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Fa menzione dei sacrifici di bambini cartaginesi anche Silio Italico (I secolo d.C.) in alcuni passi del suo poema relativo alla seconda delle guerre fra Roma e Cartagine, intitolato ‘Punica’ e scritto in età Flavia:

«Ecce autem patres aderant Carthagine missi./Causa viae non parva viris, nec laeta ferebant./Mos fuit in populis, quos condidit advena Dido,/poscere caede deos veniam ac flagrantibus aris,/infandum dictu, parvos imponere natos./Urna reducebat miserandos annua casus/sacra Thoanteae ritusque imitata Dianae./Cui fato sortique deum de more petebat/Hannibalis prolem discors antiquitus Hannon./Sed propior metus armati ductoris ab ira/et magna ante oculos stabat redeuntis imago».

«Eccoli, si avvicinano i senatori inviati a Cartagine. A causa del viaggio non portavano buone né piccole nuove agli uomini. C’era l’usanza, presso il popolo che istituì l’esule Didone, di chiedere grazia alla divinità con lo spargimento di sangue e di porre su altari ardenti, orribile a dirsi, bambini piccoli. Ogni anno l’urna rinnovava gli infelici eventi, imitati le cose sacre e il rito per Diana nella terra di Toante. Per il fato e la sorte, secondo la tradizione, chiedeva per il dio la prole di Annibale Annone, suo antico nemico. Ma era più profonda la paura dell’ira del generale in armi e la figura del genitore che tornava stava grande davanti agli occhi di tutti» (Pun. IV 763-773).

Quest’opera è ricca di elementi realmente accaduti ma anche di aggiunte e rivisitazioni più o meno fantasiose create dalla mente del suo autore. Nonostante questo, ciò che nel passo citato viene riportato non sembra essere del tutto frutto dell’immaginazione di chi scrive, ma presenta delle indicazioni che sono presenti anche in altri testi e delle quali l’autore sembra conoscerne l’ideologia sottostante, l’ideologia sacrificale. Ci viene detto che i Cartaginesi erano soliti chiedere il favore della divinità bruciando sugli altari “parvos […] natos” secondo una pratica eseguita annualmente in cui le vittime venivano sorteggiate; il passo fa poi riferimento ai sacrifici umani sacri compiuti nella Tauride in onore di Artemide, dei quali abbiamo già parlato in precedenza. Infine, viene nominato Annibale che, insieme con la moglie Imilce, si rifiutò di sacrificare il proprio figlio non prestando, così, fede ai rituali fondamentali del suo popolo. Dato il peso politico del forte

generale, nessuno gli si oppose, neanche il suo “discors antiquitus” Annone. Vediamo, allora, le parole della disperata madre che vuole persuadere il marito a non compiere questo terribile atto:

«Ergo inter Tyrias, facibus ceu subdita, matres/clamat: “Io coniux, quocumque in cardine mundi/bella moves, huc signa refer. Violentior hic est,/hic hostis propior. Tu nunc fortasse sub ipsis/urbis Dardaniae muris vibrantia tela/excipis intrepidus clipeo saevamque coruscans/lampada Tarpeis infers incendia tectis./Interea tibi prima domus atque unica proles/heu gremio in patriae Stygias raptatur ad aras!/I nunc, Ausonios ferro populare penates/et vetitas molire vias. I, pacta resigna,/per cunctos iurata deos. Sic praemia reddit/Carthago et talis iam nunc tibi solvit honores!/Quae porro haec pietas, delubra aspergere tabo?/Heu primae scelerum causae mortalibus aegris,/naturam nescire deum! Iusta ite precati/ture pio caedumque feros avertite ritus./Mite et cognatum est homini deus. Hactenus, oro,/sit satis ante aras caesos vidisse iuvencos;/aut si velle nefas superos fixumque sedetque,/me, me, quae genui, vestris absumite votis./Cur spoliare iuvat Libycas hac indole terras?/An flendae magis Aegates et mersa profundo/Punica regna forent, olim si sorte cruenta/esset tanta mei virtus praerepta mariti?»

«Ecco, in mezzo alle donne tirie, come se fosse stata sostituita dalle fiamme, la madre grida: “Ahimè, marito, in qualunque luogo della terra tu muova guerra, riporta qui le insegne. Qui c’è il più violento, qui c’è il più vicino dei nemici. Ora tu forse sotto le mura stesse della città dardania fronteggi intrepido con lo scudo le frecce che ti vengono scagliate e, scintillando una terribile torcia, lanci i fuochi sulle case tarpee. Nel frattempo la tua prima casa (il tuo primo discendente) e unico figlio, ah!, nel seno della patria viene trascinato sugli altari dello Stige! Va’ ora, distruggi con il ferro le case dell’Ausonia e intraprendi un cammino proibito. Va’, annulla i patti giurati davanti a tutti gli dèi. Così Cartagine restituisca una ricompensa e tali onori adempie fin d’ora per te! D’altra parte, qual è questa pietà che macchia di sangue i santuari? Ah! La prima ragione dei delitti dei sofferenti mortali, (è) ignorare la natura degli dèi! Andate a supplicare una giusta preghiera con pio incenso e respingete questi crudeli riti di morte. Il dio è clemente e parente dell’uomo. Oramai, vi prego, sia sufficiente vedere sugli altari sacrificali giovani tori; o se credete fermamente che gli dèi (desiderino) l’empietà, me, proprio me, che sono la madre, farete morire per i vostri voti. Perché vi fa piacere privare la terra libica di questa discendenza? Forse non avreste pianto più delle Egadi e dei regni punici affondati nel mare, se un tempo una tale sorte crudele avesse strappato così tanta virtù da mio marito?» (Pun. IV 778-802).

Annibale viene spinto dalle dure parole di Imilce ad agire pensando ai propri personali interessi, a seguire i loro sentimenti privati di genitori ma, allo stesso tempo, andando contro alle necessità cultuali dei suoi concittadini102 che la donna definisce crudeli e non graditi agli dèi. Il condottiero sembra il primo a rendersi conto della gravità della sua scelta quando dice:

«Quid tibi pro tanto non impar munere solvat/Hannibal aequatus superis?/Quae praemia digna/inveniam, Carthago parens?/Noctemque diemque/arma feram; templisque tuis hinc plurima faxo/hostia ab Ausonio veniat generosa Quirino./At puer armorum et belli servabitur heres».

Cosa ti tributerà al posto di un tale dono Annibale, uguale agli dèi? Quale ricompensa degna troverò, o madre Cartagine? Notte e giorno combatterò; e procurerò da qui per i tuoi templi moltissime vittime provenienti dalla nobile stirpe di Quirino l’Ausonio. Ma sarà preservato il fanciullo erede delle (mie) armi e della (mia) guerra» (Pun. IV 808-814).

102 XELLA P., 2009.

Il generale sembra scusarsi con gli dèi per la decisione presa e promette loro doni ben maggiori per gli altari sacri al termine della guerra103, quando il figlio, sano e

salvo, potrà ereditare il frutto delle sue vittorie che, in realtà, non si realizzeranno mai.

In un libro successivo, viene aggiunto un altro particolare relativo alla pratica sacrificale, all’interno di un breve inciso:

«Tunc et furtiva tractantem proelia luce/deiecit Galam. Sacris Carthaginis illum/supposito mater partu subduxerat olim;/sed stant nulla diu deceptis gaudia divis».

«Allora egli privò Gala, che conduceva la battaglia, della vita rubata. Per sottrarlo ai sacrifici di Cartagine, la madre, un giorno, lo aveva sostituito con un altro bambino; ma non a lungo durano le gioie (ottenute) ingannando gli dèi» (Pun. XV 463-466).

Durante la battaglia di Baecula del 208 a.C., il compagno di Scipione l’Africano, Lelio, uccise Gala, giovane cartaginese che la madre aveva sottratto all’immolazione sostituendolo con un altro bambino. In questa maniera gli dèi erano stati ingannati, il patto con loro non era stato rispettato ma, ammonisce l’autore, questo genere di gioie non durano a lungo (“stant nulla diu deceptis

gaudia divis”) e, anzi, si concludono con la fine che già molto tempo prima era

prevista, ossia la morte del bambino, anche se non più tale, in questione. Come già avevamo visto parlando dell’informazione contenuta in Diodoro Siculo, il sacrificio non è efficace se non se ne rispettano tutte le clausole, se il bambino sacrificato non è quello che era stato scelto e che era destinato a questa morte per il bene comune. Silio Italico, pur ritenendola una pratica non accettabile, sembra credere che sia legittima all’interno dello stato cartaginese che la mette in pratica come fondamentale e condanna, invece, chi non la rispetta104. L’importanza della notizia sta, allora, non nel fatto che Silio Italico abbia o meno visto di persona i tofet o i riti che vi si svolgevano quanto il fatto che sembri essere a conoscenza dell’ideologia sulla quale si basano i sacrifici punici tanto da sentirsi a suo agio nel descriverli

103 MARTELLI F., 1981. 104 Ibidem.

anche in un piccolo inciso che nulla ha a che fare con la trama del libro105 ma che i suoi lettori avrebbero dovuto, comunque, comprendere.