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Cupas de fano La solita anteposizione dell'oggetto topicalizzato 25.14-16 Plures dicebant et filii Aelionis dicebant Periodo di difficile interpretazione Esso è interamente

Edwards 13 Constantina C 14 lucerna et capitulata edd 17 acetabulum Baluze : acetrum Deutsch

16: unam ecclesiam 1.12-16 Secundus episcopus omnino Il soggetto anteposto rispetto alla congiunzione che introduce la subordinata temporale (cum venisset) deve intenders

25.13 Cupas de fano La solita anteposizione dell'oggetto topicalizzato 25.14-16 Plures dicebant et filii Aelionis dicebant Periodo di difficile interpretazione Esso è interamente

costruito per via cumulativa (plures dicebant quod ... et acetum quod ... et filii Aelionis dicebant), ma i nessi non sono sempre chiari. Innanzitutto si noti l'uso del congiuntivo obliquo al perfetto (sustulerit) anziché al piuccheperfetto in una dichiarativa dipendente da tempo storico; la distrazione si può forse spiegare come una contaminazione tra discorso indiretto (plures dicebant quod Purpurius sustulisset cupas) e discorso diretto (plures dicebant: "Purpurius sustulit cupas"): Crescenziano (o più probabilmente chi trascriveva le sue parole) avrebbe cioè cambiato correttamente il modo verbale dall'indicativo al congiuntivo, trascurando però di cambiare il tempo (HOOGTERP 1940, pp. 73-4). Ma soprattutto pone problemi la successiva subordinata con quod. A prima vista sembrerebbe una relativa riferita ad acetum ("i più dicevano che Purpurio rubò le botti e l'aceto, che poi sarebbe passato a Silvano"), nel qual caso la successiva coordinata et dicebant filii Aelionis sarebbe un'aggiunta specificativa: inizialmente Crescenziano non specifica la fonte di queste voci, ma alla fine ci ripensa e aggiunge una precisazione ("e lo dicevano i figli di Elio"). Questa dev'essere l'interpretazione di Edwards (p. 168), a giudicare dalla sua traduzione ("Many said that Bishop Purpurius himself took the vats and the sour wine, which [news] had reached our reverend Silvanus, and was stated by the sons of Aelio"). È stato anche ipotizzato che si tratti di una dichiarativa coordinata alla precedente con l'oggetto topicalizzato (acetum) anteposto alla congiunzione quod ("i più dicevano che Purpurio rubò le botti e che l'aceto è arrivato al vescovo Silvano [rispettando l'ordo verborum: e l'aceto dicevano che è arrivato a Silvano]"). Plures dicebant andrebbe dunque inteso come proposizione reggente sia di quod ... sustulerit sia di quod pervenisset. Si potrebbe anche pensare che la seconda subordinata sia retta da dicebant filii Aelionis ("i più dicevano che Purpurio rubò le botti, e che l'aceto sia passato a Silvano lo dicevano i figli di Elio"); ci sarebbe in questo caso un et di troppo, ma un simile pleonasmo non sarebbe inaccettabile in bocca a Crescenziano (cfr. HOOGTERP 1940, pp. 82- 3). Se però fosse una coordinata alla dichiarativa, non si vede perché Crescenziano debba cambiare il tempo verbale: il passaggio da un congiuntivo perfetto al piuccheperfetto sarebbe forse meglio spiegabile se quod ... pervenisset fosse una relativa che riferisce non più le parole dei plures ("Purpurius sustulit cupas et acetum"), ma un'aggiunta dello stesso Crescenziano ("Dicevano che Purpurio ha rubato le botti e l'aceto, quell'aceto che poi sarebbe passato a Silvano, ..."). Ma forse non si deve neanche pretendere eccessivo rigore da Crescenziano. Personalmente, sarei più incline a intendere la seconda proposizione introdotta da quod come una relativa; il verbo al congiuntivo potrebbe far pensare che Crescenziano

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aggiunga questa precisazione perché l'aveva udita dai figli di Elio (si tratterebbe dunque di un congiuntivo obliquo). In tal caso et filii Aelionis andrebbe letto in opposizione a plures: i più dicevano che Purpurio aveva rubato le botti e l'aceto, i figli di Elio aggiungevano che l'aceto era arrivato nelle mani di Silvano (come se si dovesse leggere et hoc [scil: quod acetum ad senem nostrum Silvanum pervenisset] dicebant filii Aelionis). Il fatto è che nella risposta successiva Ceciliano sembra attribuire ai figli di Elio una diversa versione dei fatti, che cioè Silvano fosse il responsabile materiale del furto (acetum sublatum a Silvano) e non soltanto il beneficiario finale (si veda infra, comm. ad p. 25.17). Cfr. Introduzione, pp. XLIV-XLVI. ad

senem nostrum Silvanum. Il manoscritto riporta senecem, corretto in senem alla luce di a

sene Silvano, che si legge subito dopo (p. 25.17). Sembra però un'anomalia che Silvano sia definito senex, quando in tutto il resto del documento è chiamato episcopus. Le deposizioni precedenti inoltre confermano che al momento del furto Silvano era già vescovo: Gesta p. 17.18 (tulit illum Silvanus episcopus); p. 21.16 (Silvanus episcopus et Dontius et Superius presbyteri et Lucianus diaconus tulerunt acetum). Inoltre, senex è sempre usato al plurale quando indica un ruolo ufficiale all'interno della comunità cristiana (si vedano gli incipit delle lettere citate in precedenza, in cui i vescovi si rivolgono ai seniores). Per questo ha probabilmente ragione Maier (p. 238 n. 137), seguito da Edwards (p. 168 n. 93) a intendere senex come un titolo d'ossequio (Edwards traduce "reverend Silvanus"). Non sono riuscito a trovare paralleli per quest'uso di senex, se non forse il passo seguente di una lettera di Atanasio di Alessandria a Lucifero di Cagliari (†370 ca.), anche se resta il dubbio che senes possa riferirsi in senso proprio all'età: Omnis ubique ecclesia luget, omnis civitas gemit, senes episcopi in exilio laborant et haeretici dissimulant, qui, dum negant Christum, publicanos se effecerunt sedentes in ecclesiis et exigentes Vectigalia. (Epistulae ad Luciferum Calaritanum et alios, Ep. 3, 18, CPL 0117°). 25.16 Quid audisti? La domanda di Zenofilo (quid audisti) può sembrare ripetitiva, ma non risulta più così superflua se si pensa che Zenofilo voglia sapere che cosa Crescenziano abbia udito dai figli di Elio in più rispetto a quanto dicevano i plures. Chi poi sia questo Elio non è meglio specificato. 25.17 Acetum sublatum. La lezione del manoscritto aceto sublato è corretta dagli editori in acetum sublatum; mancherebbe altrimenti nella frase un verbo principale. È qui evidente che i filii Aelionis non possono essere i divulgatori di questa voce (che il furto sia stato commesso da Silvano e complici) così come della precedente (che parte della refurtiva sia arrivata a Silvano); questa seconda accusa costituirà anzi la versione specifica dei figli di Elio in oppsozione a quella dei plures (et avversativo). Se così fosse la domanda di Zenofilo (quid audisti?) potrebbe rappresentare un'interruzione della risposta di Ceciliano. Il giudice, appena sente menzionare una versione

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dei fatti alternativa a quella più diffusa (che, di fatto, non accusava direttamente Silvano), si mostra comprensibilmente interessato e subito incalza il teste con una nuova domanda.

[Crescenziano] "... e i figli di Elio dicevano ..." [Zenofilo] "Cosa hai udito [scil.: dai figli di Elio]?"

[Crescenziano] "(dicevano) che l'aceto è stato rubato da Silvano ...".

Si potrebbe obiettare che in questo caso il redattore avrebbe dovuto segnalare l'interruzione (come fa in Gesta p. 19.4-5 e Acta p. 29.20-22), ma a questa obiezione si può ripondere in due modi: il notaio, per umana distrazione o per incomprensione, potrebbe essersi dimenticato di specificare questo dettaglio o non aver capito dall'intonazione che Crescenziano avrebbe voluto proseguire (cosa che si verifica tre volte anche nei Gesta coll. Carth.: III, 53-55; 172- 173; 237.2); oppure potrebbe non esserci stata alcuna interruzione da parte di Zenofilo, bensì un'esitazione da parte di Ceciliano (dovuta alla consapevolezza della gravità dell'accusa), che avrebbe quindi lasciato la frase in sospeso costringendo il giudice a interrogarlo più a fondo. Cfr. Introduzione, p. XLVI n. 143. 25.19-20 Nihil inde ... erogaverit. Nihil inde: inde sta ovviamente per de illis/eis = de follis. L'uso dell'averbio di moto da luogo inde, indicante il punto di partenza, al posto di ab, ex, de + pronome dimostrativo (con valore partitivo) è attestato già anticamente (per es. Liv. II, 30.7), si diffonde ampiamente in epoca tarda (numerosi esempi in Agostino, per es. de civ. VIII, 13) e comincia ad essere applicato anche a persone (per es. Cipr., Eccl. un. 20). Cfr. VÄÄNÄNEN 1982 (ed. originale 1963, 1967), p. 214. La frase risulta di difficile interpretazione per l'uso dell'asindeto, tipica movenza del parlato. Il senso è chiaro: Crescenziano non conosce nessuno che abbia ricevuto qualcosa e non conosce nessuno che abbia distribuito qualcosa. In una sintassi più ragionata si sarebbe potuto dire: nescio quemquam inde quidquam accepisse nec quemquam illos erogavisse (oppure nescio quemquam qui inde quicquam acceperit nec qui illos erogaverit) e su questa linea si colloca la traduzione di Edwards ("I don't know of anyone receiving from it, nor who distributed them"). Ma Crescenziano, rispondendo immediatamente e con trasporto, non ha avuto il tempo né la cura di formulare una risposta sintatticamente ordinata: dapprima risponde recisamente di no ("nessuno ha ricevuto nulla"), poi si accorge che il fatto che egli non abbia visto nessuno non significa in assoluto che ciò non sia accaduto (la stessa falla che Zenofilo aveva scoperto nella testimonianza di Casto) e quindi si corregge (nescio [aliquem accipere] riferisce un'esperienza soggettiva, mentre nemo accepit è una dichiarazione di un fatto oggettivo); aggiunge infine, a completamento della sua deposizione e probabilmente per prevenire ulteriori domande, di non sapere di nessuno che avesse distribuito il denaro di Lucilla (nec [scio] quis illos erogaverit). 25.21 Aniculae ... acceperunt? Nundinario accenna alla possibilità che il denaro sia stato destinato al mantenimento delle vedove a carico della

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comunità. Tuttavia, il numquam che introduce l'interrogativa retorica lascia intendere che Nundinario si aspetta e vuole da Crescenziano una risposta negativa. Aniculae è termine spesso usato nei commenti ai Vangeli per definire la vedova Anna del vangelo di Luca, profetessa che riconobbe il Messia in Gesù ancora bambino (Aug., Serm. 370, PL 39, col. 1657, linea 43: Numquid enim solae virgines ad regnum caelorum perveniunt? Perveniunt et viduae. Magni meriti fuit illa vidua sancta Anna.) e applicato da Agostino alle viduae (Aug., evang. 13, 17: Nescio quae anicula vidua, nescio quis homo qualiscumque laicus habens caritatem, tenens integritatem fidei, non facit hoc). Il dovere del clero di mantenere le vedove era già implicato in Atti, 6 e in Paolo I Cor., 7.36-8 e sarebbe stato imposto dal concilio di Serdica del 343. Sul ruolo delle vedove nelle comunità cristiane e sul problema del loro alloggiamento presso vescovi e chierici erano già intervenuti, in ambito africano, Tertulliano e Cipriano: un'ampia trattazione in FOX 2006 (ed. originale 1986), pp. 373-99. 27.2 populares. Populares indica nell'uso cristiano i membri laici del popolo dei fedeli: cfr. Cassian., Contra Nest. 6, 5, 4 (si popularis potius temptare quam sacerdos ecclesiam posses); Sidon., Ep. IV, 11.4 (clericos opere, sermone populares … consolabatur). 27.2-3 Non audivi ... aliquos. Aliquos è correzione della lezione tradita aliquo, da intendersi come soggetto di dedisse, mentre illum sarebbe riferito ai precedenti aliquid tale e inde. Ci saremmo aspettati in realtà una forma di singolare come il precedente aliquem usato da Casto (p. 23.18). Tuttavia, la soluzione alternativa di prendere illum come soggetto e aliquos [folles] come oggetto di dedisse appare ancora più difficile, perché non sarebbe per nulla chiaro il referente di illum. Potremmo pensare a Silvano, ma ciò è improbabile non solo perché Silvano è stato nominato soltanto nella vicenda del furto dell'aceto e verrà nominato solo più avanti a proposito del caso del presbitero Vittore, ma soprattutto perché Crescenziano ha appena dichiarato di non sapere quis illos [folles] erogaverit. Un'ulteriore possibilità sarebbe quella di intendere aliquo come un solecismo per alicui (dativo): Edwards, che pure propone una simile interpretazione a proposito di illo = illi in Gesta p. 23.12-13 (si veda supra comm. ad loc., p. 102 s.), non formula un'ipotesi del genere per aliquo. In effetti, questo secondo caso è più problematico, perché, se aliquo fosse un dativo, bisognerebbe supporre un soggetto sottinteso di 3a pers. plur. usata in senso generico ("non ho visto che li abbiano dati a nessuno"). Se così fosse la frase non audivi vel vidi dedisse illum aliquo avrebbe lo stesso significato di non vidi aliquem accipere. 27.3-4 Nihil ergo datum est ... populo? Zenofilo riformula qui la stessa domanda che aveva posto un attimo prima, ma in maniera leggermente diversa: se prima aveva chiesto ex CCCC follibus, quos Lucilla donavit, populus aliquid accepit?, ora chiede invece nihil ergo datum est de CCCC follibus populo? Nella prima interrogativa ad essere anteposto era il

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complemento di moto da luogo che costituiva il nuovo tema introdotto, su cui Zenofilo intendeva indagare dopo aver esaminato la questione precedente (il furto dal tempio di Serapide); ora che è giunto al termine di questa indagine, ne riassume l'esito (il popolo non ha ricevuto nulla di quello che gli spettava) anteponendo il termine più rilevante (nihil), che precede anche ergo (usato per introdurre, qui come in tutte le occorrenze precedenti, un'interrogativa retorica che presuppone risposta affermativa, una deduzione finale e conclusiva). Crescenziano conferma infatti la conclusione a cui Zenofilo è giunto con una sorta di deduzione e negativo: se il denaro fosse stato diviso tra il popolo, anche lui e i suoi colleghi (non credo che Crescenziano utilizzi un nos maiestatis) ne avrebbero certamente ricevuto almeno una parte (utique oscilla qui tra il significato, a mio avviso prevalente, di "certamente", che esprime una deduzione certa, e quello limitativo di "almeno", preferito invece da Edwards); poiché nulla hanno ricevuto, nulla è stato distribuito. Lo stesso ragionamento era stato sviluppato da Nundinario di fronte a Casto (p. 23.17-18). 27.5 Quo

ergo sublati sunt? Altro esempio di frase ellittica e concisa, del tutto normale in questo

vivace botta e risposta: quo ergo sublati sunt? (letteralmente: "verso quale luogo sono stati rubati?") sta per quo ergo pervenerunt [folles qui] sublati sunt?/ quo pervenerunt folles postquam sublati erant? ("dove sono finiti i folli che sono stati rubati / dopo essere stati rubati?"). Nell'interrogatorio di Casto le domande di Zenofilo avevano seguito esattamente la stessa traccia (p. 23.14-17: de folles, quos Lucilla dedit, populus minutus nihil accepit? ... Non vidi accipere neminem ... Quo ergo pervenerunt? ... Nescio). Purtroppo per Zenofilo, Crescenziano non è più informato di Casto; interviene allora Nundinario per spostare l'attenzione sul caso di Vittore (stessa sequenza di argomenti nell'interrogatorio di Casto).