prospettive europee
3.2 Gli interventi antecedenti il 2015 e la distrettualizzazione
“debole”
La necessità di dare una risposta adeguata al dilagare del terrorismo si fece stringente a seguito dei tragici accadimenti dell'11 settembre 2001. Seguendo la scia emergenziale, dunque, il Legislatore italiano intervenne in via d'urgenza, colmando le evidenti lacune normative, ma senza cogliere l'occasione per predisporre un effettivo e funzionante coordinamento giudiziario nelle indagini contro il terrorismo. Una mancanza, questa, non sanata nemmeno qualche anno più tardi, con il D.l. 144 del 2005.
La Legge n. 438 del 2001, apportando modifiche all'art.51 c.p.p. – con l'introduzione del comma 3-bis – attribuiva all'ufficio del p.m. presso il Tribunale del capoluogo di distretto nel cui ambito ha sede il giudice di riferimento la competenza relativamente ai delitti con finalità di terrorismo. Con il medesimo intervento veniva modificato, altresì, l'art. 328 c.p.p., mediante l'inserzione del comma 1-ter – poi abrogato nel 2008, il quale procedeva all'estensione al giudice dell'udienza preliminare della competenza distrettuale del giudice per le indagini preliminari – e si confermava la competenza dei procuratori generali presso le Corti d'appello per il coordinamento delle indagini collegate – a norma dell'art. 118-bis disp. att. c.p.p.
Simile riforma aveva assunto quale modello di riferimento quello offerto dalla repressione della criminalità mafiosa, non senza limiti che di fatto ne hanno pregiudicato in modo considerevole la portata innovativa. Se l'introduzione del comma 3-quater, art. 51 c.p.p. e l'estensione ai dibattimenti per reati di terrorismo della previsione di cui al comma 3-ter perseguiva l'obiettivo di evitare un'eccessiva frammentazione e dispersione delle indagini, nonché di assicurare un efficace esercizio delle funzioni requirenti in sede dibattimentale, purtuttavia, la complessiva efficienza della risposta giudiziaria non
sembrava realizzabile a causa della mancanza di una disciplina di coordinamento interno – infra ed inter-distrettuale.
Anzitutto, la primaria omissione consisteva nella mancata estensione ai reati di terrorismo della disciplina dell'art. 70-bis, ord.giud.1: la
Direzione distrettuale antimafia – DDA –, pur non configurandosi come una struttura rigida, ma, semmai, come un modulo organizzativo interno, è disciplinata da precise regole relative a criteri, modalità e condizioni soggettive per la designazione ed altri elementi. Conseguenza diretta della lacuna era rappresentata dal fatto che la distrettualizzazione delle indagini preliminari in materia di terrorismo non fosse assistita da moduli organizzativi omogenei – anzi da alcuno di essi –, né da regole che ne qualificassero la funzione di struttura partecipata, caratterizzata da modalità di lavoro fondate sulla circolazione delle notizie, sul coordinamento delle iniziative e sulla capacità di interagire con autorità giudiziarie ed investigative straniere. Siffatta distrettualizzazione della competenza antiterrorismo, cd.
debole, sembrava in linea con la scelta politico-legislativa di non
prevedere un organo di impulso centralizzato2, nonché di mantenere il
sistema incentrato sul coordinamento ad opera dei Procuratori generali presso le Corti d'Appello.
Appariva, tuttavia, totalmente ingiustificata la scelta di non completare l'iter normativo di assimilazione delle relative disposizioni processuali a quelle a suo tempo introdotte per i delitti di mafia e di non assicurare
1 La disposizione prevede che il Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto costituisca, nell'ambito del proprio ufficio, una direzione distrettuale antimafia.
2 Le ragioni di simile incompletezza normativa erano sostanzialmente riconducibili alla preoccupazione che il ruolo essenziale svolto dal Dipartimento della pubblica sicurezza e dalle Forze di polizia in questo settore, fosse difficilmente conciliabile con quello di coordinamento e impulso investigativo svolto da un organismo giudiziario centralizzato nello stesso settore. In tal senso, F. ROBERTI, L. GIANNINI, Manuale dell'antiterrorismo, evoluzione normativa e nuovi strumenti
– con la centralizzazione del coordinamento – la tempestività e la completezza delle indagini giudiziarie. Per sopperire a simile carenza, apparve utile l'iniziativa – adottata dalla Direzione nazionale antimafia – volta ad ampliare e potenziare la rete delle conoscenze, promuovendo la stipula di protocolli organizzativi fra le procure distrettuali e quelle ordinarie di ciascun distretto.
L'obiettivo era quello di prevenire contrasti tra p.m ed assicurare un costante scambio informativo, rimesso alla procura distrettuale nel momento ed entro i limiti nei quali non sia ritenuto necessario garantire l'assoluta riservatezza delle indagini, delle notizie relative a fatti criminosi di tipo terroristico-eversivo riferiti all'ambito territoriale di ciascuna procura. Indispensabile a fini del coordinamento, era, altresì, la costituzione presso la procura distrettuale di una banca dati per la gestione dei procedimenti, sulla base di documenti informativi provenienti da fonte giudiziaria ed organizzati su piattaforma informatica.
A seguito degli interventi legislativi del 2001 e del 2005, il quadro dei mezzi di contrasto al terrorismo e all'eversione necessitava di completamento – attraverso un adeguamento progressivo degli strumenti medesimi –, al fine di conformarsi alla continua evoluzione del fenomeno, che dimostrava, da un lato, i sempre più frequenti intrecci tra gruppi terroristici o eversivi e gruppi mafiosi e, dall'altro, l'esigenza di coordinamento centralizzato delle indagini che ne assicurasse completezza e tempestività. Il Consiglio Superiore della Magistratura aveva affrontato il tema del coordinamento giudiziario all'esito di una serie di incontri dai quali era emersa l'unanime convinzione della necessità di approdare a «forme stabili di coordinamento», anche sulla base della individuazione di referenti
centrali per gli organi sopranazionali3. In occasione della discussione
parlamentare della Legge n. 155/2005, il Governo si impegnò a presentare un disegno di legge per l'istituzione di un organismo centralizzato di coordinamento giudiziario, mediante una figura istituzionale che avesse simili compiti e che, pur non vantando competenza diretta nelle indagini, potesse intervenire a pieno titolo e in rappresentanza di tutti i magistrati interessati4. Il ruolo sempre più
centrale acquisito dalla Direzione nazionale antimafia – DNA – nella strategia di contrasto alla criminalità organizzata transnazionale e in materia di prevenzione patrimoniale confermava l'opportunità di attribuire alla figura del procuratore il coordinamento delle indagini in materia di terrorismo. Siffatto risultato trovava una giustificazione nella previsione, già contenuta nella L. n. 431/2001, per la quale la Direzione nazionale antimafia faceva parte del Comitato di sicurezza finanziaria, istituito al fine di contrastare il finanziamento del terrorismo internazionale: veniva, così, confermata l'importanza di un apparato conoscitivo e di capacità di analisi, ammessi soltanto da una potenziale lettura unitaria delle dinamiche dei mercati finanziari, riconducibili a fenomeni di criminalità complessi. Non dovevano essere oltretutto trascurate le potenzialità del sistema informatico della DNA, nel quale confluiscono i dati relativi alle indagini svolte nei
3 Il CSM concludeva poi che «la costituzione di un organismo di coordinamento è ormai necessaria. Essa è anzi urgente, in quanto occorre dare risposta alle esigenze derivanti dal contrasto del terrorismo internazionale». Cfr. CSM, Risoluzione dell'Assemblea plenaria sul coordinamento giudiziario nel contrasto al terrorismo e all'eversione, 12 luglio 2006, in F. ROBERTI, Il coordinamento nazionale delle
indagini contro il terrorismo, in Il nuovo “pacchetto antiterrorismo, R.E.
KOSTORIS, F.VIGANO' ( a cura di), Giappichelli Editore, Torino, 2015, p. 137. 4 Si era in particolare evidenziato che nei procedimenti penali che coinvolgono autorità giudiziarie di Stati diversi, si impone un raccordo operativo. In simili occasioni, mentre gran parte degli altri Stati era rappresentata da un solo magistrato in grado di assumere decisioni, per l'Italia intervenivano più rappresentanti – uno per ciascuna delle procure interessate dalla vicenda processuale in discussione – talvolta anche in contrasto tra loro, Ivi, pp. 138-139.
diversi distretti giudiziari in materia di criminalità organizzata e nel quale ben potrebbero essere accolti anche i dati relativi ai procedimenti per reati terroristico-eversivi; correlativamente questo sistema offrirebbe agli uffici inquirenti distrettuali la disponibilità di un indefettibile patrimonio conoscitivo, essenziale al fine del proficuo ed effettivo dispiegarsi del coordinamento delle rispettive indagini. Siffatto indispensabile apporto di conoscenze avrebbe potuto essere assicurato soltanto da un efficiente sistema di banche dati tra loro collegate.
A seguito degli interventi culminati nel D. lgs. 159 del 2011, il procuratore nazionale antimafia era stato, altresì, individuato come garante dell'efficienza investigativa, sia nei procedimenti penali che in quelli di prevenzione antimafia: ne consegue che lo stesso, per poter efficacemente esercitare le funzioni di coordinamento ed impulso, debba possedere la conoscenza di tutte le informazioni relative alle attività terroristico-eversive, con accesso diretto ed immediato ai relativi atti. Simile conoscenza promana pressoché esclusivamente dalle indagini penali, in ordine alle quali il Procuratore nazionale antimafia non vanta alcuna competenza: veniva così ad evidenziarsi una contraddizione, che sarà risolta dal Legislatore attraverso l'estensione delle funzioni ex art. 371-bis c.p.p. anche ai procedimenti penali per reati espressivi di criminalità terroristico-eversiva.
3.3 Il coordinamento delle indagini nell'impianto del Decreto