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Nescio, nemo nihil accepit Chiaro esempio di paratassi: anziché dire: "nescio aliquem

Edwards 13 Constantina C 14 lucerna et capitulata edd 17 acetabulum Baluze : acetrum Deutsch

16: unam ecclesiam 1.12-16 Secundus episcopus omnino Il soggetto anteposto rispetto alla congiunzione che introduce la subordinata temporale (cum venisset) deve intenders

27.6 Nescio, nemo nihil accepit Chiaro esempio di paratassi: anziché dire: "nescio aliquem

aliquid accipere", Crescenziano si limita a giustappore le due proposizioni: "nescio; nemo nihil accepit". Cfr. Plaut., Rud. 372: Novi, Neptunus ita solet. quot folles. Come già a p. 23.10 quod va corretto in quot: oltre al fatto che la sintassi non regge con quod, la risposta successiva di Crescenziano, che dice di aver visto dei cesti pieni di denaro, ma di non conoscere l'entità della somma contenuta, comprova l'esigenza dell'interrogativo quantificativo quot. Si noti inoltre che il soggetto focalizzato viene come al solito anteposto all'avverbio che introduce l'interrogativa per segnalare il passaggio a un nuovo argomento: Victor, quot folles dedit al posto di Quot folles Victor dedit? 27.7 Vidi allatos cofinos. Il manoscritto riporta cofinos (così pure cofini al rigo seguente), la forma corretta è cophinos ed è così che Ziwsa corregge (anche nei due passi successivi). Anche in questo caso non è escluso che si tratti di un solecismo originario (Von Soden, infatti, preferisce mantenere le

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forme con f): la forma cofinus è infatti attestata (non necessariamente da tutti i codici) in Caes. Arel. (Serm. 106, 4), Hier. (Ier. V, p. 358, 1 CSEL), Aug. (div. quest. 61; Serm. 101, p. 48 SPM 1), Vulg. (Lc. 9, 17; Ioh. 6, 13; Mc. 6, 43; 8, 19; Mt. 14, 20; 16, 9 Psalm. 80, 7; reg. IV, 10.7), Quodv. (prom. 3, 15), Ambr. (Ep. II, 7, 23; Luc. VI, linee 979, 985 e VII, 1817, 1829, 2421 CPL 0143; virg. I, 1.3), Veg. (Mul. I, 56.38; II, 33.2), Mul. Chir. (VI, 545) e Prud. (Apoth. 717). Nel nostro caso la presenza di un solo testimone medievale impedisce di stabilire se la grafia errata appartenga al documento originale o sia un errore del copista medievale: preferisco mantenere il testo tradito lasciando aperte entrambe le possibilità. 27.10

Populo nihil datum est? La solita domanda più volte incontrata: ad essere anteposto è questa

volta populo, perché quello che colpisce Zenofilo, e di cui viene chiesto subito conferma, è il fatto che il denaro di Vittore (forse attinto alla donazione di Lucilla) sia andato a Silvano e non al popolo. 27.10-11 Necesse est ut ... sicut solet. Crescenziano risponde con la stessa deduzione negativa con cui aveva risposto alle domande sul denaro di Lucilla (cfr. Gesta p. 27.3-5). Il fatto che in questo caso usi il costrutto necesse est mi fa pensare che anche il precedente utique abbia un significato analogo (dunque più "certamente" che "almeno"; si veda comm. ad p. 27.3-4, p. 112 s.). Si noti l'impiego del congiuntivo imperfetto in un periodo ipotetico dell'irrealtà al posto del piuccheperfetto, peraltro utilizzato da Vittore il lettore in Gesta p. 5.8 (mortuus fueras, si non illas invenisses): l'uso è già arcaico (Plaut., Bacch. 653: scio, dares = "lo so, tu l'avresti dato") e attestato anche in Cicerone e Giovenale prima che negli autori tardi. Cfr. HOOGTERP 1940, p. 74. MOHRMANN 1965 (p. 42) segnala questo uso sintattico come uno di quei casi in cui il latino cristiano recupera un tratto arcaico quasi scomparso nella lingua della cultura, ma sopravvissuto a livello della lingua parlata e popolare. 27.12 esse requirendum. Su C si legge requirende (e finale poco leggibile), corretto in requirendum. Il verbo requiro è costruito con de + abl. al posto del regolare a/ab o e/ex (cfr. Gesta coll. Carth. III, 71.3: de adversariis requiramus). 27.13 Ipsud est. Letteralmente: "proprio questo". Ipsud è considerata dai grammatici forma scorretta e volgare: cfr. Caper gramm., G. L., Keil VII, p. 95.2 (ipsum non ipsud); Dosith. gramm., G. L., Keil VII, p. 403.5 (quare non ipsud, ut illud et istud? Quoniam veteres nominativum masculinum non ipse dicebant, sed ipsus, quod etiam in comoediis veteribus invenimus). Si tratta in realtà della desinenza pronominale arcaica -d: la sua improduttività ha portato alla genesi di ipsum per i casi diretti del neutro, forma che a sua volta ha indotto il nom. masch. ipsus, frequente in commedia (MORANI 2000, p. 242). Dositeo, dal passo riportato, sembra invece considerare ipsus alla base di ipsum e non viceversa. 27.16. Qui s'interrompe il testo dei Gesta apud Zenophilum nel ms. C di Ottato.

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Tit. Acta purgationis Felicis episcopi Autumnitani. Si tratta del processo tenutosi di

fronte al proconsole d'Africa Eliano il 15 febbraio del 315. Per gli antefatti del processo e il contesto in cui si svolse si veda Introduzione, pp. VI-VIII. La data è fornita da Aug., Don. 33.56 (Aelianus proconsul causam Felicis audivit Volusiano et Aniano consulibus XV Kal. Mart., id est post menses ferme quattuor) e confermata da altri due scritti agostiniani in cui si cita la lettera di Costantino a Probiano, successore di Eliano (Ep. 88, 4 a Gianuario; Cresc. III, 70.81). Agostino aggiunge che il processo si sarebbe svolto circa quattro mesi dopo la sentenza di condanna emessa da papa Milziade contro Donato il 2 ottobre del 313, il che porterebbe a datare il processo di Felice al febbraio del 314: Volusiano ed Anniano (negli Acta compare la forma probabilmente corretta Anniano invece di Aniano attestato in Agostino) erano infatti consoli nel corso del 314 (come confermato da Acta p. 31.1) al tempo dell'inchiesta preliminare. Ma è assai probabile che si tratti di un errore dovuto alla confusione tra l'anno del consolato di Eliano (314) e quello del suo proconsolato (315) (ipotesi di DUCHESNE 1886, p. 644 e SEECK 1919, vol. III, pp. 326-7). Sui problemi di datazione, cfr. infra, p. 116 s. Il titolo (Acta purgationis Felicis episcopi Autumnitani) è stato aggiunto sul codice C da una mano più recente: l'aggettivo Autumnitanus compare soltanto in Ottato (I, 18.2; I, 27.1), mentre la forma più diffusa è Aptungitanus (con la variante Apthugnitanus in Cresc. III, 70.81 e in Gesta Coll. Carth. cogn. I, 128.15). La città di Autumni/Aptugni (tradotto con Aptungi o Aptunga) nella Numidia Bizacena corrisponde all'attuale Henchir Souar in Tunisia. Il testo di questi Acta è riportato sul codice C di Ottato come secondo documento dell'Appendice; la sentenza finale emessa da Eliano è riportata anche da Agostino, Cresc. III, 70.80 (= Acta p. 41.7-15) e da Ottato, I, 27.4-5 (= Acta p. 41.9- 15). Il resoconto del processo, mancando la parte iniziale, comincia per noi in medias res ed è preceduto da un asterisco tracciato in alto a sinistra rispetto al primo rigo: qui il duumviro in carica Gallieno sta interrogando l'ex duumviro Alfio Ceciliano, che era in carica nell'anno 303 durante le persecuzioni. 29.2 in municipio Autumnitanorum. La città di Aptungi divenne municipium nel corso del sec. II d.C.: i municipia godevano di forme abbastanza estese di autogoverno e di alcuni vantaggi legali, ma venivano sottoposte all'amministrazione dei quattuoviri o (come nel nostro caso) dei duumviri (nel testo degli Acta è preferita la forma meno comune duoviri con assoluta costanza, motivo per cui non c'è bisogno di correggere il testo). Sullo statuto di Aptungi si veda TOUTAIN 1896, p. 381. 29.3 viri spectabilis agentis

vicariam praefecturam. Vir spectabilis (abbreviato usp o uspt con compendio in tutto il testo

degli acta) è titolo onorifico, di cui abbiamo qui una delle prime attestazioni: indicava la seconda delle quattro classi di funzionari imperiali (illustres, spectabiles, clarissimi,

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perfectissimi). Il participio agentis è correzione da agens, qui come a p. 29.9. D'ora in avanti, tradurrò la titolatura ufficiale di agens praefecturam vicariam con il semplice "vicario". Elio Paolino ricopriva cioè la carica di vicarius della diocesi africana, un'entità amministrativa più vasta della provincia dell'Africa proconsolare. Il vicario era un funzionario imperiale, subordinato a un prefetto del pretorio, posto a capo di una delle 12 unità regionali (le diocesi appunto) istituite dalla riforma dioclezianea: i suoi compiti prioritari consistevano nell'effettuare il censimento dei terreni e dei sudditi necessario per il calcolo della tassa sul reddito agricolo, basata sul rapporto tra terra coltivabile (iugum) e numero di coltivatori (caput). Elio Paolino aveva presieduto l'inchiesta preliminare tenutasi a Cartagine il 19 agosto 314; il processo invece si aprì sotto la presidenza del suo successore Vero. Essendosi questi ammalato, il caso fu trasferito al proconsole Eliano e l'udienza si tenne appunto il 15 febbraio 315. La ricostruzione dei fatti che ho seguito è quella proposta da FREND 1952a, p. 154. Anziché pensare a tre personaggi diversi succedutisi alla presidenza del processo (Elio Paolino, Vero ed Eliano), Maier ritiene che il nome completo del vicarius fosse Elio Paolino Vero e che a lui fosse succeduto direttamente Eliano (cfr. MAIER 1987, p. 190 n. 12); Baluze aveva già formulato un'ipotesi simile, proponendo di correggere Aelii Paulini in Aelii P. Verini (Elio Paolo Verino). Il nome del vicarius Verus compare in Aug., Ep. 88, 4, dove viene citata la lettera di Costantino a Probiano: il fatto che Elio Paolino non venga mai indicato semplicemente come vicarius Africae o vicarius per Africam, ma sempre come agens vicariam praefecturam o administrans vicariam praefecturam ha fatto pensare a Maier che si trattasse di un vicario straordinario, forse inviato in Africa proprio a causa della malattia del precedente vicario d'Africa. Tale Elio Paolino Vero sarebbe stato poi rilevato dal proconsole Eliano. Sempre secondo Maier, il breve mandato che gli era stato assegnato spiegherebbe perché egli sia insignito soltanto del titolo di vir spectabilis e non del più prestigioso vir perfectissimus. L'ipotesi di Maier va però rifiutata perché spectabiles (un titolo peraltro superiore a perfectissimi) era proprio il rango attribuito ai vicari; allo stesso rango appartenevano i proconsules, cioè i governatori di Africa, Asia e Acaia. I consulares invece godevano del rango di clarissimi, come già visto per Zenofilo. Si veda SCHERILLO- DELL'ORO 1949, p. 403. Inoltre, se fosse valida la ricostruzione di Maier (dapprima un vicario di nome ignoto, forse caduto malato; poi il vicario straordinario Elio Paolino Vero; infine il proconsole Eliano), bisognerebbe ammettere (una coincidenza improbabile) che sia il vicario sia il suo sostituto siano caduti in malattia. Mi sembra tutto sommato più lineare la spiegazione tradizionale, che prevede il succedersi di tre figure (due vicari, di cui il primo avrebbe condotto l'inchiesta preliminare del 314, mentre il secondo avrebbe aperto il processo

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vero e proprio, più il proconsole, subentrato in seguito alla malattia del secondo vicario). Quest'ultimo, il proconsole d'Africa Eliano, non si sarebbe dovuto intromettere in un processo che si svolgeva nella Numdia Bizacena e quindi al di fuori della sua provincia, ma probabilmente era stato chiamato ad assumersi il caso in via del tutto straordinaria, a causa della malattia del vicario, il quale aveva invece una giurisdizione geograficamente più estesa di una singola provincia (si veda MAIER, p. 176 n. 36). 29.4 ad nos datam. Probabilmente si tratta di un nos maiestatis. La costruzione di dare ad + acc. si va diffondendo nel latino tardo al posto di dare alicui. Lo stesso costrutto compare in Gesta p. 13.19-20 (non dubitavi haec scripta ad te dare); si veda comm. ad loc., pp. 81 s. 29.5 tunc temporis administrationis

tuae. Il genitivo viene qui impiegato per esprimere un complemento di tempo determinato,

come anche al rigo 6 (tabularium eius temporis) e al rigo 10 (acta ipsius temporis). In tutti e tre i casi compare il sostantivo tempus al genitivo: tuttavia, se le locuzioni eius temporis (cfr. Cic., de re publica VI, 12; Rab. 10; lege Man. 23; Liv. IV, 41; Plin., Nat. hist. XIV, 56; Sen., Cons. ad Marciam 10, 5; Vell. I, 12.4; II, 37.2) e ipsius temporis (Cic., Phil. 5, 35), in cui il sostantivo non perde del tutto la funzione di complemento di specificazione, sono già attestate nel latino classico, in temporis administrationis tuae il sostantivo tempus sembra presentarsi in una forma prepositiva ("al tempo di") capace di reggere a sua volta un genitivo. Queste forme si spiegano in genere con l'omissione di un sostantivo o dimostrativo (si veda VÄÄNÄNEN 1982, p. 206): qui per esempio (id) temporis (cfr. anche p. 31.8: tunc temporis); ma potrebbe anche trattarsi di sostantivi ormai cristallizzati in preposizioni reggenti a loro volta un determinato caso (spesso proprio il gen.). Tale sviluppo è attestato nel latino tardo per de latus (per es. gromatici p. 324, 11 Lachm.: de latus rivi; attestato anche con acc. e abl.) e per gyrum + gen. (per es. Peregr. Aeth. 13, 3: per gyrum ipsius colliculi) o in gyro + acc./abl. L'unica differenza rispetto al nostro temporis è che nel caso di de latus e per gyrum/in gyro si hanno in genere locuzioni introdotte da preposizioni, non sostantivi semplici, tranne in un caso (gromatici 313, 6: latus se). Si veda LÖFSTEDT 2007, p. 70 e ID. 1959, pp. 124 ss. 29.4-5 et scribam ... et tabularium. Si noti l'uso del polisindeto et ... et (declarare te compellit et scribam ... et tabularium), che ricorre subito dopo anche a p. 29.6-8 (et omnes actus ... tecum preferre debebis et ad coloniam Carthaginiensem ... proficisci necesse est). Esso non conferisce al passo alcuna enfasi particolare, ma è un tratto tipico dello stile giuridico finalizzato a dare l'impressione di una totale completezza. Si veda HOOGTERP 1940, pp. 86-7. Secondo LEPELLEY 1982 p. 226, il tabularius sarebbe uno stenografo al servizio della corte, a differenza degli scribae (quali Miccio e Ingenzio, citati nel seguito), che servivano i magistrati, e degli exceptores, che servivano la città e il consiglio municipale.

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Tabellarius indica propriamente l'addetto all'ufficio del registro e agli archivi in cui venivano conservati gli atti processuali. Agostino invitava infatti chi volesse leggere l'intero testo degli Acta a prenderlo dagli archivi del proconsole: Ecce ego insero sententiam Aeliani proconsulis, qua purgatus atque absolutus est Felix. Si tota gesta vis legere, ex archivo proconsulis accipe (Cresc. III, 70.80). 29.6 secundum fidem litterarum. Si tratta forse di un espressione giuridica (cfr. Codex Theodosianus XI, titulus 28, const. 13, p. 620, 4: secundum fidem polyptichorum). 29.7 eiusdem mei domini. Nella lingua cancelleresca è frequente l'uso di pronomi anaforici (is, idem) spesso ridondanti o di participi come suprascriptus, supradictus, praedictus, praefatus come segno di precisione: eiusdem ha qui completamente perso il valore proprio (essendo scontata l'identificazione del personaggio) e costituisce un puro formalismo. Si veda NORBERG 1999, cap. 1: Il latino alla fine dell'epoca imperiale, p. 27. Numerosi esempi negli Acta: causa agenda erit contra Caecilianum et Felicem, qui principatum eiusdem legis omni vi conantur invadere (p. 31.4-5); tunc mittunt in domo episcopi Felicis ... cum ad domum eiusdem Felicis episcopi mitteremus (p. 31.19-23); cum ... adveniret Ingentius, scriba Augenti, cum quo aedilitatem administravi, dictavi epistolam eidem collegae, quam feci ad eundem episcopum Felicem (p. 31.24-26); praesens est, eadem epistola ei offeratur, ut eandem recognoscat (p. 31.26); Cfr. anche Gesta p. 1.23-24 (ego sedebam cum Marte diacono ... Cum ab eodem Marte quarerentur omnes codices). Si veda HOOGTERP 1940, p. 63. ad coloniam Carthaginiensem. Lo statuto di colonia era superiore rispetto a quello di municipium e prevedeva talvolta importanti sgravi fiscali (si veda SHERWIN-WHITE 1973, pp. 216-8). cum scripta tua. Cum scriba tuo è la correzione proposta da Masson (e accettata da Edwards, ma non da Von Soden e Maier) per cum scripta tua. La lezione tradita viene respinta per due ragioni, la prima di carattere grammaticale (il complemento di unione richiederebbe l'ablativo: cum scriptis tuis), la seconda di carattere logico (sarebbe un'inutile ripetizione di quello che ha appena detto: omnes actus administrationis tuae ... tecum perferre debebis). La lettera del vicario avrà dunque ordinato a Ceciliano di recarsi a Cartagine con tutti i verbali della sua passata amministrazione facendosi accompagnare dal nuovo scriba (essendo morto il precedente) e il copista avrà forse corretto in scripta, pensando che lo scriba nominato fosse quello in carica al tempo dell'amministrazione di Ceciliano (cosa impossibile in quanto tale scriba era dichiarato defunto). A livello di senso, il testo proposto da Masson appare in effetti migliore, ma le motivazioni della correzione non sono di per sé cogenti: cum + acc. per il complemento di compagnia è attestato sia negli Acta (pp. 35.22 e 37.21) sia nei Gesta (p. 13.5, dove però non è propriamente un complemento di compagnia, ma vale "nei confronti di") ed è giustificabile

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in base alla generalizzazione dell'accusativo dopo preposizione a danno degli altri casi, tipica del latino tardo; la ripetizione actus ... scripta può essere spiegata alla luce del carattere di precisione quasi pedantesca della lingua giuridica, che non rifugge da simili puntualizzazioni, onde evitare ogni possibile incomprensione. Nella traduzione ho preferito pertanto attenermi al testo tradito. 29.8 curator. Si tratta del curator Callidio Iuniore o Callidio Graziano (cfr. Opt. I, 27). 29.9 Mox. Traduco con "non appena" la particella mox, che nel latino classico è sempre usata come avverbio ("fra poco", "poco dopo"), ma che nel latino volgare può svolgere la funzione di una congiunzione temporale. Numerose sono le attestazioni di quest'uso di mox nella versione Itala della Bibbia, in corrispondenza con congiunzioni greche come ἡνίϰα (Gen. 32, 32), ἐπειδή (Exod. 34, 33), ὡρ (II Par. 33, 12), che nella Vulgata sono invece rese con postquam, con un ablativo assoluto o altri costrutti correlati con mox. Spesso, ma sempre in autori tardi, mox è correlato a un avverbio nella frase successiva, per esempio, come nel nostro caso, statim (Potamio di Lisbona, tract. 1 (JThSt. 19, 1918, p. 303): mox … Christus … accessit, statim … revolvuntur saxa) oppure ilico (Giordane, Get. 126: mox … transierunt, ilico … rapuerunt). È evidente l'origine paratattica del costrutto (probabilmente ancora avvertita nella lingua parlata all'altezza della nostra attestazione: "Mi hai portato la lettera, poi, subito, ho scritto allo scriba Miccio"), che dona al racconto di Ceciliano una certa vivacità e concitazione. 29.10 pertulistis. Si tratta probabilmente di un vos di reverenza (si veda HOOGTERP 1940, pp. 70-1). 29.10-11 misi, veniret ... et usque adhuc inquirit. Il codice C riporta il testo seguente: Mox ad me epistolam ... pertulistis, statim ad scribam Miccium misi, venit ut acta ipsius temporis confecta mihi obtulisset, et usque adhuc inquirit (= "non appena mi hai portato la lettera, subito l'ho recapitata allo scriba Miccio; è venuto a portarmi gli atti redatti a quel tempo e sta ancora facendo ricerche"). Così stampano Von Soden e Maier. Si avrebbe dunque un bell'esempio di discorso interamente paratattico (pertulistis ... misi, venit ... et inquirit), salvo la finale ut obtulisset retta da venit. Il problema è che questo resoconto di Ceciliano sembra contraddittorio: Miccio è venuto a portare gli atti a Ceciliano, eppure sta ancora cercando quegli atti. La contraddizione si può risolvere supponendo che Miccio avesse portato a Ceciliano gli atti che aveva reperito fino a quel momento e che ne stesse ancora cercando degli altri (così traduce Maier, p. 175: "jusque'a présent il en recherche"); sennonchè, poco oltre, Ceciliano afferma che sarà in grado di adempiere all'ordine ricevuto quando Miccio avrà trovato gli atti (cum invenerit). Che anche in questo caso Ceciliano intenda riferirsi agli atti mancanti ("quando avrà trovato quelli che mancano") sembra difficile: sarebbe molto più semplice se Ceciliano si stesse scusando di non essersi ancora recato a Cartagine con gli atti semplicemente perché il suo scriba non li aveva

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ancora trovati. Per dare questo senso al discorso di Ceciliano, bisogna intervenire su venit: già Baluze e Deutsch avevano congetturato misi ut veniret et acta ... obtulisset, et usque adhuc inquirit ("gli ho mandato a dire che venisse a portarmi gli atti, e li sta ancora cercando"); ma ancora più economica ed efficace è la congettura misi, veniret ut acta ... obtulisset, et usque adhuc inquirit proposta da Ziwsa e presupposta dalla traduzione di Edwards ("I sent forthwith to the scribe Miccius, bidding him come to bring me the proceedings written at that time, and he has been making enquiries up to the present"). In questo passo mitto ha il significato di mittere nuntios/litteras, cioè "mandare a dire, ordinare attraverso messaggeri o per lettera", costruito con ad + acc. già nel latino classico (cfr. Cic., Att. XIII, 10.3: misit ad me Brutus = "Bruto mi ha scritto"). Usato in tal senso, mitto può reggere l'infinitiva (cfr. Cic., fam. XV, 4.5: legatos ad me misit se esse venturum = "mi ha mandato ambasciatori per dirmi che sarebbe venuto") oppure ut + cong., ma ut può facilmente essere omesso (cfr. Sall., Iug. 25, 5: litteras ad Iugurtham mittunt, quam ocissume accedat = "scrivono a Giugurta di venire il più rapidamente possibile"). Lo stesso signifcato ha mittere in Acta p. 31.16-17 (questa volta con la congiunzione ut): mittunt ad me in praetorio ipsi christiani, ut dicerent. Nonostante l'introduzione di un'ulteriore subordinata (ut veniret), il periodo non perde il suo andamento prevalentemente paratattico, dovuto all'uso del congiuntivo senza congiunzione e soprattutto alla coordinata et usque inquirit, che può rappresentare un esempio di paraipotassi: infatti, usque inquirit non è un costrutto né ipotattico (per esempio una relativa: acta mihi obtulisset, quae usque adhuc inquirit) né paratattico (nel qual caso avremmo avuto una semplice giustapposizione delle due preoposizioni per asindeto), ma è coordinato alla reggente mediante la congiunzione et, che contribuisce a saldare la seconda proposizione alla prima pur non essendo le due frasi propriamente sullo stesso piano. Potremmo intenderla come una sorta di aggiunta, di spiegazione parentetica: "gli ho scritto di venire a portarmi gli atti (li sta ancora cercando)". In realtà, anche il successivo inquirit è frutto di una correzione (questa volta unanimamente accettata) da inquiret, probabilmente attirato dall'et seguente. Si noti inoltre l'uso del congiuntivo piuccheperfetto obtulisset al posto dell'atteso imperfetto. Il passaggio da un tempo all'altro doveva essere avvertito come del tutto normale: si veda Acta, p. 33.4 (Cum Ingentius collegam meum Augentium ... conveniret et inquisisset) e Gesta p. 9.3-4 (coniurastis ut fieret Maiorinus episcopus ... dedit folles viginti, ut factus esset presbyter). Su questi e altri casi di scambi tra i tempi del congiuntivo si veda HOOGTERP 1940, pp. 73-5. 29.11-12 et

quoniam ... itaque. Si noti la ripetizione quoniam ... itaque, altra piccola spia della lingua

parlata e meno controllata: Ceciliano sente il bisogno di aggiungere tra parentesi una precisazione sulla data del suo duumvirato e successivamente si richiama alla frase iniziale

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con itaque. Potendo ritornare all'inizio avrebbe forse detto: "quoniam XI anni transierunt, ex quo duoviratum administravi ...". duoviratum. Duoviratum è correzione di duoviratu, che si legge sul manoscritto: in effetti, il sostantivo compare su C sempre nella stessa forma, come