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3. Il genere degli Acta e dei Gesta

4.2. La lingua del dialogo

Restano ora da analizzare quei fatti linguistici che, per quanto possano apparire irregolari, non lo sono più se inseriti all'interno del contesto dialogico: molti fenomeni che in un testo scritto dovrebbero essere segnalati come solecismi, sono in realtà del tutto giustificabili nel corso di una conversazione orale. Di fronte a simili anomalie, non si dovrà dunque accusare il soggetto in questione di scarsa competenza linguistica, ma bisognerà immaginare che anche i colti autori di opere letterarie, in un ambito familiare, ricorressero a modalità espressive per lo meno simili. Innanzitutto, ci sono sicuramente alcuni fattori stilistici dovuti molto semplicemente al minor controllo esercitato sull'enunciato orale rispetto all'attenzione che si può prestare ad un testo

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Dato l'altissimo numero di esempi, mi limito a rimandare ai passi relativi e al commento ad locc.:

quod + ind.: Acta p. 29.16; Acta p. 35.3; Acta p. 37.2-3; Gesta p. 23.9;

quod + cong.: Gesta p. 1.19; Gesta p. 1.20-21; Gesta p. 9.23-24; Gesta p. 15.11-12; Gesta p. 17.10-11; Gesta p. 23.6; Gesta p. 25.5; Gesta p. 25.14-15; Acta p. 35.4-5;

quia + ind.: Gesta p. 7.4-5; Gesta p. 9.12; Gesta p. 9.25-26; Gesta p. 17.1; Gesta p. 19.1; Acta p. 33.10 = 37.19-20; Acta p. 37.1-2; Acta p. 37.8-9 (in questo caso quia potrebbe anche essere causale: si veda comm. ad loc., p. 147); Acta p. 37.10;

quoniam + ind.: Gesta p. 3.1; Gesta p. 7.26.

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In un solo caso si trova un'interrogativa indiretta semplice introdotta da an (Acta p. 29.24).

127 VÄÄNÄNEN 1982, p. 277. Sulla scorta del greco εἰ si è poi diffusa, nel latino cristiano, nelle proposizioni

con verbo dichiarativo (per es. Gesta p. 21.20: [puto interrogandum esse] Castum diaconum, ut dicat, si non est traditor).

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scritto: di qui quella tendenza a costruzioni più semplici e meno articolate, che in un'opera letteraria o in un discorso recitato in pubblico potrebbero rivelare un'incapacità da parte dell'autore di governare una sintassi più complessa, ma che sono tranquillamente accettabili in un resoconto orale o in un botta e risposta. Inoltre, mentre un testo scritto (sia che si tratti di un'opera letteraria sia che si tratti di un documento ufficiale o di un testo d'uso quotidiano) può essere meditato con calma, rivisto ed eventualmente corretto, il dialogo impone uno scambio di battute sufficientemente rapido perché il flusso non si interrompa, cosa che talvolta implica il prevalere delle esigenze della comunicazione su quelle della correttezza: da un lato si potranno omettere le parti di un periodo che appaiono scontate o i termini che sono appena stati citati, dall'altro sarà necessario verificare di essere stati compresi dall'interlocutore o di aver soddisfatto le sue aspettative e, se così non fosse, interrompersi, riformulare una certa frase o aggiungervi, per maggior precisione, proposizioni o complementi che possono turbarne la sintassi. Infine, mentre il testo scritto è in genere personale e composto da un autore, la conversazione è costruita contemporaneamente da due o più individui, che devono dunque collaborare e convergere almeno in una certa misura: le battute di un personaggio dovranno dunque ricollegarsi a quelle dell'interlocutore, se si vuole che la conversazione scorra in modo coerente, e questo ingenera una serie di richiami e ripetizioni che non sono affatto ridondanze superficiali né indizi di incompetenza, ma necessità intrinseche al dialogo.

L'assenza di un controllo rigoroso è particolarmente evidente nella prevalenza della paratassi e nell'abbondanza di ellissi. Raggruppo sotto la categoria di paratassi qualsiasi giustapposizione di proposizioni senza l'uso di congiunzioni, sia la subordinazione implicita sia la coordinazione implicita (cioè l'asindeto). Nella lingua colloquiale, più libera e immediata, i riferimenti extralinguistici permettono infatti di compensare la carenza di indicazioni grammaticali; le costruzioni paratattiche abbondano pertanto nei testi che cercano di riprodurre la conversazione quotidiana (la commedia plautina), in quelli che hanno una matrice popolare (alcune iscrizioni) o ancora, con le dovute limitazioni, in testi letterari meno regolati (le epistole ciceroniane). Pur al di fuori della paratassi in senso stretto, anche la coordinazione esplicita (mediante congiunzioni coordinanti) è di fatto una forma sintattica più semplice rispetto all'ipotassi, essendo certo più facile costruire un discorso per via cumulativa, accostando ogni nuova proposizione alla precedente e mettendola sullo stesso piano, piuttosto che organizzare gerarchicamente le varie proposizioni all'interno di un periodo complesso e circolare. Non stupisce dunque che la coordinazione sia nettamente prevalente sulla subordinazione, anche quando le proposizioni non siano esattamente coordinabili dal punto di vista logico, in quanto legate da una relazione temporale o causale che un rapporto di dipendenza mostrerebbe più chiaramente. Considererò

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dunque insieme sia la giustapposizione paratattica sia la coordinazione, termini che sono entrambi compresi (come nota TRAINA 1966, p. 174) sotto la parola tedesca "Beiordnung".128

In genere sono i personaggi interrogati a utilizzare costrutti semplici nelle loro dichiarazioni. Si veda per esempio la risposta del grammatico Vittore alla domanda sulla sua dignitas: patre decurione Constantiniensium, avo milite, in comitatu militaverat; nam origo nostra de sanguine Mauro descendit (Gesta p. 1.8-9). Hoogterp fa giustamente notare come si possa rendere più fluida la sintassi introducendo una proposizione relativa e un verbo che regga i primi due ablativi: a patre decurione, ab avo milite, qui in comitatu militaverat, originem duco (si veda HOOGTERP 1940, p. 77). Tuttavia, bisogna ammettere che la risposta di Vittore, per quanto piuttosto dura ad orecchie meglio abituate, nel suo contesto risulta perfettamente chiara e completa. Poco oltre lo stesso Vittore, raccontando le peripezie vissute ai tempi della persecuzione (fughe, minacce, consegne di codici ...) costruisce la sua narrazione per via cumulativa, attraverso una sintassi fortemente asindetica.

Ego sedebam cum Marte diacono, et Victor presbyter. Cum ab eodem Marte quaererentur omnes codices, negavit se habere. Tunc Victor dedit nomina omnium lectorum. Ventum est ad domum meam. Cum absens essem, ascensum est a magistratibus et sublati sunt codices mei. Cum ego venissem, inveni codices sublatos. (Gesta p. 1.23-26)

Si hanno qui sei proposizioni principali semplicemente accostate tra di loro (Ego sedebam ... negavit ... Victor dedit nomina ... Ventum est ad domum meam ... Ascensum est a magistratibus et sublati sunt codices ... Inveni codices sublatos) con soltanto una coordinata e tre subordinate che forniscono indicazioni di contesto (cum quaererentur, cum absens essem, cum ego venissem), di cui la seconda è particolarmente importante, perché indica che Vittore era assente quando vennero i magistrati e dunque non può essere stato lui a consegnare i codici, che, a suo dire, sono stati rubati. Vittore mostra qui una buona capacità di concisione nel riportare in poche e chiare parole i fatti a sostegno delle sue dichiarazioni: la stringata dichiarazione finale (inveni codices sublatos, con ellissi di esse) è il caposaldo della sua difesa.

Oltre a queste ampie sezioni, troviamo anche esempi di stile paratattico più brevi, ma altrettanto chiari. Si consideri ad esempio una risposta del diacono Crescenziano, il quale, anziché dire "nescio aliquem aliquid accipere", si limita a giustapporre le due proposizioni: nescio, nemo nihil accepit (Gesta p. 27.6). Analogo il brevissimo racconto di Ceciliano, che narra dell'arrivo di Ingenzio a casa sua con quattro proposizioni in successione legate asindeticamente: domi ad me venit, prandebam cum operarios, venit illuc, stetit in ianua (Acta p. 35.21-22). In particolare, si noti come la paratassi non consenta di esplicitare i diversi rapporti tra le frasi: tra le prime due c'è chiaramente un rapporto di contemporaneità (scil.: dum prandeo cum operarios / cum pranderem

128 Su tale concetto e sulla paratassi nella lingua d'uso si veda anche HOFMANN 1985, pp. 249-268. Sempre

Hofmann (p. 257) nota che anche nelle frasi coordinate la lingua d'uso predilige l'asindeto, lasciando all'interlocutore il compito di stabilire la relazione logica tra le frasi attraverso l'intonazione, il contesto e la situazione.

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cum operarios, domi ad me venit), mentre tra le ultime due c'è un rapporto di successione cronologica. Sebbene non si possa escludere che Ceciliano abbia costruito il suo racconto in base a una precisa scelta stilistica, al fine di porre in primo piano i fatti nella loro sostanza, lasciando all'ascoltatore il compito di stabilire l'ovvia connessione logica tra di essi, stupisce il fatto che lo stile di un ex duumviro appaia molto simile a quello di testimoni presumibilmente inferiori per rango sociale e livello culturale.

Ci sono poi altri casi in cui ci troviamo di fronte a costruzioni asindetiche o coordinanti laddove ci saremmo forse aspettati un rapporto ipotattico. Per esempio Nundinario, quando chiede a Saturnino di confessare la corruzione di Silvano da parte di Vittore, si esprime così: viginti folles dedit et factus est presbyter Victor? (Gesta p. 19.3-4). Le due proposizioni sono semplicemente coordinate attraverso et, pur non trovandosi esattamente sullo stesso piano. Infatti, poco dopo, Zenofilo si esprimerà diversamente, introducendo una finale che ristabilisce un rapporto gerarchico logicamente più corretto: ergo ut fieret presbyter ... viginti folles ... dedit? (p. 19.6-7). Ciò non toglie che la domanda di Nundinario, così come era stata formulata, fosse chiarissima di per sé e non richiedesse ulteriori spiegazioni: quello che interessa all'accusatore sono i fatti, non tanto moventi e intenzioni.

Per quanto riguarda la paratassi nella subordinazione, l'assenza della congiunzione è abbastanza comune: negli Acta, per esempio, la omettono sia Ceciliano (nei primi due esempi riportati) sia Massimo, l'avvocato della parte avversa (negli altri due esempi).129

Acta p. 29.10: statim ad scribam Miccium misi, veniret.130 Acta p. 31.11-12: quaeso ... apud acta deponat.131 Acta p. 33.1: oro plena actis inseratur [epistola]. Acta p. 39.20: is qui scripsit epistolam, iube veniat.

Non solo le congiunzioni, ma anche altre parti del discorso (verbi, complementi, intere locuzioni o parti di frase, pronomi e preposizioni) possono essere omesse secondo il principio del minimo sforzo: Hofmann parlava a tale proposito di "ellissi di risparmio" (HOFMANN 1985, pp. 339-347 con esempi). Come già per la paratassi, anche in questo caso non si tratta di vere e proprie ellissi, ma di semplici espressioni abbreviate e compresse, tipiche della lingua colloquiale, in cui il contesto extralinguistico, l'andamento del dialogo o le battute immediatamente precedenti rendevano scontata e quindi superflua l'esplicitazione di certi elementi. Frequentissima è

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Subordinazioni per paratassi non si trovano soltanto nella registrazione degli interrogatori, ma anche nelle lettere dei vescovi (nate come testo scritto e non come registrazione scritta di una conversazione orale). Si vedano i passi seguenti (nel primo Purpurio scrive a Silvano, nel secondo Purpurio scrive al clero di Cirta, nel terzo Sabino scrive a Fortis).

Gesta p. 9.7-8: petiit has litteras deprecatorias a me ad te ... dirigerem. Gesta p. 11.1-2: elaborate, nemo sciat, quae sit coniuratio haec. Gesta p. 13.25-26: sed rogo te, nemo sciat.

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In questo caso la paratassi misi veniret è frutto di un intervento congetturale, molto probabilmente necessario. Si veda comm. ad loc., p. 119 s.

131 Del tutto assimilabili a quest'ultimo caso anche Acta p. 33.15 (quae dixit, quaesumus actis haereant) e Acta p.

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l'omissione del verbo sum come ausiliare (soprattutto esse nelle infinitive), sia nel resoconto in terza persona e dunque nella lingua cancelleresca, sia nelle battute dei vari personaggi; vista l'enorme diffusione di questo fenomeno in testi appartenenti a generi ed epoche molto distanti, tralascio di trattare un aspetto che non appare caratteristico dei documenti qui editi.132 Più interessanti sono i casi in cui determinati verbi o complementi possono essere sottintesi perché appena nominati nella battuta dell'interlocutore: qui infatti l'omissione non è soltanto un fatto stilistico indipendente dal contesto, ma è legata alla natura stessa del dialogo, che richiede immediatezza e rapidità nel reagire agli enunciati degli interlocutori e far procedere così la conversazione. Questo accade molto frequentemente nelle risposte che sottintendono uno o più termini della domanda precedente. Riporto alcuni esempi, molto spesso banali, tra i tanti possibili:133 Gesta p. 17.15-16 ([Zenofilo] quid aliud putas ex his esse quaerendum? [Nundinario] (Puto quaerendum esse) de cupis fisci, quis illas tulit); Gesta p. 25.16-17 [Zenofilo] Quid audisti? [Crescenziano] (Audivi) acetum sublatum a sene Silvano et Dontio et Superio presbyteris et Luciano diacono); Gesta p. 19.1-2 ([Saturnino] dicebant maiores nostri, quia (cupae) sublatae sunt. [Zenophilo] A quo (cupae) sublatae (esse) dicuntur?)134 e così via.

In alcuni casi un verbo o un'intera locuzione possono essere omessi senza che siano stati precedentemente nominati, ma semplicemente perché dati per scontati all'interno del contesto dialogico:

Gesta p. 1.8-9: [Zenofilo] cuius dignitatis es? [Vittore] patre decurione Constantiniensium, avo milite (originem duco)

Acta p. 33.7: [Ceciliano] hoc signum (do), quod deprecatorium ad me miserant christiani135

Anche per quanto riguarda i pronomi, le omissioni di pronomi personali complemento (in genere l'oggetto di un verbo: eos, eas, ea) non sono particolarmente significative, sebbene certo rappresentino un tratto tipico della brevità del parlato. Forse più caratteristica è la tendenza ad eliminare l'antecedente del pronome relativo, anche in caso diverso.136

Gesta p. 7.26: tradiderunt (ii), quibus communicastis

Gesta p. 13.21: (ei) qui inpigre agit, semper res dei impetu procedit

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Mi limito a rimandare ad alcuni passi dai Gesta — non ho trovato casi di esse ausiliare sottinteso negli Acta, sebbene vi siano molti altri esempi di ellisse —: pp. 1.1; 1.14; 11.4 = 13.3 = 13.17 (in questi tre casi tra loro identici l'ellisse riguarda frasi formulari e in quanto tali particolarmente soggette ad accogliere forme abbreviate); 15.7; 17.19; 21.7-8; 21.19; 25.3; 25.6.

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Negli esempi seguenti, ho indicato i nomi dei parlanti tra parentesi quadre e i termini sottintesi tra parentesi tonde.

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In questo caso nessuno dei due interlocutori menziona espressamente le cupae, ma la comprensione reciproca è facilitata dal fatto che il furto delle botti di vino è l'oggetto dell'intero interrogatorio, che si apre infatti con una chiara specificazione dell'argomento da parte dell'accusatore: de cupis fisci (Gesta p. 17.15).

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Hoogterp propone di sottintendere un verbum dandi (cfr. HOOGTERP 1940, p. 88), ma il passo è molto discusso ed è rimasto oscuro a tutti gli editori, me compreso (cfr. comm. ad loc., p. 132 ss.).

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L'omissione dell'antecedente in caso diverso non è però del tutto inammissibile nel latino colto: si veda per es. Cic., Tusc. V, 20 (Xerxes praemium proposuit (ei), qui invenisset novam voluptatem). Si parla in questo caso di sostituzione del dimostrativo con un pronome nullo. Molti esempi anche nei Gesta coll. Carth., tra cui I, 74.5: de cuius nomine dubitant, ipse veniat; 183.6: Respondeatur utrum praesens sit pro quo subscriptum est.

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Gesta p. 19.11-12 utique veniat (ille), de quo clamavit populus biduo post pacem: «Exaudi, deus, civem nostrum volumus»

Infine, vanno considerati a parte quei casi in cui il periodo appare così ellittico da indurre alcuni editori a proporre delle integrazioni. Un esempio è offerto da una frase con cui Vittore dichiara di essersi opposto all'elezione di Silvano: ego ipse luctatus sum episcopus (Gesta p. 15.8). A prima vista episcopus dovrebbe riferirsi al soggetto, ma, per quel che ne sappiamo, Vittore non era vescovo. Se si vuole conservare il testo tradito, bisogna immaginare una frase fortemente ellitica (ego ipse [illi] luctatus sum [cum factus esset] episcopus).137 Tuttavia, sebbene simili omissioni non siano inaccettabili sulla bocca di Vittore, questa frase giunge ai limiti dell'incomprensibilità. Si rende forse necessaria, come riconosce Edwards, l'integrazione ego ipse luctatus sum ‹ne esset› episcopus, già proposta in nota sulla Patrologia Latina.138

L'ultimo aspetto da considerare è rappresentato da quei periodi la cui scarsa regolarità sintattica può essere spiegata sulla base della loro genesi orale. Come accennavo all'inizio di questa sezione, può capitare che il parlante, nel corso dell'enunciazione, si renda conto di aver tralasciato qualche elemento importante e quindi introduca delle aggiunte (spesso in forma parentetica), trovandosi poi costretto a recuperare in qualche modo la frase avviata. Già Hofmann notava che nella lingua d'uso ciò che è determinante per il contesto o su cui si batte l'accentazione enfatica viene spesso aggiunto in qualità di epiteto o apposizione (HOFMANN 1985, pp. 269-273). La ripresa dell'enunciato interrotto non è sempre così semplice e produce talvolta una sintassi poco scorrevole o visibilmente scorretta, ma di solito ben comprensibile a livello del senso. È chiaro che i personaggi in questione, se avessero dovuto mettere per iscritto le loro dichiarazioni, le avrebbero riformulate in modo più ordinato, o se solo avessero avuto più tempo a disposizione, le avrebbero elaborate mentalmente prima di pronunciarle. Ma questo non era ammissibile, non solo perché di fronte a un giudice non ci si può permettere lunghe esitazioni, ma soprattutto perché in ogni dialogo si richiede che gli intervalli tra le battute siano abbastanza brevi perché la comunicazione non si interrompa.

Frequente è l'uso del pronome anaforico per ricollegarsi al soggetto di una frase lasciata in sospeso; spesso accade che il pronome (per esempio ipse o idem) funga soltanto da elemento anaforico e perda il suo valore proprio, mentre in altri casi il valore di identità (idem) o di opposizione (ipse) resta chiaramente percepibile. Vediamo un esempio.

Zenophilus v. c. consularis Crescentiano dixit: "Simpliciter sicut et ceteri confitere, utrum scias traditorem Silvanum." Crescentianus dixit: "Priores, qui fuerunt clerici, ipsi retulerunt singula" (Gesta p. 25.2-4)

Crescenziano inizia a rispondere ("quelli di prima" / "quelli che mi hanno preceduto"), ma subito si interrompe per aggiunge una precisazione che giudica rilevante ("erano chierici" e

137 Così HOOGTERP 1940, p. 89. 138

XLIV

dunque ben informati sulle vicende di Silvano), poi riprende il filo logico attraverso un ipsi anaforico e oppositivo ("loro dunque [e non altri] ..."). Trattandosi di un enunciato orale, è evidente che Crescenziano non può riformulare la frase, ma deve correggerla in corso di enunciazione attraverso la ripetizione, che risulterebbe effettivamente superflua e ridondante in un testo scritto (priores, qui fuerunt clerici, retulerunt singula starebbe in piedi senza problemi).139 Sempre Crescenziano, poco oltre il passo appena citato, ci mette di fronte a un caso più complesso. Riporto per comodità soltanto le battute, limitandomi a indicare tra parentesi chi sta parlando:

[Crescenziano] Plures dicebant, quod Purpurius episcopus ipse sustulerit cupas et acetum, quod ad senem nostrum Silvanum pervenisset, et filii Aelionis dicebant.

[Zenofilo] Quid audisti?

[Crescenziano] Acetum sublatum a sene Silvano et Dontio et Superio presbyteris et Luciano diacono. (Gesta p. 25.14-17)

Ciò che crea difficoltà è la subordinata con quod. A prima vista sembrerebbe una relativa riferita ad acetum ("i più dicevano che Purpurio rubò le botti e l'aceto, che poi sarebbe passato a Silvano"), nel qual caso la successiva coordinata et dicebant filii Aelionis sarebbe un'aggiunta specificativa: inizialmente Crescenziano non specifica la fonte di queste voci (plures), ma alla fine ci ripensa e aggiunge una precisazione che identifica i plures ("e lo dicevano i figli di Elio").140 Ma è stato anche ipotizzato che si tratti di una dichiarativa coordinata alla precedente con l'oggetto topicalizzato (acetum) anteposto alla congiunzione quod. Questa seconda interpretazione pone due alternative: intendere plures dicebant come unica reggente e filii Aelionis come specificazione di plures, come nell'interpretazione precedente ("i più dicevano che Purpurio rubò le botti e l'aceto dicevano che è arrivato a Silvano, e lo dicevano i figli di Elio"), oppure intendere plures dicebant come reggente di quod Purpurius sustulerit cupas e dicebant filii Aelionis come reggente di quod [acetum] ad Silvanum pervenisset ("i più dicevano che Purpurio rubò le botti, e che l'aceto sia passato a Silvano lo dicevano i figli di Elio"). Hoogterp propende per quest'ultima analisi: ci sarebbe in questo caso un et di troppo, ma un simile pleonasmo non sarebbe inaccettabile in bocca a Crescenziano.141 Si potrebbe anche pensare che la seconda proposizione introdotta da quod sia a tutti gli effetti una relativa, con la quale però Ceciliano vuole aggiungere una precisazione che aveva udito dai figli di Elio (si tratterebbe dunque di un congiuntivo obliquo). In tal caso et filii Aelionis andrebbe letto in opposizione a plures: i più dicevano che Purpurio aveva rubato le botti e l'aceto, i figli di Elio aggiungevano che l'aceto era arrivato nelle

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Potremmo anche spingerci a immaginare che la relativa sia stata introdotta dal notaio per trascrivere un periodo caratterizzato da interruzioni ed esitazioni: priores ... clerici fuerunt ... ipsi retulerunt singula ("quelli di prima ... erano dei chierici ... quelli hanno riferito le singole cose"). Si tratterebbe in questo caso di una frase parentetica, sul cui uso nella lingua colloquiale si veda HOFMANN 1985, pp. 262-268.

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Questa dev'essere l'interpretazione di Edwards (p. 168), a giudicare dalla sua traduzione ("Many said that Bishop Purpurius himself took the vats and the sour wine, which [news] had reached our reverend Silvanus, and was stated by the sons of Aelio").

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mani di Silvano (come se si dovesse leggere et hoc [scil: quod acetum ad senem nostrum Silvanum pervenisset] dicebant filii Aelionis).142 In questo caso le difficoltà sintattiche deriverebbero dall'enunciazione orale, cioè da un riorientamento del periodo nel corso dell'enunciazione; se avesse potuto raccogliere con più calma le sue idee, anche un oratore inesperto come Crescenziano avrebbe detto probabilmente: plures dicebant quod Purpurius sustulerit cupas et acetum, quod filii Aelionis dicebant ad senem nostrum Silvanum pervenisse. La conferma di questa esegesi dovrebbe venire dalla successiva domanda di Zenofilo, che, evidentemente aiutato dal contesto (magari anche dalle pause, dall'intonazione, dai gesti dell'interrogato), non avrà avuto i nostri problemi a comprendere le parole di Crescenziano. La domanda quid audisti?, che potrebbe sembrare ripetitiva, dato che Crescenziano ha appena riferito le voci che circolavano, non risulta più così superflua se si pensa che Zenofilo voglia sapere che cosa Crescenziano abbia udito dai figli di Elio in più rispetto a quanto dicevano i plures. È sull'aceto che i figli di Elio aggiungevano alle voci diffuse dei particolari interessanti: infatti, la