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La valutazione della performance nella Pubblica Amministrazione

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

CONSULENZA PROFESSIONALE ALLE AZIENDE

TESI DI LAUREA

La valutazione della performance nella

Pubblica Amministrazione

IL RELATORE IL CANDIDATO Prof.ssa Luisa Azzena Fiorenza Federica

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4 La valutazione della performance nella Pubblica Amministrazione

Pag.

INTRODUZIONE 5

Cap. 1: La performance della P.A. Analisi del dato legislativo 1.1) La Carta Costituzionale 8

1.2) La L. 241/1990 10

1.3) Il sistema dei controlli interni: il Decreto legislativo 286/1999 14

1.4) La responsabilità dirigenziale secondo il Decreto Legislativo 165/2001 18

1.5) La Riforma Brunetta 21

1.6) Gli interventi legislativi dopo la riforma Brunetta 23

1.7) Segue: La Riforma della Pubblica Amministrazione e le recenti modifiche al Testo unico del pubblico impiego e la valutazione delle performance 32

Cap. 2: Il contenuto della performance. Definizione, natura e soggetti coinvolti. 2.1) Cosa si intende per performance? 36

2.2) Linee generali della riforma Brunetta sotto il profilo giuridico ed economico 37

2.3) I nuovi soggetti coinvolti 44

2.4) Le delibere CIVIT 54

2.5) Lo scopo della valutazione organizzativa ed individuale. 60

2.6). Le principali componenti del ciclo delle performance 61

Cap. 3: Misurazione e valutazione della performance 3.1) Gli strumenti della valutazione delle prestazioni 68

3.2) L’attività di misurazione delle performance negli Enti locali e nei Ministeri 73

3.3) Analisi comparativa del ciclo di gestione della performance tra amministrazioni comunali: il Comune di Torino, di Modena e di Ragusa 84

Cap. 4: Assetti e criticità della performance nella P.A 4.1) Decisioni strategiche e formulazione delle politiche pubbliche 91

4.2) Controlli di risultato ed efficacia: un’endiadi forzata? 96

4.3) La valutazione della performance tra settore pubblico e settore privato 104

CONCLUSIONI 107

Bibliografia 111

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5 INTRODUZIONE

La sostenuta crescita della spesa degli ultimi decenni del secolo scorso, si è spesso accompagnata ad una generalizzata scarsa attenzione per la gestione delle risorse pubbliche, guidata più da logiche incrementali che da criteri di efficienza.

Ciò ha alimentato una forte percezione nell’opinione pubblica che i costi sostenuti in termini di tassazione non si traducessero in livelli adeguati dei beni e dei servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche.

La concomitanza di questi fattori ha indotto nell’ultimo ventennio una riflessione sulla necessità di vincoli più rigorosi di bilancio ed un crescente interesse del dibattito pubblico per l’utilizzo delle risorse pubbliche. Alla necessità di attuare politiche di contenimento della spesa pubblica si è, quindi, associata quella di garantire una maggiore efficienza delle politiche pubbliche e di dar maggiore considerazione alle priorità e alle preferenze dei cittadini che sono i beneficiari ultimi della spesa stessa.

L’inserimento della valutazione del personale nelle organizzazioni pubbliche rappresenta uno dei principali fattori di svolta nella gestione strategica delle risorse umane.

L’importanza sempre crescente, che il performance management è venuto ad assumere nel corso del tempo, è diretta conseguenza dell’inversione di tendenza cui abbiamo assistito negli ultimi decenni, circa la considerazione dell’importanza e del ruolo che le risorse umane assumono all’interno di una qualsivoglia organizzazione.

Originariamente il processo di valutazione ha interessato quasi esclusivamente le organizzazioni operanti nel settore privato; negli ultimi anni, è divenuto un tema

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fondamentale che ha dato vita ad una serie di dibattiti e confronti anche nel settore pubblico, dopo essere stato per lungo tempo un argomento, oltreché secondario, addirittura sconosciuto in molti settori della Pubblica Amministrazione.

La scarsa produttività che ha caratterizzato le prestazioni pubbliche nell’ultimo cinquantennio ha fatto sì che gli interventi legislativi più recenti contengano continui e sempre più puntuali riferimenti alla necessità di introdurre e applicare in modo diffuso, nell’amministrazione pubblica italiana, principi e criteri aziendali in grado di coordinare la legittimità e la correttezza dell’azione amministrativa con l’efficacia delle politiche di intervento pubblico, l’efficienza nell’impiego delle risorse e l’economicità della gestione.

Tale esigenza trova fondamento nei principi di buon andamento ed di imparzialità, contenuti negli articoli 97 e 98 della Costituzione Italiana, che rappresentano i pilastri su cui si fonda l’attività della Pubblica Amministrazione.

Tuttavia, assicurare il rispetto di tali principi è stata una sfida notevole, in quanto vi è stata in passato la tendenza a non misurare affatto tale andamento e questo dato, da una parte, ha avuto delle gravi conseguenze in tema di efficienza dell’azione dell’attività amministrativa, e dall’altra parte, ha incentivato lo sviluppo di una normativa a riguardo.

Il punto di partenza è sicuramente rappresentato dalla Legge 241/1990, che pone regole e principi completamente nuovi rispetto a precedenti indirizzi, secondo i quali la riservatezza dell'azione amministrativa era diventata la regola. Si tratta di una legge di organizzazione che si affida alla capacità della Pubblica Amministrazione di adeguare il proprio ordinamento e di acquisire una nuova cultura amministrativa, ponendo su basi diverse l'antico rapporto di sostanziale subordinazione del cittadino rispetto alla Pubblica Amministrazione.

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Nel 1999, in attuazione della delega di cui all’art. 11 della legge 18 marzo 1997, n. 59, il decreto 286 ha ridefinito l’intero sistema dei controlli interni nelle Pubbliche Amministrazioni, apportandovi chiarimenti di carattere concettuale di notevole importanza, indicandone gli strumenti attuativi e prevedendo un nuovo assetto di controlli interni.

Dopo due anni, nel 2001, il decreto 165 ha previsto una disciplina sull’organizzazione degli uffici e dei rapporti di lavoro “alle dipendenze della Pubblica Amministrazione”, avente la finalità principale di “privatizzare” il pubblico impiego. Il 15 maggio 2009 il Consiglio dei Ministri ha varato lo schema di decreto legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni.

Il carattere innovativo del tema oggetto di regolamentazione, ha dato vita, fin dai primi giorni, ad un vivace dibattito sugli effetti che la riforma sarebbe stata destinata a produrre sul lavoro pubblico, soprattutto perché il Titolo II riguarda il tema dei controlli interni, la valutazione e trasparenza della performance.

Il Decreto prevede, infatti, l’attivazione di un ciclo generale di gestione della performance, al fine di consentire alle amministrazioni pubbliche di organizzare il proprio lavoro in una ottica di miglioramento della prestazione e dei servizi resi. Dal 2009 si sono succeduti vari interventi legislativi, volti a ridimensionare e migliorare la disciplina relativa a tale tema, come, ad esempio per ultimo la Legge Madia, che mira, da un lato, a ridurre gli oneri informativi posti a carico delle amministrazioni e, dall'altro, a introdurre regimi differenziati per la misurazione e la valutazione della performance in ragione della tipologia e delle dimensioni delle amministrazioni.

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Tale lavoro si pone l’obiettivo di fare un excursus dal punto di vista legislativo della disciplina prevista in materia di performance, ponendo particolare attenzione anche agli Organi principali che sono nati con il Decreto Brunetta del 2009, ovvero l’Organismo Indipendente di Valutazione e la CIVIT, ora ANAC, passando poi per l’esposizione e la spiegazione sugli strumenti utilizzati per la misurazione della performance.

Di seguito ci si è soffermati anche sulla disciplina prevista per gli Enti Locali ed i Ministeri, ma soprattutto, in ultima istanza, si cerca di capire i pro e i contro di questa disciplina, per valutare se, effettivamente gli obiettivi prefissati dalla Riforma sono stati raggiunti, quali sono i punti di forza e debolezza, e quali sarebbero i rimedi da attuare nel caso in cui tale sistema poi risulti avere dei tratti di inefficienza.

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9 CAPITOLO PRIMO

1.1 La Carta Costituzionale

L’art. 97 della Costituzione afferma che la pubblica amministrazione deve sempre agire in virtù dei parametri del buon andamento e dell’imparzialità, principi cardine evidenziati, peraltro, nella Carta di Nizza ai sensi dell’art.41, dove viene sancito il diritto ad una buona amministrazione.

La norma della Carta fondamentale ha previsto appositamente una riserva di legge in materia di organizzazione dei pubblici uffici, stabilendo che “gli uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge e che nell'ordinamento di questi sono fissati le competenze, le attribuzioni e le responsabilità dei funzionari”.

La soggezione alla legge di questa materia si giustifica, infatti, con la peculiarità del lavoro pubblico, consistente nell'esercizio di potestà pubbliche. In proposito la Corte Costituzionale ha precisato che non contrasta con tale principio la cosiddetta privatizzazione del pubblico impiego1, in quanto la materia del rapporto di lavoro, che ha assorbito nella disciplina di diritto privato, in particolare, la contrattazione collettiva, non è connessa all'aspetto pubblicistico dell’azione amministrativa.

Il principio di imparzialità, in combinato disposto con l'articolo 3 della Costituzione, afferma l'obbligo della pubblica amministrazione di svolgere la propria attività con obiettività e correttezza verso chiunque, senza introdurre surrettizie discriminazioni.

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Il buon andamento, principio costituzionale “cardine della vita amministrativa e quindi condizione dello svolgimento ordinato della vita sociale” (Corte Costituzionale Sentenza n. 123/1968), obbliga la Pubblica Amministrazione a svolgere la propria attività con modalità che ne garantiscano l'efficacia, l'efficienza, la speditezza e l'economicità.

Parte della dottrina, in un primo momento, aveva ritenuto che si trattasse di due principi correlati tra loro, quasi come se fosse possibile una reductio ad unum, ovvero una coincidenza tra i due come parte di un unico principio. In realtà, con la specificazione del principio di buon andamento, si è riconosciuta, invece, la loro autonomia, in quanto, proprio in tale principio, si

esplicita la natura prettamente programmatica della formulazione

costituzionale, per poi riconoscerne la giuridicità, identificando il principio con il dovere di buona amministrazione o, più semplicemente, con la buona amministrazione intesa in senso generico, fino a ricostruirla come principio di efficienza.

Il concetto di efficienza, come perseguimento del risultato, comincia ad emergere sia nella disciplina del rapporto di pubblico impiego, sia per le norme riguardanti gli enti pubblici.

Sulla base di queste conclusioni, possiamo dire che gli obiettivi desiderati nell’immaginario collettivo sono la tutela dell’interesse pubblico e la produzione di utilità collettive.

In poche parole, è necessario creare un’amministrazione che soddisfi le preferenze collettive e individuali, subordinate a vincoli di natura giuridica e di natura operativa.

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Tra i primi, bisogna ricomprendere la legalità, per quanto riguarda la fissazione degli obiettivi e i relativi comportamenti da attuare; l’efficacia in termini di utilità; l’efficienza in termini anche di impiego delle risorse e la trasparenza e l’imparzialità, quali principi generali che assicurano la qualità degli assetti organizzativi e delle procedure.

La misurazione della performance serve a migliorare la possibilità potenziale di perseguire nella società predeterminati obiettivi, nel rispetto di tali vincoli. Ai sensi dell’articolo 3 comma 1 del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici approvato con DPR n° 63/2013 “il dipendente osserva la Costituzione, servendo la Nazione con disciplina ed onore e conformando la propria condotta ai principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa. Il dipendente svolge i propri compiti nel rispetto della legge, perseguendo l'interesse pubblico senza abusare della posizione o dei poteri di cui è titolare”.

Pertanto, la normativa che è andata a svilupparsi nel tempo affonda le radici proprio nell’articolo 97 e nei principi di buon andamento e imparzialità che rappresentano, quindi, in un rapporto di causa - effetto, il perno di tutta l’evoluzione legislativa in materia di performance.

1.2. La legge 241 del 1990

Ma il vero input alla valorizzazione giuridica del risultato si è avuto con la celebrazione degli elementi di efficienza, efficacia ed economicità contenuti in nuce nel complessivo articolato della L. 241/1990.

Nella cura dell’interesse pubblico, l’amministrazione può avvalersi di strumenti di stampo privatistico, agendo in veste paritaria rispetto al privato

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cittadino; ma l’azione così posta in essere persegue l’interesse pubblico, sia che il soggetto agente sia pubblico o che sia un privato nell’esercizio di attività di interesse pubblico.

Ne deriva che i relativi atti devono sempre essere finalizzati alla realizzazione del fine pubblico ed essere rispondenti ai correlati principi costituzionali. Il riconoscimento normativo espresso si rinviene nel novellato art. 1, c. 1-bis, L. n. 241 del 1990, il quale precisa che “la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato, salvo che la legge disponga diversamente e che i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei principi ..”.

Ai sensi del comma 1-bis, l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, dalle disposizioni che disciplinano singoli procedimenti nonché principi dell’ordinamento comunitario.

La legge 7 agosto 1990 n. 241, nota come legge sul procedimento amministrativo, rappresenta il terminale di un percorso evolutivo che, sotto la spinta della dottrina e della giurisprudenza, ha mutato i rapporti tra pubblica amministrazione e cittadino sulla base dei principi della partecipazione, della trasparenza e dell’efficienza.

Invero, da tale archetipo legislativo emerge la fisionomia di

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nel rispetto di quest’ultima e del principio di imparzialità, anche quello di essere responsabile dei risultati.2

Uno degli aspetti più importanti di questa legge è il principio di trasparenza, la cui definizione è stata modificata negli anni successivi, da vari interventi legislativi.

L’articolo 11, comma 1 del decreto legislativo n 150 del 2009, che attua la L. n 15 del 4 Marzo del 2009, ha statuito che “la trasparenza è intesa come accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche, delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione svolta dagli organi competenti, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità”.

Il D.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 recante "Riordino della disciplina

riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni", adottato in

attuazione della L. n.190/2012, c.d. Testo Unico sulla trasparenza, ha posto al centro della disciplina della trasparenza principalmente gli obblighi di pubblicazione.

Ai sensi dell’articolo 1 comma 1, la trasparenza è stata definita “accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo

2 CAMMELLI M., Amministrazione di risultato, in M. Immordino – A. Police (a cura

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sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”.

Recentemente sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 132/2016, è stato pubblicato il D.lgs. n. 97/2016 recante “Revisione e semplificazione

delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell'articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, entrato in vigore il 23 giugno dello stesso anno.

Il decreto, che dà attuazione alla delega contenuta nell’art. 7 della Legge 124/2015, apporta importanti modifiche al D.lgs. n. 33/2013 con particolare riferimento all’ambito di applicazione degli obblighi e delle misure in materia di trasparenza della P.A.

In particolare, ai sensi del nuovo art. 1, comma 1, del suindicato decreto, la trasparenza è stata ora definita come “accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche.”.

Al di là delle novità legislative introdotte negli anni successivi, possiamo certamente dire che, la Legge 241 del 1990 concorre ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo delle risorse pubbliche nonché di buona amministrazione ed essa rappresenta, quindi, il punto di partenza per la formazione della disciplina della performance che, per

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un verso, prenderà spunto da questa, ma che per un altro verso, se ne discosterà attraverso i successivi interventi legislativi.

1.3 Il sistema dei controlli interni: il Decreto legislativo 286 del 1999

In conclusione, la riforma delle amministrazioni pubbliche può essere definita come un grande processo di trasformazione e di modernizzazione avviato fin dal 1990; negli anni successivi, il processo si è sviluppato, in termini normativi, con le leggi di riforma del controllo della Corte dei Conti sulle amministrazioni dello Stato nn. 19 e 20 del 1994, con le leggi n. 59 e n. 127 del 1997, con i provvedimenti di riforma del bilancio dello Stato, con il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286 sul nuovo sistema di controlli interni, con il decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 sull’ordinamento del lavoro nelle amministrazioni pubbliche e, più recentemente, con la legge 4 marzo 2009, n. 15 e il relativo decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 sull’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e sull’efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni.

La disciplina fondamentale dei controlli interni rappresenta la conseguenza di un diverso modo di amministrare fondato sui nuovi principi di indirizzo, di organizzazione e di gestione che si ispirano al metodo della programmazione e all’esigenza di realizzare l’efficienza, l’efficacia, l’economicità e la trasparenza dell’azione amministrativa.

Il sistema dei controlli interni, ai sensi degli articoli 2 a 6 del D.lgs. 286/1999, è costituito da:

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• il controllo di regolarità amministrativa e contabile, inteso a garantire la legittimità, la regolarità e la correttezza dell’azione amministrativa;

• il controllo di gestione, indirizzato a verificare l’efficacia, l’efficienza e l’economicità dell’azione amministrativa, per consentire ai dirigenti di ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati;

• la valutazione della dirigenza, necessaria per attivare la responsabilità dirigenziale;

• la valutazione e il controllo strategico, tesi a supportare l’attività degli organi di indirizzo politico-amministrativo e, pertanto, ad apprezzare l’adeguatezza - in termini di congruenza tra i risultati conseguiti e obiettivi predefiniti - delle scelte operanti dai dirigenti per attuare le direttive, i piani e i programmi stabiliti dagli organi di indirizzo politico-amministrativo.

Scopo della riforma è stato quello di introdurre all’interno della pubblica amministrazione il controllo gestionale, da intendersi come insieme equilibrato di strutture, metodi e procedure, idonei a realizzare una serie di obiettivi generali, quali lo svolgimento delle funzioni in modo regolare, economico, efficace ed efficiente, nonché la produzione di risultati e di servizi di qualità compatibili con la finalità dell’organizzazione.

Inoltre, essa è stata mirata alla salvaguardia delle risorse da sprechi, scorrettezze gestionali, frodi, abusi ed irregolarità, nonché al rispetto delle leggi e delle norme in genere ed alla disponibilità di un idoneo sistema di dati finanziari affidabili e alla corretta comunicazione dei dati stessi.

Quindi con questa nuova normativa, si può affermare che l’economia d’azienda ha cercato di fare il suo ingresso a pieno titolo nel contesto della

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Pubblica Amministrazione, fino a quel momento ancora troppo incentrata su cardini concettuali più del diritto amministrativo che non dell’economia d’azienda. L’oggetto del controllo interno è costituito dalle attività considerate nel loro insieme e quindi, in un solo termine, dai risultati raggiunti.

La logica di fondo del decreto, pertanto, è stata quello di predisporre un sistema di misurazione della performance, dal quale sarebbe dovuta derivare una responsabilizzazione sui risultati e un’incentivazione a creare “valore”. Il principio del controllo interno di regolarità amministrativa e contabile, perciò, è stato riportato nell’art. 147 del D.lgs. n.267/2000 - Testo Unico degli Enti locali (TUEL), finalizzato a “garantire la legittimità, regolarità e correttezza dell’azione amministrativa”.

Tuttavia, sul piano prettamente operativo, bisogna ammettere che soltanto il controllo interno di regolarità amministrativa contabile appare oggi ben consolidato nel suo funzionamento3. La ragione risiede, evidentemente, nel fatto che questo sistema di monitoraggio è quello tipicamente svolto dagli organi di revisione e dalla ragioneria in generale, le cui prassi operative di check that sono più tradizionali e collaudate.

Diversamente, gli altri controlli disciplinati dal decreto in esame hanno trovato nel tempo pochissimo spazio applicativo, soprattutto a causa della difficoltà di organizzare in modo organico le informazioni necessarie per effettuare le relative misurazioni.4

3 CERULLI IRELLI V., LUCIANI F., I principi generali, in AA.VV., “Il sistema dei controlli

interni nelle pubbliche amministrazioni”, a cura di E. F. Schlitz, Milano, Giuffrè ed., 2002, pp.

1-20.

4 CAMMELLI M. (a cura di), Il sistema dei controlli interni dopo il d. lgs. . 286/99, Quaderni

della Spisa - Scuola di specializzazione in studi sull’amministrazione pubblica, Maggioli

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Tali difficoltà operative si sono ribaltate sul funzionamento della valutazione della dirigenza che, per espressa disposizione di legge, si sviluppa sulla base anche dei risultati del controllo di gestione perché da questo trae la sua origine. Infatti, l’intero meccanismo di valutazione di cui all’art. 5 si presenta incerto, soprattutto perché, non si rinvengono altrettanti stringenti strumenti per la valutazione del personale non dirigenziale.

Invero, l’introduzione di un nuovo sistema “collaborativo” di controlli in sostituzione del sistema conosciuto (e temuto) dei controlli “repressivi”, e la specifica natura di controlli interni, la cui attuazione è lasciata alla libera determinazione degli enti, ha trovato impreparati gli enti stessi non abituati a organizzare sedi e momenti di verifica dell’attività posta in essere.

1.4. La responsabilità dirigenziale secondo il d.lgs. 165/2001.

Il management, anche in contesti organizzativi caratterizzati da elevata complessità, quale quello delle pubbliche amministrazioni, nasce, dunque, dall’integrazione di due esigenze: una, sicuramente, è quella di portare a termine l’attività e l’altra, in secondo luogo, è quella dell’ottimale raggiungimento del risultato con il minore spreco di risorse.

Un ruolo di primo piano è stato assegnato ai dirigenti pubblici, considerati in una veste profondamente rinnovata. Proprio per questo, si è creata una connessione tra la contrattualizzazione del rapporto di lavoro del dirigente pubblico e la responsabilità dirigenziale.

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La configurazione della responsabilità dirigenziale ha l’obiettivo di migliorare l’efficienza dell’azione amministrativa e quindi migliorare la qualità della stessa performance amministrativa.

Al fine di attuare questo obiettivo fondamentale, il Testo Unico del pubblico impiego - ossia il decreto legislativo n°165 del 2001 – ha attribuito al Dirigente pubblico poteri, appunto, di management, dai quali deriva una responsabilità di risultato legata al sistema di valutazione della performance, che è stato successivamente introdotto nel 2009 con la Riforma Brunetta. Cosi come tutti i funzionari pubblici, il Dirigente pubblico è soggetto alla responsabilità civile, penale e disciplinare.5

Il d.lgs. 165/2001 ha riconosciuto per i dirigenti, inoltre, anche l’imputabilità della responsabilità dirigenziale, come particolare tipo di responsabilità aggiuntiva individuale imputabile solo ai soggetti titolari di funzioni dirigenziali, i quali detengono un ampio ed autonomo potere di gestione. In particolare, l’art. 21 comma 1, ha radicato la responsabilità dirigenziale in due specifiche fattispecie: il mancato raggiungimento degli obiettivi, accertato attraverso le risultanze del sistema di valutazione, e l'inosservanza delle direttive imputabili al dirigente.

Si tratta di elementi che comportano, previa contestazione e ferma restando l'eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo, l'impossibilità di rinnovo dell’incarico dirigenziale, la revoca dell’incarico e, nei casi più gravi, il recesso dal rapporto di lavoro. Negli ultimi anni si è assistito ad una continua espansione di nuove fattispecie, che difficilmente rientrano nella definizione originaria di responsabilità

5 BOLOGNINO D., La dirigenza pubblica statale tra autonomia e responsabilità, Padova, Cedam,

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dirigenziale, come meccanismo tendente al rafforzamento

dell’amministrazione di risultato.

La prima novità, è stata introdotta nel 2009, attraverso una modifica apportata con il d.lgs. 150/2009, il c.d. decreto Brunetta, proprio all’art. 21 del d.lgs. 165/2001 (tramite l’introduzione del comma 1 bis), mediante l’articolo 41 che stabilisce la possibilità di riconoscere la responsabilità dirigenziale laddove il dirigente abbia posto in essere colpevolmente “la violazione del dovere di vigilanza sul rispetto, da parte del personale assegnato ai propri uffici, degli standard quantitativi e qualitativi fissati dall'amministrazione”.

Accanto alla modifica dell’art. 21 comma 1 bis del d.lgs. 165/2001, abbiamo assistito alla proliferazione di una serie di norme più o meno coerenti con il meccanismo del primo comma dell’art. 21, che hanno stabilito nuove fattispecie di imputabilità della responsabilità dirigenziale in capo al dirigente pubblico.

Ad esempio, l’art. 7 della L. 69 del 18 giugno 2009 che ha modificato l’art. 2 della legge 241/1990, stabilisce che “la mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance individuale” e nel caso in cui il dirigente sia inadempiente, costui “sarà penalizzato nel trattamento economico accessorio in caso di gravi e ripetute violazioni”6.

Con tale serie di norme, il legislatore dal 2009 in poi ha chiaramente invertito la rotta dell'istituto della responsabilità dirigenziale, ampliandone e modificandone la natura.

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21 1.5 La riforma Brunetta.

Il D.lgs. n. 150/2009, per realizzare l’obiettivo di ottimizzare la produttività` del lavoro pubblico e l’efficienza e la trasparenza delle pubbliche amministrazioni ha ridisegnato funzioni, responsabilità e poteri del Dirigente della pubblica amministrazione e ha reso il rapporto tra il dirigente e i suoi dipendenti sempre più` simile a quello delle imprese private.

Il decreto, che si compone di 74 articoli, presenta un contenuto molto ampio, che spazia dalla disciplina della misurazione, valutazione e trasparenza della performance, a quella relativa alla valorizzazione del merito e all’erogazione dei premi per i risultati conseguiti.

Innanzitutto, il decreto attuativo è intervenuto sulla disciplina degli incarichi dirigenziali. Il legislatore, infatti, consapevole delle criticità emerse in passato nella gestione degli incarichi dirigenziali e della situazione di “precarietà`” della dirigenza7, ha voluto porre dei limiti alla discrezionalità` dei vertici politici nella scelta dei dirigenti cui conferire gli incarichi mediante l’introduzione di criteri da rispettare per l’attribuzione degli stessi.

La riforma, infatti, prova a limitare lo spoil system esclusivamente sul lato degli incarichi dirigenziali, incentrandosi sulla procedura per l’affidamento e revoca degli incarichi, il cui scopo è, appunto, quello di evitare scelte dettate solo dalla fiducia.8

I dirigenti sono i veri responsabili dell’attribuzione dei trattamenti economici accessori in quanto ad essi compete la valutazione della performance

7 CASSESE, La dirigenza di vertice tra politica e amministrazione: un contributo alla riflessione,

ivi, 2005, 1041 e segg.

8 OLIVIERI L., Il nuovo ordinamento del lavoro pubblico. Il D.lgs. 150 /2009 commentato dopo

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individuale di ciascun dipendente, secondo criteri certificati dal sistema di valutazione. La nuova normativa valorizza dunque la figura del dirigente, il quale avrà a disposizione reali e concreti strumenti per operare e sarà sanzionato, anche economicamente, qualora non svolga efficacemente il proprio lavoro.

E’ stata promossa la mobilità, sia nazionale che internazionale, dei dirigenti e si è previsto che i periodi lavorativi svolti dovranno essere tenuti in considerazione ai fini del conferimento degli incarichi dirigenziali.

Tra i temi fondamentali vi è sicuramente, ancora di più, il principio di trasparenza, intesa come accessibilità totale di tutte le informazioni concernenti l’organizzazione, gli andamenti gestionali, l’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali e dei risultati, l’attività di misurazione e valutazione, per consentire forme diffuse di controllo interno ed esterno (anche da parte del cittadino).

L’asse della riforma è da ricercare, inoltre, nell’attribuzione selettiva degli incentivi economici e di carriera, in modo da premiare i capaci e i meritevoli, invertendo la generale tendenza alla distribuzione a pioggia dei benefici che da decenni si verifica nella pubblica amministrazione.

Il fulcro di questa Riforma sicuramente è rappresentato dalla valutazione della performance.

Il decreto ha voluto realizzare il passaggio dalla cultura dei mezzi (input) a quella dei risultati (output ed outcome), al fine di produrre un tangibile miglioramento della performance delle amministrazioni pubbliche. Per facilitare questo passaggio si è voluto mettere il cittadino-cliente al centro della programmazione degli obiettivi, grazie al concetto di customer

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satisfaction, da raggiungere mediante la trasparenza e la rendicontazione; si è rafforzato, inoltre, il collegamento causale tra retribuzione e performance. Di particolare rilievo è anche il principio della inderogabilità della legge da parte della contrattazione, a meno di specifica indicazione della legge stessa, posto dal legislatore in apertura della legge n. 15/2009 cui viene data puntuale attuazione nel decreto legislativo in ragione della peculiarità dirigenza pubblica.

Quanto alle norme in materia di disciplina, il decreto ha voluto determinare, in primo luogo, una semplificazione dei procedimenti ed un incremento della loro funzionalità, soprattutto attraverso l’estensione dei poteri del dirigente della struttura in cui il dipendente lavora, la riduzione e la perentorietà dei termini, il potenziamento dell’istruttoria, l’abolizione dei collegi arbitrali di impugnazione e la previsione della validità della pubblicazione del codice disciplinare sul sito telematico dell’amministrazione.

1.6 Gli interventi legislativi dopo la Riforma Brunetta

Il centro tematico della riforma del 2009 è stato, sicuramente, quello di cercare di individuare i soggetti che comandano nella amministrazione/azienda e quelli che esercitano la funzione datoriale e la funzione imprenditoriale. Pertanto si tratta di dover comprendere se la riforma ha previsto e, quindi, realmente determinato nuovi assetti della governance destinati ad avere effetti tangibili e duraturi, soprattutto per quanto riguarda il tema del ruolo della dirigenza.

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L’attore principale del sistema amministrativo, riformato dal legislatore del 2009, cui è stata affidata la funzione di snodo, di fulcro dell’intero processo di nuova governance, vale a dire la dirigenza pubblica, si trova, nuovamente, al centro di un processo di ri-orientamento delle proprie responsabilità e poteri, e di ricollocamento rispetto al rapporto con il potere politico e nella ricerca del punto di equilibrio con quest’ultimo. In questa ricerca di equilibrio, certamente, si possono rintracciare criticità attuative del disegno di riforma, pur essendo in fondo trascorsi, pochi anni dalla sua attuazione.

Ciò premesso, manca una puntuale e chiara definizione della dirigenza come datore di lavoro pubblico9, ma non può sfuggire l’importanza di un assunto di fondo della riforma: l’enfasi sulla valutazione della performance del dirigente come strumento per innestare nel tessuto della Pubblica Amministrazione una coerente tensione al risultato e all’organizzazione. La traduzione di questa tensione in assetti operativi della dirigenza pubblica è, forse, anche il principale problema lasciato aperto dalla riforma del 2009.

Come sottolineato precedentemente, la riforma, proposta con il decreto Brunetta, ha certamente voluto perseguire obiettivi ambiziosi, proponendo una sorta di rivoluzione del modo di pensare, architettare e gestire le pubbliche amministrazioni, attraverso un’articolata disciplina sulla performance amministrativa.

Dopo numerosi dibattiti, possiamo dire che la stessa riforma ha certamente comportato il passaggio, nelle intenzioni, da una logica di mero controllo ad una di miglioramento continuo, affrontando il concetto stesso di performance

9 D’ALESSIO G. , Le norme sulla dirigenza nel decreto legislativo di attuazione della legge

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da un punto di vista multidimensionale, ma manca di una disciplina uniforme più specifica.

Il sistema dei controlli interni del 1999, non è stato solamente riformato dalla riforma Brunetta, ma anche nel 2012, ad opera del decreto legge n° 174 convertito nella legge 7 dicembre 2012, n. 213 .10

Proprio quest’ultimo, all’articolo 3, ha riformulato l’articolo 147 del TUEL ed introdotto ex novo gli artt. 147-bis, “controllo di regolarità amministrativa e contabile”, art.147ter “controllo strategico”, art.147-quater “controllo sulle Società partecipate non quotate”, art.147-quinquies “controllo sugli equilibri finanziari”, delineando un sistema circolare di controlli interni che coinvolge le strutture operative di controllo interno, il vertice politico-amministrativo, i dirigenti, i dipendenti pubblici, ognuno con le proprie specifiche responsabilità. Il rinnovato impianto normativo individua sei tipologie di controllo interno: il controllo contabile-amministrativo, il controllo strategico, il controllo di gestione, il controllo sugli organismi partecipati, il controllo sugli equilibri finanziari e, da ultimo, il controllo sulla qualità dei servizi e sulla soddisfazione degli utenti.

Tra gli interventi legislativi più recenti, è importante ricordare in tale contesto che è entrato in vigore, il 2 luglio 2016, il decreto del Presidente della Repubblica del 9 maggio 2016, n.105, pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 17 giugno 2016, n. 140 che regolamenta le funzioni del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri in materia di valutazione della performance delle pubbliche amministrazione.

10 COSTA A., Evoluzione sistema dei controlli interni, in AA.VV., Il sistema dei controlli a

supporto della funzionalità degli enti locali, a cura di A. Costa, Torino, G. Giappichelli Editore,

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Esso ha affidato al Dipartimento della funzione pubblica le funzioni di promozione e di coordinamento delle attività di valutazione della performance delle amministrazioni pubbliche, attraverso l’elaborazione di norme che riguardano la revisione e semplificazione degli adempimenti a carico delle amministrazioni pubbliche, al fine di valorizzare le premialità nella valutazione della performance, organizzativa e individuale, la progressiva integrazione del ciclo della performance con la programmazione finanziaria, il raccordo con il sistema dei controlli interni, la valutazione indipendente dei sistemi e risultati e la revisione della disciplina degli organismi indipendenti di valutazione.

A seguito di una innovativa e positiva consultazione pubblica, infatti, il Parlamento ha approvato definitivamente il disegno di legge delega di riforma della pubblica amministrazione che si è tradotto nella Legge n 124 del 7 Agosto 2015, recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione

delle amministrazioni pubbliche”, meglio conosciuta come Legge Madia.

La riforma in questione, che ha consentito una discussione aperta da parte dei cittadini su temi altamente sensibili ed attuali, in un’ottica di propulsione innovativa, si propone di perseguire l’accelerazione e semplificazione delle procedure di fornitura dei servizi ai cittadini, alle imprese e alla collettività, puntando a contrastare il peso della burocrazia e a ridurre la necessità dell’accesso fisico alle sedi degli uffici pubblici, in modo tale da liberare tempo per consentire una più adeguata conciliazione dei tempi di vita, famiglia e lavoro. Più in particolare, s’intende perseguire il non nuovo e ambizioso obiettivo di far dialogare maggiormente le amministrazioni pubbliche con i cittadini e le imprese ed attivare un efficace e virtuoso

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sviluppo della digitalizzazione dei processi lavorativi ed organizzativi del sistema delle pubbliche amministrazioni.

Per l’appunto, la necessità di concretizzare tali propositi si evince nella lettera dell’art. 17 lettera r) della L. n.124/2015, il quale, nell’ottica di un riordino dell’intera disciplina del lavoro alle dipendenza della P.A., impone “la semplificazione delle norme in materia di valutazione dei dipendenti pubblici, di riconoscimento del merito e di premialità; razionalizzazione e integrazione dei sistemi di valutazione, anche al fine della migliore valutazione delle politiche; sviluppo di sistemi distinti per la misurazione dei risultati raggiunti dall'organizzazione e dei risultati raggiunti dai singoli dipendenti; potenziamento dei processi di valutazione indipendente del livello di efficienza e qualità dei servizi e delle attività delle amministrazioni pubbliche e degli impatti da queste prodotti, anche mediante il ricorso a standard di riferimento e confronti; riduzione degli adempimenti in materia di programmazione anche attraverso una maggiore integrazione con il ciclo di bilancio; coordinamento della disciplina in materia di valutazione e controlli interni; previsione di forme di semplificazione specifiche per i diversi settori della pubblica amministrazione”.

In base proprio a questa disposizione, si è provveduto ad attuare una serie di cambiamenti legislativi, che hanno inciso anche sulla figura dell’Organismo indipendente di valutazione (OIV) che deve essere obbligatoriamente istituito da ogni amministrazione, singolarmente o in forma associata, come previsto dal D.lgs. n.150 del 2009.11

11 Articolo 14 del d. lgs. 150 del 2009, comma 1 ” Ogni amministrazione, singolarmente o in

forma associata, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, si dota di un Organismo indipendente di valutazione della performance. “

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Tale organismo, difatti, assume un ruolo fondamentale per il buon funzionamento delle previsioni normative che riguardano il monitoraggio del funzionamento complessivo del sistema della valutazione, della trasparenza e integrità dei controlli interni e l’elaborazione di una relazione annuale sullo stato dello stesso.

Inoltre l’Organismo Indipendente di Valutazione esercita una funzione decisiva per l’analisi e la comunicazione tempestiva delle criticità riscontrate ai competenti organi interni, nonché alla Corte dei Conti, all’Ispettorato per la funzione pubblica e alla Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche.

In particolare, la Commissione per la valutazione, la trasparenza e

l’integrità dell’Amministrazione Pubblica (CIVIT), ai sensi dell’art. 13

comma 8 del D. Lgs. n. 150/2009, verifica circa l’effettiva adozione del Programma Triennale per la trasparenza e l’integrità (ora sostituito dal Piano triennale per la prevenzione della corruzione ai sensi dell’art. 2 bis della Legge n.190 del 2012) e vigila sul rispetto degli obblighi in materia di trasparenza. Come riportava il sito della CIVIT, “la legge affida alla Commissione, chiamata ad operare in posizione di indipendenza di giudizio e di valutazione e in piena autonomia, il non facile compito di indirizzare, coordinare e sovrintendere all’esercizio delle funzioni di valutazione, garantendo la trasparenza dei sistemi adottati e la visibilità degli indici di andamento gestionale delle amministrazioni pubbliche”.

Appare doveroso ricordare che, la CIVIT rappresenta uno dei perni fondamentali della riforma Brunetta, in quanto rappresenta uno degli organismi che ha il non facile compito di indirizzare, coordinare e

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sovrintendere tutto il sistema di valutazione della P.A, anche mediante la fornitura in rete di un’accorta selezione di strumenti utili a consentire alle istituzioni e ai cittadini di “operare” un partecipato controllo di gestire “la cosa pubblica”, prevenendo il grave fenomeno della corruzione.12

Dopo l’emanazione del D.L. 101 del 2013 convertito, nella Legge n 125 del 2013, quella che era nata come CIVIT ha assunto la denominazione di ANAC (Autorità nazionale anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche).

In seguito, il Decreto Legge n. 90/2014 ha rinominato l’ANAC come Autorità Nazionale Anticorruzione ed ha affidato al Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri le funzioni in materia di misurazione e valutazione della performance di cui all’art.13 del D.lgs. n.150/2009 in precedenza affidate all’ARAN e poi attribuite all’ANAC.

Sulla base dell’art.19, comma 6, del D.L. n. 90/2014, è stato emanato il Regolamento approvato con il DPR. n.105 del 2016 che riordina le funzioni in materia di misurazione e valutazione della performance trasferite al Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri. L’art.4 del D.P.R n 105/2016 prevede l’istituzione di una Commissione tecnica per la performance, strutturata come organo consultivo, che dovrebbe definire i parametri e i modelli di riferimento del Sistema di misurazione e valutazione della performance e adottare le linee guida per la predisposizione del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità (art. 11) e per la qualità dei servizi pubblici, nonché i requisiti per la nomina dei membri dell'Organismo indipendente di valutazione, la promozione di analisi

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comparate della performance delle amministrazioni pubbliche sulla base di indicatori di andamento gestionale e la loro diffusione attraverso la pubblicazione nei siti istituzionali ed altre modalità ed iniziative ritenute utili e la redazione di una graduatoria di performance delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali.

Al Dipartimento della funzione pubblica è stato affidato, inoltre, il compito di promuovere la costituzione della Rete Nazionale per la valutazione delle amministrazioni pubbliche, al fine di valorizzare le esperienze di valutazione esterna delle pubbliche amministrazioni.

E proprio il D.P.R. n. 105/2016 prevede allo stesso art.6, la formazione di un Elenco Nazionale dei componenti degli Organismi Indipendenti di valutazione della performance (OIV), al quale possono essere iscritti i soggetti in possesso dei requisiti stabiliti mediante il Decreto del Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione 2 dicembre 2016 pubblicato sulla “Gazzetta ufficiale” del 18 gennaio 2017 n.14.

L’iscrizione nell’Elenco diviene condizione necessaria per poter partecipare alle procedure comparative, con le quali si perviene alle nuove nomine degli OIV nelle amministrazioni pubbliche e interessa pertanto anche gli Enti locali. L’Elenco, che sarà articolato in fasce per tenere conto delle esperienze professionali maturate, verrà gestito con modalità telematiche al fine di renderne facile l’accesso agli enti accreditati ed ottemperare anche alle normative sulla pubblicità.

Per quanto riguarda i requisiti necessari per poter essere iscritti in questo Elenco, oltre a quelli generali (cittadinanza italiana o comunitaria, godimento dei diritti civili e politici, non aver riportato condanne penali o essere stati

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destinatari di provvedimenti giudiziari iscritti nel casellario giudiziale) e di integrità (non essere stati condannati per uno dei reati previsti dal libro II, titolo II, capo I del codice penale, non aver riportato condanne per danno erariale, non essere stati motivatamente rimossi come OIV da precedenti incarichi, se dipendenti pubblici non essere stati destinatari di sanzioni disciplinari superiori alla censura) sono contemplati quelli di competenza ed esperienza 13 :

 Essere in possesso di diploma di laurea (vecchio ordinamento) o laurea specialistica o laurea magistrale;

 Essere in possesso di comprovata esperienza professionale di almeno cinque anni, maturata presso pubbliche amministrazioni o aziende private, nella misurazione e valutazione della performance organizzativa e individuale, nella pianificazione, nel controllo di gestione, nella programmazione finanziaria e di bilancio e nel risk management.

I soggetti interessati che hanno i requisiti e intendono iscriversi dovranno presentare la propria domanda attraverso l’apposito portale andando ad inserire tutte le informazioni richieste e compilando il curriculum vitae sul format standard impostato.

Sarà poi il Dipartimento della funzione pubblica a convalidare la completezza delle informazioni fornite e a verificare, su base campionaria, che le informazioni pubblicate siano effettivamente corrette.

Il Governo, pertanto, va ad intervenire sui requisiti professionali degli OIV, disciplinando una materia che, nonostante fosse già stata introdotta con il “decreto Brunetta”, non era mai stata effettivamente regolamentata.

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Il decreto emanato il 2 dicembre dello scorso anno, per certi versi, ha migliorato la disciplina che era prevista per i revisori locali, dal momento che ora contempla la possibile iscrizione con requisiti di esperienza non riconducibili esclusivamente all’attività libero professionale, come invece è previsto per i revisori.

Nel nuovo scenario politico amministrativo, l’applicazione della riforma Madia, dunque, si propone come una sfida ambiziosa, poiché per raggiungere risultati positivi è necessario disporre di un lasso di tempo di 3-5 anni, nel quale occorre creare una serie di “condizioni politiche e culturali” necessarie per realizzare un’efficace implementazione delle riforme.14

Si tratta di creare un nuovo modello organizzativo di tipo policentrico, ispirato ai principi del decentramento, alla sussidiarietà e all’autonomia funzionale, non orientato al solo rispetto formale della norma, ma al raggiungimento degli obiettivi.

1.7 La Riforma della Pubblica Amministrazione e le recenti modifiche al testo unico del pubblico impiego e la valutazione delle performance

Nella seduta del 23 febbraio 2017, rubricata al n. 14, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Maria Anna Madia, ha approvato in esame preliminare 5 decreti legislativi contenenti disposizioni di attuazione della legge 7 agosto 2015, n. 124, due dei

14 COCOZZA A. Persone organizzazioni lavori. Esperienze innovative di comunicazione

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quali con specifico riferimento alle materie del pubblico impiego e della valutazione della performance dei dipendenti pubblici.15

In primis, con il decreto in materia di pubblico impiego si introducono modifiche ed integrazioni al Testo unico del pubblico impiego (decreto

legislativo 30 marzo 2001, n. 165), dirette a perseguire obiettivi di diverso

genere. In particolare si prevedono il progressivo superamento del concetto di “dotazione organica”, nel rispetto dei limiti di spesa, attraverso l’introduzione del nuovo strumento del “Piano triennale dei fabbisogni”, definendo gli obiettivi di contenimento delle assunzioni, differenziati secondo gli effettivi fabbisogni e la rilevazione delle competenze dei dipendenti; in materia di lavoro flessibile viene stabilito a regime, il divieto per le PP.AA. di stipulare contratti di collaborazione e vengono introdotte procedure specifiche per l’assunzione a tempo indeterminato di personale in possesso dei requisiti; nonché vengono inserite nuove norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti, per accelerare e rendere effettiva l’azione disciplinare e viene agevolata l’integrazione di persone con disabilità nell’ambiente lavorativo, anche con l’istituzione di una specifica Consulta nazionale.

Di fondamentale importanza si mostrano le modifiche, contenute in un secondo decreto, apportate al Decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, in attuazione dell’art.17 lett. r) della Legge n. 124 del 2015, con l'obiettivo di semplificare le norme sulla valutazione dei dipendenti pubblici e in tema di riconoscimento del merito e della premialità, nonché di adottare sistemi di valutazione razionali e integrati, facilitando la disciplina in materia di valutazione e controlli interni. Si evidenzia che il rispetto delle norme sulla

15 Vd. ALTALEX, Riforma P.A. ok a decreti attuativi e testo unico, 24/02/2017, in

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valutazione della performance costituisce condizione necessaria per

l'erogazione di premi e rileva anche ai fini del riconoscimento di progressioni economiche, dell'attribuzione di incarichi di responsabilità al personale e del conferimento degli incarichi dirigenziali. Inoltre la performance va misurata e valutata con riferimento all’amministrazione nel suo complesso, alle unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola e ai singoli dipendenti o gruppi di dipendenti, e la sua eventuale valutazione negativa rileverà anche ai fini dell'accertamento della responsabilità dirigenziale.16

Si stabilisce che accanto agli obiettivi specifici di ciascuna P.A. è introdotta la categoria degli "obiettivi generali", che identificano le attività prioritarie delle pubbliche amministrazioni, coerentemente con le politiche nazionali, definiti in base al comparto di contrattazione collettiva di appartenenza.

Gli OIV (organismi indipendenti di valutazione), secondo le modifiche introdotte, dovranno verificare l'andamento delle performance rispetto agli obiettivi programmati e segnalare eventuali necessità di interventi correttivi, in base alle risultanze dei sistemi di controllo strategico e di gestione presenti

nell'amministrazione ed, inoltre, nella misurazione

della performance individuale dei dirigenti, sarà, anche, fondamentale

guardare ai risultati della misurazione e valutazione

della performance dell’ambito organizzativo di cui essi hanno diretta responsabilità. Infine, sono stati previsti nuovi meccanismi di distribuzione delle risorse destinate a remunerare la performance, affidati al contratto collettivo nazionale.

16 Prima cit. ALTALEX, Riforma P.A. ok a decreti attuativi e testo unico, 24/02/2017, in

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Il CCNL sarà tenuto a stabilire la quota di risorse destinate a remunerare, rispettivamente, la performance organizzativa e quella individuale, nonchè i

criteri idonei a garantire che a valutazioni differenziate

delle performance corrispondano coerentemente trattamenti economici

differenziati.17

L’iter legislativo si è concluso con l’approvazione del Consiglio dei Ministri dei suddetti decreti legislativi, in data 19 maggio 2017, tenendo conto di tutte le osservazioni formulate dalle varie Commissioni e dal Consiglio di Stato. Si riserva una maggiore analisi nell’ultimo capitolo.

17 Contenuto nella decisione del Consiglio dei ministri n.14 in

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36 CAPITOLO SECONDO

2.1 Cosa si intende per performance?

Nonostante si tratti di un concetto caratterizzato da un elevato carattere di multidimensionalità, si rende necessario dare una definizione univoca di “sintesi” del concetto di performance: essa, pertanto, può essere definita come

il contributo ( risultato e modalità di raggiungimento dello stesso) che un’entità (individuo, gruppo di individui, unità organizzativa, organizzazione

o politica pubblica) apporta attraverso la propria azione al raggiungimento delle finalità e degli obiettivi e, in ultima istanza, alla soddisfazione dei bisogni per i quali l’organizzazione è costituita.18

Tale definizione, oltre a ricomprendere l’ampiezza e la profondità del concetto di performance, evidenzia che il cuore di tale concetto è costituito dalla concatenazione logica del ciclo bisogni-obiettivi-azioni-risultati-effetti.

Detta in altri termini, l’esistenza di questa concatenazione logica è la precondizione per misurare, valutare e comunicare le performance, senza la quale il contributo, apportato da ogni individuo attraverso la sua azione, rimarrebbe privo di senso ed utilità.

Tale impostazione è fissata nell’articolo 4, comma 2 , lettera b) della legge 15/2009, che prevede tra i principi cui il Governo dovrà attenersi nell’esercizio della delega: “ l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di

predisporre, in via preventiva, gli obiettivi che l’amministrazione si pone per

ciascun anno e di rilevare, in via consuntiva, quanta parte degli obiettivi

18 HINNA L. , VALLOTTI G., BARBIERI M., MAMELI S., MONTEDURO F., “Gestire e

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37 dell’anno precedente è stata effettivamente conseguita, assicurandone la

pubblicità per i cittadini, anche al fine di realizzare un sistema di indicatori di produttività e di misuratori di qualità del rendimento del personale, correlato al rendimento individuale ed al risultato conseguito dalla struttura”.

La tematica delle performances e degli strumenti attraverso i quali misurarle, gestirle e valutarle, ha assunto nel tempo una posizione di notevole centralità all’interno delle riforme della Pubblica Amministrazione, sia a livello internazionale, sia all’interno del nostro ordinamento.

Infatti, le dinamiche evolutive del contesto socio- economico e politico della moderna società hanno determinato evidenti ripercussioni sull’atteggiamento dei cittadini, sempre meno propensi a rivestire il ruolo di destinatari passivi delle politiche pubbliche e sempre più propensi, piuttosto, a partecipare nell’attività di valutazione dell’azione pubblica e ad esserne protagonisti.

2.2. Linee generali della Riforma Brunetta sotto il profilo giuridico ed economico.

La pubblica amministrazione ha il dovere e l’onere di impegnarsi profondamente per raggiungere obiettivi sempre più ambiziosi di efficacia, efficienza e produttività, proprio nel rispetto dei cittadini, affinché possano fruire di servizi adeguati alla soddisfazione delle loro esigenze, nel rispetto della loro dignità e della qualità di clienti-contribuenti che essi rivestono. La responsabilità delle pubbliche amministrazioni nei confronti dei cittadini risulta essere strettamente correlata con il concetto di valutazione. In

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particolare, si tratta di predisporre un sistema di valutazione oggettiva dell’operato di ogni pubblica organizzazione, che fondi la propria esistenza su precisi standards definiti a livello nazionale (da adattare ovviamente alle caratteristiche specifiche di ciascuna organizzazione), definendo a monte adeguati e precisi obiettivi.

Da tali considerazioni muove l’innovativa riforma delle pubbliche amministrazioni intervenuta alla fine del primo decennio degli anni 2000, ovvero il Decreto Legislativo n. 150 del 27 ottobre 2009, di attuazione

della Legge 4 marzo 2009 n. 15 in materia di ottimizzazione della

produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, più comunemente conosciuta con l’appellativo di “Riforma

Brunetta” ,dal nome del ministro dal quale è stata concepita e voluta.

La normativa in parola, introducendo regole rigide, vincolanti ed imperative per tutti gli organismi pubblici in materia di valutazione del personale, ha tentato di introdurre un sistema che valorizza, in particolare, il principio di meritocrazia, per la valutazione della performance svolta dai soggetti del contesto pubblico.

Il Decreto Legislativo 150 del 2009 è nato dall’esigenza di introdurre un cambiamento radicale nel settore del lavoro pubblico, come risposta forte e decisa al malcontento diffuso e generalizzato avvertito dai cittadini italiani che mal sopportano, oggi in misura, se vogliamo, ancora più marcata, l’arretratezza e l’inefficienza della pubblica amministrazione, una grande azienda che produce beni e servizi fondamentali per il cittadino, ora nelle vesti di cliente finale.

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Le responsabilità maggiori in merito al malfunzionamento della Pubblica Amministrazione sono sicuramente da imputare, da un lato ai governi politici di qualsivoglia orientamento susseguitisi nel corso del tempo, i quali sono stati più inclini ad accrescere il proprio potere e il consenso piuttosto che a delineare un’organizzazione pubblica in grado di garantire la piena soddisfazione dei cittadini, dall’altro agli stessi dirigenti degli organismi pubblici molto spesso impreparati ed inadeguati allo svolgimento delle funzioni ad essi spettanti.

Il decreto legislativo 150 dell’anno 2009, come precedentemente affermato, ha tradotto in norme giuridiche vincolanti ed imperative i principi contenuti nella legge delega del 4 marzo 2009 n. 15, la quale ha previsto una profonda correzione degli elementi più rilevanti nel contesto della disciplina del lavoro presso le pubbliche amministrazioni. Gli obiettivi di fondo che la summenzionata riforma si propone di conseguire possono essere focalizzati in alcuni punti:

Assicurare standard qualitativi elevati nei servizi resi ai cittadini e quindi incentivare la qualità della prestazione lavorativa;

Migliorare l’organizzazione del lavoro all’interno delle pubbliche amministrazioni;

Introdurre una cultura dominante di valutazione della performance del

personale e dei dirigenti;

Riconoscere meriti e demeriti del personale pubblico (compreso quello dirigente);

Rafforzare l’autonomia, la responsabilità ed i poteri della dirigenza pubblica;

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40  Incrementare l’efficienza del lavoro pubblico e contrastare la scarsa

produttività e l’assenteismo;

Promuovere la trasparenza dell’operato delle amministrazioni pubbliche a garanzia e tutela della legalità 19

Invero, il decreto si è caratterizzato come una svolta, anche culturale sul versante della gestione delle Pubbliche Amministrazione, perché ha voluto fornire una riforma organica della disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, allo scopo di accrescerne l’efficienza, di razionalizzare il costo del lavoro, intervenendo sulla contrattazione collettiva, sulla valutazione delle strutture del personale, sulla valorizzazione del merito, sulla promozione delle pari opportunità sulla dirigenza pubblica e sulla responsabilità disciplinare.20

In questa normativa si è sostanziata l’ambizione di rivoluzionare l’approccio di riforma del lavoro nelle pubbliche amministrazioni, fornendo strumenti che vogliono essere operativi e non solo formali.

Cambiamenti importanti sono stati previsti per tutti i soggetti coinvolti nella riforma: per i cittadini, la legge si è proposta di garantire maggiore trasparenza sull’organizzazione, sui servizi, sulle performance, per consentire forme partecipate di controllo. L’obiettivo è assicurare più partecipazione attraverso sistemi organici di rilevazione della customer satisfaction e più attenzione in quanto le amministrazioni e i loro dipendenti devono essere valutati sostanzialmente in base alla capacità di offrire servizi migliori.

19 Cfr: Decreto Legislativo del 15 ottobre 2009, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 31 ottobre 2009,

disponibile sul sito: www.gazzettaufficiale.it

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41

Invece, per le amministrazioni tre sono gli ambiti più innovativi: la valutazione, la trasparenza, il nuovo modello di contrattazione.

Il tema della valutazione è quello che più è stato al centro della discussione ed è infatti uno degli aspetti più immediatamente innovativi della legge: non più incentivi e premi uguali per tutti ma, invece, l’obbligo di dotarsi di un piano delle performance con obiettivi chiari e misurabili, di costituire un organismo indipendente di valutazione che certifichi il sistema di misurazione e di valutazione adottato. Infine, ma di massimo impatto mediatico, l’obbligo di distribuire la parte di salario legata ai risultati in forma fortemente diversificata. Per quanto attiene alla trasparenza, l’obbligo principale deve essere quello di dar conto ai cittadini della qualità dei servizi, dei costi effettivamente sostenuti, delle performances ottenute nei vari comparti.

Infine, la contrattazione collettiva è cambiata radicalmente soprattutto per quanto attiene alla contrattazione integrativa, che deve sempre adeguarsi alla legge che la disciplina in forma molto più restrittiva, riportando al potere legislativo molti aspetti che prima erano nella disponibilità dei contratti. Infine, per i dipendenti, ci sono i cambiamenti più evidenti, riguardanti temi diversi, come la misurazione e valutazione, il merito, la premialità e la responsabilità.

Il sistema di valori, contenuto nell’articolo 3 del Decreto Legislativo 150 del 2009 può riassumersi in diverse “parole chiave” di provenienza aziendalistica, quali efficienza, efficacia, produttività, ma soprattutto “trasparenza”.21

Per quanto riguarda i primi tre elementi possiamo dire che:

21 HINNA L., MONTEDURO F., “Misurazione, valutazione e trasparenza delle performance

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42 Con riferimento all’efficienza, essa mette in correlazione le risorse impiegate

con le prestazioni ed i servizi prodotti;

Per quanto riguarda l’efficacia, cercando di contestualizzarla, si

potrebbe intendere come misura dell’azione dell’ente nell’incidere nell’ambiente esterno, in termini di bisogni pubblici da soddisfare;

La produttività del lavoro e il monitoraggio dell’efficienza, sia a livello dei singoli lavoratori che delle organizzazioni, e la loro implementazione rappresentano uno dei punti cruciali della riforma.

Ritornando al concetto di “trasparenza”, la cui definizione viene data dall’articolo 11 comma 1 del decreto legislativo n. 150 22, essa favorisce la

partecipazione dei cittadini alle attività delle pubbliche amministrazioni ed è funzionale a tre scopi23: a) sottoporre al controllo diffuso ogni fase del ciclo di gestione della performance per consentirne il miglioramento; b) assicurare la conoscenza, da parte dei cittadini, dei servizi resi dalle amministrazioni, delle loro caratteristiche quantitative e qualitative nonché delle modalità di erogazione; c) per ultimo, prevenire fenomeni corruttivi e promuovere l’integrità.

22 Ai sensi dell’articolo 11 comma 1 del decreto legislativo 150 del 2009 :” La trasparenza e'

intesa come accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche, delle informazioni concernenti ogni aspetto dell'organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all'utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell'attività di misurazione e valutazione svolta dagli organi competenti, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità. Essa costituisce livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. L’articolo è stato poi abrogato ad opera dell’art.53 del comma 1,

lett. i), del Decreto Legislativo 14 marzo 2013, n. 33 che, dopo le modifiche apportate allo stesso dal Decreto Legislativo n. 97 del 25 maggio 2016, si intitola “Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”. L’art.1 del citato Decreto Lgs. n.33/2013 contiene la riformulazione del concetto di “trasparenza” applicato alla Pubblica Amministrazione.

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