1.5 Le origini della normativa internazionale sul terrorismo 1 Approccio settoriale e approccio globale
1.5.6 Gli Accordi conclusi nell'ambito delle Nazioni Unite nel complesso
Anche nell'ambito delle Nazioni Unite sono state concluse Convenzioni disciplinanti singole fattispecie criminose tradizionalmente associate al terrorismo internazionale. È tendenza degli anni più recenti quella che ha portato il consesso internazionale all'adozione di convenzioni che si riferiscono al terrorismo in termini generali ed espliciti80. Al primo gruppo appartiene la Convenzione
78 Nell'Ottobre del 1985, alcuni Palestinesi si impadronirono dell'imbarcazione italiana nel viaggio tra Alessandria e Porta Said. Tale dirottamento fece sorgere nella Comunità Internazionale l'esigenza di strumenti normativi idonei a reprimere tale forma terroristica. Su tutti, A.F. PANZERA, Attività terroristiche e diritto
internazionale, op.cit., p. 52 e ss.
79 E ancora atti di violenza nei confronti di una persona che si trovi a bordo di una nave se tale atto è di natura tale da pregiudicare la sicurezza della navigazione. Per completezza di informazione dobbiamo ricordare che la Convenzione di Roma prevede come reato la complicità nella commissione di uno degli atti disciplinati – art. 3, par. 2, lett.b – ed esclude dal proprio ambito di applicazione le navi da guerra e le navi adibite a servizi doganali o di polizia (art.2).
80 Alla prima categoria appartengono la Convenzione di New York del 1973 sulla
prevenzione e repressione dei reati contro le persone internazionalmente protette,
inclusi gli agenti diplomatici; la Convenzione di New York del 1979 contro la cattura
di ostaggi. Al secondo gruppo sono ascrivibili la Convenzione di New York del 1997
per la repressione di attentati terroristici dinamitardi; la Convenzione di New York del 2005 per la repressione di atti di terrorismo nucleare. Cfr. N. RONZITTI, Europa
sulla prevenzione e repressione dei reati contro le persone internazionalmente protette del 1973. In simile atto, la nozione di sequestro di agenti diplomatici81 fa riferimento ad una pluralità di
situazioni distinguibili per tre elementi: l'autore – Stato, gruppo politico o privato cittadino –, la vittima – agente diplomatico, funzionario consolare o altro tipo di rappresentante in missione ufficiale – e infine le circostanze del sequestro, le quali mutano a seconda che sia compiuto in tempo di pace o di guerra82.
Durante la predisposizione del testo del 1973 alcuni delegati proposero di inserirvi una disposizione volta ad escludere dal suo ambito di applicazione gli atti compiuti dai movimenti di liberazione nazionale così scontrandosi con quei rappresentanti che, al contrario, ritenevano inapponibile qualunque tipo di eccezione83. Pur non comparendo
alcuna riserva nel testo definitivo, fu adottata una soluzione di compromesso tra tali istanze, formalizzata nella risoluzione 3166/1973, contenente in allegato la Convenzione.
Negli strumenti internazionali sinora passati in rassegna, è possibile rinvenire alcune caratteristiche comuni: innanzitutto, ai fini della loro applicazione è richiesta l'internazionalità del fenomeno84; in secondo
81 Al centro di accordi quali la Convenzione di Washington del 1971 e la Convenzione di New York, adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite con Risoluzione n. 3166/XXVIII il 14 Dicembre 1973, concernente il sequestro di agenti diplomatici e persone che godono di speciale protezione internazionale.
82 Il sequestro di agenti diplomatici è stato eletto dai gruppi terroristici, in misura crescente, quale contropartita al fine di ottenere determinate concessioni dagli Stati. È la prassi a dimostrare come ciò abbia contribuito a favorire il ricorso alla cooperazione internazionale in materia, espressasi nelle Convenzioni citate. Cfr. N. RONZITTI, Europa e terrorismo internazionale, op.cit., p.18-9.
83 La disposizione volta ad escludere l'applicabilità della suddetta Convenzione agli atti compiuti dai movimenti di liberazione nazionale prevedeva che “no provisione of
the present articles shall be applicable to peoples struggling against colonialism, alien domination, foreign occupation, racial discrimination and apartheid in the exercise of their legittimate rights to self-determination and independence”.
Rapporto del Comitato ad hoc del 27 settembre 1977, A/32/39, par. 26, p. 55. sul punto vedi infra
84 Requisito ritenuto intrinseco ad alcune delle Convenzioni – quale quella relativa alle persone internazionalmente protette – mentre ribadito expressis verbis in altre –
luogo, obblighi di prevenzione e repressione sono imposti, con formule laconiche, agli Stati, in base ai quali questi devono adottare «tutte le misure necessarie al fine di mantenere l'ordine e la sicurezza nel traffico aereo, marittimo e nelle relazioni diplomatiche»85. Infine,
principio fondamentale contenuto in tali strumenti pattizi è quello sancito dalla clausola aut dedere aut iudicare86: l'estradizione è la
prima opzione offerta allo Stato territoriale87.
Per ciò che riguarda il problema della rilevanza ai fini dell'estradizione della natura – politica o comune – del reato, dalle Convenzioni in esame risulta come la ratio politica rappresenti motivazione sufficiente per non estradare il soggetto. La mancata estradizione, pur suscitando qualche perplessità, non implica necessariamente l'impunità per
quale la Convenzione di Montrèal, laddove si richiede che i fatti incriminati siano commessi a bordo di un aereo durante un volo internazionale o nazionale. Cfr. A.F. PANZERA, voce Terrorismo, op. cit., pp. 7-8.
85 Frequentemente a tali obblighi ne sono collegati altri, aventi carattere preliminare o sussidiario, concernenti scambi di informazioni o il coordinamento di attività amministrative. A.F. PANZERA, Attività terroristiche e diritto
internazionale, op. cit., p. 139 e ss.
86 Tale clausola implica per lo Stato sul cui territorio si trovi il presunto autore di procedere alla sottoposizione del caso alle proprie autorità giudiziarie ai fini dell'esercizio dell'azione penale, laddove non opti per l'estradizione. Ibidem.
87 A fini di completezza sono necessarie alcune precisazioni in ordine al concetto di estradizione. In primo luogo, e salvo rari casi, l'estradizione ha sempre natura convenzionale: viene concessa dallo Stato sul cui territorio si trovi il presunto reo solo in presenza di uno specifico accordo con lo Stato richiedente. In secondo luogo vige il principio della reciprocità, in virtù del quale l'estradizione può essere concessa solo a condizione che il fatto per cui essa è stata richiesta sia previsto come reato in entrambi gli ordinamenti. Infine, qualora venga concessa, si farà applicazione del principio della specialità: il presunto reo dovrà essere processato presso lo Stato richiedente limitatamente ai fatti indicati nella richiesta. L'estradizione, così configurata, conosce almeno due deroghe attinenti ai divieti espressamente contenuti nelle norme interne ed alla natura politica del reato. Così gli Stati che subordinano l'estradizione all'esistenza di un Trattato, qualora la richiesta provenga da uno Stato con il quale non sia stato concluso alcun accordo, potranno considerare tali convenzioni come fondamento giuridico per la concessione dell'estradizione. Gli Stati non fondati su tale principio nei loro rapporti, al contrario, dovranno considerare tali reati come casi di estradizione secondo quanto previsto dell'ordinamento interno dello Stato richiesto. Cfr. V. MASARONE, op. cit., pp. 53- 56 e 100-103; A. SERRANO', op. cit., p. 91 e ss.
l'autore del crimine88.
1.5.6.1 Il difficile rapporto tra terrorismo e lotte di liberazione nazionale nelle Risoluzioni dell'Assemblea Generale
È proprio con riferimento alle Convenzioni concluse nell'ambito delle Nazioni Unite e, in particolare, alle risoluzioni dell'Assemblea Generale, che si è posto il problema di distinguere gli atti terroristici da quelle attività violente poste in estere dai c.d. freedom fighters – o combattenti per la libertà.
La discussione si è incentrata sul contenuto del principio di autodeterminazione ed in particolare sulla possibilità di individuare una norma consuetudinaria che, oltre a prevedere l’autodeterminazione esterna – applicabile ai popoli sottoposti a dominazione esterna – preveda anche l’autodeterminazione interna, la cui esistenza imporrebbe agli Stati un regime democratico89.
Alcuni esponenti della dottrina, hanno sostenuto che l'Assemblea Generale abbia assunto un preciso orientamento, nel senso che il divieto di atti terroristici non si imponesse ai movimenti di liberazione nazionale90.
Si assiste ad un'evoluzione allorquando l'Assemblea Generale, con la Risoluzione n.40/61 del 1985 – dopo aver riaffermato nel Preambolo il
88 Cfr. A. SERRANO', ibidem.
89 La dottrina prevalente è, tuttavia, giunta ad escludere l'esistenza di simile norma essendo il principio in questione applicabile ai soli popoli sottoposti a dominazione coloniale e a quelli i cui territori siano occupati con la forza. Si veda B. CONFORTI,
Diritto internazionale, Editoriale Scientifica, Napoli, 2002, p. 22 e ss.
90 In forza del riferimento contenuto nel par.3 della Risoluzione 3034 del 1972: «the
inalienable rights to self-determination and independence of all peoples under colonial and racist regimes and other forms of alien domination and upholds the legitimacy of their struggle, in particular the struggle of national liberation movements», par.3, Ris. n. 3034 (XXVII) del 1972.
diritto inalienabile all'indipendenza e all'autodeterminazione di tutti i popoli sottomessi – per la prima volta «Condemns, as criminal, all
acts, methods and practises of terrorism wherever and by whomever committed»91. È nel 1994 che l'Assemblea ha specificato la condanna
degli atti terroristici, definiti come «atti criminali compiuti al fine di provocare il terrore nella popolazione, in un gruppo di persone o nei confronti di specifici soggetti per ragioni politiche»92.
Alcuni autori hanno ravvisato nella prassi dell'Assemblea Generale un'evoluzione segnata dalla risoluzione del 1993, con la quale si assiste al passaggio dalla condanna del terrorismo internazionale – fermo restando il riconoscimento del diritto all'autodeterminazione – a quella del fenomeno in termini più generici, dove scompare ogni riferimento al diritto inalienabile. Tuttavia il punto debole risiede nel valore giuridico proprio delle risoluzioni dell'Assemblea, suscettibili di assumere valore di diritto consuetudinario se dichiarative di una prassi costante e generalizzata degli Stati93.
91 Condanna questa ribadita anche nel 1993 dalla Risoluzione n.48/122. Cfr. N. RONZITTI, Europa e terrorismo internazionale, op. cit., cit. p. 40.
92 Altresì prevedendo che si tratti di «atti ingiustificabili in ogni circostanza e quali che siano le ragioni di natura politica, religiosa o ideologica». Definizione questa da alcuni autori ritenuta eccessivamente generica, da altri viceversa accettabile, Cfr. A. CASSESE, International law, 2° Ed., Oxford, 2005, cit. p. 449-450, secondo il quale si tratta di una definizione che richede tre elementi: 1) l'atto deve costituire un illecito penale nella maggior parte degli ordinamenti; 2) l'atto deve avere come scopo la diffusione del terrore fra il pubblico o particolari gruppi di persone; 3) l'atto deve avere fini politici.
93 Condizione questa che pare non essere integrata: infatti alla condanna del terrorismo da parte degli Stati, contenuta nelle risoluzioni dell'Assemblea, non ha fatto seguito il convincimento circa la vincolatività della definizione in esse contenuta. Cfr. N. RONZITTI, Europa e terrorismo internazionale,op. cit., pp. 41-42.
1.6 La ricerca fallita di una nozione globale di terrorismo e la