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3. Il genere degli Acta e dei Gesta

4.4. Strategie difensive e strategie inquisitorie: la lingua all'interno dei process

4.4.2. Precisione e chiarezza

L'ultimo passo citato mostra però due tipi diversi di ridondanza: la ripetizione enfatica inde ... inde, dovuta al trasporto di chi parla, e la ripetizione del complemento di luogo illic apud Carthaginem, dovuta a un'esigenza di esattezza ("proprio lì a Cartagine"). A Vittore interessa sottolineare che lo scisma ha avuto origine fuori dalla sua diocesi e pertanto non si limita a dire illic (che si riferisce a Cartagine, nominata nella parte precedente del suo racconto), ma specifica l'avverbio con apud Carthaginem, onde prevenire qualsiasi dubbio negli ascoltatori. Del tutto analogo un passo degli Acta in cui Ceciliano cerca di dimostrare che la parte finale di una dichiarazione a lui attribuita è stata in realtà aggiunta dal falsario Ingenzio: usque hoc dictavi, usque quo habet ... (Acta p. 33.19). Dal momento che il testo incriminato è stato appena letto

172

Non si è mai sicuri che le parole trascritte dal notaio siano identiche a quelle effettivamente pronunciate: l'introduzione di aliquem potrebbe anche essere dovuta al processo di trascrizione.

173 Simili modi di dire esprimenti desiderio di morte accompagnano affermazioni o negazioni già in Plaut. (Aul.

661-2: emortum ego me mavelim leto malo, quam non ego illi dem hodie insidias seni) e nelle lettere di Cicerone (Att. IV, 17.5: ne vivam, si scio; Att. V, 20.6: moriar, si quidquam fieri potest elegantius).

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pubblicamente, il solo usque hoc sarebbe bastato ad indicare fino a dove giungeva l'autografo di Ceciliano, ma, per maggior sicurezza, il duumviro ripete nuovamente le ultime parole da lui scritte.174

Questi esempi mostrano che la ridondanza non è sempre (o non è soltanto) un segno d'enfasi, ma serve talvolta per esprimersi con la massima precisione possibile e così dar prova della propria attendibilità: ripetere un concetto, a costo di sconfinare nella pedanteria, è meglio che apparire incompleti o essere fraintesi. La ridondanza convive dunque nella lingua d'uso con la tendenza all'ellissi e all'eliminazione del superfluo, suscitando un'apparente contraddizione che è in realtà il frutto di una stretta connessione; sul rapporto conflittuale ma necessario tra ridondanza ed economia verbale nella comunicazione in generale si può vedere SLAMA-CAZACU 1962.

A tale esigenza di precisione obbedisce l'uso di richiamare un pronome relativo prolettico attraverso un dimostrativo che spesso non sarebbe necessario esplicitare o addirittura sarebbe necessario omettere (come nel terzo dei passi citati).

Gesta p. 5.4: quod hic fuit, totum hoc eiecimus Gesta p. 17.5; Non vidi: quod scio, hoc dico

Gesta p. 17.17-18: acetum, quod [cupae] habuerunt, tulit illum Silvanus

Queste frasi non vanno considerate come semplici prolessi delle relative, ma come anteposizioni dell'elemento topicalizzato o focalizzato: si nota spesso infatti la tendenza a collocare all'inizio della frase l'elemento su cui si vuole concentrare l'attenzione o che si vuole sottolineare con particolare enfasi, per poi riprenderlo eventualmente con pronomi di vario tipo nel seguito del periodo. Già Hofmann notava la tendenza della lingua d'uso ad iniziare il periodo con nominativi "enfatici ed isolati" o con "accusativi prolettici" e proposizioni relative, inserendo nel seguito pronomi anaforici di ripresa (HOFMANN 1985, pp. 245-248; 260). Questo accade sia nelle risposte degli interrogati sia a maggior ragione nelle domande del giudice o dell'accusatore, che intende in tal modo chiarire fin da subito l'argomento dell'interrogatorio. Così, ad esempio, Zenofilo si rivolge a Crescenziano: cupas de fano Sarapis scis esse sublatas (Gesta p. 25.13- 14).175 Un utile esempio è offerto dal confronto tra una domanda di Nundinario (viginti folles dedit et factus est presbyter Victor?) e la successiva di Zenofilo (ergo ut fieret presbyter, Silvano episcopo viginti folles praemium dedit?) in Gesta p. 19.3-7: a Nundinario interessa il fatto che Vittore abbia consegnato dei soldi a Silvano (viginti folles dedit anteposto); una volta appurato che Silvano li ha ricevuti, a Zenofilo preme di dimostrare che Vittore glieli aveva dati in cambio della carica di presbitero (ut fieret presbyter anteposto). In questo secondo caso, infatti, la colpa di

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L'espressione illo tulit eum in casa maiore (Gesta p. 23.12-13) risulta invece di difficile interpretazione, potendo essere illo sia avverbio di moto a luogo poi specificato da in casa maiore, sia un solecismo per illi (scil.: Silvano). Nel primo caso, avremmo un altro esempio di ripetizione specificativa, ma sui problemi posti da questo passo si veda comm. ad loc., pp. 102 s.

175

LXI

Silvano sarebbe ancora più grave (non banale corruzione, ma addirittura simonia): la finale viene quindi anteposta alla principale che logicamente la precede.

Si consideri ora questo scambio di battute tra Zenofilo e Casto, a cui è stato chiesto che cosa Silvano abbia consegnato alle autorità romane:

[Casto] "Dicebant, quod invenerit lucernam post orcam." [Zenofilo] "Etiam de cupas de fano sublatas et aceto confitere." [Casto] "Purpurius tulit cupas."

[Zenofilo] "Acetum quis?" (Gesta p. 23.6-8)

Casto si rivela qui un testimone piuttosto impreciso, anche per semplice disattenzione, e deve essere più volte imbeccato da Zenofilo prima di rispondere in maniera completa. Dapprima dice soltanto che Silvano aveva rubato la lanterna, ma non accenna alle botti e all'aceto; incalzato da Zenofilo, aggiunge che era stato Purpurio a rubare le botti, ma ancora nessuna parola sull'aceto; infine, dopo un'ultima esortazione da parte del giudice, afferma che l'aceto era stato preso da Silvano, Donzio e Superio. Gli oggetti omessi da Casto sono quelli su cui Zenofilo intende focalizzare l'attenzione: essi vengono quindi anteposti (etiam de cupas ... acetum) e, nel caso di cupas, ulteriormente sottolineati da etiam. In particolare, nell'ultima domanda, si può cogliere una certa insistenza o fretta di avere le informazioni desiderate, se non addirittura una punta di esasperazione, come ben espresso dall'anteposizione dell'oggetto e dalla brusca ellissi del verbo (acetum quis [tulit]?).176

Non di rado è un'intera proposizione ad essere anteposta, come nella seguente risposta di Casto:

[Zenofilo] "Confitere, quot folles dedit Victor, ut presbyter fieret."

[Casto] "Optulit, domine, saccellum, et quid habuerit, nescio." (Gesta p. 23.10-11)

Casto può confermare che Vittore abbia dato qualcosa in cambio della nomina, ma non può dire nulla sull'entità della somma (cioè su quello che il sacchetto conteneva) ed è questo che gli interessa marcare, anteponendo l'interrogativa al verbo nescio.

Un caso un po' più complesso è offerto dalla frase di Nundinario riportata qui di seguito:

Nundinarius dixit: "Lucianus diaconus exhibeatur, quia ipse totum scit." Zenophilus v. c. consularis Nundinario dixit: "Hine sciunt?" Nundinarius dixit: "Non sciunt." Zenophilus v. c. consularis dixit: "Exhibeatur Lucianus." Nundinarius dixit: "Sciunt isti acceptos esse quadringentos folles, sed quia episcopi eos diviserunt, nesciunt." (Gesta p. 21.8-11)

Dapprima Nundinario afferma che Vittore e Saturnino non sanno nulla dei 400 folli; poi, dopo che Zenofilo ha dato ordine di convocare Luciano, precisa che in realtà essi sanno che qualcuno ha ricevuto il denaro, ma non possono sapere che sono stati i vescovi a spartirselo. Si può pensare che questo secondo intervento di Nundinario sia dovuto a un ripensamento: in prima battuta risponde recisamente nesciunt, ma dopo qualche istante si accorge di essere stato impreciso e

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L'anteposizione di un costituente o di una sua parte a sinistra della frase è un fenomeno ben noto ai linguisti. La "struttura pragmatica" della frase (l'uso che il parlante fa delle informazioni contenute nella frase) comprende infatti due teste funzionali che occupano la cosiddetta "periferia sinistra" della frase: il topic (ciò di cui si parla) e il focus (ciò che si pone in enfasi o in contrasto con gli altri elementi). Si veda ONIGA 2007, pp. 200-206.

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fornisce chiarimenti. L'anteposizione del verbo rispetto al soggetto isti potrebbe avere proprio questa funzione correttiva (sciunt isti acceptos esse ... sed quia episcopi eos diviserunt nesciunt = "In realtà, loro sanno che i quattrocento folli sono stati ricevuti, ma che i vescovi se li sono divisi non lo sanno."). Allo stesso modo è da rilevare l'anteposizione della dichiarativa retta da nesciunt, che ha la funzione di topicalizzare il fatto che interessa (la spartizione del denaro tra i vescovi). 4.4.3. Evasività ed intimidazione

Come già in parte emerso dall'interrogatorio di Casto, i testimoni sono precisi solo su quello che vogliono, mentre cercano di tacere altri particolari scomodi o compromettenti: per far ciò devono servirsi di alcune strategie linguistiche che consentano loro di mantenersi sul generico, fingendo di non sapere quello che in realtà non vogliono dire.177 Un modo molto semplice di restare evasivi consiste nell'omettere gli agenti: ciò è possibile attraverso le forme passive e impersonali o anche attraverso forme attive di senso generico (come il cosiddetto "tu generico" o più spesso la 3a persona plurale) o ancora attraverso l'uso di pronomi che sostituiscano i nomi propri (per esempio illi, che ha spesso valore generico). L'assenza del ruolo di agente nella frase passiva si può spiegare tenendo presenti contemporaneamente la "struttura profonda" della frase (in cui si assegnano i ruoli tematici: Agente e Tema) e la "struttura superficiale" (in cui si assegnano i casi: Nominativo e Accusativo). Nella struttura profonda di una frase passiva il soggetto è rappresentato da una posizione vuota, perché la morfologia passiva impedisce al verbo di assegnare il ruolo tematico di Agente al soggetto; l'oggetto invece è un sintagma nominale che riceve il ruolo di Tema dal verbo, ma rimane privo di caso. Di conseguenza, l'oggetto di struttura profonda si muove nella posizione superficiale di soggetto e grazie a tale movimento riceve il caso nominativo. Il soggetto di una frase passiva eredita dunque dall'oggetto di struttura profonda il ruolo di Tema, ma non può avere ruolo di Agente. Da ciò si ricava che attraverso una frase passiva il parlante non sa o non vuole rivelare l'identità dell'agente. Se si vuole che anche il ruolo di Agente entri nella frase passiva, si dovrà inserire l'Agente in una posizione di aggiunto per mezzo di un costituente autonomo (il cosiddetto complemento d'agenbte), che Vittore e gli altri testimoni solitamente evitano di introdurre.178

Si consideri ad esempio l'uso dei passivi e del pronome illi nel racconto di Vittore:

Dicuntur invenisse Caecilianum episcopum nescio quibus non recte constitutum; illi contra alium instituerunt (Gesta p. 1.13-14).

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Che l'evasività sia tipica del modo di esprimersi dei testimoni (specialmente di condizione non elevata) sottoposti a interrogatorio è stato ben argomentato da Ferri, che ha portato a confronto un passo delle Verrine in cui Cicerone riferisce i duri sforzi compiuti per ottenere che l'interrogato Lucio Domizio facesse il nome di Chelidone (cfr. FERRI 2012-13, p. 95):

... de Chelidone reticuit quoad potuit ... Tantus in adulescente clarissimo pudor fuit ut aliquam diu, cum a me premeretur, omnia potius responderet quam Chelidonem nominaret; primo necessarios istius ad eum adlegatos esse dicebat, deinde aliquando coactus Chelidonem nominavit. (Verr. II, 1.139)

178 Per un'analisi linguistica più approfondita delle costruzioni passive si veda ONIGA 2007, pp. 214-218, da cui

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Ventum est ad domum meam. Cum absens essem, ascensum est a magistratibus et sublati sunt codices mei. Cum ego venissem, inveni codices sublatos (Gesta p. 1.25-26).

Nel primo passo Vittore descrive l'arrivo di Secondo e dei vescovi numidi a Cartagine, i quali vi trovarono già eletto Ceciliano, ma non nomina né i responsabili dell'elezione di Ceciliano (usa infatti il costrutto passivo nescio quibus constitutum) né i vescovi che accompagnarono Secondo (essi sono, genericamente, illi). Vittore ha dichiarato, infatti, di non poter conoscere le origini dello scisma e quindi, coerentemente con la linea di difesa scelta, non può fornire alcun dettaglio. Nel secondo passo, la posizione di Vittore è ancora più delicata: egli sta infatti sostenendo che i codici delle Scritture gli erano stati rubati, ma non accusa nessuno del furto, limitandosi a usare forme impersonali coi verbi intransitivi (ventum esset ... ascensum est) e verbi passivi senza complemento d'agente (sublatos).

Forme passive e terze persone plurali senza soggetto espresso (o con un soggetto assai vago) sono usate anche da Crescenziano, che prima si serve di un generico plures dicebant, per tacere il nome di coloro che denunciavano Purpurio di furto, e poi utilizza un verbo al passivo senza complemento d'agente, per raccontare l'episodio della corruzione di Silvano da parte di Vittore.

Plures dicebant, quod Purpurius episcopus ipse sustulerit cupas (Gesta p. 25.14-15) [Nundinario] Victor quot folles dedit, ut fieret presbyter?

[Crescenziano] Vidi allatos cofinos cum pecunia. (Gesta p. 27.6-7)179

Crescenziano è in effetti un testimone particolarmente reticente, come si può ben cogliere dal seguente scambio di battute con Zenofilo.

Zenophilus v. c. consularis Crescentiano dixit: "Simpliciter sicut et ceteri confitere, utrum scias traditorem Silvanum." Crescentianus dixit: "Priores, qui fuerunt clerici, ipsi retulerunt singula." Zenophilus v. c. consularis Crescentiano dixit: "Quid retulerunt?" Crescentianus dixit: "Referebant, quod traditor esset." Zenophilus v. c. consularis Crescentiano dixit: "Dixerunt illum traditorem?" Et adiecit: "Qui dicebant?" Crescentianus dixit: "Qui cum illo conversabantur in plebe dixerunt, quod aliquando tradidisset." Zenophilus v. c. consularis Crescentiano dixit: "De Silvano dicebant?" Crescentianus dixit: "Utique." (Gesta p. 25.2-9)

Zenofilo chiede a Crescenziano se possa confermare la traditio di Silvano già emersa dalle testimonianze precedenti, ma la risposta di Crescenziano non aggiunge nulla a quello che aveva già detto Zenofilo: non specifica quali dei precedenti imputati abbiano denunciato la traditio, ma si limita a indicarli con priores ... clerici ... ipsi senza mai farne i nomi (a dire il vero non parla nemmeno di traditio, ma si mantiene sul generico con il numerale singula, che non dice nulla circa la qualità di quelle res). Il valore informativo della risposta è dunque pari a zero. Zenofilo se ne rende conto e interviene a più riprese per chiedere precisazioni su tutto quello che Crescenziano aveva lasciato non detto: quid retulerunt riprende referebant singula e qui dicebant riprende priores. La prima richiesta di precisazioni riceve soddisfazione: Crescenziano ammette che Silvano era stato dichiarato traditor. A questo punto, Zenofilo ripete la domanda precedente

179 Si noti che la domanda di Nundinario era stata ben più precisa della risposta di Crescenziano e aveva messo

in evidenza il soggetto Victor anteponendolo all'interrogativo quot. Crescenziano invece passa dalla forma attiva con soggetto espresso alla forma passiva senza complemento d'agente.

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per avere una conferma definitiva (dixerunt illum traditorem), poi però cambia idea e passa alla seconda richiesta (qui dicebant?). Il redattore del verbale segnala questo cambiamento della direzione del discorso attraverso et adiecit: dobbiamo immaginare dunque una pausa tra la prima e la seconda domanda ("Hanno detto che è un traditore? ... e chi lo diceva?").180 Se con la precedente risposta Crescenziano era stato abbastanza esaustivo, ora torna alla sua solita evasività: si ostina a non fare i nomi degli accusatori di Silvano e si mostra molto vago anche sull'episodio della traditio. Ne parla infatti come di cosa appresa da altri (dichiarativa al congiuntivo obliquo retta da una forma di 3a pers. generica: dixerunt, quod aliquando tradidisset), senza specificare quando si sia verificata (aliquando) e che cosa sia stato consegnato (tradere usato in senso assoluto). L'unica cosa che Crescenziano è disposto a confermare è che il responsabile della traditio è Silvano, come dichiara subito dopo sollecitato da Zenofilo (de Silvano dicebant? ... Utique), ma lascia comunque che sia Zenofilo a farne il nome; chi e che cosa fosse coinvolto nella traditio non vuole o non sa dirlo. Zenofilo, vista l'inutilità di insistere sulla questione, passa allora ad un altro argomento.

Ci sono però casi in cui le strategie della reticenza sono molto più sottili e meno facili da individuare, come la seguente, che si trova ancora una volta nel racconto di Vittore sulle origini dello scisma:181

Zenophilus v. c. consularis dixit: "Memor fidei et honestatis tuae, simpliciter designa, quae causa fuerit dissensionis inter christianos." Victor dixit: "Ego originem dissensionis nescio." (Gesta p. 1.10-11)

Vittore non si limita, come di norma, a riprendere nella risposta una parte della domanda, ma ne muta significativamente un termine: la causa dello scisma diventa infatti una più generica origo. È evidente che Zenofilo, con la sua domanda precisa, voleva apprendere nomi e circostanze concrete, mentre la risposta di Vittore tende a spostare la responsabilità della divisione su un agente non definito.182 Sempre Vittore ci mostra un altro caso interessante, sebbene meno evidente, di evasività, che rivela un modo assai astuto per eludere la domanda, cioè fingere di non capire.

Zenophilus v. c. consularis Victori dixit: "Clamasti ergo cum populo, quod traditor esset Silvanus et non deberet fieri episcopus?" Victor dixit: "Clamavi et ego et populus. Nos enim civem nostrum petebamus, integrum virum." Zenophilus v. c. consularis dixit: "Qua causa putabatis eum non mereri?" Victor dixit: "Integrum petebamus et civem nostrum ..." (Gesta p. 15.11-15)

Zenofilo chiede a Vittore se, durante l'elezione di Silvano, egli fosse stato tra quelli che si erano opposti, accusando Silvano di traditio, e Vittore gli risponde di sì. A questo punto Zenofilo domanda per quale motivo il popolo non ritenesse Silvano degno della carica. La domanda

180 Edwards traduce la seconda domanda con "What have they said?", il che presupponde evidentemente la

congettura quid dicebant; ma la risposta successiva di Crescenziano (qui cum illo conversabantur in plebe) è coerente soltanto rispetto a un interrogativo qui.

181

La reticenza di Vittore legata alla semplice sostituzione di un sostantivo con un suo sinonimo è stata individuata da FERRI 2012-3.

182

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potrebbe sembrare superflua perché dal grido stesso di «Silvanum traditorem» risulta evidente che il popolo era convinto che Silvano si fosse macchiato di traditio e che questo peccato impedisse la sua consacrazione. Evidentemente, lo scopo indiretto di Zenofilo era quello di ottenere una confessione più precisa da Vittore, il quale, per giustificare le sue parole, avrebbe dovuto dichiarare in base a quali prove sapesse della colpa di Silvano (quali oggetti avesse consegnato, quando e a chi). Ma Vittore non vuole essere più preciso su questo punto né vuole ammettere di essere a conoscenza di particolari che potrebbero comprometterlo e perciò interpreta la domanda alla lettera e si limita a ribadire quanto aveva dichiarato nella risposta precedente: lui e il popolo volevano un cittadino di rango e non un candidato del popolino. Ma questo non era quello che Zenofilo voleva sentirsi dire.

L'esempio in assoluto più evidente della reticenza dei testimoni è offerto da Acta p. 35.10-12: qui il proconsole Eliano chiede a Ingenzio di rivelare il nome del suo mandante e questi finge di non capire, rispondendo in modo del tutto incongruo; ma Eliano, cui non sfugge che Ingenzio sta facendo il finto tonto, subito mette a nudo la sua strategia e ripete la domanda in modo inequivocabile.

Et adstante Ingentio Aelianus proconsul dixit: "Cuius praecepto ea suscepisti agenda, quae tibi obiciuntur?" Ingentius dixit: "Ubi?" Aelianus proconsul dixit: "Quoniam fingis te non intellegere, quod interrogaris, dicam apertius: quis te ad magistratum Caecilianum misit?" (Acta p. 35.10-12)

In altri casi i testimoni passano dall'evasività al rifiuto esplicito di collaborare: un buon esempio è fornito da un passo degli Acta Munati Felicis:

Felix flamen perpetuus curator reipublicae dixit: "Proferte scripturas quas habetis, ut praeceptis imperatorum et iussioni parere possitis." Catullinus protulit codicem unum pernimium maiorem. Felix flamen perpetuus curator reipublicae Marcuclio et Silvano dixit: "Quare unum tantummodo codicem dedistis? Proferte scripturas quas habetis." Catullinus et Marcuclius dixerunt: "Plus non habemus, quia subdiacones sumus; sed lectores habent codices." Felix flamen perpetuus curator reipublicae Marcuclio et Catullino dixit: "Demonstrate lectores." Marcuclius et Catullinus dixerunt: "Non scimus ubi maneant." Felix flamen perpetuus curator reipublicae Catullino et Marcuclio dixit: "Si, ubi manent, non nostis, nomina eorum dicite." Catullinus et Marcuclius dixerunt: "Nos non sumus proditores. Ecce sumus: iube nos occidi." (Gesta p. 5.11-20)

Felice sospetta che i sottodiaconi abbiano consegnato un singolo codice per nascondere gli altri codices e ripete subito la sua richiesta (proferte scripturas). Marcuclio e Catullino negano di possedere altri codici, giustificandosi in quanto sottodiaconi: non a loro spetta la conservazione dei codici (è già tanto che ne abbiano uno), bensì ai lettori. Felice non si dà per vinto e torna a incalzarli chiedendo loro di indicare questi lettori, ma essi fingono di non sapere dove si trovino. Al che Felice deve tentare un'altra strada: se non possono dirgli dove si trovano, gli facciano almeno i loro nomi. Ma i due sottodiaconi insistono a negare, anzi, dichiarano apertamente di essere disposti a morire (a differenza di Silvano), pur di non tradire i loro fratelli. Al di là della sincerità di un'affermazione così estrema, la minaccia di resistere fino alla morte ha anche uno scopo retorico: esasperati dall'interrogatorio prolungato, Marcuclio e Catullino mirano a convincere Felice della loro assoluta integrità e a scoraggiare ulteriori domande. E la strategia si

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rivela efficace: Felice, infatti, molla la presa e li rilascia. Con la loro ultima risposta, i due sottodiaconi bloccano bruscamente il flusso della conversazione: invece di riprendere una parte della frase precedente (dimostrando così disponibilità al dialogo), come aveva appena fatto il flamine (si, ubi manent, non nostis ...), la loro risposta si colloca su un piano diverso, anzi non è neanche una risposta negativa, ma un rifiuto radicale a rispondere e insieme una forte minaccia. Essi ottengono così quello che vogliono: l'interrogatorio si conclude.

Se i testimoni si rifiutano di collaborare, la bravura del giudice consisterà nel vincere la loro omertà o attraverso la minaccia aperta o attraverso un qualche raggiro. Come emerso