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La disciplina di contrasto al terrorismo: contraddizioni attuali e prospettive future

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

La normativa di contrasto al terrorismo

tra contraddizioni attuali e prospettive future

Il candidato

Il relatore

Claudia Carloni

Chiar.ma Prof.ssa

(2)
(3)

A te.. che sei arrivato come il sogno di qualcuno che conoscevo da sempre, miraggio di qualcosa che non avevo mai avuto il coraggio di desiderare

(4)

SOMMARIO

INTRODUZIONE

...1

CAPITOLO I

La ricerca di una nozione condivisa di terrorismo

1.1 Premessa...2

1.2 Prospettiva storica...4

1.2.1 Tentativi di definizione...8

1.2.2 Segue. Attori che fanno ricorso alla violenza...9

1.2.3 Caratteristiche dell'atto terroristico...10

1.3 Il condizionamento sociale del terrorismo e le sue forme di manifestazione...11

1.3.1 La natura del fenomeno...14

1.4 La definizione di terrorismo negli strumenti internazionali ...18

1.5 Le origini della normativa internazionale sul terrorismo...21

1.5.1 Approccio settoriale e approccio globale ...21

1.5.2 La repressione del terrorismo in generale: la Convenzione di Ginevra...23

1.5.3 Le Convenzioni a carattere regionale. Un approccio globale non biunivoco...24

1.5.4 Le Convenzioni a carattere universale...25

1.5.5 La repressione settoriale ad opera degli Istituti specializzati27 1.5.6 Gli Accordi conclusi nell'ambito delle Nazioni Unite...29

(5)

nazionale nelle Risoluzioni dell'Assemblea Generale...32

1.6 La ricerca fallita di una nozione globale e la Convenzione contro

la presa di ostaggi...34

1.7 I tentativi di predisporre un progetto di Convenzione globale

contro il terrorismo...36

1.7.1 La definizione nell'ambito dell'Assemblea dopo l'11

settembre...39

1.8 Il livello europeo nella lotta al terrorismo...39 1.8.1 Considerazioni preliminari...39 1.8.2 La Convenzione europea per la repressione del terrorismo 41 1.8.3 Da Maastricht al Trattato di Amsterdam...44 1.8.4 Verso il “mutuo riconoscimento”: da Tampére a Leaken...48 1.9 La definizione di “organizzazione terroristica” nella decisione

quadro 2002/475/GAI...49

1.10 L'azione anti-terrorismo nel settore della cooperazione: tra

prevenzione e repressione...51

1.10.1 Segue. Eurojust ed Europol: la collaborazione decisiva...53 1.10.2 Le innovazioni normative introdotte dalla decisione-quadro

2002/584/GAI. Il mandato di arresto europeo...55

1.11 Il Programma dell'Aia e la Strategia anti-terrorismo...57 1.12 Le evoluzioni successive al 2008...58 1.12.1 Il Trattato di Lisbona. La cooperazione giudiziaria alla svolta61 1.12.2 Il rafforzamento dei diritti delle vittime nel programma di

Stoccolma...63

1.12.3 La de-radicalizzazione del crimine organizzato nel cono visivo

(6)

CAPITOLO II

La repressione del terrorismo nell'ordinamento italiano:

la riforma degli strumenti processuali tra prevenzione e

repressione

2.1 Premessa...67

2.2 Le origini della normativa antiterrorismo ...71

2.3 La legislazione successiva all'11 settembre 2001...73

2.3.1 Profili sostanziali e processuali della L. 438/2001...74

2.3.2 La nuova ondata di emergenza degli attentati di Madrid e di Londra: la L. 155/2005...78

2.4 L'incertezza e l'accresciuta complessità del contesto generale: la risposta della Riforma del 2015...81

2.5 L'introduzione di nuove fattispecie di reato...84

2.5.1 Anticipazione della soglia di punibilità versus i foreign fighters...84

2.5.2 Strumenti di contrasto all'uso di internet per fini di proselitismo e agevolazione dei terroristi...88

2.6 L'estensione dell'applicazione delle misure di prevenzione personali e patrimoniali: tra prevenzione e repressione...89

2.6.1 I nuovi destinatari passivi degli strumenti di prevenzione: l'ampliamento dei presupposti soggettivi...91

2.6.2 La prevenzione del trasferimento all'estero dei potenziali terroristi...92

2.6.2.1 La sospensione della validità dei documenti necessari per l'espatrio...93

2.6.2.2 Il delitto di cui all'art.75-bis, D.lgs. n. 159 del 2011...96 2.6.2.3 Potenziamento dell'applicazione delle misure di

(7)

prevenzione...97

2.6.3 L'espulsione preventiva dello straniero ai fini di contrasto del

terrorismo...98

2.7 L'implementazione delle misure investigative, processuali e

ordinamentali, per il contrasto al terrorismo: un nuovo ruolo per l'intelligence...100

2.7.1 Il potenziamento delle misure di contrasto alla criminalità

informatica e gli strumenti probatori...101

2.7.2 Dilatazione dell'intervento preventivo in senso stretto: i

colloqui informativi preventivi...105

2.7.3 Le garanzie funzionali e di tutela del personale delle strutture

di informazione: le attività sotto copertura...109

2.7.3.1 L'estensione dell'ambito applicativo e la previsione di

garanzie di tutela: l'art. 8 del D.l. 7/2015...112

2.7.3.2 Segue. L'ambito applicativo: l'estensione della sfera di

operatività dell'art. 497, comma 2-bis c.p.p. in tema di testimonianza con le generalità di copertura... 116

2.7.3.3 Segue. L'ulteriore estensione: l'Aise e la penetrazione

informatica all'estero...118

2.8 Il ricorso alle intercettazioni: il difficile connubio tra tutela dei

diritti fondamentali ed esigenze investigative...120

2.8.1 Lo statuto generale e le necessità prospettate...120 2.8.2 Intercettazioni preventive di comunicazioni o conversazioni

...121

2.8.3 L'art. 226 disp att. c.p.p. come modificato dalla disciplina del

2015...123

2.8.4 La conservazione dei dati di traffico telefonico e telematico:

(8)

2.8.4.1 Sviluppi nella disciplina...127 2.8.4.2 Segue. Operazioni di tracciamento e di positioning...131 2.9 Le intercettazioni informatiche tramite captatore...132

2.9.1 Lo spazio “in cui” intercettare e lo spazio “da” intercettare

...133

2.9.2 Le Sezioni Unite e l'apertura ai captatori informatici: la

sentenza Scurato...135

2.9.3 Il contrappasso tra una tutela onnicomprensiva e i principi di

rango costituzionale...142

2.9.3.1 Controlli e regolamentazione dell'attività acquisitiva: le

garanzie individuali...145

2.9.4 Il valore probatorio e la pericolosità del mezzo: l'auspicabile

ripensamento della figura del giudice...149

2.10 La chiave di volta insita nel principio di proporzionalità...150

CAPITOLO III

L'istituzionalizzazione della Procura antiterrorismo e la

sofferenza della cooperazione internazionale:nuove

prospettive europee

3.1 Premessa...152 3.2 Gli interventi antecedenti il 2015 e la distrettualizzazione

“debole”...153

3.3 Il coordinamento delle indagini nell'impianto del Decreto legge

7 del 2015...158

3.3.1 Articolo 9: le modifiche processuali...158 3.3.2 La condivisione delle informazioni: verso un' unica banca dati

(9)

...163

3.4 La nuova struttura organizzativa della DNA(A): le modifiche ordinamentali dell'art. 10...168

3.4.1 L'articolo 103 del Decreto lgs. 159 del 2011: le ragioni dell'estensione dello strumentario antimafia...168

3.4.2 Criteri d'accesso e le figure della nuova struttura...171

3.5 La mancata modifica dell'articolo 102: un'occasione perduta? ...174

3.5.1 Le modifiche di coordinamento ordinamentale...176

3.6 Il trattamento dei dati personali e il principio di proporzionalità nel panorama europeo...176

3.6.1 La raccolta e la conservazione dei records: il rischio di profiling...179

3.6.2 Segue. Il principio di proporzionalità nella valorizzazione dei diritti fondamentali...180

3.7 La cooperazione internazionale: tra luci e ombre...183

3.8 Dai fallimenti attuali verso la Procura Europea...187

3.8.1 Inquadramento normativo...187

3.9 La proposta istitutiva dell'ufficio del Procuratore europeo...189

3.9.1 L'indipendenza del Procuratore...189

3.9.2 Profili strutturali ed organizzativi...191

3.9.3 Il nucleo delle garanzie procedurali nella tutela dei diritti fondamentali...192

3.9.4 Rapporti con le autorità nazionali e le altre istituzioni europee...194

3.9.5 Le competenza: possibile estensione ai reati di terrorismo? ...195

(10)

3.10 Conclusioni: l'improrogabile necessità di una disciplina comune

...198

CONCLUSIONI

1 Premessa...200

2 L'impianto generale dell'intervento legislativo...202

3 Il “vetro rotto” della frammentarietà penale...204

4 Ancora una volta la decretazione d'urgenza...206

5 Tra flessibilizzazione “verso il basso” delle garanzie e semplificazione degli strumenti processuali: la regressione del processo penale alla “prospettiva poliziesca”...208

6 Prospettive future...210

(11)

INTRODUZIONE

L'elaborato, volgendo lo sguardo alla normativa interna quanto a quella sovranazionale, si propone di mettere in luce le criticità attuali, le possibili evoluzioni degli strumenti di prevenzione e repressione del terrorismo. Prendendo le mosse dalla controversa questione definitoria, si è dapprima proceduto ad un puntuale inquadramento del fenomeno nel sistema delle fonti del diritto internazionali ed europee, per poi pervenire ad una compiuta disamina della disciplina ordinamentale. La ricerca intende soffermarsi sulle novità della normativa di contrasto al terrorismo introdotte dalla recente novella del 2015, soffermando l'attenzione in via prioritaria sugli aspetti processual-penalistici e, a

latere, sui riverberi di carattere sostanziale, che hanno determinato la

previsione di nuove fattispecie di reato. L'indagine si conclude esaminando le potenzialità e i limiti propri del sistema della cooperazione internazionale, auspicando in tal senso la nascita di una Procura europea. Tra gli obiettivi futuri si propone la collocazione della normativa antiterrorismo al di fuori dei confini della emergenzialità, con l'attribuzione alla stessa di un ruolo autonomo che si astenga dall'attingere a strumenti di carattere penalistico, originariamente predisposti ad altri fini, e senza mortificare in nome della sicurezza i diritti fondamentali dei cittadini.

(12)

CAPITOLO I

La ricerca di una nozione condivisa di terrorismo

Sommario: 1.1 Premessa; 1.2 Prospettiva storica; 1.2.1 Tentativi di definizione; 1.2.2 Segue. Attori che fanno ricorso alla violenza; 1.2.3 Caratteristiche dell'atto terroristico; 1.3 Il condizionamento sociale del terrorismo e le sue forme di manifestazione; 1.3.1 La natura del fenomeno; 1.4 La definizione di terrorismo negli strumenti internazionali; 1.5 Le origini della normativa internazionale sul terrorismo; 1.5.1 Approccio settoriale e approccio globale; 1.5.2 La repressione del terrorismo in generale: la Convenzione di Ginevra; 1.5.3 Le Convenzioni a carattere regionale. Un approccio globale non biunivoco; 1.5.4 Le convenzioni a carattere universale; 1.5.5 La repressione settoriale ad opera degli Istituti specializzati; 1.5.6 Gli accordi conclusi nell'ambito delle Nazioni Unite nel suo complesso; 1.5.6.1 Il difficile rapporto tra terrorismo e lotte di liberazione nazionale nelle Risoluzioni dell'Assemblea Generale; 1.6 La ricerca fallita di una nozione globale e la Convenzione contro la presa di ostaggi; 1.7 I tentativi di predisporre un progetto di Convenzione globale contro il terrorismo; 1.7.1 La definizione nell'ambito dell'Assemblea dopo l'11 settembre; 1.8 Il livello europeo nella lotta al terrorismo; 1.8.1 Considerazioni preliminari; 1.8.2 La Convenzione europea per la repressione del terrorismo; 1.8.3 Da Maastricht al Trattato di Amsterdam; 1.8.4 Verso il “mutuo riconoscimento”: da Tampére a Leaken; 1.9 La definizione di «organizzazione terroristica» nella decisione quadro 2002/475/GAI; 1.10 L'azione antiterrorismo nel settore della cooperazione: tra prevenzione e repressione; 1.10.1 Segue. Eurojust ed Europol: la collaborazione decisiva; 1.10.2 Le innovazioni normative introdotte dalla decisione quadro 2002/584/GAI. Il mandato di arresto europeo; 1.11 Il programma dell'Aia e la Strategia antiterrorismo; 1.12 Le evoluzioni successive al 2008; 1.12.1 Il Trattato di Lisbona. La cooperazione giudiziaria alla svolta; 1.12.2 Il rafforzamento dei diritti delle vittime nel programma di Stoccolma; 1.12.3 La de-radicalizzazione del crimine organizzato nel cono visivo della COM (2013) 941.

1.1 Premessa

La questione definitoria di terrorismo, divenuta di prorompente attualità a seguito del dilagare del fenomeno de quo nel mondo islamico così come nei Paesi occidentali, non è destinata ad esaurirsi, tantomeno in maniera esaustiva.

(13)

procedere ad una sua elaborazione risulta per l'interprete un compito tutt'altro che agevole. La genesi della difficoltà è da rintracciarsi nelle modalità – incredibilmente diverse e ricollegabili alle differenti ideologie – attraverso le quali il terrorismo è suscettibile di manifestarsi, nonché nelle diverse questioni geopolitiche che affliggono il contesto internazionale1, tali da determinare una scissione

tra la prospettiva soggettiva e quella oggettiva.

Nel corso degli anni gli attentati terroristici e l'utilizzo di metodi violenti sono stati eletti, da parte di formazioni estremiste di diversa ispirazione, a corsia preferenziale di destabilizzazione dell'ordine costituito della realtà democratica. Atti questi, talora supportati da una complessa struttura, talaltra manifestazione del pensiero di singoli o gruppi di individui non organizzati.

L'analisi della questione del terrorismo deve inevitabilmente trovare il proprio punto di partenza nelle diverse modalità di esplicazione delle attività in cui lo stesso si traduce2, per giungere all'individuazione di

parametri che ci consentano di accedere ad un concetto di “nuovo

terrorismo universale” sì da selezionare i canoni attraverso cui erigere

una cortina di ferro a difesa di questo3.

1 Il fenomeno terroristico si presenta come non assimilabile ad alcuna delle fattispecie emergenziali degli ordinamenti democratici, né collocabile in un ambito spaziale o temporale determinato essendo suscettibile di assumere forme differenziate: si tratta, piuttosto, di una strategia adottata da soggetti distinti per ottenere scopi non riconducibili ad uno schema uniforme. Cfr. C. BASSU,

Terrorismo e costituzionalismo. Percorsi comparati, Giappichelli Editore, Torino,

2010, p. XII.

2 In questo senso è opportuno affrontare in modi diversi vicende interne od extranazionali, ma soprattutto considerando la svolta determinata dagli attacchi dell'11 settembre 2001. In tal senso, ivi, p. XIV.

3 Tale obiettivo è perseguibile attraverso un bilanciamento di interessi tra la necessità di protezione dello Stato e la garanzia di tutela dei diritti fondamentali dell'essere umano che non possono incorrere in un'eccessiva limitazione per effetto delle misure emergenziali. In uno stato d'eccezione i diritti individuali vengono limitati allo scopo, ritenuto primario, di garantire la sicurezza nazionale; senza dimenticare tuttavia che l'essenza dello Stato democratico è costituita dal riconoscimento e dalla protezione dei diritti individuali fondamentali, ai sensi del celebre articolo 16 della Declaratiòn de les droits de l'homme e du citoyens del 1789

(14)

In linea generale si parla di “emergenza costituzionale” allorquando si verifichi un evento che determini l'adozione di misure straordinarie4.

Tale concetto è stato spesso utilizzato quale fattore legittimante l'emanazione di leggi speciali, destinate alla regolamentazione di situazioni “straordinarie”, anche se non temporanee5, derogando così

ad un requisito che costituisce fattore integrante la nozione formale di specialità.

1.2 Prospettiva storica

Storicamente, la nascita del terrorismo-fenomeno precede di gran lunga la sua stessa etichettatura, dovendo ricondursi, l'odierna terminologia, alla Rivoluzione Francese6. Fu, infatti, l'Académie

«Toute la société dans la quelle la garantie des droits n'est pas assurée ni la séparation

des pouvoirs déterminée, n'a point de Constitution». Dunque uno «Stato che non garantisca la tutela dei diritti e non preveda la separazione dei poteri non ha Costituzione», ivi, cit., p. XII.

4 Partendo dal presupposto che «uno stato di normalità è una condizione di sostanziale equilibrio tra l'autonomia dello Stato e il controllo che il diritto esercita sui suoi poteri», il costituzionalismo moderno si caratterizza per il progressivo consolidamento dei principi e valori costituzionali e risulta finalizzato al mantenimento dell'ordine costituito. La continuità di tale assetto è talora interrotto da eventi che inibiscono la piena realizzazione degli obiettivi democratici e minano i pilastri dell'armonico svolgimento della vita democratica. In tal senso, P. BONETTI,

Terrorismo, emergenza e Costituzioni democratiche nel XXI secolo, Il Mulino,

Bologna, 2006, p. 61 e ss.

5 È considerata regola generale quella per cui una deroga al dettato costituzionale sia ammessa qualora si tratti di una misura formale, temporanea e strettamente limitata alle esigenze dettate da circostanze straordinarie. Ecco che la rilevanza dell'“emergenza costituzionale” è meramente residuale seppur non eliminabile, costituendo essa la «valvola di sicurezza dell'ordinamento». In tal senso A. BENAZZO, L'emergenze nel conflitto tra libertà e sicurezza, Giappichelli Editore, Torino, 2004, cit. p.2.

6 L'origine del concetto è da rintracciarsi nella manifestazione di violenza dei detentori del potere a danno di una parte della popolazione civile. Dal francese

terreur: «Si le ressort du gouvernement populaire dans la paix est la vertu, le ressort

du gouvernement populaire en révolution est à la fois la vertu et la terreur […] La terreur n'est autre chose que la justice prompte, sévère, inflexible» M. ROBESPIERRE, Discours sur la pétition du peuple avignonnais, 1794, in

(15)

Française, vinto il regime rivoluzionario di Robespierre, ad annotare il termine “terrorismo” come «sistema basato sul terrore»7. È soltanto

dopo simile spartiacque storico che la nozione entra in uso nel linguaggio politico.

Il Terrore si configura, dunque, come una forma di violenza interna allo Stato moderno, che si distingue dalla guerra – intesa come esercizio della forza verso l’esterno – nel conflitto con altri Stati. Questa fondamentale distinzione rinviene la propria premessa concettuale nel pensiero politico di Thomas Hobbes8.

Lo Stato-Leviatano, unico detentore della forza, è chiamato a svolgere una duplice funzione: da un lato mantenere la pace sociale all’interno dello Stato, garantendo l’obbedienza alla legge mediante il terrore, dall'altro difendere la comunità dalle minacce esterne attraverso la guerra contro gli altri Stati9. Questo impianto si conserva

sostanzialmente immutato fintanto che non iniziano a presentarsi istanze volte a limitare il ricorso alla violenza sia all'interno che all'esterno dello Stato.

All'inizio dell'Ottocento, nell'ambito dei movimenti che si ponevano come obiettivo la formazione degli Stati Nazionali aleggia la c.d. “strategia del terrore”, con l'obiettivo di colpire bersagli politici e militari, e consentire così alla minoranza politica di combattere i

Robespierre, J. MASSIN (a cura di), Pàris, Club française du livre, 1988, cit. p.231.

7 Tra il 1793 ed il 1794 l'ala più estrema del movimento rivoluzionario francese, capeggiato da Robespierre, instaurò un regime radicale in seguito definito “del Terrore” orientato alla sistematica eliminazione degli avversari attraverso processi sommari basati su semplici sospetti. Il governo di Robespierre fu accusato in Inghilterra – storica avversaria – della Francia, di terrorismo. In tal senso, M.P CASALENA, La rivoluzione francese, Corriere della Sera Editore, Milano, 2015, p. 2.

8 La dottrina hobbesiana dello Stato si fonda sul presupposto per cui la paura (fear), che affligge gli uomini allo stato di natura, giunga a manifestare il proprio lato “creatore” e giustifichi la costruzione razionale di un potere politico artificiale dotato del monopolio della violenza. Per la teoria politica hobbesiana, amplius, T. HOBBES, Leviatano, Edizioni BUR Rizzoli, Milano, 2011, p. 8 e ss.

(16)

regimi autoritari ed oppressivi. L'azione violenta avrà trionfo nella seconda metà dell'Ottocento, con la sua espansione anche oltre i Balcani10, quando il concetto di terrorismo sarà impiegato per indicare,

in modo pressochè esclusivo, alcune forme di violenza utilizzate da individui o gruppi “contro” lo Stato.

La diffusione dei principi liberali e democratici conosce un momento apicale nella teorizzazione di Max Weber, che qualifica il potere attribuito allo Stato come legittimo, scindendolo dal terrore: da questo momento in poi la violenza non sarà più ricompresa nello strumentario degli ordinamenti liberal-democratici11.

È nel XX secolo che all'accezione storica di terrorismo – cui abbiamo sinora fatto riferimento – se ne affianca una seconda12 che trova la

propria giustificazione nella situazione emergenziale dettata dai diversi episodi di violenza organizzata dell'epoca.

Ai suoi albori, il secolo in questione, fu costellato dai risonanti e tristemente celebri omicidi politici13, definiti tuttavia quali «atti di

follia criminale» o «di fanatismo anarchico» con il preciso intento di non riconoscere dignità politica ai rivoltosi.

L'aggettivo “terroristico” tornerà, poi – dopo la Prima Guerra Mondiale –, ad essere impiegato per connotare i tratti dei regimi posti a guida degli Stati.

10 In Russia, tra il 1878 ed il 1881, il gruppo Narodnaya Volya – dal russo “volontà del popolo” – per primo si definì terrorista diffondendo l'espressione in tutto il mondo slavo.

11 Per gli affascinanti profili della teoria weberiana si veda, D. TRIGGIANI,

Introduzione a Max Weber, Meltemi Editore, Roma, 2008, p.46-56.

12 Definizione ancora oggi attuale, offerta da L. ROMANI, voce Terrorismo, in

Dizionario Treccani: «uso di violenza illegittima, finalizzata ad incutere terrore nei

membri di una collettività organizzata e a destabilizzarne l'ordine, mediante azioni quali attentati, rapimenti, dirottamenti di aerei e simili», consultabile su

www.treccani.it.

13 Su tutti, l'omicidio di Umberto I ad opera di Gaetano Bresci e l'assassinio dell'arciduca d'Austria per mano di Gavrilo Princip che determinò lo scoppio della Prima Guerra Mondiale.

(17)

Traendo spunto da tale inversione dottrinale la “politica del terrore” diventa propria – fino a costituire con questi un binomio indissolubile – degli Stati autocratici e in particolare di quelli caratterizzati da un'ideologia totalitaria14.

Nel corso dei secoli, quindi, il termine è stato utilizzato con riferimento, dapprima, alla particolare strategia messa in atto dai governi per sottomettere la popolazione, poi, all'uso sistematico della violenza ai danni delle entità statali da parte di organizzazioni clandestine con finalità politiche.

L'excursus storico delle diverse manifestazioni, suggerisce come lo scopo del terrorismo sia stata la realizzazione di obiettivi politici precisi e tendenzialmente circoscritti, perseguiti con mezzi violenti e orientati a minare le fondamenta dell'organizzazione costituzionale, nonché a rovesciare lo status quo15.

Siffatta definizione mostra la propria efficacia risolutiva se riferita ad episodi antecedenti l'attacco terroristico dell'11 settembre 2001: la portata di tale evento, infatti, è stata inedita e prorompente al punto da modificare la concezione stessa di attentato ed in generale di 'Terrore'16. La ferita provocata in quel drammatico evento ha prodotto

l'accelerazione di un processo già in atto a livello internazionale

14 I regimi totalitari hanno minato ed eliminato l'alternativa tra governo legale e governo illegale, tra potere arbitrario e potere legittimo. In tal senso H. ARENDT, in

Le origini del totalitarismo, cap. XIII – “Ideologia e terrore”, Edizioni di Comunità,

Torino, 1999, pp. 630-656, individua nel terrore – inteso come la violenza che gli Stati totalitari riversano sulla popolazione civile, in particolar modo nei confronti dei c.d. nemici oggettivi – uno dei tratti distintivi del nazionalsocialismo e del comunismo sovietico. «Il terrore può imperare con assolutezza solo su individui isolati l'uno dall'altro […] L'isolamento può essere l'inizio del terrore; ne è certamente il terreno più fertile; ne è sempre il risultato. Esso è, per così dire, pretotalitario; la sua caratteristica è l'impotenza», cit. p. 649.

15 In tal senso, C. BASSU, op. cit., p. 5.

16 La forza di tale evento è amplificata dall'impatto mediatico derivante dalla trasmissione diretta dei fatti: la concezione del terrorismo diventa invasiva ed entra a far parte della quotidianità dei cittadini, acquisendo una dimensione universale che utilizza la paura come filo conduttore. Ibidem.

(18)

finalizzato, da un lato, alla caduta di una serie di barriere in materia di cooperazione giudiziaria e diritto di asilo; dall'altro all'applicazione di una lunga serie di sanzioni – peraltro di dubbia legittimità.

1.2.1 Tentativi di definizione

Numerosi sono stati i tentativi di definire il terrorismo basati su elementi complessivamente rilevanti ma, singolarmente considerati, inidonei a dar vita ad una nozione soddisfacente.

Prendendo le mosse dal dato etimologico si giunge a qualificare come terroristica quella «violenza politica che si pone l'obiettivo di terrorizzare»17.

Si tratta di una concettualizzazione indubbiamente carica di pathos, ma che – evidenziando esclusivamente l'effetto emotivo – sconta la perdita di contatto con il dato reale: obiettivo principale della maggioranza dei gruppi terroristici è la raccolta di consenso piuttosto che la diffusione del terrore.

Un primo risultato può dirsi raggiunto: una definizione onnicomprensiva delle manifestazioni del fenomeno sarebbe ipotizzabile solo approcciandosi alla questione in modo superficiale, essendo la sua cifra costante e preliminare l'indeterminatezza18.

17 D. DELLA PORTA, voce Terrorismo, in XXI Secolo, Enciclopedia Treccani, 2009, cit. p.1, testo disponibile su www.treccani.it.

18 Simile assunto trova diretta conferma in un'indagine delle diverse matrici da cui il terrorismo può scaturire, contribuendo la stessa ad evidenziare la dinamicità del fenomeno e ad accentuarne la qualificazione in termini di concetto socialmente condizionato. Cfr. per una disamina completa delle diverse manifestazioni terroristiche G. RESTA, V. ZENO-ZENOVICH (a cura di), Riparare, Risarcire,

Ricordare: un dialogo tra storici e giuristi, Editoriale Scientifica, Napoli, 2012, pp.

65-70; inoltre, per un'analisi della fenomenologia del terrorismo (endogeno, nazionalista, politico, fondamentalista e transnazionale), si veda anche C. BASSU,

(19)

L'assenza di una definizione univoca risale alla comprovata difficoltà di raggiungere un accordo tra gli Stati della Comunità Internazionale su ciò che debba essere qualificato come atto di terrorismo19.

Esso potrebbe così essere enucleato come «un metodo di lotta politica fondato su sistematico ricorso alla violenza, con particolari connotazioni oggettive e soggettive» che si distingue per le modalità della condotta, per le caratteristiche della persona offesa, l'entità del danno e per il suo effetto nell'ambito dell'assetto sociale secondo imprevedibili logiche di clandestinità e segretezza20.

1.2.2 Segue. Attori che fanno ricorso alla violenza

Per quanto concerne il primo parametro qualificatore, la ricerca ha, soprattutto negli anni Settanta, concentrato la propria attenzione sui gruppi di piccole dimensioni e clandestini. In tal modo il terrorismo diviene «l'attività di quelle organizzazioni clandestine di dimensioni ridotte che, attraverso un uso continuato e quasi esclusivo di forme d'azione violenta, mirano a raggiungere scopi di tipo prevalentemente politico»21. La tesi diffusa per cui il terrorismo è l'arma dei deboli

contro i forti non risponde a verità: risultano, infatti, numerose le

19 Si veda infra cap. 1, §

20 In tal senso A. SERRANO', Le armi razionali contro il terrorismo

contemporaneo. La sfida delle democrazie di fronte alla violenza terroristica, Giuffrè

Editore, 2009, p.75; M.A. DI LAZZARO, Reati di terrorismo internazionale.

Prospettive di repressione, su “Diritto & Diritti”, 2001, cit. p. 7.

21 La portata di simile definizione consiste nella considerazione dei “terroristi” come individui psicologicamente deboli, socialmente frustrati, fanatici e crudeli. Il rischio di cadere in stereotipi è alle porte, ma ricerche basate su storie di vita ne smentiscono il valore. I militanti sono, nella generalità dei casi, di estrazione scolastica e sociale elevata, la decisione di aderire alle organizzazioni di lotta armata è graduale e ispirata da reti di amicizie sviluppatesi in luoghi d'incontro comunitari. Cfr. D. DELLA PORTA, op. cit., p.2.

(20)

ipotesi in cui si macchia di terrorismo anche la “controparte”22.

I “terroristi” aspirano alla qualifica di nemici pubblici interni23, dal

riconoscimento della quale deriverebbe l'ammissione, da parte dello Stato, circa l'esistenza di una frattura interna alla società.

Giunti a questo punto, ben si comprende la tendenza degli ordinamenti ad equiparare i terroristi ai comuni delinquenti così da escludere, per questi, la dignità di attori politici portatori di una causa legittima24.

1.2.3 Caratteristiche dell'atto terroristico

Il secondo requisito – la condotta appunto – risulta caratterizzata dalla violenza e dall'uso di tecniche particolarmente cruente: dato quest'ultimo che non vale a distinguere il terrorismo da qualunque altro

22 In tal senso C. BASSU, op. cit., p.37, in considerazione del fatto che anche i “forti” possano ricorrervi, sia per rendere più schiacciante la vittoria sia per risparmiare uomini, risorse finanziarie e tempo – basti pensare al tragico esito della seconda guerra mondiale – smentisce l'assolutezza di tale tesi. A contrario A. GAMBINO, Esiste davvero il terrorismo?, Fazi Editore, Roma, 2005, cit., p.14, afferma che «il ricorso al terrorismo avviene ogni volta che chi lo usa percepisce un elemento di insicurezza, ritiene, cioè che la sua forza militare non sia adeguata a permettergli di raggiungere i propri obiettivi»: di qui la tesi di terrorismo come “arma dei deboli contro i forti”.

23 I“terroristi” non sono riconducibili né alla figura del nemico esterno – generalmente rappresentato da uno Stato diverso, avverso il quale si muove guerra – né ai criminali ordinari – i quali violano le leggi interne dello Stato arrecando pregiudizio alla pace e alla sicurezza interna, esponendosi alle procedure ed alle sanzioni ordinamentali. Gli stessi non sono, peraltro, portatori di meri interessi economici e privati bensì rivendicano scopi propriamente politici e dunque pubblici. La lotta armata, in tal senso, si pone come obiettivo il cambiamento politico-istituzionale, il superamento di un assetto economico-sociale. In tal senso S. QUIRICO, L'unione europea e il terrorismo (1970 – 2010). Storia, concetti,

istituzioni, in PAST monografie n.2, Alessandria, 2013, p. 5-7.

24 Ecco che la dimensione politica, negata in termini di status, torna ad emergere quale strumento giuridico funzionalizzato all'innalzamento delle pene: sono molti infatti gli ordinamenti che prevedono la finalità politica come circostanza aggravante. Portato immediato di simile impostazione è il rifiuto di qualsivoglia richiesta di trattativa, negoziato od accordo con i rappresentanti di un gruppo terroristico,

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tipo di reato, se non inserito nel particolare contesto in cui tali atti si esplicano. Si tratta spesso di manifestazioni simboliche, fini a se stesse dando adito alla c.d. eterogenesi dei fini25.

La considerazione del terrorismo come reato politico genererebbe, in primo luogo, un'antinomia tra diritto internazionale e diritto costituzionale nei paesi in cui la Carta fondamentale vieta l'estradizione per reati politici, consentendo una possibile impunità del reo.

Altro dato da considerare è che non tutti gli atti di violenza politica costituiscono terrorismo – basti pensare, sebbene siano stati a lungo al centro dei dibattiti dottrinari, alle lotte di liberazione nazionale26.

1.3 Il condizionamento sociale del terrorismo e le sue forme di manifestazione

Il dibattito sul significato del termine è stato al centro di una costante evoluzione: l'attenzione – in un primo momento esclusivamente concentrata sulla definizione etimologica di terrorismo – si è traslata sull'individuazione delle cause e dei possibili rimedi.

Siffatto concetto è stato utilizzato per indicare variegate modalità di violenza politica27, di cui costituirebbe forma estrema.

25 Per cui l'atto è compiuto, più che per i risultati concreti che ne scaturiscono, per la risonanza mediatica che da esso deriva. L'atto diventa «detonatore propagandistico dell'ideologia». In tale ottica si profila un ulteriore aspetto distintivo del terrorista rispetto al delinquente comune: mentre per il primo la pubblicizzazione delle azioni ha importanza decisiva, non così per il secondo, il quale non avrà interesse a rendere partecipe l'opinione pubblica del proprio misfatto. Cfr. N. FERRI, Il silenzio-stampa

nei rapimenti e sulle operazioni terroristiche, in Giustizia Penale, 1979, p. 502 e ss.;

M. DE NIGRIS SINISCALCHI, Mass – media e terrorismo: problemi politici,.in

Rivista Politica, 1979, p. 475 e ss.

26 Vedi infra cap. 2, §

27 Dal terrorismo perpetrato da Stati dispotici, al terrorismo di stampo indipendentista in India, Irlanda e Spagna, al terrorismo di sinistra degli anni '70 fino

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Il fenomeno può essere analizzato da un duplice punto di vista: politico e giuridico.

Sotto il profilo politico, il terrorismo può essere considerato come espressione di un conflitto reale o fittizio che si può manifestare sia in un singolo contesto democratico nazionale sia in un contesto globale-mondiale28.

Dal punto di vista giuridico, nel tentativo di operare una distinzione, pur nominale, tra le diverse forme di terrorismo, c'è da considerare, in via preliminare, che atti di terrorismo possono essere compiuti, oltre che da singoli o da gruppi di individui anche da entità istituzionali: in tal caso, tali atti si qualificano come terrorismo di Stato, ossia un regime di terrore istituito da un determinato governo contro la propria popolazione ovvero contro gli abitanti di altri territori invasi.

Si possono così distinguere tre diversi tipi di terrorismo di Stato:

governativo, che si verifica allorquando uno Stato faccia ricorso a

metodi terroristici contro la popolazione, per mantenere il potere o instaurare una dittatura; un tipo esterno, che si realizza per reprimere azioni contrarie a leggi internazionali contro un altro Stato per ritorsione ad azioni terroristiche. Un'ultima forma, si manifesta nella complicità di alcuni governi a favore di atti terroristici29.

Il concetto di terrorismo varia in relazione ai contesti sociali, culturali

al terrorismo di destra diffusosi alla fine di quegli anni. La violenza nella sua definizione ordinaria indica «l'uso di forza fisica orientata ad arrecare danno a beni o persone». La violenza è politica quando la forza fisica è indirizzata a danno di un avversario politico, voce Violenza (diritto e procedura penale), in Enciclopedia

Treccani, consultabile online al sito www.treccani.it.

28 Nel primo caso si tratterebbe di una manifestazione estremista di una minoranza che, ritenendosi offesa o addirittura minacciata dalla maggioranza, va alla ricerca di una via di risoluzione del conflitto attraverso l'uso della violenza politica. Nel secondo caso atti terroristici si verificano in presenza di un contrasto tra due civiltà, protagoniste di un macro-conflitto.

29 G. PISAPIA, Terrorismo: delitto politico o delitto comune?, in Giustizia Penale, 1975, p. 261 e ss.

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e politici nonché alle caratteristiche delle varie ondate di violenza30,

venendo così utilizzato nei modi più disparati in corrispondenza dei diversi periodi storici di riferimento: la socialità di tale concetto finisce col prevalere sul suo valore giuridico31.

Nonostante l'intima eterogeneità del fenomeno, è possibile individuare un fil rouge che accomuni le sue diverse forme di manifestazione, rappresentato dal carattere strumentale intrinseco a ciascuna di esse32.

Da un punto di vista socio-giuridico, sulla scorta di una consolidata dottrina, è possibile inquadrare il fenomeno entro tre diverse categorie: la prima, costituita dal terrorismo di diritto comune, nel caso in cui gli atti siano protesi a seminare il terrore nella popolazione indiscriminatamente e con atti violenti senza che il movente sia politico o sociale. Una seconda categoria – il terrorismo sociale – che mira alla realizzazione di un'ideologia per l'organizzazione di una collettività o di un Paese, colpendo specifici e selezionati obiettivi in considerazione della loro funzione. Ed infine il terrorismo politico, quando concorrono entrambe le finalità e la violenza indiscriminata sia

30 Dal regicidio del 19° sec. ai piccoli gruppi armati clandestini che agivano nei regimi democratici degli anni 70' del secolo scorso, per giungere alla violenza interreligiosa ed interetnica più recenti. Cfr. D. DELLA PORTA, op. cit., p. 2. 31 Lo stesso, può già dirsi esistente all'interno del contesto sociale a prescindere dalla qualificazione formale che gli ordinamenti si sforzino di attribuirgli. Talvolta è proprio la difficoltà delle istituzioni di individuare una nozione comune e condivisa di terrorismo che instaura uno “stato di sofferenza”, sintomo di una sensibile disomogeneità delle singole legislazioni nazionali.

32 Ogni attentato fa proprio uno specifico obiettivo giungendo, tuttavia, a produrre effetti che lo trascendono. Questa considerazione risulterebbe confermata se tutte le attività illecite fossero inserite in un piano strategico caratterizzato da un rapporto razionale tra mezzi e fini: presupposto che non sempre si realizza. Tale caratteristica delle azioni terroristiche è efficamente posta in rilievo da A. COLOMBO, in La

guerra ineguale. Pace e violenza nel tramonto della società internazionale, Il

Mulino/Ricerca, Bologna, 2006, pp. 41-43, dove ipotizza un “triangolo”: oltre al soggetto attore e a quello passivo, il bersaglio – che subisce le conseguenze fisiche –, l'azione terroristica per essere qualificata tale deve coinvolgere anche un terzo soggetto, lo spettatore, che assistendo all'atto o venendono informato, costituisce il vero interlocutore del terrorista, chiamato a cogliere il significato simbolico del suo gesto.

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tale da minare la fiducia della popolazione nelle istituzioni e nei principi fondamentali dell'ordinamento33.

Le diverse forme sono state oggetto di due contrapposte tradizioni di studio. Gli studi sul terrorismo34, inizialmente prevalicanti, hanno

progressivamente esteso il loro interesse dal tema del terrorismo internazionale alle forme di violenza più estrema – al radicalismo interno. A partire dagli anni Settanta gli studi sui movimenti sociali, considerati a lungo di rilievo marginale, si sono gradualmente affermati35.

1.3.1 La natura del fenomeno

Questione ardua si prefigura nel tentativo di individuare la natura del fenomeno terroristico in termini generali ed assoluti.

Il campo d'indagine può essere delimitato identificando le precipue caratteristiche che ci consentono di svincolare il terrorismo dal generico delitto politico36 prendendo, a contrario, le mosse proprio da

una loro presupposta interferenza reciproca.

33 Tale suddivisione in categorie si deve a A. SOTTILE, Le terrorisme

international, in Recueil des cours de l'Acadèmie de droit international de la Haye,

l'Aia, 1938, p. 11 e ss. Sui profili di differenziazione tra terrorismo (politico) e delitto politico si veda infra cap. 1, § 1.3.1

34 Definiti Terrorism studies negli Stati Uniti, e Extremismusforschung in Germania, Cfr. D. DELLA PORTA, op. cit., p. 2.

35 Pur mantendendo il loro deficit di partenza, ossia la scarsa attenzione prestata alla violenza. Gli studi sociali hanno criticato gli assunti fondanti i terrorism studies: a) la definizione dei movimenti sociali come reazioni inconsce a tensioni temporanee; b) la discontinuità tra gli attori politici convenzionali e legittimi; c)la presenza di frustrazioni individuali come molla verso la partecipazione alle azioni di protesta.

Ibidem.

36 Il delitto politico è «strumento di tutela di interessi superindividuali particolarmente forti ed imprescindibili, perchè legati alla salvaguardia dello Stato come potere costituito qualunque ne sia la forma e la sua natura». Cfr. V. MASARONE, Politica criminale e diritto penale nel contrasto al terrorismo

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La «finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico»37

compare per la prima volta nel nostro ordinamento come elemento soggettivo della fattispecie tipica nel 1978 con l'introduzione nel codice penale dell'art.289-bis38.

L'attribuzione della qualità di circostanza aggravante allo scopo terroristico o di eversione dell'ordine democratico ha l'obiettivo di inasprire la sanzione: la primazia del riferimento al momento del delitto e alla pericolosità dell'agente, anziché al contenuto lesivo del fatto dal punto di vista oggettivo, valgono a qualificare una tipologia normativa d'autore.

A queste considerazioni di impronta spiccatamente sostanziale, si affiancano il trattamento differenziato per i fatti di terrorismo ed eversione, le ipotesi premiali collegate a forme di collaborazione processuale e di ripudio ideologico previste da norme processuali39.

37 «Il fine di terrorismo non è coessenziale a quello di eversione» essendo possibile, infatti, seminare terrore senza avere un obiettivo eversivo e viceversa. Cfr. G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale, Parte Speciale, I, 5°ed., Zanichelli Editore, Bologna, 2012, cit. p. 48.

38 L'articolo 289-bis è stato introdotto dal D.L. 21 marzo 1978, n. 59 convertito nella L. 18 maggio 1978, n. 191 recante “norme penali e processuali per la prevenzione e la repressione di gravi delitti”. Nella sua accezione originaria – scevra da richiami internazionalistici – la suddetta finalità ha rivestito il perno centro della soggettivizzazione della responsabilità penale attuata mediante il ricorso a modelli di repressione già impiegati nella normativa codicistica. La finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico è stata usata talvolta in funzione di specificazione di offese comuni – caso dell'art.289-bis c.p.; talaltra con l'intento di fondare un arretramento della soglia della punibilità: la fattispecie di attentato non necessariamente deve risolversi in un tentativo cosicchè un'attività preparatoria diretta ad un omicidio diviene punibile o meno in funzione della sola volontà finale che l'agente persegue. T. PADOVANI, Bene giuridico e delitti politici. Contributo

alla critica ed alla riforma del Titolo I, libro II c.p., in Riv. it. dir. proc. pen. 1982, pp.

20-21.

39 La legislazione dell'emergenza comportò, dal punto di vista processuale, una notevole restrizione delle garanzie formali andando ad assegnare al processo prerogative di impronta repressivo-deterrente, proprie del diritto sostanziale. Tra queste ricordiamo, a titolo esemplificativo, il trasferimento dei poteri dalla magistratura alla polizia, l'ampliamento dell'ambito applicativo della carcerazione preventiva, la svolta autoritaria della disciplina delle misure di prevenzione. In tal senso, S. MOCCIA, voce Ordine pubblico (disposizioni a tutela dell'), in

Enciclopedia giuridica Treccani, XXII, Roma, 1990, p.1 e ss. Il risultato è una

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È innegabile che gli atti di terrorismo, quando diretti contro interessi politici dello Stato o diritti politici del cittadino ovvero quando la finalità perseguita sia comunque politica, rientrino nella categoria dei delitti politici40.

Pur nell'immediatezza della loro assimilazione, il terrorismo (politico) ed il delitto politico presentano profonde differenze che valgono a connotare il primo di un grado di dannosità sociale e di potenziale espansivo tale da prevalere sulla sua natura politica.

I principali tratti distintivi del delitto terroristico nel quadro dei delitti politici sono rappresentati dalla natura generalmente violenta dei mezzi d'azione impiegati41, il coinvolgimento di vittime innocenti42 e la

pubblicità dei singoli fatti43.

Il terrorismo può, dunque, genericamente essere indicato come forma di lotta politica che si esprime per mezzo di strumenti violenti al fine di raggiungere obiettivi di natura eversiva. È considerato un'infrazione

sistema. Infatti la limitazione delle libertà individuali si qualifica come un «costo necessario» della normalizzazione della vita civile. Cfr. C. FIORE, voce Ordine

pubblico (dir. Pen.), in Enciclopedia del diritto, Giuffrè Editore, 1980, vol. XXX, pp.

1103-1106.

40 Espressa definizione del delitto politico è contenuta nell'art. 8 c.p.: «il cittadino o lo straniero, che commette in territorio estero un delitto politico non compreso tra quelli indicati nel numero 1 dell'articolo precedente, è punito secondo la legge italiana, a richiesta del Ministro della giustizia. Se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa, occorre, oltre tale richiesta, anche la querela. Agli effetti della legge penale, è delitto politico ogni delitto, che offende un interesse politico dello Stato, ovvero un diritto politico del cittadino. È altresì considerato delitto politico il delitto comune determinato, in tutto o in parte, da motivi politici»

41 Il delitto terroristico è quel delitto che non offendendo soltanto beni politici ma anche beni indeterminati ed indeterminabili è capace per la sua imprevedibilità di determinare un grave allarme sociale. I delitti politici comuni sono, invece, incapaci di generare quel pericolo generico per la collettività che è tipico del crimine terroristico. Cfr, in proposito, A. MARINELLI, Il delitto politico, in Archivio penale, 1976, p. 89.

42 L'atto di terrorismo politico va ad offendere interessi di soggetti estranei alla lotta politica, al contrario del comune delitto politico rivolto ad arrecare offesa all'interesse politico di cui è titolare lo Stato o l'avversario politico. L'indeterminatezza dell'oggetto e del soggetto passivo genera un'enorme insicurezza pubblica, cui generalmente aspirano i terroristi. Cfr. V. MASARONE, op. cit., pp. 62-63.

43 G. PISAPIA, op.cit., p. 263, nel senso della pubblicità come elemento costitutivo delle azioni terroristiche.

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sui generis, di tipo speciale che assume veste “internazionale” quando

lo scopo, i mezzi, il luogo, gli autori, le vittime, la preparazione, la consumazione e gli effetti dell'azione riguardano Paesi differenti44.

Una definizione delineata in tali termini affonda le sue radici in premesse dottrinali ed istituzionali associate alla modernità. Infatti da un lato, individuare i terroristi come soggetti mossi dall'obiettivo di esautorare lo Stato dal monopolio della violenza presuppone che si tratti di una minaccia interna ai confini statali: condizione che viene meno, nella seconda metà del Novecento, con la diffusione del

terrorismo c.d. internazionale.

D'altro canto, considerando il terrorismo come fenomeno avente di mira la messa in discussione della legittimazione delle autorità statali richiede che tale riconoscimento discenda da un processo di autorizzazione delle autorità medesime: prospettiva questa molto più vicina alle logiche hobbesiane che a quelle contemporanee45.

Dunque il contesto politico-istituzionale in cui vive il terrorismo riveste importanza strategica per analizzare la modalità di percezione dello stesso ed i mezzi predisposti dall'autorità per ostacolarlo.

Quando simili fatti trascendono la dimensione giuridico-penale interna, la definizione della relativa responsabilità necessita di un'analisi che porti ad emersione la qualificazione giuridica e le implicazioni penalistiche nel quadro del diritto internazionale e nel contesto regionale europeo.

44 Ivi, p. 261 e ss.

(28)

1.4 La definizione di terrorismo negli strumenti internazionali

La progressiva elaborazione di un sistema normativo penale di livello internazionale, completo di precetti, sanzioni ed apparato giurisdizionale, continua ad affiancarsi agli strumenti predisposti dal diritto interno dei singoli Stati nonché a forme di cooperazione internazionale46.

In tale ambito vengono in rilievo i crimini internazionali o core

crimes47, da tenersi distinti dai crimini transnazionali o treaty crimes48.

Per taluni fenomeni è problematica la classificazione come veri e propri crimini internazionali ovvero come meri crimini di natura pattizia transnazionale. Tra questi figurano in primis quelle forme di

46 Tradizionalmente si distingue il diritto internazionale penale inteso quale «complesso di norme internazionali aventi la funzione di definire e sanzionare i crimini internazionali, di imporre agli Stati l'obbligo di processare e di punire gli autori, ed infine di dettare regole per l'instaurazione e lo svolgimento a livello internazionale dei relativi procedimenti penali», dal diritto penale internazionale espressione, invece, di un «sistema normativo inerente al ruolo svolto dagli organi giurisdizionali nazionali nell'ambito della repressione della criminalità internazionale», in tal senso A. CASSESE, Lineamenti di diritto internazionale

penale. I. Diritto sostanziale, Bologna, 2005, pp. 11-12. Sulla denominazione di tale

complessa materia non vi è uniformità di opinioni in dottrina. Risulta preferibile, per ragioni di ordine sostanziale, far ricorso all'espressione diritto penale internazionale per riferirsi «all'insieme degli aspetti sostanziali, procedurali penali del diritto internazionale e degli aspetti internazionali del diritto e della procedura penale nazionale dei singoli Stati», in tal senso E. AMATI, V. CACCAMO, M. COSTI, E. FRONZA, A. VALLINI, Introduzione al diritto penale internazionale, 2°ed., Giuffrè Editore, Milano, 2010, cit. p.XXIV.

47 I quali rinvengono la propria fonte in norme di ius cogens e si caratterizzano per la violazione gravissima del diritto internazionale consuetudinario ovvero convenzionale, di norme a tutela di valori, beni ed interessi giuridici ritenuti meritevoli di tutela da parte dell'intera Comunità internazionale. In tal senso, M.C. BASSIOUNI, Le fonti e il contenuto del diritto internazionale penale. I. Diritto

sostanziale, Bologna, 2005, p. 65 e ss.

48 Si tratta di crimini che, pur presentando elementi di sicuro rilievo internazionale, quanto a modalità esecutive, soggetti interessati e beni giuridici offesi, non comportano l'attivazione della giustizia penale internazionale in senso proprio. Sono fatti penalmente rilevanti che coinvolgono più Paesi, riconosciuti nei Trattati internazionali e nelle Risoluzioni ma non ancora nel diritto consuetudinario. Mentre i crimini internazionali sono reati di gravità tale da coinvolgere gli interessi dell'intera Comunità, i crimini transnazionali si ritengono lesivi dei soli interessi delle vittime dirette. Cfr. A. CASSESE, Lineamenti di diritto internazionale penale, op. cit., p.25.

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terrorismo aventi raggio d'azione esteso oltre la soglia meramente interna, che, pur caratterizzandosi per l'efferatezza della condotta – tratto tipico dei core crimes –, non rientrano nella giurisdizione materiale di alcun tribunale internazionale. Le ragioni di simile esclusione sono da ricondursi, in primo luogo, alla difficoltà di raggiungere un accordo sulla definizione di terrorismo tra gli Stati parti49, e in via secondaria alla tendenza degli stessi a ritenere gli atti

terroristici più efficacemente perseguibili a livello nazionale, sia pure nel quadro di comuni azioni di prevenzione e repressione.

Al di fuori delle ipotesi in cui singoli atti siano perseguibili come crimini di guerra50 o come crimini contro l'umanità51, l'assenza di un

accordo generale per una definizione globale di terrorismo ha fatto sì che l'intervento della Comunità internazionale52 si sia concretizzato

49 Il processo di elaborazione di una definizione universalmente accettata, tale da esaurire in sé i caratteri essenziali del fenomeno, ancora non è giunto a conclusione. I testi normativi che vi si riferiscono, seppur numerosi, non valgono a risolvere questi delicati problemi, in quanto o definiscono il fenomeno in termini tautologici e generici, o non lo definiscono affatto. Cfr. R. BARBERINI, La Definizione di

Terrorismo Internazionale e gli Strumenti Giuridici per Contrastarlo, in Per Aspera Ad Veritatem, 2004, n. 28, testo è consultabile su www.gnosis.aisi.gov.it.

50 I crimini di guerra sono violazioni del cd. Ius in bello (oggi diritto internazionale umanitario) ossia di norme dirette a regolare il comportamento dei soggetti impegnati nel conflitto armato. Sui crimini di guerra si vedano le regole contenute nelle Convenzioni dell'Aia del 1899 e del 1907, e nelle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 con i relativi Protocolli Addizionali del 1977 riguardanti in particolar modo la protezione umanitaria di coloro che non sono o non sono più parte attiva dei combattimenti. Cfr. N. RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, 4°ed., Giappichelli Editore, Torino, 2011, p. 147 e ss.

51 Il primo riferimento a tale espressione risale all'Accordo di Londra del 1945 istitutivo del Tribunale di Norimberga, con il preciso intento di evidenziare la sussistenza di limiti al trattamento riservato da uno Stato ai propri cittadini fino ad allora ritenuto affare interno, come tale non sindacabile dalla Comunità internazionale. Possono intendersi crimini contro l'umanità, in generale, violazioni della dignità umana a danno di qualunque soggetto, di qualsiasi nazionalità realizzate in maniera massiccia e sistematica; in tal senso M.C. BASSIOUNI, Le fonti e il

contenuto del diritto penale internazionale. Un quadro teorico, Milano, 1999, p.115

e ss.

52 Il raggiungimento dell'intesa nell'ambito della Comunità internazionale, ai fini della formazione di una nozione universalmente condivisa, è ostacolato dalle diverse posizioni assunte in ordine all'opportunità o meno di ricomprendere all'interno della nozione anche il novero degli atti di violenza perpetrati dai c.d. freedom fighters –

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nell'adozione di una serie di convenzioni internazionali. Ques'ultime sono volte a disciplinare specificamente la cooperazione interstatuale per determinate tipologie di atti terroristici che, pur presentando peculiarità proprie, rispondono ad un modello comune facente leva su una serie di disposizioni: tra queste spiccano l'obbligo per gli Stati di prevedere come reati le fattispecie indicate nelle convenzioni stesse e l'obbligo di adottare standards minimi di controllo per impedire ai terroristi il reperimento dei mezzi per l'attuazione dei loro piani. A corollario di questi, lo Stato sul cui territorio si trovi il soggetto ritenuto responsabile di atti terroristici deve processarlo oppure estradarlo allo Stato che ne faccia richiesta, in ossequio al principio

aut dedere aut iudicare53.

L'analisi dei principali strumenti internazionali adottati, dunque, è imprescindibile nel dibattito relativo alla definizione giuridica del terrorismo anche se, rispetto ad essi, parte della dottrina ha ritenuto di poterne dedurre alcuni elementi necessari alla ricostruzione di una definizione di terrorismo; altri autori, da quegli stessi elementi, hanno dedotto, al contrario, argomenti che impedirebbero l'individuazione di una nozione condivisa dalla generalità degli Stati.

combattenti per la libertà, individui o gruppi che lottano per l'attuazione del principio di autodeterminazione dei popoli soggetti ad occupazione straniera oppure a dominazione coloniale, oggi espressamente menzionato dall'art.1, par.2 e dall'art.55 della Carta delle Nazioni Unite – ovvero quelli realizzati dal potere costituito nell'opporsi ad essi, consumati in contesti che superano la soglia del conflitto armato. Come evidenzia efficacemente A. CASSESE, Lineamenti di diritto internazionale

penale, op. cit., ciò che in realtà manca «non è la definizione, bensì l'accordo

sull'eccezione alla definizione», cit., p.162. 53 Cfr. V. MASARONE, op. cit., pp. 100-101.

(31)

1.5 Le origini della normativa internazionale sul terrorismo 1.5.1 Approccio settoriale e approccio globale

La necessità di affrontare il terrorismo nella sua complessità e globalità si manifestò nell'ambito della Società delle Nazioni quando l'attentato di Marsiglia del 193454, pose in evidenza, in modo paradigmatico, gli

elementi che rendono la natura dell'atto terroristico 'transnazionale'. Il consiglio della Società delle Nazioni istituì un comitato di esperti chiamato a rispondere ai due nodi principali della questione, riguardanti, rispettivamente, la definizione dell'atto terroristico e la sua

repressione a livello internazionale: per la soluzione di questi gli Stati

e le organizzazioni internazionali hanno fatto ricorso principalmente allo strumento convenzionale, che si declina diversamente a seconda della prospettiva di osservazione55.

Per quanto riguarda la definizione dell'atto terroristico, questa ruota intorno alla natura specifica della finalità per cui tale atto viene commesso. Ciò si ricollega ad un primo approccio, anche detto

settoriale, a cui sono riconducibili quelle convenzioni internazionali

54 Attentanto nel quale trovarono la morte il re Alessandro di Jugoslavia e il ministro degli esteri Barthou, assassinati da un suddito appartenente alla minoranza croata, i cui complici fuggirono in Italia. Cfr. A.F. PANZERA, Terrorismo (diritto

internazionale), in Enciclopedia giuridica Treccani, vol. XLIV, 1992, p.1.

55 Dal versante oggettivo vengono in rilievo le convenzioni speciali – relative a singole fattispecie di reato quali il dirottamento di aeromobili o di navi, il sequestro di agenti diplomatici, che si caratterizzano per il carattere monografico e la maggiore tecnicità – e quelle generali che si occupano del fenomeno terroristico in tutta la sua vastità, per le quali la pretesa di completezza è stata, tuttavia, foriera di dubbi e incertezze. Dal punto di vista soggettivo è possibile distinguere le fonti in base all'ampiezza dell'organizzazione e all'ambito tecnico nel quale sono state adottate. Incontriamo così, da un lato, gli atti adottati dalle Nazioni Unite contenenti, per lo più, dichiarazioni di principio che hanno prodotto scarsi risultati; dall'altro le convenzioni elaborate nell'ambito di organizzazioni più contenute e tecniche quali l'OACI (organizzazione dell'aviazione civile internazionale), l'OSA (organizzazione degli Stati Americani) e soprattutto il Consiglio d'Europa. Cfr. A.F. PANZERA, ivi, pp. 1-2; V. MASARONE, Politica criminale e diritto penale, op. cit., p. 102.

(32)

che, eludendo ogni riferimento alle finalità, identificano l'atto terroristico prendendo le mosse dalle modalità operative di manifestazione56.

Sul versante diametralmente opposto si colloca un approccio, definito

globale, nel quale rientrano quelle convenzioni che privilegiano lo

scopo dell'atto piuttosto che le sue manifestazioni esteriori: questa la ragione della scarsa diffusione di tale tipologia di trattati57.

Per quanto riguarda le forme di repressione del terrorismo internazionale le fonti, di natura convenzionale, fanno ricorso allo schema fondato sul principio aut dedere aut iudicare, anche se non sono mancati tentativi volti ad affidare i presunti autori di atti terroristici ad un giudice internazionale58.

In anni più recenti, la funzione repressiva è stata fatta oggetto dell'attività delle organizzazioni internazionali, i cui organi statutari hanno rivisitato alcune delle proprie competenze al fine di improntarle alla lotta contro il terrorismo59.

Da non lasciare sottaciuto è, inevitabilmente, il rapporto che lega la

56 Si veda amplius C. DI STASIO, La lotta multilivello al terrorismo

internazionale. Garanzia di sicurezza versus tutela dei diritti fondamentali, Giuffrè

Editore, 2010, p. 37.

57 Le convenzioni settoriali tendono a coincidere con quelle elaborate nell'ambito delle Nazioni Unite, caratterizzandosi per la loro vocazione universale; per contro le convenzioni globali nascono soprattutto nelle organizzazioni regionali. La spiegazione di tale apparente contraddittorietà è da ricercarsi nel fatto che a livello regionale si dissolve il disaccordo sull'elemento finalistico, ragione che, invece, costringe gli Stati a livello universale a ricorrere ad un metodo empirico. In tal senso, F. CHERUBINI, Terrorismo (diritto internazionale),in Enciclopedia del diritto, Annali V, 2012, p. 4.

58 Soluzione questa che veniva adottata dalla Convenzione per la creazione di una Corte Penale Internazionale che, tuttavia, non è mai entrata in vigore. Cfr. V. MASARONE, op. cit., p. 106.

59 È quanto è avvenuto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che, facendo leva sull'art. 39 della Carta e qualificando il terrorismo come minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale, ha fatto ricorso a misure coercitive quali l'istituzione di tribunali internazionali ed il congelamento dei beni appartenenti ad invidivui responsabili di terrorismo internazionale. In tal senso. A.F. PANZERA, Attività

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repressione del terrorismo internazionale alla tutela dei diritti umani imposta dal diritto internazionale generale e da norme convenzionali60.

1.5.2 La repressione del terrorismo in generale: la Convenzione di Ginevra

La Convenzione di Ginevra per la repressione e prevenzione del terrorismo, adottata nell'ambito della Società delle Nazioni nel 1937, non entrò mai in vigore61.

Analizzando, in primis, il profilo repressivo, la nozione di terrorismo si ricava dall'interazione tra una definizione a carattere generale ed astratto – ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 2 – ed un elenco di fattispecie – contenute all'articolo 2 – suscettibili di essere qualificate come “atti di terrorismo” qualora – ai sensi dello stesso art.1, par.2 – consistano in «fatti criminosi diretti contro uno Stato allo scopo di provocare il terrore in persone determinate, gruppi di persone o nel pubblico in genere»62. I reati di terrorismo così elencati avrebbero

dovuto costituire, a norma del diritto di Ginevra, automaticamente casi

60 Di fronte ad una “emergenza terroristica” risulta brevissimo il passaggio dalla “sicurezza dei diritti”, caratterizzante lo Stato di diritto, al “diritto alla sicurezza”. Sebbene tale ultimo diritto risulti già sancito all'art.2 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789, in tale formulazione si tratta di una fattispecie funzionalizzata alla garanzia dei diritti naturali sanciti in Costituzione. Sul versante opposto si colloca la connotazione assunta da tale formula in questa epoca di incertezza e paura. Si veda amplius E. DENNINGER, Diritti dell'uomo e Legge

fondamentale, Giappichelli Editore, Torino, 1998, p. 91 e ss.; G. DE VERGOTTINI, Guerra e Costituzione, Il Mulino Editore, Bologna, 2004, p. 201 e ss.

61 Le ragioni del fallimento sono da ricercarsi non solo, dal punto di vista storico, nelle difficili relazioni internazionali conseguenti allo scoppio della seconda guerra mondiale, ma anche nella nozione fin troppo vasta di terrorismo in esse enunciata. Questa conserva, tuttavia, valore storico, rappresentando il primo esempio di accordo multilaterale sul terrorismo. Cfr. G. PISAPIA, op. cit., p. 268 e ss.

62 A. GIOIA, Terrorismo internazionale, crimini di guerra e crimini contro

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di estradizione63.

Lo scopo repressivo dell'Accordo è arricchito dal profilo preventivo, strettamente correlato al primo: il testo si preoccupa di sancire il dovere di ogni Stato contraente di adottare tutti i provvedimenti idonei ad impedire attività terroristiche64.

A partire da questo primo tentativo, la volontà di elaborare misure globali per la prevenzione e repressione del terrorismo non ha mai abbandonato i consessi delle Nazioni Unite, eccettuati i brevi periodi di accantonamento in favore del ricorso a strumenti normativi, universali e regionali, di carattere settoriale.

L'esame della prassi dimostra come la Comunità internazionale, lungi dal perseguire un disegno normativo unitario sin dall'inizio, abbia adottato un metodo episodico e frammentario, settoriale, volto a rispondere alle esigenze poste dalle nuove forme di terrorismo.

1.5.3 Le convenzioni a carattere regionale. Un approccio globale non biunivoco

Le convenzioni a carattere regionale e l'approccio globale che le caratterizza non si pongono tra loro in rapporto di corrispondenza

63 Tuttavia lo Stato richiesto conservava la possibilità di considerare politici tali reati rifiutando di concedere l'estradizione, essendo l'obbligo di dedere subordinato alle restrizioni presenti nel diritto del paese cui la domanda è rivolta. Tale rifiuto conosce dei temperamenti (artt. 8 e 9): laddove l'estradizione non sia stata concessa, il reo deve essere perseguito come se il reato fosse stato commesso nello Stato in cui si trova e sottoposto a procedimento se la legislazione dello Stato di rifugio consenta l'instaurazione del procedimento per reato commesso dallo straniero. In tal senso, M. SOSSAI, La prevenzione del terrorismo nel diritto internazionale, Giappichelli Editore, 2013, p.12 e ss; A. GIOIA, ivi, p.8.

64 Così è previsto: «è dovere di ogni Stato astenersi dal favorire attività terroristiche ed impedire gli atti che ne costituiscono manifestazione», si veda, Convenzione di Ginevra, art.1, n.2.

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