Nel VII libro del ‘De Civitate Dei’, Agostino (V secolo d.C.) si occupa dell’interpretazione naturalistica di venti delle divinità romane di cui Varrone si occupa nel suo “Antiquitates Rerum Humanarum et Divinarum” più di quattro
secoli prima163. In questo contesto si inserisce la menzione ai sacrifici di bambini cartaginesi, popolo che il nostro autore doveva ben conoscere in quanto libico e in questo non scevro di nozioni riguardanti il passato e, con le fisiologiche modificazioni sia della lingua che della religione, il presente della sua terra164: «Deinde ideo dicit a quibusdam pueros ei solitos immolari, sicut a Poenis, et a quibusdam etiam maiores, sicut a Gallis, quia omnium seminum optimum est genus humanum».
«Quindi, per questo motivo, dice che alcuni sono soliti immolare fanciulli a lui (Saturno), come i Punici, e qualcun’altro anche gli anziani, come i Galli, poiché di tutti i semi il migliore è il genere umano» (DeCiv.Dei VII 19).
E inoltre: 161 =Latini. 162 XELLA P., 2009. 163 GREEN W.M., Introduction of ‘The City of God against the Pagans’ by Saint Augustine, 1963. 164 VATTIONI F., 1968.
«Devoravit ille filios, ut poetae ferunt, et physici ex hoc interpretantur quod volunt; ut autem historia prodit, necavit; sed quod ei Poeni suos filios sacrificati sunt, non recepere Romani. At vero ista Magna deorum Mater etiam Romanis templis castratos intulit atque istam saevitiam moremque servavit, credita vires adiuvare Romanorum exsecando virilia virorum».
«Divorò (Saturno) i suoi figli, come i poeti raccontano, e i filosofi fisici, a partire da questo, interpretano ciò che vogliono; come la storia prosegue, li uccise; ma i Romani non accolsero il rito dei Punici di sacrificare i loro figli a lui. In verità, questa Grande Madre degli dèi introdusse gli eunuchi anche nei templi romani e conservò questa feroce usanza finché si è creduto che lei aiutasse la virtù dei Romani attraverso la mutilazione dei genitali degli uomini» (DeCiv.Dei VII 26).
Il primo passo è una citazione di Varrone, la medesima che abbiamo analizzato nel paragrafo a lui dedicato, nella quale (ri)vediamo l’affermazione secondo cui erano soliti immolare “pueros” a Saturno (Baal Hammon) i Punici, mentre i Galli, sempre a lui, sacrificavano gli anziani: il dono più alto per la divinità è, infatti, l’essere umano. Il secondo passo ci dice che i Punici sacrificavano i“filios” a Saturno (Baal Hammon) mentre, in realtà, nel mito costui divorò i suoi figli, fatto che poeti e fisici interpretarono in modo errato. Aggiunge che i Romani non accettarono mai questo rituale ma che ne praticarono altri non meno cruenti, fatto che sembra apparirgli privo di logica. Il riferimento è qui alla pratica delle automutilazioni dei sacerdoti della Grande Madre, culto orientale giunto in età repubblicana a Roma e mantenutosi almeno fino al IV secolo d.C., quando l’imperatore Teodosio ordinò la chiusura di tutti i templi pagani. Agostino, dai suoi scritti, risulta essere un estimatore della civiltà punica della quale, però, non apprezza, come ci si aspetta da un autore cristiano, le pratiche religiose ancestrali e pagane. Queste ultime sono condannate dal vescovo di Ippona tanto quanto tutti i rituali cruenti che hanno caratterizzato le civiltà pagane, compresa Roma, che ora può rinvigorirsi sotto la luce del dio cristiano.
2.28 ‘Le Storie contro i Pagani’ di Orosio.
Orosio, presbitero spagnolo del V secolo d.C., fu incaricato dal suo maestro Agostino di scrivere un compendio della storia universale dalle origini al 416 d.C.,
opera che avrebbe dovuto fungere da completamento del suo lavoro apologetico. Orosio avrebbe dovuto confutare le accuse pagane nei confronti dei cristiani facendogli conoscere le disgrazie che colpirono, nel corso dei secoli, le regioni che ai loro dèi si affidavano, dovute alle punizioni dell’unico dio per i peccati da essi commessi: gli eventi, infatti, sono guidati dalla divina provvidenza alla quale l’uomo deve totalmente rimettersi. Per la storia di Cartagine, sua fonte principale è Giustino e la sua epitome all’opera di Pompeo Trogo165 che vediamo riecheggiare,
in maniera più emotivamente coinvolta rispetto all’originale, nel passo qui di seguito:
«Carthaginienses vernaculum atque intestinum semper inter se malum habuere discordiam, qua infeliciter exagitante nulla umquam tempora vel foris prospera vel domi quieta duxerunt. Sed cum inter cetera mala etiam pestilentia laborarent, homicidiis pro remediis usi sunt; quippe homines ut victimas inmolabant aetatemque inpuberem, quae etiam hostium misericordiam provocaret, aris admovebant. De quo sacrorum immo sacrilegiorum genere quid potissime discutiendum sit non invenio. Si enim huiusmodi ritus aliqui daemones praecipere ausi sunt, ut mortibus hominum occisione hominum satisfieret, intellegendum fuit se operarios atque adiutores pestilentiae conduci, ut ipsi quos illa non corripuisset occiderent: sanas enim atque incorruptas offerri hostias mos est, ita ut illi non sedarent morbos sed praevenirent».
«Per i Cartaginesi, la discordia fu sempre fra loro un male domestico e intestino e li perseguitò tanto tristemente che mai in nessun momento annoverarono condizione favorevoli con l’esterno o tempi tranquilli in patria. Ma essendo anche travagliati, fra le altre cose spiacevoli, dalle epidemie, usarono come rimedio gli omicidi: infatti così immolavano vittime umane e conducevano all’altare anche fanciulli, i quali muovono a compassione anche i nemici. Non riesco a trovare fino a che punto si possa discutere di questo genere di sacrifici o, meglio, di sacrilegi. Infatti, se alcuni demoni osarono prescrivere questo genere di riti, per pagare la morte di uomini attraverso l’uccisione di uomini, si deve ritenere che furono assoldati come lavoranti e aiutanti dell’epidemia affinché uccidessero coloro che essa non aveva toccato: dato che è usanza offrire vittime sane e incorrotte, allora essi non facevano cessare le malattie, ma le anticipavano» (Hist.Adv.Pagan. IV 6,2-9).
L’apologeta ci informa che per i Cartaginesi gli scontri erano all’ordine del giorno e mai furono in pace sia a causa delle guerre, intestine e non, sia a causa delle malattie. Per porvi rimedio, essi erano soliti ricorrere agli “homicidiis”: immolavano sugli altari “inpuberem”, la cui età, come già scrisse Giustino, avrebbe commosso anche i nemici. Questi atti sono definiti da Orosio ‘sacrilegi’ prescritti da ‘demoni’, come già fece Eusebio, e sostiene che non avrebbero mai potuto
portare a nulla di buono dato che si procedeva all’uccisione di chi era stato risparmiato dall’epidemia che si voleva combattere. Infatti le vittime dovevano essere “sanas” e “incorruptas”. Il riferimento a Giustino e alle pratiche cartaginesi permette ad Orosio di attuare un più generale attacco verso le divinità pagane, e le pratiche cultuali portate avanti dai loro adepti. Otteniamo, ancora una volta, informazioni circa la tenera età delle vittime che avrebbero dovuto salvare la città in caso di gravi pericoli, interni o esterni, vittime delle quali si sottolinea la necessaria integrità fisica affinché il rituale portasse un beneficio166.