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Lattanzio, africano e cristiano vissuto nel III-IV secolo d.C., scrive, in seguito alle persecuzioni di Diocleziano, le ‘Istituzioni Divine’, il cui primo libro si occupa della falsa religione. In merito ai sacrifici cruenti, dovuti agli eccessi delle credenze, scrive:

«Nam de infantibus qui eidem Saturno immolabantur propter odium Iovis, quid dicam non invenio. Tam barbaros, tam immanes fuisse homines, ut parricidium suum, id est taetrum atque exsecrabile humano generi facinus, sacrificium vocarent, cum teneras atque innocentes animas, quae maxime est aetas parentibus dulcior, sine ullo respectu pietatis extinguerent immanitatemque omnium bestiarum, quae tamen fetus suos amant, feritate superarent! O dementiam insanabilem! Quid illis isti dii facere amplius possent, si essent iratissimi, quam faciunt propitii, cum suos cultores parricidiis inquinant, orbitatibus mactant, humanis sensibus spoliant? Quid potest esse his hominibus sancti? Aut quid in profanis locis faciant qui inter aras deorum summa scelera committunt? Pescennius Festus in libris ‘Historiarum per saturam’ refert “Karthaginienses Saturno humanas hostias solitos immolare, et cum victi essent ab Agathocle rege Siculorum, iratum sibi deum putavisse; itaque ut diligentius piaculum solverent, ducentos nobilium filios immolasse”, “Tantum religio potuit suadere malorum! Quae peperit saepe scelerosa atque impia facta”».

«Riguardo ai bambini che venivano immolati allo stesso Saturno, a causa dell’odio di Giove, non trovo cosa dire. Tanto barbari, tanto bestiali furono gli uomini per arrivare a designare sacrificio il loro parricidio, che è un’azione ripugnante ed esecrabile per il genere umano, dal momento che annientano, senza alcun rispetto della devozione, anime giovani e innocenti, la cui età è massimamente la più dolce per i genitori, e superano per ferocia la bestialità di tutte le bestie, che, tuttavia, amano i loro feti! O insanabile follia! Che cosa possono fare più di questo, per quelli, le divinità, se fossero arrabbiatissime, di quanto fanno da favorevoli, dato che macchiano i loro devoti con i parricidi, li puniscono con la privazione dei figli e li spogliano della sensibilità umana? Che cosa può esserci di santo per questi uomini? O che cosa fanno nei luoghi profani coloro che commettono cose al massimo grado scellerate fra gli altari degli dèi? Pescennio Festo, nei libri di ‘Storie alla rinfusa’, riporta che “i Cartaginesi erano soliti immolare a Saturno vittime umane e, quando furono vinti da Agatocle, re dei Siciliani, si credette che il dio fosse irato con loro; così, per assolvere il sacrificio espiatorio più diligentemente, si immolarono duecento figli di nobili.”, “Così tanto la religione poté persuadere alle malvagità! La quale produsse spesso fatti scellerati ed empi”» (Div.Inst. I 21,9-14).

Il passo si apre con il giudizio, come ci aspettiamo, piuttosto negativo dell’autore riguardo al sacrificio, in onore di Saturno (Baal Hammon), di bambini dell’età “dulcior” per i genitori, sacrificio definito “parricidium”, atto “taetrum atque

peggiori delle bestie. La pratica è compiuta quando gli dèi sono favorevoli agli uomini, quindi si effettuano per chiedere alla divinità il suo appoggio, un suo beneficio: non siamo qui nel contesto visto maggiormente in precedenza di azioni rituali compiute in situazioni di gravi pericoli. Cita, infine, Pescennio Festo, del quale poco sappiamo, e la sua “Historiarum per saturam”. Secondo questa fonte, i Cartaginesi erano soliti immolare, quindi all’interno di un culto stabile, “humanas

hostias”, bambini stando a quanto specificato nelle prime righe. In più, quando

furono sconfitti nel 310 a.C. da Agatocle, re dei Siciliani, un momento di particolare crisi per la città, sacrificarono duecento “filios” di nobili. Sembra che l’offerta usuale potesse essere potenziata in caso di pericolo per la comunità. Pescennio riprende sinteticamente la notizia ritrovata in Diodoro Siculo. Ci troviamo di fronte a due possibili realizzazioni della pratica cultuale sacrificale: una usuale e consueta, un’altra straordinaria ed eccezionale per numero e ceto sociale delle vittime. Allora, grazie a questa testimonianza, viene meno anche la discrepanza che sembrava crearsi fra le fonti classiche, che parlano spesso di bambini figli di nobili e di condizioni di eccezionale gravità, e l’archeologia, che ci parla di sacrifici compiuti regolarmente e da tutta la cittadinanza, e non solo. Ci troveremo, così, di fronte un atto cultuale realizzato stabilmente per quel che doveva riguardare la dimensione privata, ma che poteva essere, in parte, modificato in caso occorressero circostanze gravi per l’intera comunità149.

Nell’epitome alla medesima opera, Lattanzio aggiunge un altro riferimento a noi utile:

«Diximus de diis: nunc de ritibus sacrorum culturisque dicemus. Iovi Cyprio, sicut Teucrus instituerat, humana hostia mactari solebat. Sic et Tauri Dianae hospites immolabant; Latiari quoque Iuppiter humano sanguine propitiatus est. Etiam ante Saturno sexagenarii homines ex persona Apollinis de ponte in Tiberim deiciebantur. Et eidem Saturno Carthaginienses non modo infantes prosecrabant, sed victi a Siculis ut piaculum solverent ducentos nobilium filios immolaverunt».

«Abbiamo parlato degli dèi: ora diremo dei riti delle cose sacre e del culto. Si era soliti uccidere vittime umane a Giove di Cipro, così come Teucro lo aveva istituito. Così, anche i Tauri immolavano gli ospiti a Diana; Anche Giove dei laziali si rendeva propizio con il sangue umano. Anche prima di Saturno, uomini di sessant’anni venivano buttati giù da un ponte sul Tevere, in nome di Apollo. Allo stesso Saturno, i Cartaginesi sacrificavano non solo bambini ma, quando furono vinti dai Siciliani, per assolvere il sacrificio espiatorio, immolarono duecento figli di nobili» (Epit.Div.Inst. 18,1-3).

Già nell’opera integrale, Lattanzio aveva proceduto ad un elenco di popoli che compivano sacrifici, nei paragrafi precedenti quelli sopracitati. Omettendo i soli Galli, fra gli altri, ci dice che a Cipro si era soliti uccidere uomini in onore di Giove, istituzione voluta da Teucro, eroe del mito installatosi sull’isola; i Tauri uccidevano “hospites” in onore di Diana; ci si propiziava col sangue anche Iuppiter Latiaris (vedi le Feriae Latinae); menziona la pratica della depontazione, originariamente150, degli ultrasessantenni nel Tevere dal ponte Milvio in onore di Apollo ripete la notizia sul sacrificio cartaginese non solo di “infantes” ma anche di figli di nobili, forse differenti per età151, come avvenne in seguito all’attacco del siciliano Agatocle.