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de cupis fisci Le cupae fisci sono probabilmente delle botti contenenti aceto (come po

Edwards 13 Constantina C 14 lucerna et capitulata edd 17 acetabulum Baluze : acetrum Deutsch

16: unam ecclesiam 1.12-16 Secundus episcopus omnino Il soggetto anteposto rispetto alla congiunzione che introduce la subordinata temporale (cum venisset) deve intenders

17.15 de cupis fisci Le cupae fisci sono probabilmente delle botti contenenti aceto (come po

si specifica), riservate al fisco per il pagamento di un imposta sul vino che veniva riscossa dall'amministrazione provinciale. Maier pensa invece che si tratti di vino da messa e che Silvano lo abbia rubato per celebrare l'eucarestia. Nel passo successivo (p. 17.16-18) Nundinario dice che Purpurio aveva rubato le botti, mentre Silvano e altri presbiteri si erano presi l'aceto (acetum) in esse contenuto, senza però specificare con che tipo di recipiente lo avessero trasportato. Perciò alcuni editori hanno corretto acetum in acetabulum (Baluze) o acetrum (Deutsch), termini che indicano un recipiente per aceto o altri liquidi (anche se acetrum sarebbe un hapax), ma questo contrasta con la relativa quod habuerunt, che specifica che l'aceto era contenuto nelle cupae, mentre non avrebbe senso conservare un acetabolo dentro una botte. La risposta di Nundinario è un bell'esempio della brevità ellittica spesso presente nel parlato: de cupis fisci, quis illas tulit presuppone puto ex his quaerendum esse de cupis fisci, quis illas tulit. Il verbo quaero regge un complemento di argomento (de + abl.) e un'interrogativa indiretta con verbo all'indicativo, collegata al complemento precedente da un brusco asindeto. Nundinario esprime subito ciò che maggiormente gli preme, cioè l'oggetto su cui si dovranno interrogare i testimoni, per poi specificare quale domanda bisognerà rivolgere loro: in una forma più ragionata si sarebbe potuto dire [puto ex his esse quaerendum] quis cupas fisci tulerit ("chi abbia preso le botti del fisco"); Nundinario invece, alla domanda "che altro pensi si debba chiedere loro?", risponde immediatamente "le botti del vino, chi le ha prese". Qui dunque "la collocazione iniziale del concetto su cui batte l'accento" provoca "la collocazione enclitica della congiunzione nella frase subordinata" (HOFMANN 1985, p. 248).

17.17-18 In templo Sarapis ... Lucianus <diaconus>. Sarapis, -is (di solito Serapis) è

attestato anche nella forma Serapis, -idis. Dal momento che il culto di Serapide era tipico dell'Egitto tolemaico, Rives ha suggerito che a Cartagine venisse praticato originariamente da mercanti di Alessandria, responsabili dell'edificazione di un tempio la cui esistenza è

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testimoniata da iscrizioni di dedica, ma avesse poi acquisito interesse anche da parte dell'ordo locale. Cfr. RIVES 1995, pp. 64-65. Su Cirta la documentazione è però scarsa, in quanto, tra le pur numerose iscrizioni numide relative a culti egizi (Iside e Serapide) raccolte da VIDMAN 1969 (pp. 331-4), solo una viene da Cirta. Il tempio di cui qui si parla doveva essere usato come deposito; è improbabile che i vescovi vi svolgessero funzioni religiose, non perché templi pagani non potessero essere convertiti in chiese cristiane (capita anzi piuttosto frequentemente), ma perché in tal caso difficilmente sarebbe stato menzionato ancora come templum Sarapis e successivamente come fano Sarapis (pp. 21.15 e 23.15 nelle parole di Zenofilo, ma soprattutto p. 23.7 nelle parole di Casto). Quanto fanum sia marcato in senso pagano è ricavabile da Prud., Cor. mart. II, 1, dove Roma è chiamata antiqua fanorum parens. Il breve racconto di Nundinario è un esempio vivace di stile colloquiale: le proposizioni sono coordinate tra loro con un semplice et (in templo Sarapis fuerunt et tulit illas Purpurius, quando si sarebbe potuto dire Cupae, quas Purpurius tulit, in templo Sarapis fuerunt), oppure in modo asindetico (tulit illas Purpurius episcopus; acetum, quod habuerunt, tulit illum Silvanus), mentre l'unica subordinata presente (una relativa che specifica dove si trovava l'aceto) produce un pleonasmo del tutto evitabile, ma dovuto alla volontà di sembrare il più possibile precisi (acetum, quod habuerunt, tulit illum Silvanus, dove illum è il solito dimostrativo che riprende la relativa, del tutto superfluo in questo caso per la presenza dell'antecedente acetum, che costituisce per inciso un altro esempio di anteposizione dell'oggetto); il verbo tulit si accorda solo col primo dei suoi tre soggetti (tulit illum Silvanus episcopus, Dontius presbyter et Lucianus diaconus) probabilmente perché a Nundinario preme di fare il nome di Silvano, a cui vengono aggiunti solo in un secondo momento i nomi dei due complici; infine, si noti la costante omissione del soggetto laddove scontato in quanto già esplicitato nella domanda di Zenofilo ([Cupae] in templo Sarapis fuerunt ... acetum, quod [cupae] habuerunt). Questo uso di habeo per indicare il contenuto di un recipiente è confermato anche da un passo successivo (p. 23.11): optulit, domine, saccellum, et quid habuerit, nescio). Per l'integrazione diaconus si veda la nota seguente. 19.1 [Diaconus]

Saturninus. Saturnino è qui indicato come diaconus, quando lui stesso si era definito fossor.

Si pone dunque un'alternativa: o si espunge diaconus, oppure si deve pensare che diaconus sia la funzione religiosa di Saturnino, fossor la sua professione civile. In quest'ultimo caso l'ipotesi di Maier, secondo cui i fossores sarebbero simili ai nostri sagrestani e non dei semplici scavatori o becchini, verrebbe a cadere (si veda supra, comm. ad p. 3.18, p. 56). Personalmente propendo per la prima spiegazione: è infatti possibile che il copista abbia erroneamente inserito davanti a Saturnino quello che doveva comparire due righi sopra

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accanto a Lucianus. Nundinario infatti aveva dichiarato che a rubare l'aceto erano stati Silvanus episcopus, Dontius presbyter et Lucianus, senza specificare però la funzione di quest'ultimo: si può quindi proporre una trasposizione, espungendo diaconus da questo rigo e integrandolo due righi sopra. Saturnino si sente chiamato in causa e s'inserisce nel dialogo tra Zenofilo e Nundinario prima ancora di essere interpellato: come testimone, si mostra dunque molto più espansivo di Vittore grammatico e decisamente più incline a collaborare. 19.1.

Dicebant maiores ... sublatae sunt. Si noti ancora il costrutto dico quia + ind. (dicebant quia

sublatae sunt); il soggetto grammaticale sottinteso e in accordo con sublatae sarà ancora cupae, ma è chiaro che s'intendono sia le cupae sia l'acetum (come dimostra la successiva risposta di Saturnino: a Purpurio episcopo et acetum a Silvano ...). Non mi è chiaro chi siano questi maiores citati da Saturnino come se fossero delle autorità: se fossero davvero degli antenati (come generalmente si traduce), non si vede perché Saturnino debba citare il loro parere su un fatto recente, a cui poteva aver assistito lui stesso. Sebbene non si possa datare esattamente questo furto, bisogna però rilevare che Silvano e Purpurio vengono definiti episcopi e questo dettaglio farebbe pensare a un evento successivo all'elezione di Silvano.