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nam tradidit codices Si fa riferimento ai testi delle Sacre Scritture, che gli editti d

Edwards 13 Constantina C 14 lucerna et capitulata edd 17 acetabulum Baluze : acetrum Deutsch

16: unam ecclesiam 1.12-16 Secundus episcopus omnino Il soggetto anteposto rispetto alla congiunzione che introduce la subordinata temporale (cum venisset) deve intenders

1.21 nam tradidit codices Si fa riferimento ai testi delle Sacre Scritture, che gli editti d

Diocleziano del 303 avevano imposto di consegnare alle autorità perché fossero bruciati. Non è però chiaro chi dovrebbe aver consegnato questi codici: il codice C riporta infatti la lezione scit ipse, non tradidit codices, che però non può essere corretta, perché non avrebbe senso da parte di Nundinario, che vuole dimostrare la colpevolezza di Silvano e secondariamente di Vittore, ammettere che l'uno o l'altro non abbiano commesso traditio. Masson ha pertanto proposto la congettura nam (accettata da Ziwsa, Von Soden ed Edwards), che presupporrebbe Vittore come soggetto di tradidit ("Lui lo sa, infatti (anche) lui ha consegnato i codici", come si dimostrerà in effetti nel seguito dell'interrogatorio attraverso gli atti di Munazio Felice). Baluze e Deutsch hanno invece pensato a num, che implicherebbe un cambio di soggetto dalla principale all'interrogativa indiretta ("Vittore sa se Silvano abbia consegnato i codici"). Se un'interrogativa con l'indicativo non crea problemi in un testo del genere, va tuttavia notato (contro num) che in tutto il documento le interrogative indirette sono sempre introdotte da utrum (senza an), perché hanno una chiara valenza disgiuntiva ("se Silvano sia un traditore oppure no"): per es. p. 15.2-3 (simpliciter confitere, utrum scias eum aliquid tradidisse); p. 17.6-7 (tamen tu confitere, utrum Silvanus traditor sit); p. 25.3 (confitere, utrum scias traditorem Silvanum). 1.22-26 Fugeram ... sublatos. Vittore tenta una sorta di concessio: ammette di non aver avuto un comportamento irreprensibile, essendo fuggito durante le persecuzioni, ma giura di non aver consegnato codici (cosa che si dimostrerà falsa). Notiamo di nuovo l'uso del piuccheperfetto in luogo del perfetto (fugeram hanc tempestatem = fugi hanc tempestatem) e l'espressività di linguaggio conferita dall'uso di una forte formula di giuramento (si mentior, peream), con cui Vittore invoca su di sé la morte, qualora dica il

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falso. Simili scongiuri non sono certo una specificità del nostro testo, essendo ben attestati nei generi letterari più vicini al parlato: ad esempio in Plauto, Aul. 661-2 (emortum ego me mavelim leto malo, quam non ego illi dem hodie insidias seni) o nelle lettere di Cicerone Att. IV, 17.5 (ne vivam, si scio), Att. V, 20.6 (moriar, si quidquam fieri potest elegantius). Da notare anche l'uso insistito di forme impersonali al neutro (eventualmente accompagnate dal complemento d'agente) e passive: quaererentur omnes codices ... ventum est ad domum meam ... ascensum est a magistratibus ...sublati sunt codices mei. Anche queste costruzioni sono una spia dell'evasività di Vittore: il costrutto del passivo neutro di per sé è antico e ben attestato, ma qui acquista un significato particolare, poiché permette di omettere i nomi dei responsabili (si veda Introduzione, p. LXII). Al contrario, i verbi alla prima persona singolare sono spesso preceduti dal pronome personale (Ego sedebam ... Cum ego venissem): l'espressione del pronome personale costituisce un altro tratto dell'espressività tipica del parlato. L'intera sezione è anche un bell'esempio di stile paratattico: quattro proposizioni principali semplicemente accostate tra di loro (Victor dedit nomina ... Ventum est ad domum meam ... Ascensum est a magistratibus et sublati sunt codices ... Inveni codices sublatos) con soltanto una coordinata e due subordinate temporali che forniscono indicazioni di contesto (cum absens essem, cum ego venissem), di cui la prima è particolarmente importante, perché indica che Vittore era assente quando vennero i magistrati e dunque non può essere stato lui a consegnare i codici, che, a suo dire, sono stati rubati. Vittore mostra qui una buona capacità di concisione nel riportare in poche e chiare parole i fatti a sostegno delle sue dichiarazioni: la stringata dichiarazione finale (inveni codices sublatos, con ellissi di esse) è il caposaldo della sua difesa. 1.22 Fugeram hanc tempestatem ... cum incursum pateremur ... Di nuovo un passaggio dalla prima persona singolare alla prima plurale riferita all'intera comunità. Tempestas è usato per indicare la persecuzione anche in Opt. I, 16.2 (tempestas innata): l'accezione metaforica di tempestas per indicare la persecuzione potrebbe essere un ulteriore indizio di evasività, un modo per non chiamare le cose col loro nome. 1.23 Ego sedebam

cum Marte diacono, et Victor presbyter. La frase rivela il forte influsso della lingua parlata:

il secondo soggetto non viene immediatamente coordinato al primo, ma aggiunto al termine del periodo dopo il complemento, come se Vittore se ne fosse ricordato in un secondo momento, quando non era più possibile tornare indietro: il verbo si accorda in questo caso solo col soggetto più vicino. 1.24 ab eodem Marte. Quaero ab + abl. (come peto) al posto di e/ex + abl. è ben attestato: per es. Caes., Gall. 1, 32.3 (cum ab his saepius quaereret). L'uso del passivo quaererentur rende possibile l'omissione dell'agente. Troviamo qui per la prima volta l'anaforico idem, che vedremo utilizzato molto spesso anche senza valore proprio: più

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che a esprimere un'identità scontata col personaggio appena menzionato, il pronome serve a soddisfare esigenze di precisione, com'è più che comprensibile in un interrogatorio. Vittore non vuole lasciare spazio a dubbi: ha appena citato la figura di Marte e ora precisa che è proprio lui a richiedere i codici (ego sedebam cum Marte ... ab eodem Marte quaererentur omnes codices). La ripetizione del sostantivo, ulteriormente sottolineato dal pronome anaforico, conferisce alla frase una certa ridondanza (una tendenza del parlato opposta, ma compresente, alle esigenze di sintesi e concisione e alle frequenti ellissi); il pronome svolge anche la funzione logica di legante tra due periodi successivi. 1.25 lectorum. Il presbitero Vittore dice di non avere i codici, ma fa i nomi di coloro che, in quanto lectores, li avevano in casa loro: tra questi, doveva esserci Vittore grammatico stesso, la cui abitazione viene perquisita dopo. Sul ruolo e le funzioni dei lettori nelle chiese cfr. Ippolito, Tradizione apostolica ed. Chadwick-Dix, pp. 21-22: essi avevano il compito di recitare durante le funzioni determinati passi delle Scritture che non fossero appannaggio di sacerdoti, diaconi o sottodiaconi (il concilio di Serdica del 343 stabilì una sorta di carriera ecclesiastica da lector a diaconus fino a presbyter). 3.1 Tu ergo ... codices. Con acta s'intende qui il resoconto delle perquisizioni condotte da Munazio Felice, incaricato di costringere i lectores a consegnare testi e altri oggetti liturgici. Si veda Introduzione, pp. II-III. Si noti l'uso di quoniam + ind. (analogo a quod/quia) al posto dell'infinitiva (respondisti apud acta quoniam dedisti). Hoogterp suggerisce che si tratti di un uso più familiare rispetto ai suoi due concorrenti (si veda HOOGTERP 1940, p. 67). 3.2 Simpliciter. L'avverbio esprime bene le esigenze di chiarezza di Zenofilo, che ricorre a una nuova intimidazione. 3.4 Et ... et. Anche l'uso del polisindeto risponde forse a un'esigenza di chiarezza e di specificazione: et dedit Nundinarius et exceptor recitavit. Si veda HOOGTERP 1940, pp. 86-7. L'exceptor (segretario) sembra incaricato anche di conservare e leggere gli atti dei processi stenografati. Si veda LEPELLEY 1982, p. 226. Sulla distinzione tra le due figure si veda supra comm. ad 1.5, p. 44 s.

3.5-6 Diocletiano VIII ... Cirtensium. Siamo nel 303 (si veda BARNES 1982). La data

del 19 maggio è confermata da Aug. Cresc. III, 29.30, mentre nell'epistola a Generoso il processo di Munazio Felice viene fissato il 21 maggio: recita illi gesta apud Munatium Felicem, flaminem perpetuum, curatorem tunc eiusdem civitatis Vestrae Diocletiano VIII et Maximiano VII consulibus undecimo kalendas iunias, quibus liquido constitit ita Paulum episcopum tradidisse, ut Silvanus tunc eius subdiaconus fuerit et cum illo tradiderit proferens instrumenta dominica, etiam quae diligenter fuerant occultata, capitulatam argenteam et lucernam argenteam, ita ut ei diceret Victor quidam: mortuus fueras, si non illas invenisses (Ep. 53.2). Comincia qui la lettura degli Atti di Munazio Felice, che continuerà fino a p. 7.22.

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flaminis perpetui curatoris colonia Cirtensium. Il flamonium perpetuum era una carica

sacerdotale probabilmente di durata annuale: nonostante l'attributo perpetuus possa far pensare a una carica a vita, le iscrizioni ricordano personaggi che avevano espletato e concluso la loro funzione, segno che la perpetuitas riguardava i diritti acquisiti attraverso la carica e non il suo esercizio. Probabilmente c'era più di un flamen per città: forse uno addetto al culto degli dei e un altro al culto imperiale. È anche possibile che a partire dal IV sec. d.C. i flamines fossero divenuti detentori di un titolo ormai soltanto onorifico, svuotato delle sue antiche funzioni, ma comunque legato ad alcune prestazioni pubbliche (allestimento di feste, elargizioni ...) che ne garantivano il prestigio sociale (si veda SCHMIDT 1892, pp. 125-129). Tale magistratura, in origine ricoperta prima di accedere a questura, edilità e duumvirato, col tempo divenne accessibile anche dopo le altre cariche (si veda ancora SCHMIDT 1892, pp. 118 ss.). Il curator era invece un funzionario che si occupava della gestione generale dei fondi cittadini: attività finanziaria (riscossione delle imposte dai debitori, testamenti in favore della città, assistenza finanziaria), edilizia (costruzione e ristrutturazione di edifici pubblici, monumenti e della rete viaria), approvvigionamento alimentare, allestimento di spettacoli erano le principali tra le sue molteplici mansioni (si vedano LIEBENAM 1897 e CASSARINO 1948). Tutti questi lavori non richiedevano in genere una spesa personale del curator, ma semplicemente la sua supervisione e il suo controllo sull'operato (curante curatore si legge nelle iscrizioni). Sebbene il trattato di Ulpiano De officio curatoris rei publicae sia sopravvissuto solo in pochi frammenti e non consenta una chiara visione delle funzioni di tali magistrati, si può dire che la carica di curator, ossia di un funzionario imperiale inserito però nel contesto del governo locale comunitario, superava di fatto la tradizionale divisione tra amministrazione centrale-professionale e amministrazione locale- amatoriale (LUCAS 1940). Sui curatores dell'Africa romana si veda ancora l'articolo di Lucas, basato su liste di curatores ricavate da iscrizioni africane. Il primo curator africano è attestato nel 196 d.C., circa un secolo dopo l'introduzione della carica. Dalle liste risulta che, fino all'età di Costantino, tali funzionari potevano essere di rango senatorio o equestre. Gli anni di Diocleziano e Costantino costituirono un periodo di transizione verso una fase in cui i curatores venivano scelti anche tra i dignitari locali e potevano dunque amministrare la loro città d'origine. Da questo stesso periodo la carica di curator è quasi sempre associata ad altri incarichi (come appunto quello di flamen perpetuus). È probabile che nel periodo delle persecuzioni i curatores avessero assunto funzioni di polizia (accanto ai duumviri, cui tali funzioni spettavano abitualmente) nel far rispettare gli editti. È questo il caso non solo di Munazio Felice a Cirta, ma anche del curator Magniliano e dei curatores di Rusicade e Tigisi

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(cfr. LUCAS, pp. 67-68). Ad Aptungi furono il duumvir Ceciliano e il curator Claudio Saturiano a occuparsi delle perquisizioni (Opt. I, 27.6). In particolare, sembra che in Numidia i rapporti tra legati militari e amministrazione locale siano stati particolarmente stretti. A partire dalla fine del III d.C., accanto all'aumento di prestigio, si assiste però anche ad una progressiva subordinazione dei curatores (ormai divenuti una magistratura locale) ai governatori provinciali, che finì col rendere la loro carica meramente esecutiva e formale. 3.6

Cum ventum esset ad domum. Ancora un costrutto impersonale, appartenente questa volta

alle convenzioni e alle esigenze di obiettività della lingua cancelleresca. 3.7 curator

<reipublicae>. Su C manca qui e a p. 3.10 la specificazione rei publicae, che ricompare nei

due passi successivi (pp. 3.12; 3.13) e che ho preferito integrare: la lingua cancelleresca tende infatti, per esigenza di precisione e univocità, a non variare le sue formule. Per contro, in Agostino, Cresc. III, 29.33, Felice è definito sempre curator, tranne in un caso, in cui compare la titolatura curator p. (generalmente integrata dagli editori curator <rei> p.). 3.7

Paulo episcopo. Si tratta del predecessore di Silvano, noto soltanto da questo testo e da

Agostino (Cresc. III, 29.33 ed Ep. 53). Quanto al luogo di riunione dei cristiani di Cirta, in base a Opt. I, 14.1 e Aug. Cresc. III, 29.33 sembra trattarsi di una casa privata di proprietà di un certo Urbano Carisio, citato da Ottato. 3.8-9 ut ... parere possitis. Troviamo qui per la prima volta l'uso dell'ausiliare possum + infinito in luogo del congiuntivo semplice (ut parere possitis = ut pareatis). Hoogterp ipotizza un'estensione analogica dell'uso di debere al cong. + inf. (che sta per il greco an + cong. dopo pronomi e avverbi relativi), impiegato per attenuare un ordine (per esempio il comune ut hoc facere debeatis = ut hoc faciatis). Si veda HOOGTERP 1940, p. 78. Si tratta di una forma perifrastica di congiuntivo, in cui il verbo possum conserva poco del suo valore originario. Simili formazioni perifrastiche non sono anomale nel latino tardo (per esempio debere, velle, habere + inf. al posto del futuro sintetico). Una casistica completa in Introduzione, p. XXXVII. Il testo del manoscritto (ut praeceptum est, ut iussioni parere possitis) è riportato diversamente da Agostino, Cresc. III, 29.33 (ut et praecepto et iussioni parere possitis). Praeceptum e iussio sembrano in effetti sinonimi, ma non è escluso che la ripetizione del concetto, seppur ridondante, sia ammissibile in una lingua che tende alla massima esplicitazione e precisione (si veda poco oltre p. 5.12: ut praeceptis imperatorum et iussioni parere possitis). Inoltre, le coppie bimembri (asindetiche o sindetiche) sono tipiche della lingua giuridica, anche se di solito i due termini sono semanticamente speculari (DE MEO 2005, pp. 116-118); per una possibile distinzione semantica tra iussio e praeceptum si veda allora infra, comm. ad Acta p. 29.13, p. 121. Si fa qui riferimento al primo editto di Diocleziano, promulgato a Nicomedia il 23 febbraio del

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303, che prevedeva la distruzione delle chiese e la consegna dei testi sacri e privava i cristiani del diritto di essere legalmente rappresentati (si veda Introduzione, pp. I-III). Per una sintesi dei provvedimenti contenuti nei quattro editti del 303-304, si veda CORCORAN 1996, che sottolinea come Ottato sia la prima fonte dell'applicazione del primo editto. 3.9-10 Scripturas

lectores habent; sed nos, quod hic habemus, damus. Nella risposta di Paolo l'ordo

verborum non sembra ininfluente: egli tende infatti ad anteporre l'elemento che intende precisare (scripturas) o accentuare (nos, un pronome personale soggetto espresso con chiara valenza contrastiva: sed nos). Si assiste dunque a quella tendenza, propria del dialogo (ancor più se contenzioso), a citare un elemento della domanda e a collocarlo in prima posizione per collegarsi o contrapporsi ad essa: qui scripturas riprende l'ordine di Felice (Proferte scripturas), quod hic habemus riprende si quid aliud hic habetis (in Agostino si legge invece quidquid). 3.10 Ostende. Felice inizialmente si era rivolto a Paolo con un vos (proferte), con probabile riferimento all'intera comunità facente capo al vescovo; non avendo ottenuto ciò che chiedeva, passa ora ad un tu più perentorio. 3.11 Omnes cognoscitis. Se Paolo può dire che i lettori cristiani sono noti a tutti e pertanto non c'è bisogno di nominarli, evidentemente il livello di integrazione tra comunità pagana e cristiana a Cirta doveva essere piuttosto elevato.

3.12-13 Novit ... exceptores. Il testo di Agostino è leggermente diverso: novit officium

publicum, id est Edesius et Iunius exceptores. Oltre ad avere Edesius in luogo di Edusius, ha fatto di officium il complemento oggetto di novit in luogo di eos. A parte il fatto che l'oggetto devono essere i lectores (eos) per coerenza con le battute precedenti (ostende lectores ... omnes cognoscitis), è facile spiegare la divergenza come fraintendimento (non necessariamente imputabile ad Agostino) di officium, che può indicare l'ufficiale oltre che l'ufficio (cfr. Acta p. 29.16). Un carattere specifico della lingua giuridica è infatti l'uso dell'astratto per il concreto: per esempio obsequium (analogo ad officium), coniugium e matrimonium in luogo di coniunx e uxor, testimonium per testis (esempi tratti da NORBERG 1999, ed. originaria 1968, cap. 1: Il latino alla fine dell'epoca imperiale, p. 28). Si veda Introduzione, p. XLVIII. 3.14-15 Manente ... date. Notiamo l'uso di de + abl. al posto di un genitivo di specificazione (ratione lectorum): nel latino tardo, e forse già prima nella lingua parlata, il complemento espresso con la preposizione de sostituisce progressivamente il genitivo in tutti i suoi usi (probabilmente a partire dal genitivo partitivo, dove le due forme sono in effetti alternative). Sugli usi irregolari delle preposizioni si veda Introduzione, pp. XXX-XXXI. Anche qui il testo di Agostino presenta qualche divergenza dal manoscritto: aggiunge un et prima di vos e un hic prima di habetis (manente ratione de lectoribus, quos monstrabit officium, et vos quod hic habetis, date). Sarei portato ad integrare hic per

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ripristinare l'espressione molto concreta e colloquiale habere hic già incontrata nella risposta di Paolo a p. 3.9-10 (si tratterebbe, peraltro, di un caso di ripresa tra battute successive all'interno di un dialogo), mentre non mi sembra giustificabile un et prima di vos (potrebbe esserlo semmai a inizio di frase, come attacco di discorso, ma non a frase già iniziata). La citazione agostiniana permette però di sanare il demonstravit di C: poiché il testo invocato non è stato ancora prodotto, bisognerà mettere il verbo al futuro (demonstrabit), seguendo il monstrabit di Cresc. III, 29.33.

3.15-5.2 Sedente Paulo ... rusticanas XVIIII. Agostino ha de Castello al posto di

Deusatelio e Memor al posto di Memorio (che però appare inspiegabile e sarà una svista banale). Secondo MAIER 1987 p. 219 n. 58, i fossores non sarebbero dei semplici "scavatori", ma un determinato ordine di chierici incaricato, oltre che della sepoltura dei morti nel cimitero (come indica la loro denominazione), anche di altre funzioni più simili a quelle di un sagrestano. Baluze e Deutsch propongono di integrare <Samsurici> (integrazione che ho accolto a testo sulla scia di Von Soden), dato che in Gesta p. 15.17 un Vittore fossor introdotto in coppia con Saturnino sarà sempre indicato come Victor Samsurici. Samsurici viene normalmente tradotto come genitivo patronimico, ma non è chiaro perché si debba indicare il padre solo di alcuni individui, che per giunta non hanno un rilievo particolare (forse per distinguerlo dal Victor grammaticus?). Accolgo il testo di Agostino adstante Marte cum Helio et Marte diaconis (in luogo del testo di C. (adstante Marte cum Helio diaconis), dove bisognerebbe intendere cum = et. Seguendo Agostino, il primo Marte sarebbe un avvocato che assiste (adstante) i vescovi e i presbiteri, mentre il secondo Marte ed Elio sarebbero i diaconi. In tal modo anche la sintassi è più chiara: sedente Paulo e adstante Marte sono due ablativi assoluti, seguito quest'ultimo da un complemento di compagnia. Anche nel seguito accetto il proferente che compare su Agostino e non su C, che forma un terzo ablativo assoluto con soggetto i sottodiaconi e i sagrestani, che sono effettivamente i testimoni interrogati nel processo, se questo è il senso di profero (proferente Marcuclio Catullino Silvano et Caroso subdiaconis, Ianuario Meraclo Fructuoso Miggine Saturnino Victore et ceteris fossoribus); l'ultimo ablativo assoluto indica infine il nome dello scriba incaricato di stenografare il processo (questo il senso di contrascribere = redigere il resoconto). Questa è anche la scelta editoriale di Von Soden. Agostino aggiunge un et prima di Montano, prima di Silvano e prima di Ianuario, il che potrebbe essere giustificabile nella lingua giuridica come esempio di una tendenza polisindetica mirante alla massima precisione ed esaustività (sul polisindeto si veda HOOGTERP 1940, pp. 86-7). Segue un elenco di oggetti della liturgia e altri utensili in uso nelle chiese cattoliche, designati con termini rari, su cui si veda MAIER

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1987, p. 219 n. 59: i vari tipi di abiti menzionati potevano essere destinati tanto ai chierici quanto ai poveri. Si noti soltanto la sincope di copulae in coplae (numerosi casi simili nell'Appendix Probi) e l'uso di cucumellum al neutro anziché al femminile (cucumella è attestata nel Digestum L, 16, 203 e in alcuni papiri diplomatici; il diminutivo cucumula in Petr., Sat. 136): un simile scambio di generi è presente in Acta p. 31.22, dove il femminile ostia diventa un neutro plurale (ostia omnia combusta sunt). Sugli scambi di genere si veda Introduzione, p. XXIX. Gli accusativi plurali lucernas, coplas, candelas, tunicas, caligas potrebbero essere una spia della generalizzazione dell'accusativo in -as al nom. pl. dei nomi in -a, dovuta forse al venir meno della distinzione formale tra nom. e acc. sing. ridotti ad -a nella pronuncia volgare (si veda MORANI 2000, pp. 231 s.).

5.2-7.22. Resoconto delle perquisizioni, con interrogatori e confische. 5.3 subdiaconis. Il

manoscritto riporta fossoribus, ma si tratterà di un errore (forse commesso già dall'exceptor) per subdiaconis, dato che i tre personaggi citati sono stati appena nominati come sottodiaconi.