, emanato a Nicomedia il 23 febbraio del 303, si passò dalle purghe episodiche alla persecuzione sistematica: gli edifici di culto dovevano essere distrutti, le Scritture bruciate, le funzioni liturgiche venivano proibite, i cristiani perdevano i loro privilegi ed erano esclusi dai tribunali. Dopo circa otto mesi, a seguito dell'incendio del palazzo imperiale di Nicomedia, fu pubblicato un secondo editto che prevedeva l'arresto dei capi della Chiesa (poi rilasciati nel novembre dello stesso anno). Infine, nella primavera del 304, furono imposti a tutti i sudditi dell'Oriente i sacrifici agli dei pagani; non si sa se l'editto sia stato esteso anche all'Occidente, ma si hanno prove della sua applicazione in Africa. In ogni caso, per tutti i cristiani dell'Impero valeva l'obbligo di consegnare le Scritture e abbandonare i luoghi di raduno. Una caratteristica di questa ondata persecutoria fu l'aumento del numero dei lapsi (coloro che si sottomettevano agli editti per evitare la condanna, l'imprigionamento e in alcuni casi il martirio) anche tra chierici e vescovi; pertanto, una volta esauritasi la persecuzione, che in Occidente si concluse per volontà di Costantino già nel luglio del 306 con la restituzione ai cristiani dei beni perduti, si rese necessario stabilire dei criteri sulla base dei quali i lapsi potessero essere riammessi nelle comunità da loro tradite. Il documento più celebre a tal proposito sono le regole per la penitenza e la riammissione emanate da Pietro vescovo di Alessandria nel 306. Ma non tutti furono altrettanto clementi nei confronti dei lapsi: proprio nell'Egitto di Pietro, i seguaci di Melezio cominciarono a organizzare una loro Chiesa. Qualcosa di simile accadde con la nascita della Chiesa donatista in Africa, dove però alle motivazioni teologiche e religiose si saldarono fin da subito spinte di carattere economico-sociale.2

1

Nel ripercorrere sinteticamente le fasi della persecuzione seguo l'analisi di FOX 1991, pp. 643-663. Sul problema delle origini e degli scopi della persecuzione si veda DAVIES 1989, che pone in luce le varie condizioni che resero possibile un'azione contro i cristiani: essenzialmente, la loro crescita numerica soprattutto in Oriente (dove Diocleziano risiedette tra 296 e 302) e una situazione di pace generale che riduceva i danni derivanti dalla perdita dei soldati cristiani e in cui non vi erano usurpatori o nemici esterni che potessero attirare le simpatie dei perseguitati.

2 Sull'applicazione degli editti imperiali in Africa e sulle loro conseguenze fino allo scoppio dello scisma, seguo

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II

Il primo editto di Nicomedia arrivò in Numidia (provincia imperiale) il 19 Maggio 303; il 5 giugno (il cosiddetto dies traditionis) l'editto venne applicato anche dal governatore dell'Africa proconsolare (provincia senatoria); infine, il terzo ed ultimo editto sui sacrifici venne esteso all'Africa, in un giorno di datazione incerta noto come dies thurificationis. A Cirta (attuale Costantina e capitale della Numidia Cirtensis) un gruppo di cristiani si diede alla fuga, ma quelli che rimasero in città accettando di sacrificare furono così numerosi che i templi locali non erano abbastanza grandi per accogliere un così accresciuto numero di sacrificanti.3 Gli Atti di Munazio Felice, citati all'interno dei Gesta apud Zenophilum, ci informano sulle perquisizioni messe in atto dalle autorità romane: vennero perquisiti e interrogati i lectores, i quali, dopo vari tentativi di resistere e coprirsi a vicenda, si videro alla fine costretti a consegnare non soltanto copie delle Scritture, ma anche altri oggetti liturgici (calici, lanterne, vestiti e vari oggetti di culto), macchiandosi così di traditio. Tra costoro c'era Silvano, all'epoca sottodiacono e futuro vescovo donatista di Cirta, ma non erano immuni da sospetti neppure i dodici vescovi che, dopo la morte del vescovo Paolo, si radunarono per eleggere un successore. Dagli Atti del Concilio di Cirta (citati da Agostino nella Contra Cresconium III, 27.30) veniamo a sapere che quattro di loro avevano consegnato la Bibbia alle autorità, un quinto aveva anche bruciato i Vangeli, un altro ancora aveva finto di essere cieco.4

Non tutti però furono così remissivi: alcuni videro nella resistenza alla persecuzione una battaglia contro il demonio, predicando l'imminente fine del mondo e procurandosi adepti che obbedissero esclusivamente agli ordini di Dio.5 La persecuzione pare essere stata particolarmente aspra nella Numidia Militana sotto il governatore Valerio Floro, un pagano intransigente. È in questa parte della Numidia che sorsero i primi gruppi scismatici, tra cui i seguaci di Saturnino, processati a Cartagine nel febbraio 304:6 ai condannati fu permesso di lasciarsi morire di fame. Essi attiravano folle di ammiratori che vegliavano su di loro; pare addirittura che in una riunione tenutasi in prigione essi abbiano condannato all'inferno non solo tutti i traditores, ma anche tutti

3 Cfr. Opt. III, 8.

4

Lo stesso era accaduto nella provincia d'Africa: i vescovi di Furni, Zama e Abitina, tre città dell'attuale Tunisia, avevano ceduto alle pressioni e il primate di Cartagine Mensurio aveva salvato la propria coscienza consegnando degli scritti ereticali (forse testi manichei) al posto delle Scritture. Ne siamo informati dagli Acta purgationis Felicis, p. 21.15-19 (su Furni e Zama), dagli Acta Saturnini 3 (su Abitina) e da Agostino, Breviculus collationis cum Donatistis III, 13.25 (su Cartagine).

5

Cfr. Lact., Div. Inst. VII, 15.11 e Acta Saturnini 5 e 14. A Cartagine, addirittura, un gruppo di cristiani si recò spontaneamente davanti alle autorità a dichiarare di essere in possesso di testi sacri (che in realtà non avevano) e che mai li avrebbero consegnati (cfr. Aug., Brev. coll. III, 13.25).

6

Gli Acta Saturnini sono appunto il resoconto di questo processo, redatto da un fervente donatista in chiave anticattolica. Dopo che Fundano, vescovo di Abitina (attuale Chaoud presso Medjez el Bab), aveva consegnato le Scritture divenendo un traditor, la sua congregazione, guidata dal presbitero Saturnino, continuò a riunirsi nella casa del lettore Emerito, finchè un giorno non vennero scoperti e deportati a Cartagine, dove vennero processati di fronte al proconsole Anulino.

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III

coloro che avessero continuato a ricevere la comunione dai traditores.7 Ceciliano, diacono di Cartagine,8 dovette usare metodi brutali per evitare che venissero soccorsi con del cibo, un atteggiamento che avrebbe poi pagato a caro prezzo.

Verso la fine del 304 la persecuzione si attutì e si esaurì del tutto nel marzo 305.9 Tuttavia, l'odio verso i traditores non si era spento e l'accusa di traditio divenne perciò un facile pretesto per le vendette private. In particolare, a Cirta, dove era ancora aperta l'elezione del successore di Paolo, i rigoristi avevano assunto la guida della comunità e scelsero come loro vescovo Silvano, amato dai ceti popolari (gladiatori, contadini, prostitute) benchè non immune dal sospetto di traditio (si era pubblicamente vantato in Chiesa di aver consegnato degli oggetti d'argento al curator Munazio Felice). La scena della sua elezione è descritta nei Gesta apud Zenophilum: i cives, che certo non gradivano un semplice sottodiacono quale Silvano e per giunta un traditor, ma avrebbero voluto un vescovo del loro rango (honestum), vennero rinchiusi nel cimitero dei martiri (area martyrum), mentre Silvano veniva sollevato da un gladiatore di nome Muto e acclamato vescovo da una folla di contadini (campenses), gladiatori (harenarii), donne e prostitute (prostibulae).

Il 5 marzo del 305 il primate di Numidia, Secondo di Tigisi convocò un sinodo a Cirta, che ebbe luogo nella casa di un privato (Urbano Carisio) – le chiese, infatti, non erano state ancora ricostruite – al fine di appurare l'idoneità di Silvano alla carica episcopale.10 Quattro vescovi solidali a Silvano confessarono di essere traditores; tra di loro Pupurio di Limata ammise anche di

7 Si deve tenere presente che i martiri in attesa dell'esecuzione erano considerati in possesso del dono dello

Spirito e dunque in grado di sciogliere e legare, perdonando i peccati e sentenziando su eresia e ortodossia, come fossero supreme autorità ecclesiastiche. Cfr. FOX 1991, pp. 465-483.

8 Lo stesso vescovo cartaginese, Mensurio, era stato accusato di essere traditor e di essersi mostrato indifferente

verso i confessi detenuti in prigione, ma si era giustificato (in una lettera a Secondo di Tigisi) dicendo di aver consegnato testi ereticali spacciandoli per Sacre Scritture e illustrando i motivi per cui aveva cercato di disincentivare il martirio. Cfr. Aug., Brev. coll. III, 13.25.

9 L'ultimo processo ricordato dalle fonti è quello contro Crispina di Thagora, tenutosi a Teveste il 5 dicembre del

304.

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La datazione più accreditata è quella fornita da Agostino in Brev.coll. III, 32 (Nam gesta martyrum quibus ostendebatur tempus persecutionis consulibus facta sunt Diocletiano novies et Maximiano octies pridie idus februarias, gesta autem episcopalia decreti Cirtensis post eorundem consulatum tertio nonas martias). Agostino Cresc. III, 29.33 colloca invece il concilio di Cirta al 4 marzo 303, data palesemente impossibile perché precedente all'editto di persecuzione (19 maggio 303). Ottato lo fissa al 13 maggio (Opt. I, 14.1), ma non specifica l'anno. Maier ha proposto di spostare la data agli inizi del 307 sulla base di Gesta, p. 19.11-12 (si veda commento ad loc., pp. 93 s.), ma Edwards ha ribadito l'opportunità di ritornare alla data tradizionalmente accettata. Un resoconto di questo sinodo fu recitato da Nundinario durante il processo di fronte a Zenofilo, come riportato da Opt. I, 14.1 (Hi et ceteri, quos principes tuos fuisse paulo post docebimus, post persecutionem apud Cirtam civitatem, quia basilicae necdum fuerant restitutae, in domum Urbani Carisi consederunt die III Iduum Maiarum, sicut scripta Nundinarii tunc diaconi testantur et vetustas membranarum testimonium perhibet, quas dubitantibus proferre poterimus) e Aug., Ep. 53, 2 (recita illi gesta apud Zenophilum consularem, ubi Nundinarius quidam diaconus iratus Silvano, quod ab eo fuerit excommunicatus, haec omnia iudiciis prodidit, quae certis documentis et responsionibus testium et recitatione gestorum et multarum epistularum luce clarius constiterunt), ma doveva essere contenuto nella sezione iniziale del verbale a noi non giunta: ci si basa pertanto sul racconto di Ottato e di Agostino.

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IV

aver ucciso due nipoti, ma rispose accusando di traditio Secondo stesso.11 Il nipote di Secondo consigliò allora allo zio di lasciar perdere, per non rischiare che gli accusati dessero inizio a uno scisma, rimuovendo lo stesso Secondo e dichiarandolo eretico.12 Le tensioni accumulatesi sarebbero esplose negli anni successivi alla persecuzione, a partire dai contrasti tra i sostenitori della mitezza verso lapsi e traditores e gli esaltatori dei martiri e del rigore antiereticale. In questi anni fa capolino la figura di Donato di Casae Nigrae (villaggio dell'estremo sud della Numidia, la regione che aveva dovuto subire gli abusi di Floro e in cui, di conseguenza, il culto dei martiri era molto popolare)13: costui aveva iniziato a predicare nell'area di Teveste per poi trasferirsi a Cartagine nel 311, dove avrebbe capeggiato l'opposizione a Mensurio.14

Alla morte di Mensurio, vescovo di Cartagine, (tra la fine del 311 e l'inizio del 312) scoppiarono subito i contrasti per la successione:15 i seniores di Cartagine si affrettarono ad eleggere un loro rappresentante, prima che giungessero i rappresentanti della chiesa di Numidia, il cui primate aveva diritto di partecipare alla consacrazione del primate d'Africa a Cartagine.16 I seniores cartaginesi aspiravano probabilmente a mettere le mani su vari oggetti d'oro e d'argento che Mensurio aveva lasciato loro in custodia prima di partire per Roma e che però non potevano toccare, perché Mensurio stesso aveva affidato a un'anziana vedova di sua fiducia una copia dell'inventario dei beni, con l'incarico di consegnarlo al successore nel caso in cui egli non fosse più tornato (come effettivamente accadde). Due ecclesiastici di nome Botro e Celestio si candidarono, ma nessuno dei due riscosse approvazione e alla fine venne eletto Ceciliano, l'arcidiacono di Mensurio. L vedova consegnò al nuovo vescovo l'inventario e i seniores si videro costretti a cedergli le ricchezze di Mensurio. I cives di Cartagine acclamarono Ceciliano vescovo in quanto uomo di fiducia di Mensurio, ma il populus lo aveva in sospetto per la sua opposizione al culto dei martiri. Tra i suoi nemici figurava una certa Lucilla, ricca nobildonna spagnola residente a Cartagine, che si era sentita rimproverare da Ceciliano per aver baciato le ossa di

11 Aug., Brev. coll. III, 27 sostiene che Purpurio avesse ordinato l'esecuzione di due figli della sorella incarcerati

a Milevi. Secondo non era immune da sospetti, poiché si sapeva che durante la persecuzione era stato trattenuto da alcuni stationarii (capi dei corpi di polizia imperiale): dal momento che si era salvato, non poteva non aver dato nulla in cambio (cfr. Aug., Brev. coll. III, 13.25). Il fatto che i vescovi donatisti ammettano senza particolari problemi la traditio per poi accusare Felice di Aptungi del medesimo reato, facendone addirittura il caposaldo della propria polemica, ha fatto pensare a Barnes che il resoconto di Ottato e Agostino, essendo basato su una fonte non imparziale qual era Nundinario nemico di Silvano, possa non essere attendibile. Cfr. BARNES 1975, pp. 14-16.

12 Cfr. Opt. I, 14.

13 La denominazione indica semplicemente la provenienza di Donato, non implica che egli fosse vescovo di

Casae Nigrae e che si sia quindi trasferito nella sede di Cartagine (prassi che peraltro non era impossibile prima che il concilio di Nicea vietasse il cambio di sede episcopale e che sarebbe stata disattesa anche in seguito). Cfr. MONCEAUX 1920, pp. 104-105. Sull'identificazione tra Donato di Casae Nigrae e Donato di Cartagine si veda p. V n. 22.

14

Cfr. Aug., Brev. coll. III, 12.24.

15 Il resoconto più dettagliato è fornito da Opt. I, 17-18.

16 I seniores erano amministratori laici dei beni della comunità dotati anche di funzioni di controllo sulla

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V

alcuni martiri prima di prendere la comunione.17 Ben presto l'opposizione a Ceciliano fece fronte comune e individuò nel lettore Maggiorino un suo possibile sostituto. Gli oppositori potevano sfruttare a loro vantaggio due irregolarità verificatesi durante l'elezione di Ceciliano: la consacrazione era avvenuta per mezzo di tre soli vescovi (Novello di Tizica, Faustino Maggiore di Tuburbo e Felice di Aptungi) invece dei dodici abituali; uno di questi, Felice, era sospettato di traditio.

Fu allora richiesto l'intervento di Secondo di Tigisi, che subito giunse accompagnato da 70 vescovi, tra cui Purpurio di Limata e la maggior parte di quelli che avevano partecipato al sinodo di Cirta del marzo 305.18 Secondo convocò Ceciliano di fronte al sinodo, ma questi rifiutò di presentarsi, chiedendo che fosse Secondo a recarsi nella sua chiesa per formulare lì le sue proteste: accettare significava riconoscerlo come vescovo legittimo. La situazione di stallo fu rotta da una mossa sbagliata di Ceciliano: egli chiese ai vescovi numidi di consacrarlo per la seconda volta, come se fosse ancora un diacono, e con ciò sembrò ammettere che la consacrazione da parte del traditor Felice non avesse valore e che dunque lui stesso, pur sospettando di essere stato consacrato da un traditor, si fosse indebitamente arrogato il titolo e le funzioni del primate d'Africa. Purpurio rispose che, nel riconsacrarlo tramite l'imposizione delle mani sul capo, gli avrebbe volentieri spaccato la testa come penitenza.19 In un successivo concilio indetto da Secondo (autunno 312) Ceciliano fu condannato all'unanimità per la nomina invalida e per aver rifiutato cibo ai martiri di Abitina, al suo posto fu eletto Maggiorino.20 Presa questa decisione, i vescovi numidi rientrarono nelle loro terre, ma i cattolici si lamentarono del fatto che il concilio fosse stato corrotto coi 400 folles (sulla cui entità si veda infra, comm. ad p. 9.1-2, pp. 64 s.) donati da Lucilla e poi spartiti tra Purpurio e Silvano.21

Maggiorino morì molto presto (estate 313) e Donato di Casae Nigrae fu subito scelto per rimpiazzarlo, come testimoniato dalla rubrica dei Gesta: questi resterà in carica per 40 anni e assumerà la guida del movimento donatista, che da lui prese nome.22 Ma una volta che altare

17

Cfr. Opt. I, 16 e 18.3.

18

Sulle prime mosse e contromosse tra Secondo e Ceciliano si veda Aug., Ep. 44, 4.8.

19 Cfr. Opt. I, 19.2. 20

Sulla sentenza finale siamo informati da Aug., Brev. coll. III, 14.26. Dei brevi discorsi pronunciati dai singoli vescovi ci è giunto quello di Marciano, che esprime bene la posizione rigorista del clero numida. Egli chiese che nessuno ricevesse la comunione da Ceciliano, ordinato vescovo dai traditores, finchè questi non si fosse riconciliato attraverso la penitenza: qui in schismate a traditoribus ordinantur manere in Ecclesia Dei non possunt, nisi cognito ululatu suo per poenitentiam reconcilientur. Unde Caeciliano in schismate a traditoribus ordinato non communicare oportet (Liber contra Fulgentium Donatistam, 26).

21

Cfr. Aug., Ep. 25, 73 e Gesta p. 19.10. 22

Gli storici ottocenteschi (e poi anche Ziwsa) consideravano Donato di Casae Nigrae e il Donato vescovo di Cartagine due personaggi distinti, ma a partire da CHAPMAN 1909 e MONCEAUX 1920 (pp. 100-105) l'identità tra le due figure non è più messa in discussione. Le argomentazioni di Chapman e Monceaux sono riassunte per sommi capi nel commento alla rubrica dei Gesta, pp. 43 s. BARNES 1975 ha però ipotizzato che il nome Donato di Casae Nigrae sia in realtà il frutto di una semplice confusione lessicale: da Carthaginensis a Casaenigrensis o Casensis (come si legge in Capitula gestorum Coll. Carth. III, 538-541: Donatus Casensis).

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VI

contra altarem creatum est (Opt. I, 19.4), la controversia non poteva concludersi così rapidamente. I cattolici a poco a poco riguadagnarono terreno: nel 315 Felice di Aptungi, uno degli elettori dell'indulgente Ceciliano, fu dichiarato innocente dall'accusa di traditio; Ceciliano fu formalmente scagionato a più riprese dall'imperatore Costantino; nel dicembre 320 Silvano di Cirta fu dimostrato colpevole di traditio e simonia in un processo di fronte al governatore della Numidia. I resoconti del processo in favore di Felice e di quello contro Silvano sono appunto i nostri Acta purgationis Felicis episcopi Autumnitani e i Gesta apud Zenophilum.

1.2. L'intervento di Costantino

La necessità di ampi rifornimenti di grano e olio dall'Africa, oltre che la volontà di mantenere l'unità dell'Impero, spinsero Costantino a intervenire nelle questioni religiose.23 Costantino, dapprincipio, non ebbe molte esitazioni e riconobbe subito Ceciliano come unico vescovo legittimo di Cartagine: nell'inverno 312-3 incaricò Urso, rationalis (funzionario delle finanze imperiali) dell'Africa, di assegnare 3000 folli a Ceciliano, che venne autorizzato a rivolgersi al procurator Eraclide, qualora avesse avuto bisogno di maggiori finanziamenti. In due lettere inviate al proconsole d'Africa Anulino, l'imperatore diede ordine di processare tutti coloro che attaccavano la Santa Chiesa Cattolica e si dichiarò disposto a concedere l'esenzione dai munera municipali a tutto il clero sottoposto a Ceciliano. Anulino informò l'imperatore di aver emanato tale provvedimento con una lettera datata al 15 aprile 313. I donatisti allora si recarono in massa al cospetto di Anulino e gli consegnarono una petitio rivolta a Costantino stesso, con cui chiedevano l'invio di giudici neutrali dalla Gallia.24 Costantino decise di accondiscendere almeno in parte alle richieste degli scismatici e convocò a Roma Ceciliano insieme a 10 vescovi cattolici e 10 della parte avversa, per discutere il caso di fronte al vescovo di Roma Milziade, affiancato da tre vescovi gallici.25 Il concilio si riunì tra l'aprile e l'ottobre del 313 in tre distinte sessioni; già durante la prima sessione, Maggiorino era morto ed era stato rimpiazzato da Donato, che però non prese mai parte al concilio. Nella terza sessione, il 2 di ottobre, Milziade emanò il verdetto: non solo Ceciliano fu assolto, ma si arrivò a condannare Donato per aver introdotto la prassi di ribattezzare i lapsi prima di riaccoglierli nella comunità; agli scismatici fu tuttavia concessa la ratifica delle ordinazioni compiute dagli oppositori di Ceciliano. I donatisti non accettarono la sentenza del concilio Laterano, facendo notare che Milziade aveva aggiunto ai vescovi gallici un maggior numero di vescovi del centro e nord Italia a lui fedeli, e le contrapposero quella dei

Trattandosi però di un passaggio da un toponimo molto noto (la famosa Cartagine) a uno meno noto (Casae Nigrae, piccolo centro della Numidia), tale confusione appare improbabile.

23 La fonte principale sulle politiche di Costantino in Africa è Eusebio, Hist. Eccl. X, 6.

24 Il resoconto di questo episodio, scritto da Anulino per Costantino, è riportato da Agostino (Ep. 88, 2), mentre

il testo della petitio è citato da Ottato (I, 22.1).

25 Questa è la ricostruzione dei fatti secondo Ottato, comunemente accreditata. Tuttavia, è possibile che Ottato

abbia collocato la petitio prima del concilio di Roma del 313 semplicemente perché ignorava il concilio di Arles del 314 (che, in effetti, non viene mai menzionato nel trattato). Chiarito l'equivoco, si può ricollocare la petitio tra i due concili e considerarla la causa della convocazione del secondo concilio. Così KRIEGBAUM 1990.

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VII

settanta vescovi che si erano riuniti a Cartagine sotto la presidenza di Secondo; risposero quindi con una seconda petitio, in cui accusavano lo stesso Milziade di traditio e sostenevano che la traditio di Felice di Aptungi, trascurata da Milziade, avesse invalidato la consacrazione di Ceciliano indipendentemente dalla sua colpevolezza.26 Costantino decise allora di convocare un secondo concilio che si sarebbe riunito ad Arles nel 314, in cui fossero rappresentate tutte le province dell'Impero: il vicario cristiano d'Africa, Elafio, ricevette l'ordine di accompagnare Ceciliano e i suoi avversari dall'Africa ad Arles passando per la Spagna.27

Contemporaneamente venne chiamato a deporre sul caso di Felice Alfio Ceciliano (da non confondere con Ceciliano vescovo), duumviro di Cirta nel periodo della persecuzione. I donatisti avevano bisogno che Felice fosse condannato, perché una sua eventuale riabilitazione avrebbe compromesso irrimediabilmente l'esito del concilio di Arles; a tal scopo, dopo la conferma nel concilio di Arles della sentenza del precedente Concilio Laterano, essi si spinsero fino alla falsificazione.28 Un consigliere municipale di Zigga Ziqua (Zaghouan) di nome Ingenzio fu incaricato di recarsi da Alfio Ceciliano per ottenere un documento scritto a testimonianza del fatto che Felice avesse bruciato le Sacre Scritture. Alfio Ceciliano, dopo varie insistenze, accettò di rilasciare un testo in cui dichiarava che le Scritture erano state trafugate e bruciate durante la persecuzione, ma in assenza del vescovo Felice. Ovviamente, questo non bastava ad Ingenzio, che quindi falsificò il testo aggiungendo di suo pugno una conclusione in cui si imputava a Felice di aver consegnato a Ceciliano le chiavi della basilica e di averlo convinto a lasciargli l'olio e il grano in cambio delle Scritture. Nonostante la palese falsificazione, il documento fu messo agli atti nell'inchiesta preliminare tenutasi a Cartagine il 19 agosto 314. Ciononostante, il concilio di Arles scagionò per la seconda volta Ceciliano, condannò la prassi di ribattezzare gli eretici e i lapsi e dichiarò valide le ordinazioni effettuate da un traditor; furono inoltre stabilite con rigore le prove necessarie per considerare un membro del clero come reo di traditio. Costantino scrisse una lettera ai vescovi (di discussa autenticità), per congratularsi dell'operato svolto dal Concilio.29 Solo pochi tra i donatisti accettarono di riconciliarsi con Ceciliano, gli altri rimasero fedeli a Donato. Essi non poterono però rientrare in Africa: il viaggio di ritorno, annunciato in una lettera dei prefetti del pretorio Anniano e Giuliano a Domizio Celso, venne poi rimandato.30

26

Cfr. Aug., Parm. I, 5.10. Se si accetta l'ipotesi di Kriegbaum (si veda supra, p. VI n. 25), le due petitiones finirebbero per coincidere con l'unica petitio presentata dopo il concilio di Roma e prima di quello di Arles.

27 Il terzo documento dell'Appendice di Ottato è per l'appunto la lettera di Costantino ad Elafio. 28

Già in una lettera a papa Silvestro (succeduto a Milziade, morto l'11 febbraio del 314) i vescovi riuniti ad Arles avevano espresso grosse perplessità sulle ragioni addotte dai donatisti: il testo della lettera costituisce il quarto documento dell'Appendice di Ottato.

29

Si tratta del quinto documento dell'Appendice di Ottato.

30

La lettera di Anniano e Giuliano a Celso è l'ottavo documento dell'Appendice di Ottato, ma con ogni probabilità è stato trasposto erroneamente in ottava posizione, dovendo essere cronologicamente anteriore ai due testi precedenti (due lettere di Costantino rispettivamente ai vescovi numidi e al vicario Domizio Celso), che presuppongono che i vescovi donatisti si trovassero ancora in Italia.

(12)

VIII

Nel frattempo il processo a Felice per l'accusa di traditio era passato dal vicarius Elio Paolino, che aveva presieduto l'inchiesta preliminare a Cartagine, al suo successore Vero, il quale si era ben presto ammalato; il caso fu allora trasferito al proconsole Eliano e l'udienza si tenne il 15 febbraio 315.31 L'avvocato difensore riuscì a dimostrare che Ingenzio aveva prodotto un falso per proteggere la reputazione del vescovo di Utica, a sua volta accusato di traditio da Felice di Aptungi; la sentenza emessa da Eliano ordinò dunque l'arresto di Ingenzio e la riabilitazione di Felice. Costantino allora chiese al proconsole Probiano di mandare Ingenzio a Roma, perché i donatisti, trattenuti in Italia dopo i concili, potessero udire direttamente da lui la falsità delle accuse contro Felice e Ceciliano, ma Ceciliano non si presentò.32 In seguito a questa mancanza di riguardo, Costantino cominciò a nutrire sospetti anche sulla parte cattolica e scrisse ai vescovi donatisti una lettera in cui prometteva che avrebbe riconosciuto la loro causa se fossero riusciti a dimostrare anche solo una delle accuse contro Ceciliano.33 Alcuni vescovi donatisti approfittarono della situazione per rientrare in Africa e ciò riaccese le ostilità; Costantino decise dunque di trasferire a Milano i vescovi donatisti (e successivamente a Brescia), dove li raggiunse egli stesso (19 ottobre) per prendere la decisione finale, ma un'invasione di Franchi lo costrinse a recarsi a Treviri.34

A questo punto, un cortigiano di Costantino di nome Filumeno, ben disposto verso i donatisti, propose una soluzione di compromesso: una commissione di vescovi sarebbe stata inviata a Cartagine, mentre Ceciliano e Donato sarebbero stati richiamati entrambi in Italia.35 A tale scopo furono prescelti i prelati Olimpio ed Eunomio, che raggiunsero l'Africa nell'inverno 315-316, incontrando però un'accoglienza ostile: il clero donatista non riconobbe la loro autorità e suscitò una rivolta che costrinse i due commissari a rientrare in Italia. Nel frattempo, sia Donato sia Ceciliano erano riusciti a raggiungere Cartagine. Costantino si rese conto di non avere altra scelta se non quella di intervenire di persona e, dopo aver fatto rientrare nelle loro città i vescovi che ancora si trovavano in Italia, inviò una lettera al vicarius Africae Domizio Celso per annunciargli la sua intenzione di recarsi in Africa a mostrare qualis summae divinitati sit adhibenda veneratio.36 La determinazione dell'imperatore fu però di breve durata e i rischi di incontrare una popolazione riottosa e violenta (com'era accaduto ad Olimpio ed Eugenio) lo indussero a cambiare idea: Costantino ritornò a Milano nell'autunno del 316 per riaprire nuovamente il caso di Ingenzio

31 La data è indicata in tre scritti di Agostino: Ep. 88, 4; Cresc. III, 70.81; Contra partem Donati post Gesta 33,

56. Sui problemi di datazione posti dal testo agostiniano si veda comm. ad p. 29.1, p. 115. Per quanto riguarda invece la successione di Vero ad Elio Paolino e di Eliano allo stesso Vero si veda comm. ad p. 29.3, pp. 115 ss.

32

La lettera di Costantino a Probiano è riportata da Agostino in Cresc. III, 56.67. Il fatto che Ceciliano non si sia presentato resta inspiegabile e persino gli autori cattolici non ne danno alcuna giustificazione, mostrando anzi un certo imbarazzo (cfr. Aug., Ep. 43, 7.20).

33

Si tratta del sesto documento dell'Appendice di Ottato.

34

Cfr. Aug., Ep. 43, 7.20.

35 Cfr. Opt. I, 26. 36

(13)

IX

e visionare per l'ultima volta le accuse a Ceciliano. La sua sentenza fu comunicata al nuovo vicario Eumalio il 10 novembre 316: Ceciliano fu dichiarato totalmente innocente e i suoi accusatori furono condannati per calumnia.37 Nonostante nella primavera del 317 venisse emanato un editto che prevedeva la confisca delle chiese detenute dai donatisti e l'esilio dei loro capi,38 Ceciliano non riuscì a conquistarsi il consenso della plebs cartaginese. Donato invece, forte del sostegno popolare e della compattezza del suo clero, rifiutò di consegnare le chiese in suo controllo; in risposta, Ceciliano fece appello alle autorità romane e arrivò addirittura a chiedere e ottenere dal dux Leonzio e dal comes Ursazio delle armate militari, di cui si servì per attaccare le chiese nelle mani dei vescovi donatisti, alcuni dei quali restarono uccisi insieme a gruppi di fedeli.39 In realtà, la persecuzione non si estese al di fuori del territorio di Cartagine e praticamente non toccò la Numidia, dove Silvano e i vescovi che lo avevano consacrato mantennero la loro posizione, almeno fino alla fine del 320.

Nel dicembre del 320 Silvano era venuto in lite col suo diacono Nundinario e lo aveva scomunicato. Gli altri vescovi numidi (tra cui Purpurio), invitarono Silvano alla prudenza e al perdono, ben sapendo che il diacono era in possesso di informazioni compromettenti sulla sua ascesa al soglio episcopale.40 Dato che Silvano non accettò nessuna forma di riconciliazione, Nundinario, non trovando sostegno negli altri vescovi numidi, si appellò a Zenofilo consularis di Numidia: il processo si svolse a Cirta il 13 dicembre 320.41 Silvano fu accusato di traditio (consegna di una lanterna e di un vaso d'argento), simonia (vendita della carica di presbitero), corruzione (appropriazione indebita della donazione di Lucilla) e furto (sottrazione da un tempio, in collaborazione con Purpurio, di botti d'aceto riservate al fisco) e dimostrato colpevole di ciascuno di questi capi d'imputazione.42 Nel frattempo, il conflitto con Licinio costrinse Costantino a trascurare le vicende africane: essendo però lo scisma quanto mai aperto, l'imperatore si rivolse a tutti i vescovi d'Africa e più in generale a tutti i cattolici, invitando alla prudenza e alla moderazione.43

37 Cfr. Aug., Cresc. III, 71.82. 38

Il testo dell'editto non è giunto, ma il suo contenuto normativo è in parte ricostruibile attraverso Aug., Ep. 105, 9; 88, 3; Parm. II, 92.105.

39

L'evento è datato da MONCEAUX 1912, p. 60 ss. al 12 marzo 317: i massacri ordinati da Ceciliano sono descritti con enfasi nella Passio Donati 3, 6.

40

Le loro lettere a Silvano verranno recitate durante il processo di fronte a Zenofilo e sono trascritte nel verbale dei Gesta apud Zenophilum (il primo documento dell'Appendice di Ottato).

41 Frend colloca invece lo svolgimento del processo a Thamugadi (attuale Timgad). In realtà, sul codice C di

Ottato, Thamugadiensi è un aggettivo indicante la provenienza di un tale Sesto (probabilmente l'exceptor incaricato di registrare l'udienza), a meno di non accogliere la congettura di Monceaux (in civitate Thamugadi), che implicherebbe però anche di spostare la datazione dal 13 all'8 dicembre. Si veda comm. ad p. 1.3-4, p. 44.

42 I Gesta apud Zenophilum s'interrompono prima della sentenza finale, ma Agostino supplisce alla lacuna

informandoci che Silvano era stato condannato all'esilio e aggiunge che Silvano venne esaltato dai donatisti e dai ceti popolari come un martire, cacciato in esilio per essersi rifiutato di comparire di fronte ad Ursazio e Zenofilo. Cfr. Cresc. III, 30.34.

43 La lettera di Costantino a tutti i vescovi d'Africa e all'intera comunità cattolica, inviata nel 321, rappresenta il

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X

Si conclude qui il periodo storico in cui si collocano i documenti dell'Appendice di Ottato, di cui fanno parte i due verbali giudiziari di cui ci occuperemo (cioè il primo e il secondo testo). Come si sarà compreso dalla sintesi precedente, lo scisma donatista era tutt'altro che risolto; anzi, la lontananza di Costantino, prima impegnato nella guerra contro Licinio, poi interamente assorbito dalla controversia ariana, favorì la crescita del movimento donatista sotto la guida di Cartagine. Pochi e inutili furono gli interventi in favore di Ceciliano dopo il 320.44 Nel 324 Costantino manifestò l'intenzione, poi non realizzata, di inviare in Africa una nuova commissione di vescovi dell'Oriente; sempre nel 324 Ceciliano fu invitato a prendere parte al concilio di Nicea, come dimostrazione della fiducia riposta in lui dall'imperatore; infine, il 5 febbraio del 330, Costantino scrisse da Serdica un'ultima lettera ai vescovi cattolici dell'Africa, concedendo loro l'autorizzazione a richiedere al rationalis i fondi per la costruzione di una nuova basilica.45 Era accaduto infatti che i donatisti di Cirta fossero riusciti ad occupare una basilica imperiale costruita per i cattolici; dal momento che ogni richiesta di restituzione era rimasta inascoltata, l'imperatore non vide altra via d'uscita che finanziare i lavori per una nuova chiesa. Quest'ultimo intervento di Costantino nelle vicende africane è in fondo il segno del fallimento del tentativo imperiale di ricomporre lo scisma; lo stesso Ottato, dopo aver dimostrato nel primo libro che i donatisti erano traditores e responsabili primi dello scisma,46 interrompe la narrazione per circa una ventina d'anni, non mostrandosi interessato a trattare del periodo che vide l'affermazione e il riordino della Chiesa scismatica sotto la guida di Donato.

2. Il Trattato contro i donatisti di Ottato e la sua Appendice 2.1. Tradizione manoscritta ed edizioni

I due verbali di cui mi occuperò sono conservati su codex unicus in uno dei manoscritti dell'opera composta da Ottato di Milevi in risposta a Parmeniano. Questi, vescovo donatista di Cartagine eletto dopo l'esilio di Donato (348) e a sua volta bandito tra il 358 e il 362, aveva pubblicato uno scritto a difesa del movimento scismatico.47 Il trattato Contra Donatistas è riportato integralmente (per i suoi sette libri) dai codici R (Remensis 373; inizio del sec. IX), B (Par. lat. 1712; sec. XIV) e G (Par. lat. 13335; sec. XV), a cui si aggiungono P (Petropolitanus lat. 25, Q. V. I.2; sec.

44 Cfr. Eus., Vita Constantini II, 64-72. 45

Si tratta del decimo documento dell'Appendice di Ottato.

46

Cfr. Opt. I, 13.1: Primo loco audi, qui fuerunt traditores, et plenius auctores scismatis disce. La narrazione continuerà nel terzo libro (III, 1: Consequens est primo schismaticorum errores ostendere, deinde quae fuerit causa ut unitas fieret, tertio quis fecerit ut miles mitteretur armatus).

47

Il fatto che Ottato si rivolga frequentemente a Parmeniano, spesso in passi dal forte vigore polemico o all'inizio di un libro, porta a concludere che egli fosse il principale destinatario e bersaglio dell'opera. Nulla prova però che il suo nome figurasse nel titolo.Il trattato di Ottato è edito sulla Patrologia latina col titolo di de Schismate Donatistarum Adversus Parmenianum e analogamente da Parker 1887 (Contra Parmenianum). Prima di Parker, Hurter aveva proposto un titolo più descrittivo (De schismate Donatistarum), mentre gli editori più recenti inclinano verso un titolo che mantenga un destinatario più generico senza perdere la vena polemica (Contro i donatisti): così già Vassal-Phillips 1917 (Against the Donatists), poi Labrousse 1995 (Traité contre les Donatistes) ed Edwards (Against the Donatists); nel seguito adotterò anch'io quest'ultimo titolo.

(15)

XI

VI), per i primi due libri, V (Cusanus 50, sec. XV), che riporta l'opera in sei libri, A (Aurelianensis 169; sec. VII), contenente frammenti del libro VII, e C (Par. lat. 1711; sec. VIII/IX), che conserva la fine del libro VI e tutto il VII. Il codice che a noi interessa è proprio C:48 infatti, al termine del VII libro, esso contiene i dieci documenti della cosiddetta Appendice di Ottato. Si tratta di un manoscritto in pergamena datato da Ziwsa al sec. X, ma ridatato alla fine sec. VIII - inizio IX da Lindsay.49 Lo si ritiene vergato nello scriptorium di Tours in una semionciale con elementi precarolini (o, se si vuole, in una precarolina con forti tracce di semionciale): basti osservare la forma di a, che oscilla tra la a onciale della carolina (in genere a inizio parola) e la a corsiva aperta della semionciale (per lo più interna), oppure la g con i due occhielli più o meno aperti, ma mai completamente chiusi. Fu poi conservato nell'abbazia di Saint-Paul de Cormery (come indica una nota sul f. 37v: Hic est libri Sancti Pauli Cormaricensis Sancti Optati). Il codice comprende sui fogli 1-16v il libro VI (mancante dell'inizio)50 e il VII, a partire da f. 17 sono invece riportate le Gesta apud Zenophilum e a seguire gli altri nove documenti.

La prima edizione di Ottato comprendente anche i testi dell'Appendice è quella di Dupin (Parigi 1700, Anversa 1702), riprodotta da Migne sulla Patrologia Latina (Parigi 1845) nel vol. XI e (per i documenti dell'Appendice) nel vol. VIII,51 e riutilizzata anche da Gallandi (1769) nella Bibliotheca graeco-latina veterum Patrum (t. V, pp. 459 ss.). I testi dell'Appendice furono editi separatamente dal trattato nel volume IV delle Reliquiae Sacrae da Routh (18462).52 Una revisione critica degli Acta purgationis Felicis e dei Gesta apud Zenophilum fu effettuata da Deutsch nel 1875. Per quanto riguarda le traduzioni di Ottato comprensive dei testi in appendice, segnalo quella di Vassal Phillips (1917), che talvolta si discosta, nelle note, dal testo di Ziwsa, e quella molto più recente di Edwards (1997), anch'essa fornita di valide note di commento.53

Un punto di svolta nella storia degli studi su Ottato è stata l'edizione sullo CSEL (1893) di Ziwsa, che ha inserito i dieci documenti riportati su C alle pp. 183-216. Nell'introduzione (pp. XIII-XIV) Ziwsa lamenta lo stato gravemente corrotto di questi testi (soprattutto i primi due), per la cui ricostituzione si basa spesso su congetture e studi di Baluze (1683), Deutsch (1875), Völter (1883) e Duchesne (1890). Il lavoro di Ziwsa ha inaugurato anche una serie di studi specifici sull'Appendice o su singoli documenti che ne fanno parte. Petschenig, recensendo l'edizione di Ziwsa nel 1894, faceva notare come il testo di C (compreso quello dei due verbali) non fosse in

48 La sigla deriva dalla sua precedente denominazione: Colbertinus 1951. 49

Cfr. ZIWSA, CSEL 26, pp. XVIII-XXI e LINDSAY 1927, Paleographia latina, 5, p. 59.

50

Esso comincia con si oportuit frangere (LABROUSSE 1995 t. II, p. 164, 54).

51 L'Appendice nella PL risulta divisa in parte tra le lettere di Costantino (pp. 483-92 e 531-32), in parte tra i

Monumenta vetera ad Donatistarum historiam pertinentia (303-350) (pp. 718-42; 749-50) e in parte tra i documenti su papa Silvestro (pp. 818-20).

52

Gesta apud Zenophilum a pp. 320-335 e Gesta purgationis Felicis (questo il titolo dato da Routh) a pp. 286-295.

53

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XII

realtà così corrotto (osservazione ripresa da Hoogterp nel 1940) e suggeriva la possibilità di una revisione critica attraverso il confronto con le citazioni in Agostino (comunque non ignorate da Ziwsa). Alcuni brani dei Gesta apud Zenophilum sono infatti citati da Agostino nella Contra Cresconium III, 29.33 e corrispondono a Gesta pp. 1.3-6; 3.3-19; 5.6-10; 7.23-9.5; 15.1-2 e 3-5. Nel libro successivo (Cresc. IV, 56.66) Agostino cita nuovamente (con leggere varianti) pp. 5.6-8 e 9-10; 15.4-5. Per quanto riguarda invece gli Acta purgationis Felicis, la sentenza finale emessa da Eliano è riportata da Agostino, Cresc. III, 70.80 (= Acta p. 41.7-15), oltre che da Ottato I, 27, 4-5 (= Acta p. 41.9-15).54 I Gesta apud Zenophilum e gli Acta purgationis Felicis furono ripubblicati da Von Gebhardt nel 1902 (pp. 187-204). Un'edizione completa dei testi dell'Appendice di Ottato, insieme a tutti i documenti relativi all'origine dello scisma donatista (per il periodo 303-336) presentati in ordine cronologico, è stata quella di Von Soden (1913), ripubblicata nel 1950 a cura di Von Campenhausen: per ogni documento vengono indicati un titolo e il contenuto essenziale, la datazione e le fonti, e vengono sinteticamente trattate questioni di autenticità e di identificazione dei personaggi.55 L'ultimo editore dei documenti dell'Appendice è stato Maier nel primo volume del suo Dossier du Donatisme (1987): in totale, egli ha raccolto in ordine cronologico 38 documenti risalenti o relativi agli anni 303-61 (il volume II riguarda invece testi datati tra 361 e 750), preceduti da una presentazione critica e accompagnati da ricche note storiche e da un'utile traduzione in francese.56 Il testo assunto da Maier è quello di Von Soden 19502 (tranne per l'App. IV) con rari interventi personali.

2.2. Le origini dell'Appendice

Per comprendere la genesi dell'Appendice e i problemi editoriali che essa pone, è necessario soffermarsi sulla sua collocazione e funzione all'interno dell'opera di Ottato, che è indubbiamente il nostro testimone principale.57 L'unica testimonianza antica su Ottato è quella fornita da Girolamo nel capitolo del De illustribus viris a lui dedicato. Secondo Girolamo, che scrive nel 392, Ottato avrebbe scritto sotto il regno di Valentiniano e Valente (364-378).

Optatus afer, episcopus milevitanus, ex parte catholica scripsit sub Valentiniano et Valente principibus adversum donatianae partis calumniam libros sex, in quibus adserit crimen donatianorum in nos falso retorqueri. (Hyer., vir., 110)

Agostino, nel 397, lo ricorda come già scomparso (doctr. II, 40.31) e gli riconosce il merito di aver allegato al termine del suo trattato numerosi documenti ufficiali relativi a Ceciliano e alle

54 Ho di volta in volta indicato le citazioni agostiniane nel preapparato dell'edizione critica, trattandole come

autentica tradizione indiretta del testo.

55

Nella numerazione di Von Soden, i Gesta apud Zenophilum sono il testo n. 28 (pp. 37-50) e gli Acta purgationis Felicis il n. 19B (pp. 25-32).

56

I Gesta apud Zenophilum sono il documento n. 29 (pp. 211-38), gli Acta purgationis Felicis il n. 22 (pp. 171-86).

57

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XIII

origini dello scisma.58 Nonostante la letteratura cristiana posteriore riconosca l'importante ruolo svolto da Ottato nella lotta al donatismo,59 le testimonianze esterne sulla sua vita sono molto scarse: non si conosce la sua data di nascita né il luogo (forse la stessa Milevi, centro della Numidia a nord-ovest di Cirta e sede del suo episcopato) né tantomeno la sua formazione. La sua produzione letteraria appare collegata all'attività pastorale: oltre al trattato Contra Donatistas, gli sono attribuiti un Sermone per la sagra di Noè e un Sermone di Pasqua. Il riferimento a Valentiniano e Valente potrebbe restringere la datazione del suo trattato agli anni compresi tra il 364 (ascesa al trono dei due fratelli) e il 367 (anno in cui fu associato al trono anche Graziano).60 Anche le evidenze interne sembrano confermare le informazioni contenute nel De illustribus viris: Ottato dichiara infatti di aver scritto più di sessant'anni dopo la persecuzione del 303-304,61 cioè al più presto nel 364, e rievoca la morte di Giuliano (26 giugno 363) e le sue conseguenze come ancora recenti.62 In seguito, Ottato curò una seconda edizione ampliata della sua opera (che vide l'aggiunta del libro VII e di qualche altro passo), come dichiara egli stesso nell'incipit del libro VII.63 In ogni caso, il fatto significativo è che l'opera venne composta nel periodo immediatamente successivo alla morte di Giuliano, un evento molto rilevante nella storia del donatismo africano: l'avvento di Giuliano aveva segnato infatti una ripresa delle violenze tra le due parti in lotta, perché aveva permesso il rientro in Africa dei donatisti (banditi da un editto di Costante nel 347) e restituito loro i beni perduti. Alla ricostituzione della chiesa donatista sotto Giuliano sarebbe seguito un periodo di forte espansione, prolungatosi anche oltre il breve regno dell'Apostata fino a quando Valentiniano, nel 373, non vietò il secondo battesimo (una prassi vigorosamente difesa dai donatisti) per mezzo di una costituzione.64 Ciò vale soprattutto per la Numidia, dove il donatismo, anche per ragioni sociali, aveva grande diffusione: nella Milevi di Ottato i donatisti dovevano essere la maggioranza.

58

Cfr. Aug., Parm. I, 3.4: Legant qui volunt quae narret et quibus documentis quam multa persuadeat venerabilis memoriae milevitanus episcopus catholicae communionis Optatus.

59 Fulgenzio, ad esempio, lo affianca a due grandi maestri come Ambrogio e Agostino (Ad Monimum II, 15.2). 60

È anche possibile che Girolamo abbia più semplicemente trascurato di menzionare Graziano (associato al trono da Valentiniano nell'agosto 367) accanto agli altri due, nel qual caso la composizione del trattato si potrebbe estendere anche oltre il 367.

61 Opt. I, 13.2 e III, 8.3 (ante annos sexaginta et quod excurrit). 62

Opt. II, 16-9. Queste testimonianze appaiono contraddette dalla lista dei vescovi di Roma contenuta in II, 3.1 che si conclude con papa Siricio, salito al soglio pontificio nel 384 alla morte di Damaso, ma si tratta probabilmente di un'aggiunta. Si veda infra, n. 63.

63 Da ciò si può dedurre che anche il completamento della suddetta lista di papi sia stato apportato dall'autore.

TURNER 1926, p. 293 suppone che ciò sia avvenuto circa 25-30 anni dopo la prima edizione, ma non necessariamente ad opera dell'autore (nell'articolo del 1917 proponeva invece una seconda redazione posteriore di soli 10-20 anni). In II, 4.5 si trova anche un elenco dei vescovi donatisti di Roma (da Claudiano a Bonifacio Vittore), che nel Petropolitanus si conclude con Macrobio (i successivi Claudiano e Luciano saranno dunque un'aggiunta della seconda edizione). Ma la datazione stessa del soggiorno di Macrobio a Roma resta incerta (nonostante i tentativi di Monceaux di fissarla al 366) e non può dunque servire per una più precisa datazione della stesura dei primi sei libri. Si veda LABROUSSE 1995, Introduction, pp. 12-4.

64 Secondo Turner, Ottato avrebbe invece scritto dopo la morte di Giuliano sotto papa Damaso, tra il 370 e il

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XIV

I capi del movimento donatista (a partire da Donato) erano stati dei polemisti vigorosi e avevano pronunciato sermoni (definiti da Agostino tractatus populares quam Graeci homilias vocant)65 in cui dimostravano che la chiesa separatista era in realtà l'unica vera Chiesa di Cristo. Lo scritto di Ottato è dunque la risposta cattolica ad un alto numero di attacchi di parte donatista e in particolare a quello di Parmeniano, che Ottato dice essere l'unico ad aver messo per iscritto la sua polemica e di conseguenza l'unico meritevole di una risposta scritta, tanto più che la sua opera aveva avuto un'ampia circolazione.66 D'altro canto, nell'ambito della controversia donatista, Ottato ci ha lasciato l'unico scritto di parte cattolica prima dell'ampia produzione di Agostino.

L'opera in cinque libri di Parmeniano è perduta, ma i suoi contenuti sono ricostruibili a partire dalla confutazione di Ottato: il primo libro si occupava del battesimo, il secondo dell'unità della Chiesa, il terzo era una denuncia dei traditores, il quarto un attacco a quanti propendevano per una riunificazione delle due Chiese, il quinto infine una raccolta di passi biblici che condannavano i peccatori. È evidente che la polemica di Parmeniano metteva in gioco due ordini di problemi: le questioni storiche (i fatti da cui scaturì lo scisma) e quelle religiose (ecclesiastiche o teologiche). Ottato individua tuttavia una falla nelle argomentazioni di Parmeniano, consistente nell'aver discusso i problemi di religione senza aver prima dimostrato sulla base di documenti storici che i cattolici erano traditores, che si erano esclusi dalla Santa Chiesa e trasformati in persecutori. Ottato invece si sforza sempre di accertare i fatti storici prima di affrontare le questioni ecclesiastiche e teologiche. Nel primo libro ricostruisce dunque le origini dello scisma per poter poi definire nel secondo i concetti di unicità e cattolicità: dopo aver dimostrato (basandosi sugli eventi relativi alla persecuzione e le sue conseguenze) che furono gli scismatici a tradere e ad accusare di traditio altri vescovi (innocenti o colpevoli) per coprire le loro colpe, Ottato può dunque stabilire quale sia la vera e unica chiesa cattolica. Nel terzo libro tratta dell'intervento armato contro i donatisti dopo l'editto di unificazione del 347, per poi fornire nel quarto la corretta esegesi di alcuni passi biblici citati da Parmeniano: Ottato, insomma, si permette di stabilire chi siano i veri peccatori solo dopo aver discolpato i cattolici dall'accusa di collaborazionismo con la repressione armata imperiale. A questo punto, una volta definito il posto dei peccatori all'interno della Chiesa, Ottato può passare nel quinto libro al tema del battesimo, la questione teologica principale con cui si apriva l'opera di Parmeniano. Il sesto libro ha invece un carattere diverso, più narrativo, poiché racconta le violenze e i soprusi subiti dai cattolici durante l'impero di Giuliano.

Proprio questo interesse per i fatti storici come presupposto indispensabile di un dialogo corretto spinge Ottato a raccogliere in appendice alla sua opera le prove inconfutabili della verità

65 Cfr. Aug., Ep. 224, 2. 66

Cfr. Opt. I, 4.4:

Sed quoniam et accessum prohibent et aditus intercludunt et consessum vitant et colloquium denegant, vel te cum mihi, frater Parmeniane, sit isto modo collatio, ut, quia tractatus tuos, quos in manibus et in ore multorum esse voluisti, non aspernatus sum neque contempsi sed omnia a te dicta patienter audivi, audias et tu humilitatis nostrae responsa.

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XV

sull'origine dello scisma. La polemica antidonatista è dunque trattata da Ottato non solo come una disputa religiosa ed ecclesiastica, ma anche come una causa giuridica in cui si adducono prove materiali a sostegno della propria posizione: tale era infatti l'uso degli acta all'interno dei processi.67 Anche Agostino mostra una simile mentalità giuridica; i passi dei Gesta apud Zenophilum sono infatti citati come prova schiacciante all'interno di una sorta di pubblico dibattito col donatista Cresconio: habesne, frater Cresconi, ad ista quod dicas? (Cresc. III, 29.33). I documenti in appendice dovevano apparire già nella prima edizione, alla fine del sesto libro. Il settimo libro è infatti chiaramente posteriore: qui Ottato non si occupa più di accusare o discolpare, ma lancia un ultimo appello per l'unità della Chiesa.

Lo scopo di Ottato era dunque quello di riportare i temi in discussione alla loro genesi storica, tant'è vero che ancora nella conferenza di Cartagine del 411, in cui il donatismo fu definitivamente condannato, i donatisti cercarono di contestare l'autenticità dei documenti da lui prodotti. Di qui l'ingresso in un'opera letteraria di documenti appartenenti a un genere diverso, quello appunto delle registrazioni di atti ufficiali e più specificamente, per quanto riguarda i due documenti oggetto del nostro interesse, dei verbali di processi.

2.3. Il redattore dell'Appendice

La parte del trattato di Ottato in cui vanno inseriti, dal punto di vista storico-cronologico, i documenti contenuti in appendice, è costituita dai paragrafi 13-26 del libro I. Ottato stesso, dopo aver parlato della riunione dei vescovi donatisti a Cirta, dichiara che la sua ricostruzione dei fatti è confermata dagli scritti di Nundinario, diacono di Cirta, e da alcune testimonianze antiche che sono state allegate alla fine dell'opera:

... sicut scripta Nundinarii tunc diaconi testantur et vetustas membranarum testimonium perhibet, quas dubitantibus proferre poterimus. Harum namque plenitudinem rerum in novissima parte istorum libellorum ad implendam fidem adiunximus. (I, 14)

Il racconto fornito da Ottato comprende gli eventi seguenti: la riunione dei vescovi donatisti a Cirta, in casa di Urbano Carisio,68 la convocazione dei vescovi di Numidia da parte di Secondo per indagare sui trascorsi di Silvano, l'elezione di Ceciliano dopo la partenza di Mensurio (chiamato a Roma a render conto dell'asilo concesso a Felice, che aveva composto un libello contro un usurpatore imperiale)69 e l'opposizione a Ceciliano da parte degli avari (i seniores

67

Si veda infra, pp. XX-XXIV.

68 Sulla datazione di questa riunione si veda supra, p. III n. 10. 69

Questo usurpatore definito tyrannus è stato identificato alternativamente con Domizio Alessandro, Massenzio (FREND-CLANCY 1977) o Massimiano (BARNES 1975, KRIEGBAUM 1986). Barnes giunge ad identificare il tiranno con Massimiano, responsabile di persecuzioni contro i cristiani, a partire dal signifcato di tyrannus come "persecutore", attestato in autori cristiani e usato in questo stesso significato non solo in Opt. VII, 1.43, ma anche (passo segnalato da Frend) negli Acta Saturnini 17 proprio in riferimento a Massimiano, la cui crudeltà appare ai donatisti inferiore a quella di Mensurio (tyranno [scil.: Massimiano] saevior, carnefice [scil.: C. Annio Anulino proconsole] crudelior); Massenzio invece viene chiamato per nome in I, 18.1 e celebrato per aver restituito la pace ai cristiani. In tal caso l'imperatore che convocò Mensurio a render conto dell'ospitalità data a Felice sarebbe stato Massimiano e dunque la partenza di Mensurio per Roma si collocherebbe nel 304

(20)

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privati del lascito di Mensurio), degli ambitiosi (gli avversari "elettorali" di Ceciliano, Botro e Celestio) e degli irati (Lucilla e altri personaggi del genere), i quali invocano l'intervento di Secondo e dei vescovi numidi; e ancora l'elezione dell'anti-vescovo Maggiorino (lettore del diaconato di Ceciliano e domestico di Lucilla) e la diffusione di lettere diffamatorie su Ceciliano in tutta l'Africa e la Numidia. Ottato dichiara di aver inserito in appendice queste lettere, che tuttavia non compaiono tra i dieci documenti allegati al termine dell'opera.70 Ottato, inoltre, rivendica la superiorità dei documenti in suo possesso sulle cartas addotte da Parmeniano e altri donatisti, in quanto provenienti da processi (conflictus causarum), dibattiti (contentiones partium), sentenze giudiziarie (exitus iudiciorum) e persino dalle lettere di Costantino (epistulae Constantini). All'ufficialità di tale documentazione Parmeniano potrebbe rispondere, citando il predecessore Donato: "Quid christianis cum regibus, aut quid episcopis cum palatio?". Ebbene, questa domanda viene ritorta dal vescovo cattolico contro i donatisti medesimi, che furono i primi ad inviare petizioni a Costantino. Ottato riporta infatti subito dopo una copia della petizione rivolta a Costantino per chiedere la convocazione di un sinodo giudicante formato da vescovi gallici imparziali.71 Come noto, i canoni conciliari condannarono Donato scagionando Ceciliano: Ottato riporta la sentenza finale di Milziade. Donato rivolse allora un secondo appello all'imperatore e questi rispose con una lettera (a noi non giunta) di cui Ottato riporta un breve

(comunque prima dell'abdicazione di Massimiano il 1 maggio 305) e la sua morte nell'anno successivo; di conseguenza l'elezione di Ceciliano e la contro-elezione di Maggiorino sarebbero avvenute nel 307 (dopo la pace di Massenzio) e quindi qualche anno prima della datazione comunemente accettata (311-312). Questa proposta di datazione si accorderebbe meglio, secondo Barnes, con la dichiarazione di Ottato secondo cui l'elezione di Maggiorino sarebbe avvenuta non post longum tempus rispetto al concilio di Cirta del 305 (Opt. I, 15.1). Cfr. BARNES 1975, pp. 18-20. Una simile datazione (ma su basi diverse) era stata proposta già da SEECK 19212 (p. 509), che richiamava l'attenzione su un passo di Agostino (Ep. 93, 10.43), secondo cui lo scisma avrebbe avuto inizio quarant'anni prima della persecuzione di Macario del 347. Frend e Clancy, dopo le obiezioni avanzate da Barnes, sono tornati sulla questione mettendo in luce alcuni problemi posti dalla datazione più alta. In primo luogo, la pubblicazione del libello, la replica di Massimiano, il viaggio di Mensurio, l'udienza e la sua successiva partenza dovrebbero aver avuto luogo in un arco di tempo molto ristretto (i primi quattro mesi del 305, entro il 1 maggio). In secondo luogo, è difficile che Mensurio potesse essere in possesso di un tesoro (quello affidato ai seniores al momento della partenza per Roma), se i beni ecclesiastici erano stati sequestrati nelle persecuzioni protrattesi fino al 304: la restituzione dei beni alla Chiesa sarebbe avvenuta ad opera di Massenzio non prima della metà del 311 (cioè dopo l'editto di tolleranza di Galerio del 31 aprile 310). Infine, dal racconto di Ottato non sembra che lo scritto di Felice fosse legato alla persecuzione, poiché né Felice né Mensurio, che gli offrì rifugio, sono mai elogiati per la loro resistenza ai persecutori: tyrannus andrà dunque inteso nel significato tradizionale di usurpatore, da riferirsi o a Domizio Alessandro, vicarius Africae di Massenzio tra 308 e 310, oppure a Massenzio stesso (definito tyrannus in Aur. Vitt., Caesares XL, 24 ed Eus., HE VIII, 14.1 e 16-17, anche nel senso di persecutore in Damaso, Epigr. 48). I due studiosi giungono a una nuova ipotesi, secondo cui Felice avrebbe scritto un pamphlet a sostegno di Alessandro e sarebbe quindi diventato un ricercato politico dopo la sua sconfitta. Cfr. FREND-CLANCY 1977. La data d'inizio dello scisma resta dunque un problema aperto: è stata anche proposta una datazione intermedia alle due precedenti, ossia tra il 308 e il 310 negli anni della rivolta contro Massenzio (si veda KRIEGBAUM 1986, p. 149).

70 Opt. I, 20: Innocentes arguere studuerunt mittentes ubique litteras livore dictante conscriptas, quas inter

ceteros actus habemus in posterum.

71

Il testo della petizione è citato anche da Agostino, Ep. 53, 5 e 73, 2, ma l'autenticità o almeno la completezza del documento sono oggetto di discussione. Si veda sulla questione KRIEGBAUM 1990. Il concilio che fece seguito a questa lettera è quello che si tenne a Roma sotto papa Milziade nel 313 (datazione fornita da Aug., Don. 33, 56). Ottato lo colloca invece nel quarto consolato di Costantino, cioè nel 315. Per una diversa ipotesi si veda supra, p. VI n.25 . Questo dibattito fittizio tra Ottato e Parmeniano è contenuto in Opt. I, 22.1.

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