1.8 Il livello europeo nella lotta al terrorismo 1 Considerazioni preliminar
1.8.2 La Convenzione europea per la repressione del terrorismo
Il procedimento di elaborazione prese avvio nell'ottobre 1972, quando – nell'ambito del Consiglio d'Europa – la Commissione per le questioni politiche presentò all'Assemblea consultiva un progetto di raccomandazione, la quale – oltre a sancire una ferrea condanna di tutti gli atti di terrorismo e a sottolineare la necessità di una stretta collaborazione tra gli Stati membri – invitava il Comitato dei Ministri ad impedire che gli Stati utilizzassero missioni diplomatiche per la preparazione o la copertura di atti di terrorismo. Pur lodevole nei fini, tale raccomandazione non sortì l'effetto sperato; cosicchè l'Assemblea esortò il Comitato ad elaborarne una nuova, a seguito della quale fu adottata una Risoluzione contenente i principi che avrebbero costituito il sostrato dell'Accordo di Strasburgo114.
unitario dotato di capacità giuridica – così come si presenta attualmente, dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona –, idoneo ad affermare la propria identità politica attraverso l'adozione di strumenti normativi, che valgano ad inserirsi nel contesto internazionale di lotta contro gravi fenomeni di criminalità transnazionale. Cfr. V. MASARONE, op. cit., p. 119.
114 Tra questi figurano i criteri di orientamento per gli Stati nella valutazione degli atti terroristici, che avrebbero dovuto in prima istanza valutare la gravità del reato,
A partire da questo impulso, fu conferito – durante il Consiglio d'Europa di Obernai, nel Maggio 1975 – ad un Comitato di esperti il compito di studiare i problemi posti dalle nuove forme di violenza terroristica: in tempi brevi fu elaborato il testo della Convenzione di Strasburgo.
L'accordo individua nell'estradizione l'unico strumento per evitare l'impunità dei “terroristi”, adottando il criterio dell'esclusione – obbligatoria o facoltativa – della qualificazione politica115 per i crimini
di matrice terroristica in essa indicati116.
senza lasciarsi strumentalizzare dalla politicità dello stesso – condizione di esclusione dell'estradizione. Cfr. artt. 1 e 2 Convenzione di Strasburgo.
115 Come evidenzia criticamente M.A. DI LAZZARO, op. cit., p.33, il fine della Convenzione suddetta è la repressione del terrorismo non in generale, bensì quello diretto contro gli Stati. Risulta evidente come dal suo ambito di applicazione rimangano esclusi sia il terrorismo individuale qualora le motivazioni non siano di carattere politico, sia il terrorismo di Stato.
116 Sin dai primi articoli della Convenzione, emerge la questione centrale della concorrenza tra Trattati successivi: l'art.1 contiene un elenco di reati che, expressis
verbis, non dovranno più essere considerati «come politici, né connessi a questi, né
ispirati da motivi politici». Tale elenco fa riferimento a fattispecie criminose già previste dalle precendenti Convenzioni – quali la Convenzione dell'Aia e di Montrèal relative, rispettivamente, alla repressione della pirateria aerea ed alle azioni dirette contro la sicurezza dell'aviazione civile – ma non depoliticizzati da queste: tali reati lo divengono per gli Stati membri della Convenzione di Strasburgo. La storia della repressione del terrorismo, infatti, si intreccia con la tematica della depoliticizzazione del fenomeno che si fonda su due fondamentali principi: il primo è quello della
territorialità della legge penale, che comporta, salvo rare eccezioni, che uno Stato
possa perseguire solo i reati commessi al suo interno e non anche quelli perpetrati all'estero contro uno Stato diverso; neppure nel caso in cui l'autore venga a trovarsi nel territorio dello Stato de qua. Il secondo principio è quello del divieto di
estradizione. Vero è che il diritto penale internazionale conosce la procedura di
estradizione quale utile meccanismo per evitare che il colpevole rimanga impunito per il sol fatto di essersi rifugiato all'estero. In questi casi viene in rilievo la consolidata regola, in forza della quale, l'estradizione viene vietata per i “delinquenti politici”. Dal momento in cui i terroristi sono considerati tali, rifugiandosi in Stato diverso rispetto a quello in cui il crimine è stato perpetrato, potrebbero agevolmente sfuggire ad ogni sanzione penale. La Comunità internazionale a lungo ha cercato di colmare la lacuna normativa generata dall'applicazione di questi due principi: in un primo momento attraverso il ricorso alla cd. Clausola belga, in seguito articolando la lotta al terrorismo su due livelli, uno generale e l'altro particolare. Cenno a parte merita la clausola belga: inserita, nel 1856, nella Costituzione belga, sanciva il principio per cui non possono beneficiare dei privilegi comunemente accordati agli autori di reati politici – e quindi soggetti ad estradizione – i responsabili di attentati contro Capi di Stato o di governo esteri nonché contro membri delle relative famiglie.
I principi in essa contenuti, escludendo l'estradizione, generarono un completo mutamento di prospettiva: determinanti, in tal senso, l'accresciuto clima di reciproca fiducia tra gli Stati membri del Consiglio d'Europa e l'escalation della violenza dei crimini terroristici. Purtuttavia il meccanismo, particolarmente rigido, in materia di estradizione risulta temperato da alcune disposizioni successive117,
fermo restando, in caso di veto alla domanda di estradizione, l'obbligo per lo Stato di sottoporre il caso «senza indugi e senza alcuna eccezione» alle autorità competenti ai fini dell'esercizio dell'azione penale118. Dal momento che la politicità di un reato viene stabilita in
astratto, la necessità di tenere in considerazione elementi particolari e concreti non va ad incidere sulla natura del reato. Di conseguenza un reato politico non muta in reato comune per il sol fatto di essere stato commesso con mezzi crudeli e malvagi119.
Per ciò che concerne l'ambito soggettivo di applicazione, la Convenzione di Strasburgo – in ossequio ad un rigido criterio biunivoco – è aperta alla ratifica per i soli membri del Consiglio d'Europa e la partecipazione a questo è condizione imprescindibile per la sua applicazione120.
L'elaborazione di tale principio ha costituito il punto di partenza per una più efficace repressione del terrorismo, sebbene non espressamente menzionato. In tal senso A. SERRANO', op. cit., p. 77 e ss.; M.A. DI LAZZARO, op. cit., pp. 35 e 36. Per una panoramica completa, A. SINAGRA, La cooperazione internazionale contro il
terrorismo: la Convenzione di Strasburgo, in Il Tommaso Natale, 1979, p. 1413 ss.
117 Tali disposizioni prevedono la possibilità di oppore un rifiuto all'estradizione qualora vi sia fondato motivo di ritenere che la relativa domanda sia stata presentata «al fine di perseguire o punire il soggetto per la sua razza, religione, nazionalità o per le sue opinioni politiche, oppure qualora vi sia fondato motivo di credere che la situazione del soggetto possa subire aggravamenti per uno di questi fattori». Cfr. art.2 Convenzione di Strasburgo.
118 Tale norma non lascia alcun margine di discrezionalità allo Stato sul cui territorio si trova il reo, il quale o consegna il soggetto allo Stato richiedente o lo sottopone a procedimento penale. Cfr. art.7 Convenzione di Strasburgo.
119 Cfr. M.R. MARCHETTI, Istituzioni europee e lotta al terrorismo, Padova, 1986, p. 45 e ss.
120 Nel caso in cui uno Stato cessi di essere parte di tale organizzazione, la convenzione automaticamente non produce più effetti in tale ordinamento. I membri