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La problematica del sacrificio umano nel mondo fenicio e punico. Fonti di conoscenza e stato degli studi.

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INDICE

INTRODUZIONE………...3

CAPITOLO I 1.1 Le teorie sacrificali e il sacrificio umano...5

1.2 Il sacrificio umano e il tofet………...8

1.3 La storia degli studi………14

1.4 L’epigrafia delle stele……….17

1.5 L’arte e l’iconografia delle stele………...20

1.6 Le urne………23

1.7 La Bibbia………25

1.8 Conclusioni preliminari………..27

CAPITOLO II 2.1 La tragedia: Euripide………..………30

2.2 Il Minos dello pseudo-Platone………...35

2.3 Il frammento di Clitarco………...37

2.4 L’abolizione del sacrificio di bambini secondo Teofrasto………...39

2.5 Le notizie di Ennio e Varrone………....40

2.6 Cicerone nel ‘De Re Publica’………...41

2.7 Diodoro Siculo: la scelta di Annibale e l’attacco di Agatocle………....43

2.8 Il culto italico di Kronos in Dionigi di Alicarnasso………47

2.9 Le informazioni sulla Sardegna di Filosseno……….48

2.10 Filone e la Bibbia……….49

2.11 I riti punici secondo Silio Italico………..50

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2.13 La tradizione su Filone di Biblo………...56

2.14 La condanna di Giustino Martire………..58

2.15 L’infanticidio in Luciano………..60

2.16 Curzio Rufo e il rituale dimenticato……….60

2.17 Giustino e l’epitome di Pompeo Trogo………62

2.18 Il sacrificio e la sua abolizione in Tertulliano………..64

2.19 L’apologia di Minucio Felice………...67

2.20 Origene e la confutazione di Celso………...69

2.21 Porfirio: un pagano contro i sacrifici………70

2.22 Lattanzio e la falsa religione……….73

2.23 Eusebio, fra mito e storia………..75

2.24 L’attacco ai pagani di Atanasio………79

2.25 L’eco dei sacrifici di bambini nella poesia di Prudenzio………..80

2.26 Girolamo e il culto di Bel………...81

2.27 Il sacrificio nell’interpretazione agostiniana di Varrone………..82

2.28 ‘Le Storie contro i Pagani’ di Orosio………83

2.29 Un’altra menzione del sacrificio fenicio in Cirillo………...85

2.30 L’elenco dei sacrifici in Teodoreto………...85

2.31 I sacrifici cruenti negli scritti di Draconzio………..87

2.32 Il canto di usignolo di Libia………..89

2.33 L’etimologia del nome di Saturno………89

2.34 Fozio e il ritorno a Clitarco………...91

2.35 Il riso sardonico………92

CONCLUSIONI………...95

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INTRODUZIONE

Il tema che in questo lavoro di tesi ci accingiamo ad affrontare è quello della “multiforme realtà culturale fenicia”1 del tofet, termine convenzionale ripreso dalla Bibbia ebraica e utilizzato per indicare i santuari a incinerazione presenti nelle colonie fenicie del Mediterraneo centro-occidentale. La questione ‘tofet’ si contraddistingue per l’abbondanza di fonti, dirette e indirette, a nostra disposizione, le quali rappresentano una fondamentale ricchezza per quanti si approcciano al suo studio alla ricerca di un’interpretazione il più possibile vicina a quanto in questi luoghi doveva accadere e all’ideologia ad essi sottesa. Per una comprensione il più possibile completa del fenomeno ‘tofet’ in tutte le sue sfaccettature, è necessario fare una prima valutazione singola di ogni gruppo di dati a nostra disposizione. In seguito, unire tutte le informazioni così ottenute dandone una valutazione comparativa al fine di creare un vero e proprio modello interpretativo il più possibile esaustivo. Questo è lo scopo che ci siamo proposti fin da principio. Molti studiosi nel corso degli anni si sono cimentati nell’analisi dei siti e dei riti che vi si mettevano in pratica partendo dalle informazioni più affini alle proprie personali conoscenze e ambiti di ricerca per poi, spesso, cercare di dare un’interpretazione complessiva del fenomeno stesso. Questo ha creato un lungo e diversificato dibattito, alle volte macchiato da pregiudizi di fondo ma pur sempre utile al fine di comprendere il significato dei dati da noi conosciuti. Come si vedrà, lo scontro si è concentrato fra quanti ritengono che il tofet sia nient’altro che una necropoli infantile, eliminando del tutto o in parte la sua valenza di santuario, e quanti ritengono si tratti di un luogo sacro nel quale si svolgevano riti sacrificali legati

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all’infanzia. In questo elaborato si è cercato di mettere in luce tutti gli aspetti che possono essere ricondotti al tofet stesso, in particolare soffermandosi sulle fonti indirette, dando la parola ai tanti che al loro studio si sono appassionati e tentando di darne un’interpretazione definitiva. Così, si è proceduto, nel primo capitolo, ad una sintesi delle teorie relative al sacrificio, uno dei rituali che dovevano svolgersi in questo complesso santuario, seguito da un’analisi dei siti archeologicamente interessati e da una breve storia degli studi relativi alla questione generale ‘tofet’. Successivamente, si è realizzata una panoramica sulle informazioni relative all’archeologia, all’epigrafia, all’iconografia, circa il mondo fenicio occidentale, e sul contenuto del testo biblico, che ci rimanda più specificatamente al mondo fenicio orientale per il quale non abbiamo fonti di altro genere. Il secondo capitolo si è, invece, concentrato sull’analisi dei testi in lingua greca e latina che ci hanno lasciato un qualche riferimento, più o meno esplicito, circa i sacrifici umani, in particolare di bambini, in ambito fenicio-punico, sempre inseriti nel culto del destinatario divino. Di questi si è voluto sottolinearne la pertinenza e, con la loro singola decodifica, la concordanza con gli altri dati in nostro possesso. Vedremo infatti, anche se non siamo in grado di decifrare in maniera assolutamente univoca tutti i momenti del rituale, che le varie fonti concordano nel ritenere che esso venisse realizzato nel momento in cui si cercava la protezione e il favore divino per la salvaguardia, quotidiana o in uno specifico momento di crisi, della comunità o della propria famiglia.

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CAPITOLO I

1.1 Le teorie sacrificali e il sacrificio umano.

La questione principale dalla quale partire è il sacrificio e su di esso è il caso di fare una breve, ma il più esauriente possibile, panoramica. Le teorie sul sacrificio sono molteplici, in parte contrastanti fra loro ma tutte dipendenti dalle definizioni preliminari che si danno di questo concetto che, nel corso del tempo, è andato a coprire realtà eterogenee, dalle offerte primiziali ai sacrifici-doni, alla comunione2. Uno dei primi importanti passi compiuti per l’elaborazione di una teoria sul sacrificio fu portato avanti da W. Robertson Smith3 alla fine dell’800, pensiero sviluppato in seguito da svariati autori fino agli inizi del ‘900, uno per tutti E. Durkheim4. Questa teoria si basa sostanzialmente sul concetto di ‘comunità’, comunità che si unisce nella realizzazione del sacrificio. Nonostante vengano utilizzate una serie di argomentazioni oramai superate, quello di Robertson Smith rimane un passaggio fondamentale nella storia degli studi in quanto mette in luce il basilare rapporto che intercorre fra uomo e divinità e fra gli stessi partecipanti nel momento della celebrazione del rito: il dio viene inserito nella comunità umana e la comunità umana, insieme con la divinità, testimonia, nel rito, i forti legami dai quali non può svincolarsi. Ancora a fine ‘800, la cosiddetta ‘Scuola Sociologica Francese’, nelle persone di H. Hubert e M. Mauss5, elabora una teoria del sacrificio che si focalizza sui sacrificatori. Questi si identificano con la vittima stessa che viene distrutta in quanto mezzo di connessione con la sfera del sacro, in quanto

2 BRELICH A., 1965.

3 ROBERTSON SMITH W., 1889. 4 DURKHEIM E., 1912.

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dono che permette a chi compie il rituale di entrare in contatto con il soprannaturale. Agli inizi del ‘900 vediamo, invece, svilupparsi una teoria del sacrificio come ‘dono dovuto’ da parte di W. Wundt6 e di Padre W. Schmidt7: il primo vede il sacrificio come espiazione, liberazione dalle colpe e dal male, il secondo vede il sacrificio come atto, appunto, dovuto all’essere sovrumano in cambio della sua benevolenza. Ancora a metà del ‘900, A.E. Jensen8 si occupa del perché, per ottenere il favore soprannaturale per la comunità, si ricorresse ad un’uccisione codificata in un rito specifico. L’etnologo vede in questo gesto la riattualizzazione di un mito ancestrale quello della morte del ‘dema’: dopo essere stato ucciso e smembrato, dal suo corpo sarebbero nate tutte le cose necessarie alla sussistenza degli uomini. È quindi di vitale importanza ripetere l’azione mitica per perpetuare la quotidianità e le caratteristiche fondanti della comunità. In questo stesso periodo si sviluppa una teoria che vede nel sacrificio, e specificatamente nell’atto cruento dell’uccisione, un caposaldo dell’esistenza umana che fonda e rinsalda l’ordine costituito. Ricordiamo qui due studiosi, in particolare, che hanno preso parte al dibattito in questo senso: W. Burkert9 e R. Girard10. Per Burkert è il senso di ‘colpa’ della comunità, che deve uccidere per nutrirsi, a far scatenare l’aggressività in essa insita attraverso l’uccisione di una vittima mediante l’atto sacrificale; per Girard il centro della questione sta nel ‘capro espiatorio’, inteso come vittima casuale scelta per far sfogare la violenza del gruppo, sempre codificata nell’atto sacrificale in quanto, altrimenti, si sarebbe rischiata la distruzione del gruppo stesso. Il sacrificio come gesto salvifico viene analizzato

6 WUNDT W., 1900 bis 1920. 7 SCHMIDT W., 1922. 8 JENSEN A.E., 1952; JENSEN A.E., 1954. 9 BURKERT W., 1981. 10 GIRARD R., 1980.

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anche da M. Eliade11, negli anni ’30 del ‘900. Influenzato dal pensiero di R. Otto12, che sosteneva il valore ontologico del ‘sacro’, Eliade vede nel sacrificio, quale manifestazione del sacro, un atto in grado di produrre effetti reali e positivi per l’uomo. Anche presso il Collegio di Sociologia francese, in particolare nelle figure di G. Bataille13 e di R. Caillois14, ci si rifece a quest’ultima teoria, ritenendo che il sacrificio fosse il solo modo per sfuggire alla realtà del mondo moderno e poter ritornare ad un più naturale mondo del ‘sacro’: si esalta, così, la morte sacrificale quale unico mezzo che può rendere l’uomo tale. Questa concezione fu ben presto rifiutata dalla Scuola Storico-Religiosa Romana che basò l’analisi del fenomeno religioso sul metodo storico-comparativo. Fu proprio uno dei suoi esponenti principali, A. Brelich, a distinguere i tre tipi di sacrificio elencati all’inizio di questa trattazione (offerta primiziale, sacrificio-dono, sacrificio di comunione) e, all’interno delle uccisioni di uomini, a separare le uccisioni rituali dai sacrifici umani. In questo modo, Brelich sostiene che la questione del sacrificio sia un vero e proprio problema storico e che in questo senso vada analizzato. Anche E. De Martino15 parte da questi stessi presupposti: l’alterità che lui riconosce nel sacro, dal momento in cui viene codificata, risulta essere terapeutica per l’uomo, consentendogli di agire nel mondo in quanto le sue criticità vengono riportate al contesto rassicurante del mito, perpetuato nella ripetizione del gesto rituale. Oggi, in un momento in cui il sacrificio inserito in un rituale specifico non esiste più, la violenza sembra poter esplodere in maniera incontrollata rischiando di portare la comunità nel caos: questo, secondo De Martino, è il dramma della società occidentale moderna. 11 ELIADE M., 1975. 12 OTTO R., 2010. 13 HOLLIER D., 1991. 14 CAILLOIS R., 2001. 15 DE MARTINO E., 1953-1954; DE MARTINO E., 1962.

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In maniera generale, e senza la pretesa di essere del tutto esaustivi sull’argomento, potremmo, allora, dire che si ha un rito di sacrificio quando si dedica un qualcosa (essere inanimato, animale, essere umano) alla divinità affinché si possa ottenere la sua protezione, benedizione, un qualche beneficio. Quello che particolarmente ci interessa in questo contesto è il sacrificio umano e, in particolare, il suo legame con l’area rituale del tofet fenicio-punico, questione, ancora oggi, oggetto di discussione. È necessario specificare, ricordando che non sempre questa separazione risulta essere così netta, che il sacrificio umano, così come ci spiega A. Brelich, si distingue dall’uccisione rituale in quanto quest’ultimo è un rito autonomo, che manca di un destinatario sovrumano, e si distingue dagli altri sacrifici per il tipo di vittima utilizzata. Dovremmo, allora, definire ‘sacrificio umano’ quei riti cultuali rivolti, quindi, ad un destinatario sovrumano e inseriti in un culto stabile, che prevedono l’uccisione di essere umani a scopo sacrificale16.

1.2 Il sacrificio umano e il tofet.

I sacrifici umani erano quelli che venivano compiuti nel mondo fenicio-punico all’interno dei tofet, santuari a incinerazione a cielo aperto, attestati nelle colonie occidentali, precisamente quelle del Mediterraneo centrale. I siti erano collocati in una zona periferica rispetto ai centri abitati, passibili di ampliamenti ma mai eliminati o spostati dal luogo di costruzione originario e caratterizzati dalla presenza di altari, sacelli, aree di arsione, strutture di servizio/transito e, in particolare, dalla deposizione di urne contenenti resti bruciati di bambini (uno o più) e/o animali, a volte in qualità di sostituti, e di stele ex-voto, recanti un repertorio di forme e immagini e, in misura minore, iscrizioni di tipo votivo17. Ogni tofet presenta una sua propria storia che, per questo, deve essere interpretata

16 BRELICH A., 2006. 17 XELLA P., 2010.

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singolarmente e contestualizzata per poterne capire le peculiarità che si innestano sui suddetti e immancabili tratti in comune che, nel corso del capitolo, andremo ad analizzare volta per volta.

Il tofet di Cartagine iniziò ad essere scavato nel 1922 ad opera di F. Icard e P. Gielly ma già nell’800 molte stele da qui provenienti erano state vendute a privati o ad istituzioni varie, attirando l’attenzione di studiosi e non solo. Poco dopo il sito vide le campagne di scavo del 1924-1925 portate avanti da B. Khun de Prorok e J.B. Chabot e, sempre nel 1925, si colloca lo scavo di F.W. Kelsey; fra il 1934 e il 1936, degli scavi sono stati eseguiti da G.G. Lapeyre e, ancora, nel 1944-1947, da P. Cintas. Infine, fra il 1975 e il 1979 un’importante campagna di scavo fu diretta da L.E. Stager. Il sito si trova nella parte sud del centro abitato in una zona periferica, da esso separato. Si suddivide in quattro livelli sovrapposti e successivi che hanno dato alla luce i segni caratteristici del santuario in questione, quindi urne, cippi e stele, a volte con iscrizioni, che occupano la maggior parte dell’area, piccoli monumenti e aree di passaggio. Il santuario entrò in funzione probabilmente nell’VIII secolo a.C., fu massimamente utilizzato nel V secolo a.C. ed è forse sopravvissuto qualche decennio dopo la distruzione di Cartagine da parte romana (146 a.C.) ma fu sostanzialmente in questo periodo che si concluse la sua attività18.

Il tofet di Sousse, l’antica Hadrumète, fu scavato sistematicamente da P. Cintas nella metà degli anni ’4019 e solo parzialmente dato che è possibile che si estenda sotto la corte della Grande Moschea20. Di questo santuario, di cui si distinguono sei livelli successivi, furono studiate dal Dr. J. Richard 138 urne (insieme ad altre 42

18 BÉNICHOU-SAFAR H., 2004. 19 FANTAR M.H., 1971. 20 FOUCHER L., 1964.

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urne provenienti da Cartagine)21. Il sito è situato nella zona Nord-Ovest e fu attivo fra il VII-VI secolo a.C. e il I secolo a.C.

Il tofet di Mozia, città situata sull’isola di San Pantaleo, fu scavato in prima battuta da Joseph Whitaker, fra il 1906 e il 1929, il quale comprò l’isola, pubblicò i risultati degli scavi e creò un museo. In seguito, il sito fu scavato da una missione archeologica dell’Università di Leeds diretta da B.S.J. Isserlin e, dal 1964, si iniziò a scavare con la collaborazione dell’Istituto di Studi del Vicino Oriente dell’Università di Roma, diretto da S. Moscati, e della Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Occidentale, diretta da V. Tusa; a partire dal 1974, inizia la collaborazione con il Centro di Studi per la Civiltà Fenicia e Punica, diretto da A. Ciasca, e nel 1985 iniziò una campagna di scavo dell’Istituto per la Civiltà Fenicia e Punica del CNR diretta da E. Acquaro. Nel frattempo, a partire dal 1977, sono state portate avanti varie campagne di scavo volute dall’Università di Palermo in collaborazione con la Soprintendenza. Nuove campagne di scavo furono portate avanti dall’Università di Roma sotto la direzione di L. Nigro, fra il 2002 e il 2012. Il sito è situato nella periferia Nord del centro abitato, circondato da fortificazioni, e fu attivo probabilmente fra la fine dell’VIII secolo a.C. e l’inizio del III secolo a.C.. Gli scavi hanno portato alla luce sette strati dai quali sono emersi tutti gli emblemi caratteristici del santuario quali urne, stele (iscritte e non), cippi e, in un’area più ristretta, resti di edifici di servizio. L’intera area fu ampliata nella seconda metà del VI secolo a.C., raddoppiando la sua estensione, la qual cosa permise anche la costruzione di un piccolo tempio a pianta rettangolare. Il santuario fu probabilmente

21 RICHARD J., 1961.

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distrutto in seguito alla conquista siracusana dell’isola ma venne poi risistemato e ancora utilizzato per qualche tempo, fino al progressivo abbandono22.

Il tofet di Sulci viene scavato metodicamente dagli anni ’60 ed è situato su di una piccola isola in una località denominata “Sa Guardia de is Pingiadas”, un’altura di roccia trachitica frastagliata nei cui crepacci venivano deposte le urne. Il sito, protetto da recinti, fu attivo dalla metà dell’VIII secolo a.C. fino al II-I secolo a.C. e sembra essere stato il primo ad essere stato fondato in Sardegna.

Il tofet di Tharros fu scavato sistematicamente a partire dal 1956, inizialmente in maniera confusionaria. Questo scavo seguì i primi lavori portati avanti per un ventennio (1855-1876) dal Canonico G. Spano, opera preceduta e seguita da una grave attività di saccheggio dei tesori qui presenti. Fra il 1973 e il 1993 furono intraprese una serie di campagne di scavo, dirette prima da A. Ciasca poi da E. Acquaro, che rappresentarono il punto di partenza per una più chiara conoscenza del sito, ancora non del tutto riportato alla luce del sole nonostante la ripresa dei lavori nel 2001 (fino al 2004) ad opera dell’Università di Bologna insieme con l’Università di Cagliari23. Il sito è situato su di un promontorio presso la penisola del Sinis e fu costruito sfruttando i resti di un più antico villaggio nuragico abbandonato. Il santuario, protetto da recinti, fu attivo fra la fine dell’VIII secolo a.C. e il III-II secolo a.C..

Il tofet di Bitia fu scavato inizialmente dal Soprintendente A. Taramelli nel 1933 e, nel 1953-1954-1955, da G. Pesce e Kunwald (la cui documentazione non fu acquisita), per poi proseguire negli anni ’60 grazie al lavoro di F. Barreca; le ultime attività di scavo iniziarono nel 201124. Il sito si trova sull’isolotto di Su Cardulinu,

22 CIASCA A. – CUTRONI TUSA A. – FAMÀ M.L. – SPANÒ GIAMMELLARO A. – TUSA V., 1989. 23 FARISELLI A.C., 2014.

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legato alla terraferma da un istmo sabbioso, e fu attivo fra l’inizio del VII secolo a.C. e il III-II secolo a.C..

Il tofet di Nora fu scoperto, primo del suo genere, nel 1889 ad opera degli scavi consecutivi di F. Vivanet, di F. Nissardi (1891-1892) e di G. Patroni. I lavori ben presto s’interruppero, dando la possibilità a scavatori illegali di recuperare una gran quantità di oggetti preziosi. Fu grazie all’intervento di G. Pesce, Soprintendente alle Antichità della Sardegna, che gli scavi ricominciarono sistematicamente a partire dal 1952. Il santuario è situato sul promontorio di Capo di Pula e fu attivo fra il VI secolo a.C. e l’età ellenistica25.

Il tofet di Cagliari era situato all’interno di una laguna, fra il colle di Tuvixeddu e lo stagno occidentale alla città, e fu attivo a partire dal V-IV secolo a.C. ma non si ha una data certa per quel che riguarda il suo abbandono data la difficoltà dei lavori di scavo in quest’area.

Il tofet di Monte Sirai fu scavato già dalla metà degli anni ‘60 sotto la guida di F. Barreca, scavo seguito in particolare da quelli condotti negli anni ’80 da S.F. Bondì. Il sito, recintato, fu attivo fra il IV secolo a.C. e il II secolo a.C., nel momento in cui il centro diventa borgo fortificato in seguito all’arrivo dei Cartaginesi in Sardegna26

e presenta una gradinata che porta ad un tempio dove sono state trovate tracce di ossa in una fornace27.

In Nord Africa sorsero, su influsso cartaginese, a partire dal IV-III secolo a.C. una serie di santuari, identificati e definiti come tofet (quali Thugga, Henchir el-Hami, Makthar, Henchir Médeina, Henchir Ghayadha, Henchir Mede, Sabratha, per menzionare quelli che presentano le testimonianze archeologiche più chiare), che

25 CHIERA G., 1978.

26 BONDÌ S.F., 1979; AMADASI GUZZO M.G., 2006. 27 MOSCATI S., 1966.

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sopravvissero alla distruzione della città punica, restando attivi fino al II-III secolo d.C. per poi diventare, in genere, luoghi di culto dedicati a Saturno, corrispettivo di Baal Hammon nel mondo latino, come si vedrà più avanti. Questi risultano, almeno in parte, essere legati ad una nuova temperie culturale che portò inevitabilmente anche a delle modificazioni nei rituali praticati28. Discussa è invece la presenza di tofet a Rabat, sull’isola di Malta, e ad Amatunte, sulla costa meridionale di Cipro.

Dal momento che troviamo questi santuari solo in determinati centri indipendenti e non in tutte le colonie occidentali, possiamo supporre che il tofet dovesse rappresentare una differenziazione culturale anche all’interno delle stesse colonie mediterranee29. Il fatto che il tofet venisse installato contemporaneamente o poco dopo il centro cittadino, diventando un santuario importante anche per altri centri del territorio, di secondaria importanza, e ricoprendo, quindi, una funzione sovracittadina, ci porta a ritenere che dovesse essere legato ad un’ideologia risalente al mondo fenicio orientale, ideologia probabilmente in quelle zone non più esplicitata attraverso un rito cruento specifico, almeno per quel che siamo in grado di dire oggi dato che a gran parte dei siti antichi sono stati sovrapposti siti successivi che ci impediscono di indagare più a fondo sia a livello di abitati che a livello di necropoli, quest’ultime comunque meglio conosciute30. Più in generale ci sembra di dover risalire all’ambito culturale del Vicino Oriente, dove il sacrificio di bambini è attestato, fra gli altri, presso Cananei e Israeliti (Età del Ferro)31 e come ci fa intuire anche la lettura della Bibbia ebraica e dei suoi numerosi esempi di condanna del fenomeno32. Se prendiamo l’esempio di Cartagine33, vediamo bene 28 XELLA P., 2012. 29 QUINN J.C., 2013. 30 CIASCA A., 1988. 31 QUINN J.C., 2013. 32 Vedi Lev. 18:21, 20:1-5; Dt. 12:29-32, 18:9-12; 2Re 16:1-4, 17:16-17 e 29-33, 21:3-6, 23:10; 2Cron. 28:1-4 e 33:2-6; Salmi 106:34-39; Isaia 30:31-33 e 57:5-7; Ger. 2:22-23, 3:24, 7:30-32, 19:3-6 e 11-14, 32:35; Ez. 16:20-21 e 36, 20:25-32, 23:36-39.

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come essa sorga in qualità di seconda, nuova Tiro e, per questo, doveva essere necessario mantenere una certa continuità con le tradizioni della madrepatria: se l’interazione, economica e sociale, con le popolazioni del Mediterraneo occidentale creano una comunità mista, eterogenea e fluida, il modo per mantenere un legame col passato e con la terra d’origine è la religione che, infatti, tende a riprendere culti già conosciuti con la funzione di mantenere l’unità e l’identità del nuovo centro coloniale. Ciò non significa che non ci fossero delle modificazioni anche in quest’ambito e lo si vede abbastanza chiaramente se osserviamo il tofet, i suoi rituali e le divinità in esso venerate. Il fatto, poi, che non siano state trovate tracce di tofet in Oriente non aiuta la nostra causa dato che, come già detto in precedenza, possiamo immaginare un’origine non occidentale del santuario in questione ma ci mancano riscontri archeologici in merito e/o testi fenici che ce ne parlino.

1.3 La storia degli studi.

Il dibattito sul tofet34 è stato, ed è ancora, molto interessante e ha visto l’avvicendarsi di più opinioni e prese di posizione fin dall’analisi dei primi ritrovamenti. Il primo tofet, inizialmente interpretato come una necropoli ad incinerazione, fu scoperto, come già detto, a Nora nel 1889 ma il primo a legare le scoperte dei propri scavi ai sacrifici di bambini, così come erano testimoniati dagli autori classici, fu J. Whitaker35 che lavorò a Mozia nel 1919, seguito, poco dopo (1922), dagli scavatori di Cartagine, F. Icard e P. Gielly. Il confronto con i passi biblici portò alla scelta di etichettare questi luoghi col nome di ‘tofet’ e gli studi proseguirono attraverso l’analisi dei contenuti delle urne: il primo studio di questo tipo fu condotto dal Dr. P. Pallary36 nel 1922, seguito, in particolare, dal lavoro del

33 BONNET C., 2011.

34 AMADASI GUZZO M.G., 2006; XELLA P., 2010. 35 WHITAKER J., 1921.

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Dr. J. Richard37 nel 1961. Entrambi spiegarono che all’interno delle urne si trovavano resti di neonati e/o di piccoli animali, cosa che contribuì a portare avanti la tesi relativa ai sacrifici umani che dovevano essere compiuti in nome delle divinità nominate nelle iscrizioni, le quali furono subito inserite nel ‘Corpus Inscriptionum Semiticarum’. Nel 1935, fondamentali risultarono gli studi di Otto Eissfeldt38: lo studioso sostenne che il termine mlk (vocalizzato molk sulla base delle trascrizioni latine) ritrovato sulle iscrizioni, indicasse il tipo di offerta presentata nel tofet, che poteva essere un essere umano (b‘l o ’dm) o un agnello (’mr); nella Bibbia questo stesso termine sarebbe stato, di conseguenza, mal interpretato dato che qui indica una divinità specifica per la quale si metteva in pratica questo rituale. Ovviamente, questa tesi non è stata approvata in maniera unanime ma comunque la si è ritenuta pressoché valida fino agli anni ’80 del ‘900. Infatti è nel 1982, anno in cui pubblica il suo lavoro sulle tombe puniche di Cartagine, che l’archeologa Hélène Bénichou-Safar39 espone la sua interpretazione del tofet come necropoli infantile, ipotesi supportata, per quel che riguarda le fonti letterarie, da un articolo di Adele Simonetti40. Questa teoria è stata ripresa, in particolare, da una figura autorevole come è quella di Sabatino Moscati41 che, nel

1987, presso l’Accademia dei Licei, confuta Eissfeldt e sostiene la Bénichou-Safar, specificando che il tofet era nient’altro che una necropoli per bambini nati prematuri, nati morti o morti piccolissimi e per questo seppelliti separatamente e diversamente dagli adulti in un luogo esclusivo. Visto che non tutti i dati riuscivano bene a calzare in quest’ipotesi, come vari studiosi fecero notare, questa netta posizione è stata rivista in parte dallo stesso Moscati ma fu proprio la

Bénichou- 37 RICHARD J., 1961. 38 EISSFELDT O., 1935. 39 BÉNICHOU-SAFAR H., 1982. 40 SIMONETTI A., 1983. 41 MOSCATI S., 1987.

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Safar42 ad aver rimesso insieme i pezzi spiegando, con un articolo del 2004, che il tofet doveva essere un luogo sacro nel quale si realizzavano riti legati all’infanzia che prevedevano l’offerta di piccoli animali e dove i bambini, già morti, erano seppelliti e ricevevano un culto, ma senza escludere del tutto la possibilità che qualche vero e proprio sacrificio venisse compiuto: insomma, una via di mezzo fra necropoli e santuario, ipotesi che fu sostenuta anche da Sergio Ribichini43. Questa versione dei fatti rimase, e ancora rimane, in piedi ma, negli ultimi anni, la situazione è cambiata. Infatti numerosi specialisti hanno portato avanti i loro studi in questo settore riuscendo a dare spiegazioni ai vari quesiti che mancavano ancora di risposte o che non avevano ricevuto risposte esaustive. Tutto ciò è stato possibile grazie all’analisi di tutte le fonti a nostra disposizioni che, una volta chiarite singolarmente, hanno potuto interagire fra loro e giungere ad una conclusione che appare oggi piuttosto chiara: il tofet è un vero e proprio santuario in cui si praticavano veri e propri sacrifici. Abbiamo detto che questa tematica relativa al Mediterraneo antico ha permesso il confronto di numerosi studiosi e, soprattutto, delle più diverse discipline, dall’etnologia alla storia delle religioni, dall’osteologia all’iconologia proprio perché abbondanti risultano essere le fonti relative a questi siti. Per questo il prossimo passo sarà analizzare, per quanto ci è possibile, nello specifico ognuna di queste risorse: si tratta di fonti epigrafiche, iconografiche, archeologiche, riferimenti, come detto sopra, all’interno della Bibbia ebraica (testo masoretico e commentari rabbinici) e scritti di autori greci e latini, che saranno l’oggetto specifico del secondo capitolo di questa tesi.

42 BÉNICHOU-SAFAR H., 2004. 43 RIBICHINI S., 2000.

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1.4 L’epigrafia delle stele.

Le stele dovevano rappresentare l’unico segnacolo della deposizione dell’urna e potevano essere decorate con elementi aniconici o figurati e/o essere iscritte44. Le stele iscritte ci rimandano chiaramente ad un contesto votivo45: commemorano

qualcosa, presumibilmente l’urna, che è stato “dato” (ytn), “posto” (šm), “fatto” (p‘l), “dedicato” (ndr), “sacrificato” (zbḥ) in onore di Baal Hammon e/o Tinnit (presente dal V secolo a.C. circa), “volto” (pn) del dio; le iscrizioni più antiche (VII secolo a.C.) contengono il termine mlk unito a ’mr (agnello) o a b‘l (signore, cittadino) e, in seguito (dal III-II secolo a.C.), a ’dm (individuo, uomo), un equivalente di quest’ultimo; successivamente (dal VI secolo a.C.) si può trovare il termine mlkt, probabilmente un femminile col medesimo significato, mentre mlk inizia ad essere usato più raramente, spesso sostituito da mtnt (dono); troviamo anche un’espressione più specifica che indica l’offerta, ossia ’zrm, il cui significato è incerto ma che potrebbe indicare un essere umano “prematuro”, in senso ampio, quindi di giovane età, non ancora pienamente inserito nella società46, maschio (’š) o femmina che fosse (’št); ciò che viene offerto diviene spesso un ndr (voto) che qualcuno ha votato (’š ndr). I dedicatari appaiono essere rappresentanti di tutte le classi sociali, dai sufeti agli artigiani, dai sacerdoti agli stranieri, comprese donne (a Cartagine), coppie di dedicatari e, anche se di rado, qualcuno compiva un’offerta per conto di terzi: questi ringraziano la divinità per averli ascoltati/benedetti oppure, più raramente, chiedono di essere ascoltati/benedetti; in alcuni casi ricorrono maledizioni nei confronti di chi avesse osato violare il monumento. Mancano riferimenti al clero, che possiamo supporre avesse il compito di mettere in pratica il rituale, o a chi si occupava della gestione dell’area sacra, forse la stessa comunità

44 BONDÌ S.F., 2004.

45 AMADASI GUZZO M.G., 2006; AMADASI GUZZO M.G. - ZAMORA LÓPEZ J.Á., 2013. 46 XELLA P., 2013.

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cittadina47. Mai troviamo menzionati i bambini o la loro sorte dopo la morte, come fossero dei veri e propri oggetti da dedicare, e quindi affidare, al dio/agli dèi, cosa possibile in quanto, data l’età, ancora fuori del contesto sociale48. Sempre, però, siamo rimandati ad un clima festoso, ad un evento gioioso, reso tale dalla divinità che ha ascoltato il suo devoto, ha accolto la sua offerta e gli ha reso una benedizione, un beneficio in seguito ad una grave situazione, ormai passata, conclusa49.

La questione relativa al significato del termine mlk è stata molto dibattuta. Inizialmente lo si riteneva indicante il nome o l’epiteto del dio destinatario del sacrificio, ma questa ipotesi è da scartare dato che le stele nominano specificatamente Baal Hammon e/o Tinnit quali dedicatari: mlk venne confuso col nome divino Mlk che deriva, però, dalla radice mlk (regnare). Si deve, perciò, cercare altrove. L’interpretazione maggiormente plausibile è che si tratti di un participio al causativo con prefisso -m da ylk o hlk (andare) col significato di ‘offrire in sacrificio’, diventato sostantivo specifico delle offerte compiute nel tofet col significato di ‘offerta sacrificale’ che, infatti, non si ritrova in altri tipi di santuari ma solo qui50; l’oggetto del sacrificio mlk, ciò che viene offerto, sono ’mr (agnello), b‘l (signore, cittadino) o ’dm (individuo, uomo).

Per quel che riguarda le divinità a cui il sacrificio è indirizzato abbiamo detto trattarsi di Baal Hammon e Tinnit51: il primo è sicuramente uno degli dèi più conosciuti del pantheon fenicio che si fa simbolo del tofet; la seconda è meno conosciuta, confinata soprattutto nell’area di Sidone52, ma che acquista centralità nelle celebrazioni di questo santuario a partire dal V secolo a.C.. Baal Hammon non 47 BONDÌ S.F., 1979. 48 BONNET C., 2011. 49 XELLA P., 2013. 50 AMADASI GUZZO M.G. - ZAMORA LÓPEZ J.Á., 2013. 51 GARBATI G., 2013; XELLA P., 2007. 52 QUINN J.C., 2011.

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era legato, come invece altre divinità, ad una singola, specifica città ma doveva rappresentare e proteggere la famiglia. In questo senso, Baal Hammon si adattò molto bene ad essere inserito in Occidente in questo particolare contesto col compito di proteggere e mantenere la stabilità del gruppo sociale, del nuovo gruppo sociale che lì si era installato. Scrittori greci e latini lo identificano con Kronos e Saturno, il ché ci rimanda ad una figura divina ancestrale, legata alla creazione del mondo, più vicina al dio El che al dio poliade Baal: sembra essere proprio il dio che ricorda e mantiene viva la memoria delle origini delle colonie. Egli viene sempre collegato al rito cruento del sacrificio umano praticato, nella visione classica, più che altro dai Cartaginesi. Tinnit acquisisce un ruolo primario, come già detto, solo in un secondo momento della storia fenicio-punica e solo in Occidente, dato che il suo passato orientale, per quanto esistente, non sembra esser stato particolarmente rilevante. Il V secolo a.C. rappresenta il momento in cui Cartagine si pone come importante interlocutrice delle altre potenze mediterranee, acquistando un ruolo politico ed economico di prim’ordine. È in questo contesto, quindi, che va inserito il rinnovamento ideologico testimoniato dalla figura della dea Tinnit nel tofet che, fra IV e III secolo a.C. vede il suo maggior utilizzo in questo centro. In Nord Africa, infatti, la ritroviamo addirittura collocata al primo posto nelle iscrizioni in qualità di madre, affiancata al padre Baal Hammon, e mediatrice fra devoti e dio principale in quanto suo specifico ‘volto’: attraverso lei i frequentatori del tofet richiedono l’aiuto, la benedizione di Baal Hammon, che comunque rimane primo destinatario del culto (come si nota anche dal maggior uso del singolare maschile nelle formule di chiusura delle iscrizioni). Tinnit sembra essere una sorta di “mano operativa”53 di Baal, secondo una tradizione che risale ad altri e più antichi contesti vicino-orientali (per esempio, il ruolo di Astarte ad Ugarit). Nelle epigrafi latine del

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Nord Africa, la dea viene identificata con Iuno Caelistis/Caelestis, con un possibile legame alla ‘fortuna’ (gd) cittadina. Le due divinità rappresentano, entrambe, il rinnovo della tradizione che i coloni hanno portato con sé, nel proprio bagaglio culturale e che, in un nuovo contesto, hanno rivitalizzato e reso unico. Essendo divinità “nuove” ben si adattano ad essere simbolo del tofet e della nuova dimensione, politica e culturale, in cui le genti fenicie si vengono a trovare nel Mediterraneo occidentale.

1.5 L’arte e l’iconografia delle stele.

Il tofet si caratterizza per la presenza di pochi oggetti oltre le urne e le stele, come alcuni gioielli, ceramiche miniaturistiche e terrecotte fra le quali rientrano le protomi femminili (rare quelle maschili e totalmente puniche) e le maschere virili54, comprese le maschere “ghignanti”, le prime maggioritarie (divisibili in tre categorie: ‘stile egittizzante’, ‘stile greco-fenicio’, ‘stile ellenizzante’) e dipendenti o direttamente provenienti dalla produzione greca occidentale dello stesso periodo (fine VI-V secolo a.C.), le seconde meno numerose e per lo più distinte dall’iconografia greca (a parte il cosiddetto tipo del “sileno”). Possiamo supporre che le maschere venissero applicate a diversi supporti, come anche gli abiti degli officianti, mentre le protomi dovevano sicuramente essere appese solo su pareti; entrambe avevano una funzione magico-religiosa. Questo tipo di materiale è stato ritrovato in deposizione secondaria antica e risulta essere molto vario, testimone della ricezione di numerose influenze esterne da parte delle botteghe artigiane fenicio-puniche55.

Nella tipologia e nell’iconografia delle stele, in arenaria e successivamente in calcare, si riscontrano numerosi caratteri in comune con la madrepatria e con il

54 BONDÌ S.F., 2004. 55 CIASCA A., 1991.

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Vicino Oriente in generale. L’area africana si distingue dalle altre zone di produzione occidentale in quanto queste tendono a distaccarsi o a legarsi maggiormente al modello originario. Sono forse proprio le questioni tipologica e iconografica quelle che più esprimono diversità nella realizzazione da luogo a luogo, da santuario a santuario, pur con il mantenimento di alcune costanti di base, ben visibili, ma con non poche e, spesso, non irrilevanti differenze stilistiche, che sono il riflesso dell’ambiente specifico che si voleva e doveva rappresentare in quanto esso doveva riconoscersi anche sulle stele.

Per quanto riguarda la tipologia, troviamo moltissimi cippi con zoccolo sporgente, di solito di forma trapezoidale, un unico architrave e cornice, o con coronamento cuspidato (il frontone talvolta è solamente disegnato), risalenti a modelli della tarda Età del Bronzo (Ugarit); troviamo poi cippi a forma di L, cippi-troni e naiskoi ad edicola egiziani, con fregi decorati in rilievo raffiguranti dischi solari alati, urei discofori, fiori di loto, palme, colonne hathoriche, tutti chiaramente motivi egittizzanti (utilizzati a Cartagine fra VI e IV secolo a.C.), importati in Occidente all’inizio del I millennio a.C., passando per la Fenicia; a partire dal IV secolo a.C. si riscontra anche la presenza di stele sottili e appuntite decorate da un solo lato. Per quel che riguarda l’iconografia, oltre ai decori egittizzanti appena menzionati, notiamo la presenza di forme geometriche, come colonne (probabilmente importate da Occidente in Oriente) con capitelli più o meno elaborati, losanghe, piramidi, betili/doppi betili/triadi betiliche, idoli a bottiglia, lastre verticali con timpani e acroteri, basi di altare e segni astrali, realizzati mediante la tecnica del graffito, del rilievo o dell’incisione. Il cosiddetto ‘segno di Tanit’, anch’esso già fenicio-orientale (utilizzato dal IX al III secolo a.C.), si ritrova a partire dalla fine del VI secolo a.C. ed è spesso associato a palme e caducei. Non mancano immagini antropomorfe, quali figure femminili, nude o vestite, con le mani sul seno o dischi,

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tamburini e/o fiori al petto, forse immagini di sacerdotesse o altre addette al culto, e figure maschili dal portamento solenne, in pose ieratiche, con la mano alzata, vestiti con tuniche e gonnellini, a volte di profilo, con barba e/o muniti di lancia, forse rappresentazioni di sacerdoti; altre figure maschili e femminili sono maggiormente stilizzate, geometrizzanti. Unicum risulta essere la dea col bambino, ritrovata a Monte Sirai, in Sardegna, dove si nota particolarmente la commistione con gli elementi autoctoni anche nelle vesti delle figure femminili. L’associazione dei motivi del disco crescente, della mano e del caduceo compaiono in Età Ellenistica, come anche motivi di origine greca ed etrusca, cosa che ci informa di un’apertura verso l’esterno del mondo punico, ormai consapevole della propria autonoma identità; troviamo anche simboli dionisiaci e scene di culto, come quelle rappresentanti probabilmente sacerdoti con bambini (forse nell’atto del sacrificio) o davanti ad un altare su cui vengono bruciate carni animali. Come avviene per le iscrizioni, anche la tipologia e l’iconografia risente dei cambiamenti politici e culturali. Infatti, le stele neo-puniche sono decisamente differenti rispetto a quelle del periodo precedente, caratterizzate dalla prevalenza di figure umane, soprattutto fedeli nell’atto di donare le offerte per il rito cruento e incruento, anche se i motivi più duraturi rimangono comunque quelli che risalgono ad un’origine fenicia o vicino-orientale (betili, alcune figure antropomorfe, disco solare)56. La prevalenza di immagini betiliche, di segni astrali e di rappresentazioni di tipo rituale (come già detto, di influenza ellenica) si lega al sentimento tipico della religione fenicia e punica che vede l’individuo sublimato nell’atto del sacrificio rituale, unico mezzo di comunicazione con la divinità. Anche quando si riprendono modelli stranieri questi tendono ad essere modificati e inseriti a pieno titolo nel proprio mondo culturale e religioso, mai rinnegato, al massimo rinnovato. In ambiente africano

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solo in un secondo momento, quando Cartagine volge al termine della sua storia, l’elemento greco, e quello romano, si inserisce esplicitamente modificando il panorama figurativo ma soprattutto l’orizzonte culturale a cui fare riferimento. In altri centri, come il già citato Monte Sirai, si nota fin dal primo sviluppo dell’insediamento una maggiore commistione fra elemento semitico ed elemento autoctono, mentre, in ancora altri siti, i coloni eliminarono del tutto o quasi gli elementi tradizionali locali57.

1.6 Le urne.

Ciò che emerge dall’osservazione del sito archeologico ‘tofet’ sono senza dubbio le urne. Queste sono, infatti, essenziali e inamovibili, protette da buche e pietre, al contrario delle stele che, cronologicamente contemporanee alle urne 58 , all’occorrenza, potevano essere rimosse per lasciar spazio a nuove urne e, in caso, nuove stele votive. Sono le urne che contengono l’offerta al dio consistente in bambini e/o animali combusti, cosa che le rende assolutamente indispensabili a questo tipo di rituale. Infatti, si modifica il formulario delle iscrizioni, si modifica il luogo delle deposizioni, sia nel tempo che nello spazio, ma ciò che non cambia mai è il “campo di urne”59, mai inserito o sostituito da una necropoli. Il contenuto delle

urne non è facile da analizzare a causa della frammentazione e alterazione dei resti dovuta alla combustione ad alte temperature. Pur non essendo ancora giunti ad una conclusione e comprensione definitiva, i dati relativi alle analisi osteologiche risultano essere di fondamentale importanza e, probabilmente, ci daranno ulteriori informazioni utili in un futuro prossimo. I dati, infatti, sono ancora dibattuti, a volte rielaborati sulla base di errati pregiudizi, ma comunque da tenere in considerazione. Ciò che ci dicono, in linea generale, è che ci troviamo davanti a resti di esseri

57 BISI A.M., 1965. 58 XELLA P., 2012.

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umani, di età prenatale o fino ad un anno di età circa, il cui sesso non è definibile, e di giovani animali (ovini, caprini, uccelli), a volte insieme nel medesimo contenitore60.

Il numero delle urne, e quindi dei corpi in esse incinerati, è abbastanza esiguo da permettere di ritenere che nel tofet non si effettuassero stragi di bambini: “un dono tanto più è raro tanto più è prezioso”61, questo era quello che si voleva e doveva donare alla divinità, l’unica degna di un tale sacrificio, la perdita di un figlio (già nato, atteso o già morto, cosa che spiegherebbe il ritrovamento di probabili feti, non ci è dato sapere, ma, possiamo supporre, perfetto e di grande valore per chi lo offriva dato che lo si stava donando al proprio dio), in quanto l’unica in grado di soccorrere in caso di gravi crisi, private o pubbliche che fossero. Inoltre possiamo dire che non doveva trattarsi di una necropoli infantile vista l’altissima percentuale relativa alla mortalità in tenera età in quei secoli, stimabile addirittura fino ad un 50-60%62. Nel caso ci fossimo trovati davanti ad una necropoli avremmo, poi, dovuto trovare un tofet in ogni centro, non solo in alcuni, e non avremmo dovuto trovare sepolture infantili nelle necropoli di centri che possedevano anche un tofet63. A questo possiamo aggiungere che sono stati ritrovati per lo più resti di

neonati di meno di sei mesi e non di bambini di età maggiore o adolescenti molti dei quali, indubbiamente, dovevano aver trovato la morte in gioventù. Inoltre, anche se esiste qualche esempio di sepolture infantili nell’antichità, in ogni caso nessuna di queste presenta le caratteristiche che abbiamo già analizzato per il tofet. Questo deve essere definito un vero e proprio santuario le cui caratteristiche mutano solo in periodo romano, in un momento in cui il rito viene dall’alto soppresso e, laddove mantenuto, si rinnova e si modifica sulla base di nuove influenze esterne.

60 MELCHIORRI V., 2013. 61 AMADASI GUZZO M.G., 2006.

62 GARNARD B.K. – STAGER L.E. – GREENE J.A., 2013. 63 XELLA P., 2012.

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Sorvolando, poi, il fatto che risultano anche urne con solo resti di ossa di giovani animali, solitamente utilizzati proprio nei riti sacrificali e reperibili solo una/due volte l’anno, risulta difficile immaginare il motivo per cui si dovesse utilizzare un metodo dispendioso come quello della cremazione per dei bambini che, in molte civiltà, non erano considerati neanche ancora facenti parte della realtà sociale64.

1.7 La Bibbia.

Dai riferimenti contenuti nella Bibbia ebraica ricaviamo, prima di tutto, il termine stesso ‘tofet’, ancora oggi utilizzato in quanto non è stato riscontrato un termine specifico fenicio che indichi questo santuario, definito nelle iscrizioni per lo più attraverso un semplice bt (tempio/santuario). Il termine ‘tofet’ indica un luogo situato nella valle di Ben-Hinnom, nei pressi di Gerusalemme, in cui gli Israeliti sacrificavano (zbḥ)/versavano il sangue (nqy dm)/offrivano il sangue (ntn

dm)/sgozzavano (šḥt)/uccidevano/in olocausto (‘wlh) figli/figlie fatti passare nel

fuoco (‘br ’š)/bruciati nel fuoco (śrp ’š) in rito mlk secondo un costume attribuito ai vicini Cananei, ossia i Fenici, per idoli/loro dèi/Baal65. Appare chiaro che ciò che qui aveva luogo erano riti compiuti in un contesto di tipo sacrificale, aspramente condannati in quanto facenti parte di uno schema culturale altro rispetto a quello che la religione monoteistica stava perpetrando, abominevole e proprio di popoli stranieri che non adorano l’unico dio. Ci ritroviamo, anche qui, in un contesto familiare in cui i bambini in questione sono offerti da qualcuno in qualità di ‘figli’, pegno in cambio del quale si chiede il favore della divinità66. I santuari sono collocati in zone elevate, cosa che non sorprende in quanto trattasi del punto deputato all’interazione fra vivi e morti. Al contrario di quel che traspare dalle scritture, ci sembra di poterci riferire ad una forma precedente del culto Yahwistico

64 MOSCA P.G., 2013. 65 XELLA P., 2012.

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che doveva prevedere e realizzare questo genere di sacrifici tanto da far sì che ci si dovesse sentire in dovere di riportarli alla memoria e di farli mettere in praticati da alcuni devoti della nuova divinità unica, come Abramo al quale viene richiesto il sacrificio del figlio Isacco con queste parole:

ר ֶ֖שֲׁא םי ִ֔רָהֽ ֶה ד ַ֣חאַ ל ַ֚ע ה ָ֔לֹעְל ֙םָשׁ וּהֵ֤לֲעַהְו הָ֑יּ ִרֹמַּה ץ ֶר ֶ֖א־לֶא ֔ךְָל־ךְֶלְו ק ָ֔חְצִי־תֶא ָ֙תְּב ַ֙האָ־רֶשֲׁא ֤ךָ ְדיֽ ִחְי־תֶא ֨ךְָנִבּ־תֶא א ָ֠נ־חַק רֶמא ֹ֡יַּו» .«ךָיֽ ֶלֵא ר֥ ַמֹא «E (Yahweh) disse: - Prendi ora tuo figlio, il tuo unico (figlio), colui che ami, Isacco, e va’ nel paese di Moria e là offrilo come olocausto su di un monte che ti dirò -» (Gen. 22:2).

Il suo unico figlio sarà in extremis salvato grazie all’intervento dell’angelo di Yahweh che dice:

֖ךָ ְדיִחְי־תֶא ֥ךְָנִבּ־תֶא ָתְּכ ֛ ַשָׂח א ֥לְֹו ה ָתּ ַ֔א ֙םיִהלֱֹא א ֵ֤רְי־יֽ ִכּ יִתְּע ַ֗ד ה ָ֣תַּע יִ֣כּ הָמּוּ ֑אְמ וֹ ֖ל שַׂע֥ ַתּ־לאְַו רַע ַ֔נַּה־לֶא ֙ךָ ְדָֽי ח ַ֤לְשׁ ִתּ־לאַ רֶמאֹיַּו» .«יִנֶּמִּמ «E (l’angelo) disse: - Non stendere la mano sul ragazzo e non fargli niente, infatti ora so che tu temi dio da non negarmi tuo figlio, il tuo unico - » (Gen. 22:12).

E superata la “prova” l’angelo annuncia al patriarca la volontà di Yahweh riguardo la gloriosa sorte sua e del suo popolo:

ה ָ֨בּ ְרַהְו ֗ךְָכ ֶרָבֲא ךְ ֵ֣רָב־יֽ ִכּ ; ךָֽ ֶדיִחְי־תֶא ֥ךְָנִבּ־תֶא ָתְּכ ַ֖שָׂח א ֥לְֹו ה ֶ֔זַּה ר ָ֣ב ָדַּה־תֶא ָ֙תיִ֙שָׂע ר ֶ֤שֲׁא ןַע ַ֚י י ִ֗כּ הָ֑והְי־םֻאְנ י ִתְּע ַ֖בְּשִׁנ יִבּ רֶמאֹיַּו» .«ויֽ ָבְיֹא רַע ֥ ַשׁ ת ֵ֖א ֔ךֲָע ְרַז שׁ ַ֣רִיְו םָ֑יַּה ר ֶ֖שֲׁאתַ֣פְשׂ־לַע לוֹ ֕חַכְו םִי ַ֔מָשַּׁה יֵ֣בְכוֹכְכּ ֙ךֲָע ְרַז־תֽ ֶא הֶבּראַ

«E (l’angelo) disse: - Per me stesso io giuro, afferma Yahweh, dato che tu hai fatto ciò e non hai negato tuo figlio, il tuo unico, allora moltissimo ti benedirò e moltiplicherò grandemente la tua stirpe come le stelle del cielo e come la sabbia che sta sul limite del mare e la tua discendenza s’impossesserà delle città dei suoi nemici - » (Gen. 22:16-17).

Anche al giudice Iefte fu chiesto un tale, greve sacrificio in seguito ad un voto compiuto in cambio della vittoria in battaglia: la prima persona che fosse uscita dalla sua casa al suo ritorno sarebbe stata offerta in olocausto a Yahweh. Ecco ciò che allora accadde:

יִהְיַו ; תֽ ַב־וֹא ן ֵ֖בּ וּנּ֛ ֶמִּמ וֹ ֥ל־ןיֽ ֵא ה ָ֔דיִחְי אי ִ֣ה ֙ק ַרְו תוֹ ֑לֹחְמִבוּ םי ִ֖פּ ֻתְב וֹ ֔תא ָרְקִל תאֵ֣צֹי ֙וֹתִּב הֵ֤נִּהְו ֒וֹתיֵבּ־לֶא ֮הָפְּצִמַּה ח ָ֣תְּפִי אֹביּו» לַכוּא אלְֹו ה ָ֔והְי־לֶא ֙יִפ־י ִתי ִ֤צָפּ י ִ֗כֹנאְָו י ָרְכֹעְבּ ְתיִיָה ְתַּאְו יִנ ִ֔תְּע ַרְכִה ַע ֵרְכ ַח ֙יִתִּבּ הָּהֲא רֶמאֹיַּו וי ָ֗דָגְבּ־תֶא ע ַרְקִיְּו הּ ָתוֹא וֹתוֹא ְרִכ ךָיֶבְיֹאֵמ תוֹ ֛מָקְנ הָוה ְי ךְָל ֩הָשָׂע ר ֶ֣שֲׁא י ֵרֲחאַ ךָיִפִּמ אָ֣צָי רֶשֲׁאַכּ י ִ֔ל ה ֵ֣שֲׂע ה ָ֔והְי־לֶא ֙ךָיִ֙פּ־תֶא ה ֵשׂ ֲע ה ָתיִצָפּ יִבאָ ויָלֵא רֶמאֹתַּו ; בוּֽשָׁל י ַ֔לוּתְבּ־לַע הֶכְּבֶאְו םי ִ֔רָהֽ ֶה־לַע י ִתּ ְד ַרָיְו ֙הָכְלֽ ֵאְו םי ִ֗שׁ ָדֳח םִיַ֣נְשׁ יִנֶּמִּמ ה ֵ֨פּ ְרַה ה ֶזּ ַח רָב ָדַּה יִלּ הֶשׂ֥ ָעֵי ָהי ִ֔באָ־לֶא רֶמאֹתַּו ; ןוֹֽמַּע יֵנְבִּמ .«יֽ ָתוֹע ֵרְו ֹניִכ ָא

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«Iefte tornò a Mispa, a casa sua, ed ecco uscire per andargli incontro sua figlia con timpani e con danze; lei era la sua unica (figlia) e oltre lei non aveva figlio o figlia. Come la vide, avvenne che si strappò le vesti e disse: - Ah! Figlia mia! Sei per me causa di angoscia, tu sei fra quelli che mi causano dolore. Io ho aperto la mia bocca (ho giurato) per Yahweh e non posso tornare indietro -. E lei gli disse: - Padre mio, se hai aperto la tua bocca (hai giurato) per Yahweh, fai a me ciò che è uscito dalla tua bocca (ciò che hai giurato) dato che Yahweh ti ha fatto avere vendetta sui tuoi nemici, i figli di Ammon -. Poi disse a suo padre: - Lascia che sia fatta questa cosa per me: lasciami libera per due mesi così che vada su e giù per i monti, così che pianga la mia verginità, io e le mie compagne -» (Giudic. 11:34-37).

Interessanti sono anche i riferimenti a rituali che seguono i sacrifici di bambini e che vengono compiuti proprio nel tempio di Yahweh come se fosse stato lui a comandarli, lui che ora li condanna aspramente:

־תֶא וּ ֤אְמִּט יִ֑ל וּשׂ ָ֣ע תא ֹז דוֹע ; הֽ ָלְכאְָל ם ֶה ָל וּריִ֥בֱעֶה י ִ֔ל־וּדְלָֽי ר ֶשׁ ֲא ֙ןֶהיֵנְבּ־תֶא םַגְו וּפ ֵ֑אִנ ן ֶ֖היֵלוּֽלִּגּ־תֶא ן ֶ֔היֵדיֽ ִבּ ֙ם ָדְו וֹפֵאִנ יִכּ» ה ֹ֥כ־הֵנִּהְו וֹ ֑לְלַּחְל אוּ ֖הַה םוֹ֥יַּבּ י ִ֛שׁ ָדְּקִמ־לֶא וּא ֹ֧בָיּ ם ֶ֔היֵלוּ ֣לִּגְל ֙םֶהיֵנְבּ־תֶא ם ָ֤טֲחַשְׁבֽוּ ; וּלֽ ֵלִּח י ַ֖תוֹתְבַּשׁ־תֶאְו אוּ ֔הַה םוֹ֣יַּבּ ֙יִשׁ ָדְּקִמ .«יֽ ִתיֵבּ ךְוֹ ֥תְבּ וּ ֖שָׂע «Infatti hanno commesso adulterio e hanno sangue sulle loro mani, con i loro idoli hanno commesso adulterio e gli stessi figli, che avevano fatto nascere per me, li hanno fatti passare per il fuoco affinché fossero il loro pasto. Anche questo mi hanno fatto: essi hanno contaminato il mio santuario nello stesso giorno e hanno profanato i miei sabati. Dopo aver massacrato i loro figli per i loro idoli, essi sono venuti nel mio santuario nello stesso giorno per profanarlo e, ecco, così hanno fatto in mezzo alla mia casa» (Ez. 23:37-39).

In linea di massima, comunque, leggiamo passi di biasimo nei confronti di questi rituali, non più consentiti e condannati in maniera esplicita direttamente da Yahweh e percepiti, di conseguenza, dai suoi devoti come del tutto deplorevoli. Non per niente si arriva a trasformare il tofet in una valle di massacri in cui i cadaveri verranno mangiati dagli animali, segno della rovina di Gerusalemme:

ה ָ֜תְי ָ֨הֽ ְו ; םוֹֽקָמ ןי֥ ֵאֵמ תֶפת ְב וּ ֥רְבָקְו הָ֑ג ֵרֲהַה איֵ֣גּ־םִא יִ֖כּ ם ֹ֔נִּה־ןֶב איֵ֣גְו ֙תֶפֹ֙תַּה דו ֹע ר ֵ֨מאֵָי־אלְֹו ה ָ֔והְי־םֻאְנ ֙םיִאָבּ םיִ֤מָי־הֽ ֵנִּה ןֵכָל» .«די ֽ ִרֲחַמ ןי ֵ֖אְו ץ ֶראָָה ת ַ֣מֱהֶבְלוּ םִי ַ֖מָשַּׁה ףו ֹע ְל ל ָ֔כֲאֽ ַמְל ַהֶזּה ם ָ֤עָה ת ַ֨לְבִנ «Perciò, ecco, giungono i giorni - dice Yahweh – in cui non si dirà più Tofet e valle di Ben Hinnom ma piuttosto valle del massacro e si seppelliranno (i morti) nel Tofet per mancanza di spazio. E i cadaveri di questo popolo diventeranno cibo per gli uccelli del cielo e per gli animali della terra e nessuno li spaventerà» (Ger. 7:32-33).

1.8 Conclusioni preliminari.

In seguito all’analisi di tutti questi dati si può dire che il tofet appare essere un luogo complesso in cui venivano messi in pratica numerosi rituali differenti che

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dovevano essere stati codificati, regolamentati pur con delle varianti che si possono notare dall’osservazione delle diverse tipologie di deposizioni che qui venivano fatte e che occorsero col trascorrere dei secoli. Dalle tariffe sacrificali ritrovate, come quella di Marsiglia, tutto quello che possiamo ricavare è che secondo il tipo di sacrificio e di offerta, di vittima, i sacerdoti, i soli che sembra potessero realizzare il rituale, ricavavano uno specifico guadagno. Nessuno di questi testi, però, ci parla esplicitamente del sacrificio mlk di bambini e/o animali, come anche non ci aiutano l’iconografia e le iscrizioni presenti sulle stele67 ed è quindi possibile che questo rito seguisse delle regole differenti, a noi sconosciute. Perciò, esattamente quanti e quali tipi di cerimonie si svolgessero, secondo quali norme, con quali e quante persone presenti e/o operanti direttamente, se esisteva un qualche criterio di selezione degli infanti, se arrivassero nel luogo del rituale già morti o venissero qui uccisi, quale fosse il ruolo specifico degli animali ritrovati e se avessero delle analogie con i bambini non siamo in grado di dire con assoluta certezza: tutto ciò che sappiamo lo dobbiamo esclusivamente alla nostra interpretazione dei dati diretti e indiretti che comunque riescono, in linea di massima, a fornirci una spiegazione valida riguardo ciò che nel tofet doveva avvenire, certamente un qualcosa percepito come sacro e di fondamentale importanza da coloro i quali vi prendevano parte. Quindi, visti i dati in nostro possesso, possiamo dire che in rare, eccezionali occasioni di crisi, pubbliche o private, tali, comunque, da richiedere un forte rimedio, i Fenici/Cartaginesi, di qualsiasi livello sociale, offrivano a Baal Hammon (e Tinnit) qualcosa di molto prezioso, un piccolo bambino, già nato, atteso o appena deceduto (aborto?), della loro famiglia e/o un piccolo animale (più che altro ovini), che veniva sacrificato presumibilmente con un’uccisione rituale e poi (o solamente, se già morti) cremati

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in uno specifico santuario e così inviati agli dèi come compimento di un voto in cambio di un beneficio68. Arrivati a questa prima e non definitiva conclusione, il

prossimo passo sarà fornire, quanto e quando possibile, una luce sull’ultimo dato, finora tralasciato: le fonti indirette tramandateci dagli autori latini e greci che si sono interessati, per i più vari motivi, ai sacrifici di bambini nel tofet.

68 XELLA P., 2013.

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CAPITOLO II

È giunto il momento di dedicarci al fulcro di questi tesi, ossia le fonti indirette relative agli autori classici latini e greci che ci hanno lasciato una testimonianza sui sacrifici umani in seno alla cultura fenicio-punica. Per lungo tempo, almeno tutto il XIX secolo, come testimoniato, per fare un esempio, dall’importante opera di Gsell69 e da quella di Leglay70, solo queste informazioni hanno permesso di sviluppare delle ipotesi su quest’argomento. Infatti gli studiosi non erano a conoscenza dei dati epigrafici, iconografici e archeologici ma avevano come unica possibilità il confronto con i racconti che sono stati riportati nel testo biblico. Il nostro scopo sarà ora quello di riprendere e ad analizzare, singolarmente, una serie di passi che ci parlano di sacrifici di bambini e adolescenti inseriti nel culto di esseri soprannaturali e che dovrebbero darci qualche importante spunto di comprensione del fenomeno ‘tofet’. È importante premettere che l’analisi che in queste testimonianze viene fatta del sacrificio dei fanciulli fenicio-punico è tutta legata a schemi propri del mondo greco-romano, il che non è di certo un metodo obiettivo di ricerca su questo argomento. È partendo da questo presupposto che le fonti a nostra disposizione vanno lette e studiate, presupposto che non ne inficia la validità ma serve a metterci in guardia da possibili contraddizioni, confusioni e fraintendimenti che ci si paleseranno di volta in volta.

2.1 La tragedia: Euripide.

Partiamo, seguendo un ordine cronologico, da quello che ci lasciano le tragedie greche, all’interno delle quali i sacrifici umani rappresentano un tema

69 GSELL S., 1913-1928. 70 LEGLAY M., 1966.

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fondamentale. Il sacrificio sta al centro, o almeno sullo sfondo, nei tre massimi tragediografi, Eschilo, Sofocle ed Euripide, nei quali ogni genere di uccisione viene identificata con il termine specifico θύειν che, in età classica, indica tutti i tipi di sacrificio. Senza addentrarci troppo nella questione, se prendiamo per vero che il termine τραγῳδία indica il “canto in occasione del sacrificio di un capro”, allora è in questo punto che la tragedia, pur non prevedendo più un’effettiva messa a morte dell’animale, non perde il forte legame con il rituale sacrificale, che effettivamente la permea. Si uniscono, così, mito e culto e si mette al centro della rappresentazione l’esistenza umana di fronte alla morte71: qui possono essere inseriti i rituali sacrificali. Non troviamo qui specificatamente sacrifici di bambini ma più che altro sacrifici di adolescenti che, volontariamente, consapevolmente, si immolano per un bene superiore: la salvezza della patria. Il sacrificio appare come l’unico modo per superare un momento di grave crisi sociale. Il personaggio che di queste opere maggiormente ci colpisce è Meneceo, il giovane che si sacrifica per la sopravvivenza di Tebe nella tragedia di Euripide ‘Le Fenicie’, opera datata probabilmente al 409/408 a.C.. Non è tanto, o non solo, la giovane età di costui a interessarci, ma soprattutto il suo inserimento in un’opera che presenta nel titolo l’etnia dei personaggi del coro composto, appunto, da donne provenienti dalla Fenicia. Questo coro, fin dagli albori della critica, è stato letto come uno dei più stranianti delle tragedie euripidee: si tratta di giovani nubili venute da Tiro quali ierodule per il tempio di Apollo a Delfi che, per caso, si sono trovate a Tebe proprio al sopraggiungere dello scontro fra gli eserciti dei fratelli Eteocle e Polinice. L’unico collegamento fra esse e la città di Tebe sta nella parentela fra Agenore, capostipite dei Fenici, e Cadmo, uno dei suoi figli, mitico fondatore della città. Si tratta, quindi, di un coro estraneo alle ragioni e alle emozioni dei personaggi, che

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non dialoga più con essi ma che fa da filo conduttore con il passato di Tebe, con Cadmo che provocò l’ira di Ares uccidendo il drago del quale seminò i denti che diedero vita alla nuova stirpe degli Sparti, gesto che ora richiede vendetta attraverso lo spargimento del sangue di Meneceo. Il giovane è un vero e proprio φάρµακον

σωτηρίας, cura che dovrebbe porre rimedio alla malattia che colpisce la città e la

stirpe dei Labdacidi, sostituto del ‘deus ex machina’, tipico delle tragedie euripidee tarde, che compare, però, a metà della storia testimoniando il ritorno al corso tradizionale del mito ma anche gli effetti poco incisivi sulla sorte di Tebe72. Gli avvenimenti ci vengono raccontati nella terza parte del terzo episodio: Creonte, preoccupato per le sorti della città, chiede l’intervento dell’indovino Tiresia che, inizialmente reticente, confessa che l’unico modo per salvare Tebe è il sacrificio di suo figlio, Meneceo. Ma il re non accetta il responso, caccia via in malo modo il vecchio Tiresia e spinge il figlio a fuggire il prima possibile. Il giovane, dopo aver fatto credere al padre che avrebbe eseguito i suoi ordini, confida alle donne del coro che avrebbe portato a compimento l’oracolo, unica speranza di salvezza, e che non avrebbe ceduto alla viltà impostagli dalle preoccupazioni paterne73. Queste le sue parole: «Γυναῖκες, ὡς εὖ πατρὸς ἐξεῖλον φόβον, κλέψας λόγοισιν, ὥσθ`ἃ βούλοµαι τυχεῖν· ὅς µ`ἐκκοµίζει, πόλιν ἀποστερῶν τύχης, καὶ δειλίᾳ δίδωσι. Καὶ συγγνώµην ἔχει, προδότην γενέσθαι πατρίδος ἥ µ`ἐγείνατο. ῾Ως οὖν ἂν εἰδῆτ`, εἶµι καὶ σῴσω πόλιν ψυχήν τε δώσω τῆσδ`ὑπερθανεῖν χθονός. Αἰσχρὸν γάρ· οἱ µὲν θεσφάτων ἐλεύθεροι κοὐκ εἰς ἀνάγκην δαιµόνων ἀφιγµένοι στάντες παρ`ἀσπίδ`οὐκ ὀκνήσουσιν θανεῖν, πύργων πάροιθε µαχόµενοι πάτρας ὕπερ· ἐγὼ δέ, πατέρα καὶ κασίγνητον προδοὺς πόλιν τ`ἐµαυτοῦ, δειλὸς ὣς ἔξω χθονὸς ἄπειµ`· ὅπου δ`ἄν ζῶ, κακὸς φανήσοµαι. Μὰ τὸν µετ`ἄστρων Ζῆν` Ἄρη τε φοίνιον, ὅς τοὺς ὑπερτείλαντας ἐκ γαίας ποτέ Σπαρτοὺς ἄνακτας τῆσδε γῆς ἱδρύσατο. 72 FOLEY H.P., 1985. 73 MEDDA E., Introduzione a ‘LE FENICIE’ di Euripide, 2006.

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Ἀλλ`εἶµι καὶ στὰς ἐξ ἐπάλξεων ἄκρων σφάξας ἐµαυτὸν σηκὸν ἐς µελαµβαθῆ δράκοντος, ἔνθ`ὁ µάντις ἐξηγήσατο, ἐλευθερώσω γαῖαν· εἴρηται λόγος. Στείχω δέ, θανάτου δῶρον οὐκ αἰσχρὸν πόλει δώσων, νόσου δὲ τήνδ`ἀπαλλάξω χθόνα. Εἰ γὰρ λαβὼν ἕκαστος ὅ τι δύναιτό τις χρηστὸν διέλθοι τοῦτο κἀς κοινὸν φέροι πατρίδι, κακῶν ἄν αἱ πόλεις ἐλασσόνων πειρώµεναι τὸ λοιπὸν εὐτυχοὶεν ἄν».

«Donne, come ho ben allontanato la paura dal padre, con gli inganni delle parole, così da ottenere ciò che voglio; egli mi vuole portare in salvo, privando la città della fortuna, e vuole darmi alla viltà. Ciò è perdonabile in un vecchio, ma per quanto mi riguarda non è perdonabile divenendo traditore della patria che mi ha generato. Dunque sappiate che andrò, salverò la città e darò la vita morendo per questo paese. Infatti sarebbe disonorevole: coloro che sono liberi dagli oracoli e non sono sottoposti al destino stabilito dagli dèi, schierati in battaglia, moriranno senza esitazioni, combattendo per la patria di fronte alle mura difensive; invece io, tradendo mio padre, mio fratello e la mia città, come un vile andrò via dal paese: poiché finché vivrò apparirò vigliacco. No, in nome di Zeus che sta fra gli astri e Ares omicida che un tempo mise gli Sparti, spuntati dalla terra, come signori della regione. Ma andrò e starò in alto sul bastione e mi sgozzerò io stesso sull’antro oscuro del drago, secondo le indicazioni dell’indovino, liberando la regione: queste parole ho detto. Vado, farò un dono non turpe di morte alla città, allontanerò dal paese questo flagello. Infatti se ognuno, prendendo tutto il buono che può, lo portasse e lo dividesse per interesse comune della propria patria, le città proverebbero mali minori e il futuro sarebbe fortunato» (Phoen. 991-1017).

La domanda che ora sorge è: la scelta di questo titolo, e di questo particolare coro, è casuale? Vuole fare riferimento solo al passato mitico di Tebe o vuole anche riferirsi all’ideologia relativa ai sacrifici umani presso Fenici e Punici, ben nota al mondo greco? Quello di Meneceo non è il solo sacrificio presente nelle tragedie euripidee, ma qui troviamo l’unica vittima di sesso maschile il cui gesto è commentato in maniera positiva solamente dall’indovino Tiresia e dal coro, le cui donne si augurano di partorire figli di questo calibro. Il sacrificio appare necessario per la salvezza della patria in quanto serve per reintegrare la perdita subita dalla terra in seguito all’uccisione del drago e per reiterare il privilegio della nascita della dinastia degli Sparti già ottenuto da Cadmo74. Il coro straniero può leggere la vicenda sotto una luce diversa rispetto ai protagonisti e può dare voce all’oracolo di Tiresia secondo il quale la soluzione alla disputa fra i due fratelli sta nel lontano passato di Tebe a causa del quale l’ostilità divina non si è ancora placata. Così le

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