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3. Il genere degli Acta e dei Gesta

4.3. Lingue settoriali: latino giuridico e cancelleresco

4.3.1. Latino cristiano

La materia del contendere, ossia la polemica tra donatisti e cattolici, implica ovviamente che i dialoganti utilizzino spesso termini propri del lessico religioso. Non intendo soffermarmi a lungo sul latino cristiano, essendo questo un campo già ampiamente analizzato, e con maggiori competenze, dagli studiosi che si sono dedicati agli autori cristiani (dai testi biblici alle opere dei padri della Chiesa) con particolare attenzione all'evoluzione della sintassi e all'ampliamento del vocabolario nel latino dei Vangeli, delle lettere dei vescovi, delle omelie o dei trattati apologetici, polemici, dottrinali e morali.153 Vale la pena, tuttavia, di sottoporre all'attenzione degli interessati una sezione piuttosto lunga dei Gesta apud Zenophilum (pp. 9.6 - 13.26), in cui vengono pubblicamente recitate, a riprova della colpevolezza di Silvano, tre coppie di lettere inviate al vescovo o all'intera comunità di Cirta da altri vescovi della Numidia: due lettere di Purpurio di Limata (la prima a Silvano, la seconda al clero di Cirta), due lettere di Fortis (a Silvano e al clero di Cirta) e infine due lettere di Sabino (a Silvano e a Fortis). Questi erano i vescovi a cui Nundinario, dopo la lite con Silvano, aveva chiesto di intercedere in suo favore presso il neoeletto vescovo di Cirta. Mi limito a sottolineare alcuni usi linguistici ricorrenti all'interno di queste lettere.

152 La stessa tendenza si riscontra nelle parti in terza persona dei Gesta, come per esempio nella formula che

introduce la lettura delle lettere dei vescovi (et recitatum est exemplum ... et recitatum est exemplum ... item exemplum ... item alia recitata).

153 Come opere generali rimando a LOI 1978 e GARCÍA DE LA FUENTE 19942. Rappresentazione sintetica in

BLAISE 1955; panoramica della questione in NORBERG 1999, pp. 28-31, e in MORANI 2000, pp. 95-103 (con bibliografia). Numerosi problemi specifici sono stati affrontati dalla Mohrmann (si vedano MOHRMANN 1955 e i quattro tomi di Études sur le latin des Chrétiens, Roma 1961-1977), cui si deve anche, sulla scia di Schrijnen, la tesi del latino cristiano come Sondersprache, in seguito confutata: una sintesi della questione in COLEMAN 1987, secondo il quale il latino cristiano, pur caratterizzato da un lessico specifico, non è una vera e propria Sondersprache, ma una varietà di latino comprendente anche consistenti apporti dal latino volgare.

LIII

La consueta formula epistolare salutem (dicere) aliquo è qui variata in senso cristiano con l'aggiunta di in domino e talvolta anche dell'aggettivo aeternam a salutem. Analogamente il saluto finale è reso con opto te in domino bene valere sia nella lettera di Sabino a Fortis nei Gesta sia in quella di Alfio Ceciliano negli Acta. Altri elementi lessicali della lingua cristiana sono gli appellativi, come noster filius (detto da un vescovo al suo diacono, cioè a un membro del suo clero), sanctissime (epiteto proprio di un vescovo) e ovviamente carissimi per riferirsi all'intera comunità (scontato è il riferimento agli incipit delle lettere paoline: I, II Cor., Eph., Phil., Rom., I Thess.) o carissimo per riferirsi al singolo destinatario. Quando il vescovo Fortis, in una lettera a Silvano, usa l'apposizione filius tuus accanto al nome di Nundinario, indica che quest'ultimo, in quanto diacono, fa parte del clero di Cirta, di cui Silvano, in quanto vescovo, è pater spirituale, mentre Fortis può definirsi frater di Silvano in quanto collega nell'episcopato (Gesta p. 13.4-5): accade comunemente nei testi cristiani che si designino come pater il vescovo e come filii gli altri membri del clero e più in generale tutti i fedeli della diocesi (anche laici). Restando al livello del lessico, le lettere contengono molti termini tecnici che indicano le diverse funzioni all'interno della comunità, dalle cariche più alte a quelle più umili: episcopus, presbyter, diaconus, subdiaconus, clerici, lectores, seniores (probabilmente laici che amministravano i fondi della comunità), fossores (semplici becchini).154 Del tutto comune è l'uso di plebs per indicare la comunità cristiana (diocesana o universale), in genere in quanto sottoposta alle cure di un vescovo.155

Non solo nelle lettere, ma anche nelle risposte dei testimoni si trovano gli stessi termini usati con la stessa accezione cristiana. In Gesta p. 25.7 plebs è usato dal diacono Crescenziano per indicare la comunità cattolica cittadina, come di frequente negli autori cristiani, specialmente negli Acta martyrum e nelle Passiones, nei sermoni e nelle lettere dei vescovi.156 Da ciò si desume che poco oltre (p. 25.11), sempre nelle parole di Crescenziano, campenses designa, in opposizione alla plebs cittadina, gli abitanti delle campagne, che, insieme agli strati più umili della popolazione urbana, sostenevano Silvano e il movimento donatista.157 Analogamente, populares viene usato da Zenofilo, rivolgendosi a Ceciliano (Gesta p. 27.2), in riferimento ai membri laici

154

Il concilio di Serdica del 343 stabilì una sorta di carriera ecclesiastica da lector a diaconus fino a presbyter: si può notare tra l'altro come il passaggio dai gradi inferiori a quelli superiori sia sottolineato da un cambio di lingua: latino per i più bassi (da clerici in giù), greco per i più alti (da subdiaconus in su).

155

Si vedano per es. Hil., Coll. antiar. app., p. 142, 24 (Romanae plebis episcopum); Aug., bapt. V, 5.6, p. 267, 27 ([scil.: episcopi] Mustitanae et Assuritanae et aliarum plebium); Tert., Ieiun. 13, p. 291, 28 (episcopi universae plebi mandare ieiunia adsolent); Pass. Perp. 13, 6 ([ad episcopum] corrige plebem tuam). In Gesta p. 9.15 (la prima lettera di Purpurio) il genitivo plebis si trova in dipendenza non da episcopi, ma da seniores.

156 Per esempio Agostino (Brev. coll.. 1, 5) distingue due plebi diverse e soggette a due vescovi diversi nella

stessa città, cioè la Chiesa cattolica e quella donatista (quodsi plebes duos in ecclesia episcopos ferre non possent).

157

LIV

del popolo dei fedeli.158 Altra espressione tipicamente cristiana è populus dei (Gesta p. 21.3), con cui Nundinario chiede conferma a Saturnino del fatto che i fedeli fossero stati rinchiusi nel cimitero dei martiri durante l'elezione di Silvano. Il sintagma indica propriamente il popolo eletto d'Israele, che però, non avendo riconosciuto il Messia, ha passato questo titolo all'intero popolo cristiano.159 L'espressione passa poi a designare il popolo dei fedeli di una singola comunità e si trova spesso nei sermoni di Agostino; in particolare, il Sermo 340A tratta proprio del comportamento che la comunità deve tenere di fronte ai suoi vescovi, siano essi boni oppure mali.160

Talvolta, anche qualche costruzione sintattica può aver risentito di un impiego non classico in ambienti cristiani. In Gesta p. 11.8 (prima lettera di Fortis) il verbo petere è costruito con l'acc. al posto del classico a/ab + abl. (petite eum ut ... = petite ab eo ut). Quest'uso è piuttosto anomalo, dato che la tendenza del latino tardo sembra essere quella di estendere il dativo (o al massimo ad + acc.) ai verba rogandi:161 ci aspetteremmo quindi petere ei o petere ad eum. L'uso dell'accusativo è forse spiegabile alla luce del fatto che il verbo petere assume negli autori cristiani il significato tecnico di pregare qualcuno (e nello specifico pregare Dio) perché accada qualcosa (più che "cercare di ottenere qualcosa da qualcuno"); così è costruito anche il successivo peto dominum ut tollatur (p. 11.11). L'unica attestazione del costrutto in epoca precedente alla tarda antichità sembrerebbe essere Plauto, Curc. 148 (vos peto atque obsecro): anche qui l'accusativo potrebbe essere indotto dalla presenza di obsecro, che ha in effetti il significato di "pregare, supplicare qlc" con accusativo (LÖFSTEDT 2007, p. 273 s.). L'accusativo in dipendenza da petere si dev'essere poi rivelato particolarmente comodo e ciò spiega la sua ampia diffusione nel latino tardo (si veda LÖFSTEDT 2007, ibi).

Remittere aliquo e demittere aliquo assumono nella lingua cristiana il significato di "rimettere i peccati a qualcuno" o più in generale "perdonare" ed è in questo senso che vengono usati nelle lettere dei vescovi (Gesta p. 11.15 e 11.16). Infine, è possibile che l'espressione communicare alicui (molto frequente nei Gesta) assuma il valore specifico e cristiano di "ricevere la comunione da qualcuno", sebbene il verbo communico, negli altri passi in cui è sicuramente attestato col significato di "fare la comunione" (Cypr., Ep. 55, 11; Tert., De spect. 26.4), sia sempre usato assolutamente. Nei nostri testi, però, si discute proprio della validità del sacramento della comunione se amministrato da un traditor, che si sarebbe trovato in peccato mortale, e pertanto

158

Cfr. Cassian., Contra Nest. 6, 5, 4 (si popularis potius temptare quam sacerdos ecclesiam posses); Sidon., Ep. 4, 11, 4 (clericos opere, sermone populares … consolabatur).

159 Cfr. Ambr., Aux. 28: Iam enim non populus dei qui fuerat Iudaeorum quia populus erroris est factus, et qui

populus erroris erat populus dei esse coepit quia in Christum credidit.

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Cfr. Aug., Serm. 340A, pp. 569-70 Migne: Diximus de episcopis bonis et de episcopis malis: diximus quod esse debemus, et quod esse vitemus. Sed quid ad vos, o populus dei? Aliquid et ad vos [...] Quid ergo, si populus incurrat in episcopum malum?

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LV

communicare sembra assumere un significato liturgico più preciso del semplice "avere relazioni con qualcuno".162 Anche l'uso di traditor e di traditio per indicare la consegna alle autorità romane delle Sacre Scritture o di altri oggetti liturgici o beni ecclesiastici viene inaugurato proprio dai polemisti donatisti negli anni immediatamente successivi alla persecuzione dioclezianea.