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La Topografia di Cagliari: dai Fenici ai Pisani

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Academic year: 2021

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Indice

INTRODUZIONE

CAPITOLO I - Il territorio di Cagliari 1. Morfologia del territorio

2. Panchina tirreniana e scelte insediative 3. Genesi della laguna di Santa Gilla 4. Variazioni dell'antica linea di costa CAPITOLO II – Origine toponimo

CAPITOLO III - La fondazione di Cagliari dalle fonti antiche CAPITOLO IV - Cagliari Preistorica

1. Insediamenti di epoca preistorica 2. Aree archeologiche indagate 3. Neolitico Antico

4. Siti del cagliaritano 5. Neolitico Medio

6. Neolitico Recente-Finale 7. Eneolitico

7.1. Facies di Sub-Ozieri 7.2. Facies di Monte Claro

7.3. Facies del Vaso Campaniforme 8. Bronzo Antico

9. Bronzo Medio-Recente e prima Età del Ferro

5 7 7 8 10 12 15 17 21 22 24 26 27 30 30 34 34 35 37 37 38

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CAPITOLO V – La Colonia Fenicia 1. Fase di colonizzazione fenicia 2. Organizzazione politica delle colonie 3. Posizione geografica della colonia 4. Tracce dell'abitato fenicio

5. Topografia dell'insediamento fenicio CAPITOLO VI - La Città Punica

1. Dominazione punica 2. Magistrature puniche 3. L'abitato punico

4. Topografia della città punica 5. Fasi di occupazione punica 6. Aree funerarie

7. Area portuale 8. Luoghi di culto 9. Impianti idrici 10. Strutture difensive

CAPITOLO VII - Karales Romana 1. La conquista romana

2. Status giuridico e magistrature 3. Topografia di età romana

4. Monumentalizzazione imperiale 5. Area pubblica 6. Luoghi di culto 7. Aree abitative 8. Aree funerarie 41 41 42 42 43 46 51 51 52 53 55 59 62 65 66 67 68 69 69 70 74 77 78 82 90 93

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9. Impianti termali 10. Edifici di spettacolo 11. Area portuale

12. Strutture militari e fortificazioni 13. Acquedotto e impianti idrici connessi

14. Strutture legate ad attività commerciali e artigianali CAPITOLO VIII – La Città Tardo-Antica

1. Evoluzione e abbandono della città romana 2. Diffusione del cristianesimo

3. Prime attestazioni archeologiche cristiane 4. Luoghi di culto

5. Aree funerarie

6. Fortificazioni tra IV e VII secolo

CAPITOLO IX – Periodo di dominazione Vandala 1. L'invasione dei Vandali

2. Il governo dei Vandali

3. Arianesimo e diffusione del monachesimo

CAPITOLO X – L'isola sotto l'Impero Romano d'Oriente 1. La conquista bizantina

2. Governo bizantino 3. L'architettura bizantina

4. Monasteri all'epoca di Gregorio Magno 5. Sinagoga ebraica 6. Xenodochia 96 99 102 105 109 113 119 119 125 127 129 135 138 141 141 142 144 149 149 150 152 153 155 156

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CAPITOLO XI – L'età Giudicale

1. Le invasioni arabe e il distacco da Bisanzio 2. Formazione della cittadella di Santa Igia 3. L'abitato di Santa Igia

4. Nascita del quartiere di Stampace 5. Luoghi di culto

6. Strutture di ricovero

7. Strutture militari e fortificazioni CAPITOLO XII – La fase Pisana

1. La distruzione di S. Igia

2. La fortificazione di Castel di Castro 3. Le mura di Castello 4. Le torri 5. La viabilità 6. Le rugae 7. Luoghi di culto 8. Edilizia pubblica 9. Aree funerarie 10. Area portuale 11. Approvvigionamento idrico

12. Le appendici di Castello e la sua forma simbolica 13. La formazione del quartiere di Villanova

CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA 159 159 162 165 173 176 183 185 189 189 191 193 195 199 200 202 205 206 207 210 212 214 219 223

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Introduzione

Cagliari, nella sua forma attuale, rappresenta l'evoluzione spaziale della città medievale nata intorno alla rocca di Castel di Castro, fortificata dai Pisani. L'espansione territoriale successiva fa parte di un normale processo di crescita urbana che ha visto la nascita di nuovi quartieri, oltre a quelli storici.

Il lavoro di tesi è stato svolto cercando di ripercorrere le tappe storico-archeologiche che hanno determinato lo sviluppo della prima area urbana, seguendone gli spostamenti, i quali, nei diversi periodi, sono stati determinati da molteplici fattori che si è cercato di individuare e spiegare di volta in volta.

Per rendere più comprensibile il quadro generale della situazione, una prima parte è stata dedicata alla morfologia e alla geologia del territorio cagliaritano, mettendo in risalto gli avvenimenti che hanno coinvolto lo Stagno di Santa Gilla a partire dalla sua formazione, essendo stato un sito particolarmente adatto all'insediamento e frequentato sin dall'età preistorica.

Inoltre, la discussione del tema principale è stata preceduta da una rapida esposizione relativa all'origine del toponimo della città e alla ricostruzione della fondazione di Cagliari secondo le fonti antiche, le quali svariano dalle descrizioni storiche, spesso contaminate da opportunità di tipo politico, a quelle corrotte dalla tradizione mitologica.

Col capitolo relativo alla frequentazione del territorio cagliaritano in epoca preistorica, ha inizio la parte dedicata all'individuazione dei siti archeologici, con lo scopo di visualizzare le aree di interesse antropico e stabilire quali fossero le zone prescelte per l'insediamento umano. Per ogni sito si è cercato di procedere ad una descrizione generale, più o meno esaustiva in base alle possibilità date dalla disponibilità di informazioni relative alle singole testimonianze.

Per ogni periodo storico, ciascun sito individuato, o ipotizzato, è stato numerato

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elaborando in questo modo delle piante topografiche che permettono di avere un'idea generale delle aree scelte per l'insediamento, dell'estensione degli spazi urbani, degli spostamenti della città e dell'attuale conoscenza archeologica nei diversi periodi storici.

L'ampiezza cronologica non consentiva di prendere in considerazione la totalità delle testimonianze archeologiche finora scoperte, tuttavia nella tesi sono presenti tutti i siti di cui si è trovata traccia nelle fonti utilizzate. Inoltre lo scopo del lavoro non era tanto la descrizione delle singole scoperte, quanto la rappresentazione della topografia generale dell'area urbana cagliaritana dai Fenici ai Pisani, cercando di delineare il contesto storico nel quale avvenne lo sviluppo della città di Cagliari.

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CAPITOLO I

Il territorio di Cagliari

1. Morfologia del territorio

La città di Cagliari è situata al centro del Golfo degli Angeli, arco marino ubicato lungo la costa meridionale della Sardegna. Il territorio (fig. 1) è caratterizzato da un sistema collinare, di prevalenza calcarea, in duplice allineamento parallelo orientato nord-ovest/sud-est. L'origine dei sette colli dislocati nell'area cittadina, formatisi in seguito a depositi marini, risale all'epoca miocenica: si tratta dei colli di San Michele, Tuvixeddu-Tuvumannu, Monte Claro, Castello, Monte Urpinu, Bonaria e S. Elia.

Il centro abitato sorse, nelle sue fasi più antiche, ai piedi del lungo promontorio calcareo Tuvixeddu – S. Elia, il quale, seguendo l'orientamento suddetto, termina nel Capo S. Elia, con la sua caratteristica Sella del Diavolo (fig. 2) che domina il golfo a sud della città, creando una penisola che divide in due parti il Golfo di Cagliari. Ai lati di tale colle, due insenature sono parzialmente interessate dalla formazione di cordoni sabbiosi litorali: le due lunghe spiagge di La Playa a ovest, attualmente denominata Spiaggia di Giorgino, e del Poetto a est.

L'area urbana, successivamente, si espanse nel territorio a prevalenza calcarea e arenaria compreso tra le due zone umide: a ovest si trova la laguna di Santa Gilla, che sulle sponde del suo versante orientale vide il sorgere del primo abitato fenicio-punico; a est sono situati

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lo stagno di Molentargius e le saline di Cagliari e Quartu S. Elena, separate dal mare dalla spiaggia del Poetto, i quali sono orientati sull'asse ovest-est. A nord, oltre il castello di San Michele, si apre la piana del Campidano che si estende sino ad Oristano1.

Fig. 2. Saline, spiaggia del Poetto e Sella del Diavolo (sardegnadigitallibrary.it).

2. Panchina tirreniana e scelte insediative

Importante nell'ottica insediativa è la presenza della panchina tirreniana, formatasi circa 120.000 – 80.000 anni fa (fig. 3). In breve, si tratta di un deposito litoraneo formatosi in seguito alla trasgressione marina tirreniana, anteriore a quella versiliana e cronologicamente inquadrabile nell'ultimo interglaciale Riss-Würm. La panchina tirreniana è un insieme di sedimenti marini con abbondanti resti fossili, soprattutto molluschi e spugne, formatasi lungo la costa orientale dello stagno di Santa Gilla, seguendo un orientamento nord-sud.

Gli strati sono inclinati verso il mare e, quelli superiori, sono formati in

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prevalenza da calcari, dalla cui consistenza lapidea deriva il nome di panchina. Gli strati intermedi sono tendenzialmente sciolti, per lo più sabbiosi e caratterizzati dalla presenza di falde freatiche, con acqua dolce anche in prossimità del mare. Gli strati inferiori sono costituiti da limi, argille, strati alluvionali o lagunari poco addensati, il cui spessore varia da pochi metri a diverse decine.

La linea di riva risulta, infine, instabile e erodibile, rendendo possibile l'abbassamento progressivo della panchina stessa verso il mare a causa di cedimenti alla base, del tutto plausibili.

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La formazione della panchina tirreniana condizionò le scelte insediative nel territorio cagliaritano. La sponda orientale dello stagno, alla base del promontorio calcareo di Tuvixeddu - S. Elia, sembra essere il luogo più adatto alle necessità cittadine: la sua morfologia piana, infatti, favorì lo sviluppo urbano; l'altitudine di qualche metro al di sopra del livello del mare consentì l'approdo difeso dal moto ondoso e, per via della sua posizione geografica, anche dai venti; e la presenza di fonti d'acqua dolce alla sua base resero tale panchina adatta all'insediamento umano.

Altre aree atte alla realizzazione di un porto sono il Poetto e il Golfo di S. Bartolomeo, oggi una piana urbanizzata in seguito a riempimenti ottocenteschi, le quali presentano l'inconveniente dell'esposizione ai venti meridionali e al forte vento di maestrale che soffia da nord-ovest2.

3. Genesi della laguna di Santa Gilla

La laguna di Santa Gilla (fig. 4), identificata talvolta col nome di Stagno di Cagliari, si estende per circa 4000 ettari all'interno del Golfo di Cagliari. Le coste di questo ambiente umido lambiscono i territori di Cagliari a sud-est, Elmas a nord-est, Assemini a nord-ovest e Capoterra a sud-ovest.

A separare la laguna dal mare troviamo, a sud, la barra sabbiosa denominata La Playa, salvo per un'apertura nella porzione orientale di tale lingua di terra, all'altezza del ponte de Sa Scafa, che collega il mare e lo stagno permettendo lo scambio delle acque marine e il deflusso delle acque dolci dei fiumi Mannu e Cixerri, i quali sfociano a nord dello stagno. All'interno di quest'ultimo è presente l'isola di Sa Illetta, indicata anche col nome di San Simone.

La formazione della laguna di Santa Gilla risalirebbe alle fasi finali della trasgressione versiliana, avvenuta negli ultimi millenni del Quaternario, caratterizzata dall'innalzamento del livello marino in seguito allo scioglimento dei

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ghiacci nella fase post-würmiana, circa 20.000 anni fa. Il raggiungimento dell'attuale livello del mare è datato a circa 4.000 anni fa, salvo lievi variazioni connesse a cambiamenti climatici recenti.

Sarebbe in questa fase, dunque, che l'area di Santa Gilla terminò la sua evoluzione, con la trasformazione dell'ambiente marino in lagunare. Questo passaggio è da ricondurre all'azione dei fiumi Mannu e Cixerri, e al conseguente trasporto dei sedimenti alluvionali che determinarono il progressivo impaludimento dell'insenatura, favorito anche dalla formazione della barra protettiva di La Playa a sud-ovest, la quale causò una netta separazione tra la laguna e il mare, salvo per il ristretto collegamento a sud-est3.

Fig. 4. Lo Stagno di Santa Gilla dall'alto (Google Earth).

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4. Variazioni dell'antica linea di costa

Rispetto alle dinamiche di formazione della laguna di Santa Gilla che ipotizzano la trasformazione dell'ambiente marino in lagunare già in epoca post-würmiana, l'archeologo Alfonso Stiglitz ci offre una visione differente che spiegherebbe la necessità, in epoca romana, di trasferire il porto e il centro urbano più a sud. Le due elaborazioni (figg. 5-6), basate sulle affermazioni4 dell'archeologo, sono il

risultato dell'analisi geomorfologica e degli studi sulle variazioni della linea di costa, i quali hanno messo in evidenza come, almeno per quanto riguarda il versante orientale della laguna di Santa Gilla, l'area abitativa di età fenicio-punica, insediata sul sistema collinare Tuvixeddu-Tuvumannu, si affacciasse su una costa marina e non lagunare.

La formazione della laguna sarebbe da legare alla deforestazione attuata dai Fenicio-Punici, i quali, risalendo i fiumi Mannu e Cixerri, diedero inizio al disboscamento delle terre in prossimità dei due corsi d'acqua per avviare la coltivazione del grano nell'entroterra campidanese. La scomparsa dell'area boschiva comportò l'aumento del trasporto di sedimenti e detriti da parte dei fiumi, i quali, riversandosi in mare, causarono l'impaludimento dell'insenatura marina e la formazione della barra de La Playa, rendendo impossibile l'utilizzo del porto fenicio-punico. I Romani dovettero, perciò, spostare l'area portuale e il centro urbano più a sud, fuori dall'area della laguna, all'altezza dell'attuale porto di Cagliari e di piazza del Carmine, luogo in cui si trovava il foro.

Le trasformazioni dovute alle attività antropiche non si sono arrestate in età antica, ma si sono protratte nel tempo, portando a cambiamenti della linea di costa nel versante orientale della laguna negli ultimi due secoli. Infatti, studi geologici e confronti con la cartografia ottocentesca hanno permesso di individuare lungo l'attuale linea ferroviaria un riempimento moderno che nasconde un'insenatura in corrispondenza del punto di massima densità dell'abitato punico.

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Più a sud, dove scorrono la Statale 130 e il sistema viario ferroviario, l'area è il risultato di riempimenti moderni, successivi alla fine del XIX secolo.

Nel centro cittadino, in prossimità dell'antico foro romano di Piazza Carmine, si trova la chiesa giudicale di San Pietro dei Pescatori, detta anche San Pietro de portu o litum maris, la quale doveva trovarsi in prossimità del mare. Misurando la distanza in linea retta che intercorre tra la chiesa e lo stagno di Santa Gilla, è risultata una distanza5 di circa 600 metri, dovuta ai riempimenti moderni (fig. 7).

Le carte dell'Ottocento segnalano, anche, che l'ormai distrutta chiesa di San Paolo, che si trovava nell'omonima zona, era situata in prossimità della costa.

Più a sud, nell'area del quartiere di S. Elia e della piana di S. Bartolomeo, riempimenti moderni hanno portato all'avanzamento della linea di costa, eliminando l'insenatura nella quale si ipotizza potesse esistere un insediamento secondario in epoca fenicia6.

Fig. 5. Antica linea di costa dello Stagno e forma originaria di Sa Illetta e La Playa.

5 La misurazione è stata effettuata tramite il programma Google Earth. 6 Stiglitz 2002, 1129-1133.

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Fig. 6. Antica linea di costa e riempimenti moderni.

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CAPITOLO II

Origine toponimo

La denominazione della città nella sua fase più antica, ossia quella relativa alla nascita dell'abitato fenicio-punico, è stata rintracciata in due iscrizioni7 di età

punica messe in luce nell'area del tempio di Antas a Fluminimaggiore. Infatti, una base cilindrica in bronzo, datata alla seconda metà del III a.C., e una base frammentaria in calcare grigio, citano il popolo di KRLY, forma semitica dell'appellativo col quale si indicava il nucleo più antico della città di Cagliari. Secondo alcuni studiosi, tuttavia, l'origine del toponimo KRLY, estendibile in Karaly, potrebbe derivare da una radice del sostrato paleosardo, identificato da taluni in “kar-”, che significa pietra o roccia, e da altri in “kal-”, corrispondente a insenatura o cala8.

Dal toponimo punico derivò quello latino, il quale presenta sia una forma singolare Kalaris/Calaris, sia una plurale Karales/Carales. L'esistenza di queste due forme potrebbe essere una traccia dell'antica presenza di diversi villaggi preistorici, la cui vita nel cagliaritano è stata accertata, o della nascita di più scali fenici. Rispetto a quest'ultima ipotesi, ci sono molte probabilità che nella fase arcaica dell'emporio fenicio vi fossero almeno due punti di approdo: quello di Santa Gilla, da individuare nell'area della Centrale Elettrica, in cui successivamente sorse il centro urbano punico; e quello del Golfo di S. Bartolomeo, oggi colmato, legato alla presenza del tempio di Astarte nel colle di S. Elia e alla necropoli di Bonaria. Non è esclusa nemmeno l'esistenza di un terzo insediamento nell'isola di S. Simone, o Sa Illetta, posta al centro dello stagno di Santa Gilla9.

7 Traduzioni in Zucca, 1989, 36.

8 Angiolillo 2008, 32; Angioni 2010, 18; De Felice 1964, 127; Meloni 1990, 158; Tronchetti 1990, 52; Zucca, 1989, 36.

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Più convincenti sembrerebbero le supposizioni relative ad una connessione tra l'utilizzo delle forme Karalis/Karales e la distinzione tra l'abitato punico, abbandonato intorno al II a.C., e il nuovo insediamento romano nato intorno all'area dell'attuale piazza Carmine.

Tali ipotesi derivano, principalmente, dall'analisi di una fonte del V d.C.: il grammatico gallico Consentius10. Egli, nella sua opera, facendo riferimento ad un

testo che ebbe la possibilità di consultare, scrisse: “Ait Cinus «munitus vicus Caralis»”. Dietro il citato Cinus, gli studiosi riconoscerebbero Publio Terenzio Varrone Atacino, il quale intorno alla metà del I a.C. compose una Chronographia. In queste poche parole si racchiudono diverse informazioni. Il termine munitus ci indica che si trattava di una città fortificata, ma ancora priva dello status di municipio, essendo descritta come vicus. Questa condizione amministrativa ne permette il raffronto con il vicus Italica, prima fondazione romana nel territorio della provincia spagnola dopo la sua conquista. L'utilizzo della forma singolare Caralis sarebbe, invece, da collegare al nuovo nucleo urbano romano di età repubblicana, prima dell'elevazione a status di municipio, vicus Caralis appunto.

Dunque, la forma latina Karalis/Caralis individuerebbe il solo centro abitativo romano edificato in seguito alla conquista della Sardegna avvenuta tra il 238 e il 237 a.C., mentre il toponimo al plurale Karales/Carales, andrebbe inteso come denominazione che segue alla fusione della città romana con quella punica. Infatti, quest'ultima, almeno in una prima fase, potrebbe aver continuato ad esistere, essendo abitata dai Sardo-Punici, i quali mantenevano le proprie magistrature e credenze religiose11.

10 Consenzio, “De duabus partibus orationis”, in Grammatici Latini, V, 349, ed. Keil. 11 Mastino 2009, 217; Meloni 1990, 158-160.

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CAPITOLO III

La fondazione di Cagliari dalle fonti antiche

Non essendo attestata l'esistenza di una scrittura protosarda, relativamente alla quale mai nessuna iscrizione di alcun genere è stata ritrovata, per risalire alle origini della città di Cagliari è necessario affidarsi alle fonti greco-latine, le quali, però, devono essere lette tenendo conto di alcune importanti problematiche. La prima è la parzialità degli scritti, che delineano una storia che, talvolta, venne modellata in base alle esigenze politico-culturali del vincitore. La seconda è la distanza temporale che intercorre tra il periodo storico trattato e il momento in cui si misero nero su bianco tali informazioni. Le notizie, infatti, spesso riguardano fatti avvenuti secoli prima, che possono essere state ricavate da altre fonti precedenti ormai perdute, dalla tradizione orale, se non, addirittura, dalla tradizione mitologica. Per questi motivi, il rischio di manipolazioni e errori è molto alto12.

Sono molteplici le fonti letterarie antiche, in particolare romane, che riportano notizie sulla città di Cagliari. Restringendo il campo alle informazioni sulla fondazione della città, si può osservare come le fonti arrivino a conclusioni differenti. Se lo scrittore Claudiano13 riteneva che fosse stata eretta dai Fenici di

Tiro, per Pausania14, Strabone15 e Stefano Bizantino16 la città fu fondata dai

Cartaginesi. A queste informazioni storiche seguono quelle mitologiche. Infatti, secondo Solino17, scrittore romano del III secolo d.C., Cagliari venne fondata da

Aristeo, re tessalo, unendo le genti delle due discordi stirpi che abitavano la

12 Ugas 2006, 18-19.

13 Claudio Claudiano, De bello Gildonico, I, 520. Testo e traduzione in Perra 1993, 408-409. Ettore Pais sottolineò che il termine Tyrius, utilizzato da Claudiano, poteva essere inteso anche come “cartaginese” (Pais 1881, 84.). Quest'uso è attestato in Silio Italico.

14 Pausania, Phocis, X, 17, 5. Testo e traduzione in Perra 1993, 38-39. 15 Strabone, Geographica, V, 2, 7. Testo e traduzione in Perra 1993, 64-65. 16 Stefano Bizantino, s.v. Kàrallis, p. 357, 7-8H.

17 Gaio Iulio Solino, Collectanea rerum memorabilium, IV, 1-2. Testo e traduzione in Perra 1993, 20-21, 38-39.

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Sardegna a quei tempi: i Libi e gli Iberi. I primi arrivarono dalla regione africana della Libia condotti da Sardo18, figlio di Eracle, che diede il nome all'isola. I

secondi furono, invece, guidati da Norace19 di Tartesso, mitico fondatore della

città di Nora, provenienti dall'Iberia. A detta di Solino, le due popolazioni accettarono il governo del fondatore della città, Aristeo20.

Quest'ultimo, è descritto da altre fonti21 come un eroe civilizzatore legato al

mondo tessalo, beotico, euboico e libico. Figlio di Apollo e della ninfa Cirene, ebbe una figlia, Makris, che fece da nutrice a Dioniso, divinità legata al vino. Da qui, il collegamento che le fonti fanno tra Aristeo e la viticoltura. Anche il nome del secondo dei due figli che ebbe in Sardegna, Kallikarpos e Charmos, è legato al dio del vino. Charmos, infatti, deriva dal greco chairein, termine che rimanda al piacere e alla gioia. Uno degli appellativi di Dioniso era charma brotòisin, che potrebbe alludere al godimento del vino22. Sappiamo che a Ceo, un'isola

dell'arcipelago delle Cicladi, Aristeo apprese l'arte dell'apicoltura su insegnamento delle ninfe Brisai, anche quest’ultimo nome associabile a Dioniso. Dopo essere partito da Ceo per raggiungere la Libia, avrebbe poi deciso di trasferirsi in Sardegna23, che trasformò da terra selvaggia a terra coltivata24.

Lo studio delle fonti antiche, in parte discordi sulla cronologia degli episodi che riguardano la Sardegna e l'arrivo dei popoli colonizzatori, farebbero risalire l'arrivo di Aristeo, e quindi la fondazione della città di Cagliari, ad un periodo situato tra il XVI e il XV secolo a.C.. L'eroe greco avrebbe portato con sé anche

18 Su Sardo e l'origine del nome Sardegna: Isidoro, Origines geographica,XIV, 39; Paolo Diacono, Historia Langobardorum, II, 22; Pausania, Phocis, X, 17, 2; Sallustio Crispo, Historiarum libri, II, 4; Scholia al Timeo di Platone, Platonis dialogi, 25, B; Silio Italico, Punica (bella), XII, 355. Testi e traduzioni in Perra 1993, 18-21.

19 Altre fonti su Norace: Pausania, Phocis, X, 17, 4. Testo e traduzione in Perra 1993, 36-37. 20 Colavitti-Tronchetti 2003, 8; Ugas 2006, 24-25; Usai-Zucca 1986, 155-156.

21 Altre fonti su Aristeo: Pausania, Phocis, X, 17, 3; Pseudo Aristotele, De mirabilibus auscultationibus, 100; Sallustio Crispo, Historiarum libri, II, 7. Testi e traduzioni in Perra 1993, 24-27, 30-31, 36-37.

22 Breglia Pulci Doria 2005, 73-74.

23 Diodoro Siculo, Bibliotheca historica, IV, 82. Testo e traduzione in Perra 1993, 28-29. 24 Breglia Pulci Doria 2005, 69.

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un architetto di scuola cretese o ateniese, Dedalo25, chiamato Daidalos dai greci,

collegato alla diffusione dei protonuraghi26.

25 Sulla presenza di Dedalo in Sardegna: Diodoro Siculo, Bibliotheca historica, IV, 30; Sallustio Crispo, Historiarum libri, II, 7. Testi e traduzioni in Perra 1993, 26-27, 30-31.

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CAPITOLO IV

Cagliari Preistorica

Le ricerche archeologiche sinora svolte hanno permesso di attestare l'arrivo di gruppi umani nel territorio di Cagliari in epoca neolitica. L'occupazione delle aree costiere del golfo di Cagliari ad opera dell'uomo è da mettere in relazione con il massiccio spostamento di genti che migrarono verso occidente, a partire dall'area della cosiddetta Mezzaluna Fertile, che comprende gli attuali territori della Siria, della Palestina, della Giordania, del Libano e dell'Iraq27.

In questo territorio, infatti, dopo un lento processo di sviluppo tecnologico durato circa cinque millenni (tra 12.000 e 9.000 a.C.), prese avvio una nuova epoca, chiamata appunto Neolitico, che portò ad una serie di cambiamenti nel campo sociale, economico e tecnologico. La novità più importante fu, certamente, il passaggio da un'economia di caccia e raccolta ad una basata su agricoltura e allevamento. L'addomesticazione di piante e animali determinò anche la nascita di insediamenti stabili, portando al radicamento di queste genti in un dato territorio. Il termine Neolitico, utilizzato per la prima volta nel 1865 da Sir John Lubbock, autore dell'opera Prehistoric Times, definisce una nuova età della pietra, in quanto uno degli elementi che contraddistinsero quest'epoca fu l'innovazione tecnologica che vide la diffusione dell'industria in pietra levigata28.

Questo insieme di conoscenze, chiamato talvolta pacchetto neolitico29, venne

esportato in tutta l'Europa, a partire dall'XI millennio a.C.. Sulle modalità e sui tempi di diffusione del Neolitico verso occidente sono state elaborate numerose teorie. Le opzioni più attendibili sono quelle che videro la migrazione dei popoli neolitici come il risultato di una diffusione demica, supportata da evidenze genetiche, nell'Europa sud-orientale e centrale, e seguita dall'acculturazione, da

27 Atzeni 2003, 7; Pessina-Tiné 2008, 20. 28 Pessina-Tiné 2008, 17-18.

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parte di questi nuovi gruppi, delle genti che già abitavano l'area dell'Europa centro-occidentale. Per quanto riguarda le modalità di diffusione, è da escludere l'esistenza di un punto di partenza delle migrazioni e di una costante espansione. Si predilige, invece, il modello leap-frog30, a salti di rana, secondo il quale i coloni

si espansero verso occidente a partire da diverse aree della Mezzaluna Fertile, in diversi momenti e seguendo direttrici diverse. Tra queste ultime, le principali furono: quella che passava per la Grecia settentrionale e si sviluppava verso l'area balcanica e l'Europa dell'est; e quella che, passando per la Grecia meridionale, sfruttava il mar Mediterraneo per gli spostamenti verso l'Italia meridionale31.

Ed è proprio a partire da quest'ultima direttrice che, intorno alla metà del VI millennio a.C., un gruppo di coloni raggiunse l'area tirrenica, favorendo la creazione di una vasta koiné culturale, denominata Cardiale tirrenico32,

caratterizzata dalla diffusione delle ceramiche impresse a linee dentellate nel Lazio, in Toscana, in Liguria in Corsica e, infine, in Sardegna33.

Le prime tracce insediative di queste genti nel territorio cagliaritano risalgono proprio al Neolitico Antico (fig. 9), che nella datazione fornitaci dall'archeologo Giovanni Ugas si attesta tra il 6.000 a.C., con la facies di Su Carroppu, e il 4.000 a.C. con la cultura di Filiestru B34.

1. Insediamenti di epoca preistorica

La Cagliari preistorica è, ormai, irreparabilmente compromessa. La maggior parte delle testimonianze archeologiche delle fasi di occupazione più antiche della città sono andate perdute. Sono poche le tracce di attività umana di epoca pre-urbana ancora visibili.

Le grotte naturali utilizzate dall'uomo sin da Neolitico Antico, che si collocano

30 Pessina-Tiné 2008, 24. 31 Pessina-Tiné 2008, 22-30. 32 Pessina-Tiné 2008, 30. 33 Pessina-Tiné 2008, 30.

(23)

lungo il promontorio di Sant'Elia, nella parte sud-occidentale della città, sono state quasi completamente distrutte dall'attività antropica. Le cave coltivate nel secondo dopoguerra hanno portato alla formazione di frane, le quali hanno devastato gli antichi siti preistorici. Gli insediamenti all'aperto, dislocati in diversi punti del territorio cagliaritano, sono scomparsi sotto le fondamenta delle nuove costruzioni che hanno cancellato, già in epoca fenicio-punica e sino ai giorni nostri, i resti delle antiche situazioni abitative e delle rispettive aree cimiteriali. L'espansione urbana verso le aree periferiche e l'evoluzione industriale, in particolare quella che ha coinvolto la laguna di Santa Gilla, zona interessata da insediamenti in tutte le epoche storiche, ha completato il lavoro, eliminando non solo le tracce archeologiche della presenza umana, ma anche il paesaggio naturale nel quale i diversi gruppi umani hanno vissuto sin dal Neolitico.

Fig. 8. Siti del cagliaritano in epoca preistorica.

La maggior parte dei siti preistorici presenti nel territorio cagliaritano li conosciamo grazie alle indagini archeologiche compiute tra la fine dell'Ottocento

(24)

e la prima metà del Novecento, prima che lo sviluppo edilizio e industriale ne cancellasse le tracce. Ed è a queste ricerche che ci si affida per cercare di identificare l'assetto topografico del territorio del capoluogo sardo nell'epoca pre-urbana35.

2. Aree archeologiche indagate

Le zone archeologiche che hanno restituito tracce di occupazione preistorica (fig. 8) si possono distinguere in tre categorie: le grotte naturali, gli insediamenti all'aperto e le aree cimiteriali.

Neolitico Antico (6.000 a.C. - 4.000 a.C.)36:

• Grotte naturali: S. Elia.

• Insediamenti all'aperto: Santa Gilla e Sella del Diavolo. Neolitico Medio (4.000 a.C. - 3.400 a.C)37:

• Grotte naturali: Bagno Penale.

Neolitico Recente e Finale (3.400 a.C. - 3.200 a.C.)38:

• Grotte naturali: S. Bartolomeo, Grotta dei Colombi.

• Insediamenti all'aperto: Poetto, viale Trieste n° 151, via Is Maglias, Cùccuru Ibba (nell'area sud-occidentale di Santa Gilla, ma nel territorio di Capoterra), Su Pirastu – Su Planu (nel comune di Elmas), Cùccuru Serra (nel comune di Monserrato), Su Coddu (nel comune di Selargius), Stazione C.R.A.S. (nell'area nord-orientale della laguna di Santa Gilla, nel territorio di Uta).

35 Atzeni 2003, 13; Colavitti-Tronchetti 2003, 9.

36 Atzeni 2003, 8; Contu 2006, 52; Lilliu 2011, 30-33; Ugas 2006, 12. 37 Atzeni 2003, 8; Contu 2006, 52, 73; Lilliu 2011, 45; Ugas 2006, 12. 38 Atzeni 2003, 8; Contu 2006, 52; Lilliu 2011, 83; Ugas 2006, 12.

(25)

• Aree cimiteriali: Domus de Janas S. Bartolomeo. Eneolitico (2.850 a.C. - 1.900 a.C.)39:

1. Facies Sub-Ozieri (2.850 a.C. - 2.700 a.C.):

• Insediamenti all'aperto: Monte Urpinu, Terramaini, Su Coddu (comune di Selargius), viale Colombo , Santo Stefano e Perda Bona (queste ultime tre nel comune di Quartu S. Elena).

2. Facies Monte Claro (2.400 a.C. - 2.100 a.C.):

• Insediamenti all'aperto: via Is Mirrionis, Su Pirastu - Su Planu (comune di Elmas), Su Coddu (comune di Selargius), Perda Bona (comune di Quartu S. Elena).

• Aree cimiteriali: Grotta S. Bartolomeo, Monte Claro, via Is Mirrionis, via Trentino, via Basilicata (queste ultime tre in località Sa Duchessa).

3. Facies del Vaso Campaniforme (2.100 a.C. - 1.900 a.C.):

• Grotte naturali: S. Bartolomeo, S. Elia. Bronzo Antico (1.900 a.C. - 1.600 a.C.)40:

• Grotte naturali: S. Bartolomeo, S. Elia, Bagno Penale.

• Aree cimiteriali: tomba megalitica di Perda Bona (comune di Quartu S. Elena).

Bronzo Medio – Prima Età del Ferro (1.330 a.C. - 510 a.C.)41:

• Grotte naturali: S. Bartolomeo, S. Elia, Bagno Penale, Grotta dei Colombi.

39 Atzeni 2003, 8; Contu 2006, 52; Lilliu 2011, 186-187; Ugas 2006, 12. 40 Atzeni 2003, 8; Lilliu 2011, 319; Ugas 2006, 12.

(26)

• Insediamenti all'aperto: S. Michele, Tuvixeddu, Cuccuru Ibba (nell'area sud-occidentale di Santa Gilla, ma nel territorio di Capoterra, in cui si trova anche un nuraghe), Is Arenas, Santo Stefano, Nuraghe Diana (questi ultimi tre nel territorio di Quartu S. Elena), via Sigismondo Arquer (quartiere Marina), via Goldoni.

Fig. 9. Siti archeologici del Neolitico.

3. Neolitico Antico (6000 a.C. - 4000 a.C.)

La fine del Mesolitico e l'inizio del Neolitico fu segnata da un insieme di fattori che portarono significativi cambiamenti nello stile di vita delle popolazioni preistoriche. La fine delle glaciazioni e l'inizio del periodo chiamato Olocene determinò un innalzamento delle temperature, seguito da un regime di piogge regolari, dando avvio a quello che viene chiamato “periodo dell'optimum climatico”. Alle migliorate condizioni climatiche seguì un importante sviluppo tecnologico. Innanzitutto, lo sviluppo dell'agricoltura e dell'allevamento, i quali

(27)

determinarono il passaggio da un'economia di caccia e raccolta in insediamenti stagionali, alla produzione diretta del cibo e la creazione di siti abitativi stabili. Altro traguardo fondamentale fu, inoltre, l'invenzione della ceramica, utilizzata principalmente per la cottura e conservazione dei cibi, che si diffuse velocemente in Europa, con l'arrivo delle genti neolitiche orientali42.

Fig. 10. Siti neolitici sul promontorio di Sant'Elia.

4. Siti del cagliaritano

Dall'analisi delle testimonianze archeologiche si può notare che, nel Neolitico Antico, gruppi umani raggiunsero il territorio di Cagliari e si insediarono in due aree: il promontorio di S. Elia (figg. 10-11), che si affaccia sul Golfo degli Angeli a sud della città; la laguna di Santa Gilla, nell'area occidentale del capoluogo. La scelta dei siti in cui stabilirsi sembra rispondere, quasi sempre, alla necessità di rapportarsi con il mare e con l'entroterra. Il che significò scegliere, in primo luogo, aree abitative sopraelevate, in modo tale da avere una buona visione del territorio circostante. Il promontorio di S. Elia con le sue grotte abitate fin dal Neolitico

(28)

Antico, l'area di via Is Maglias sul colle di Tuvixeddu e l'insediamento di Monte Urpinu sono solo alcuni esempi di siti la cui scelta topografica fu, probabilmente, dovuta a necessità di tipo strategico. In secondo luogo, vennero privilegiate le zone che permettevano l'approvvigionamento alimentare. In questo caso l'area di Santa Gilla era adatta sia alla pesca che alla coltivazione delle terre limitrofe43.

Fig. 11. Siti neolitici sul promontorio di Sant'Elia (Google Earth).

(1)

Grotta Sant'Elia

La cavità, scoperta nel 1878 dallo studioso Francesco Orsoni44, fu localizzata

nell'omonimo promontorio. Si trattava dei primi e più antichi resti di vita umana dell'area di Cagliari, rappresentando il momento iniziale della colonizzazione neolitica nel Golfo di Cagliari tra VI e V millennio a.C..

La grotta non è più visibile a causa dei lavori di cava che, causando frane sul colle, ne hanno cancellato le tracce. Infatti, i successivi tentativi di ritrovamento

43 Colavitti 2003b, 7; Mongiu 1989, 18-19; Tronchetti 1992, 15. 44 Orsoni 1879; Orsoni 1880; Orsoni 1881.

(29)

della cavità segnalata dall'Orsoni non ebbero successo (Pinza nel 1901, Taramelli, Loddo e Mannai nel 190345).

La grotta, che secondo Lilliu46 era utilizzata al solo scopo funerario, ha restituito

testimonianze materiali relative alle ceramiche impresse del Neolitico Antico, della facies di Ozieri nel Neolitico Finale, della Cultura del Vaso Campaniforme nell'Eneolitico Finale e, per finire, della facies di Bonnannaro nel Bronzo Antico/Prenuragico47.

(2)

Stazione all'aperto della Sella del Diavolo o di Marina Piccola

Sul versante orientale del promontorio di Sant'Elia, lungo un gradone naturale sotto la Sella del Diavolo e sopra il porticciolo di Marina Piccola, l'archeologo Taramelli48 ha svolto nel 1901 degli scavi archeologici che hanno permesso di

portare alla luce un insediamento all'aperto, il più antico sinora documentato in Sardegna, dello stesso periodo della Grotta di Sant'Elia49.

(3)

Insediamenti preistorici di Santa Gilla

Ricognizioni di superficie50 dopo lavori di dragaggio e drenaggio nella laguna di

Santa Gilla hanno permesso il ritrovamento di manufatti in selce e ossidiana databili al Neolitico Antico. La presenza di microliti geometrici ha consentito il confronto con i reperti del riparo di Su Carroppu di Sirri-Carbonia, in cui sono associati alla ceramica impressa cardiale, permettendo una datazione dell'insediamento cagliaritano al VI-V millennio a.C.. Sono attestate anche tracce di cultura materiale relative al Neolitico Medio, facies di Bonu Ighinu51.

45 Pinza 1901a; Taramelli 1904. 46 Lilliu 2011, 83.

47 Angioni 2010, 13; Atzeni 1986, 22; Atzeni 2003, 8-9, 14, 65-66; Contu 2006, 55, 106; Lilliu 2011, XXX, 31, 83.

48 Taramelli 1904.

49 Angioni 2010, 13; Atzeni 1986, 22; Atzeni 2003, 15; Lilliu 2011, 31. 50 Atzeni 1981.

(30)

5. Neolitico Medio (4000 a.C. - 3400 a.C.) (4)

Grotta del Bagno Penale

Scavata nel 1903 dal Taramelli52, si trovava sul versante settentrionale della

cosiddetta “Catena del Semaforo”. Successivamente, su una fiancata della grotta si aprì una larga breccia a causa dei lavori di cava, provocando frane sul colle con la conseguente scomparsa della cavità.

Utilizzata per uso abitativo e funerario, ha permesso il ritrovamento di un vasetto globulare biansato con decorazione a puntini impressi tipico della cultura di Bonu Ighinu, oltre a reperti in ossidiana di tipo microlitico.

Anche nella non lontana area di Calamosca (5) sono stati recuperati, presso l'Hotel S. Elia, reperti litici dello stesso periodo53.

6. Neolitico Recente-Finale (3400 a.C. - 2850 a.C.) (6)

Grotta di San Bartolomeo

La Grotta di San Bartolomeo, anch'essa scavata dall'Orsoni54 nel 1878 e

riesplorata dal Patroni55 nel 1901, è oggi scomparsa a causa di frane dovute

all'utilizzo del promontorio come cava per materiale edile nel secondo dopoguerra.

Questo sito, il quale rappresenta uno dei principali punti di riferimento per lo studio della facies di Ozieri, presenta una stratigrafia che si estende dalla fine del IV millennio a.C. all'inizio del II millennio a.C., conservando, tra depositi abitativi e funerari, tracce antropiche che vanno dalla cultura di Ozieri a quelle di Monte Claro, del Vaso Campaniforme e di Bonnannaro in età protonuragica.

L'area destinata all'uso funerario presentava sia inumazioni collettive che ossari. Il confronto tra i reperti ceramici ha potuto stabilire la concordanza cronologica tra l'utilizzo della Grotta di San Bartolomeo coi più antichi villaggi della Sardegna

52 Taramelli 1904.

53 Atzeni 1986, 23; Atzeni 2003, 8-9, 15-16, 68-69. 54 Orsoni 1879; Orsoni 1880; Orsoni 1881. 55 Patroni 1901.

(31)

come quelli di San Gemiliano a Sestu e Monte Ollàdiri a Monastir, distanti tra i 10 e i 15 km56.

(7)

Domus de Janas di San Bartolomeo

Si trovava a circa dieci metri di distanza dalla Grotta di San Bartolomeo57 ed era

caratterizzata dalla tipologia tombale con grotticella artificiale del tipo a forno, con una nicchietta nella parete di fondo dell'unico vano.

Nel cagliaritano, le domus de janas più vicine sono quelle di Settimo San Pietro, in località S'acqua 'e is dolus, e Monastir, presso Monte Ollàdiri e Monte Zara, anch'esse ascrivibili alla facies di Ozieri58.

(8)

Stazione del Poetto

Nell'area di Marina Piccola, nella curva del viale Poetto che dalla città porta all'omonima spiaggia, sono stati rilevati fondi di capanna, ceneri di focolari, resti di pasto, manufatti litici in ossidiana e ceramiche della cultura di Ozieri, circa un metro al di sotto della superficie calpestabile59.

(9)

Grotta dei Colombi

Accessibile solo dal mare, si trova sulla parete verticale di sud-est del promontorio di Sant'Elia (fig. 12). Oltre a ceramiche e altri reperti di cultura materiale, conteneva anche resti di ossa umane cronologicamente databili alla cultura di Ozieri. Sondaggi60 risalenti al secondo dopoguerra portarono alla luce

testimonianze della prima Età del Ferro, tra le quali ceramiche databili all'VIII secolo a.C.61.

56 Angioni 2010, 14; Atzeni 1986, 23-24; Atzeni 2003, 8-9, 16-17, 66-68; Atzeni 2007, 375; Castia 1995, 23-40; Lilliu 2011, XV, 83, 89.

57 Taramelli 1904.

58 Angioni 2010, 14; Atzeni 1986, 24; Atzeni 2003, 9, 17-18. 59 Angioni 2010, 14; Atzeni 1986, 24; Atzeni 2003, 18. 60 Bartolo-Ferrara 1971; Lilliu 1947a.

(32)

Fig. 12. Grotta dei Colombi (sardegnadigitallibrary.it).

(10) Sacche archeologiche di viale Trieste n° 151

Nel 1981, scavi sotto le fondazioni del palazzo esistente a questo indirizzo misero in evidenza tracce di diverse abitazioni preistoriche a m 3 di profondità. Furono trovate ceramiche di Ozieri, resti di pasto, ossia conchiglie e datteri marini62.

(11)

Villaggio di via Is Maglias

Nella parte alta della strada, sul crostone di roccia calcarea del colle di Tuvixeddu, sono stati ritrovati materiali litici e fittili relativi ad un villaggio all'aperto risalente alla cultura di Ozieri63.

62 Angioni 2010, 14; Atzeni 1986, 24-25; Atzeni 2003, 18, 19.

(33)

(12) Villaggio di Cùccuru Ibba (Capoterra)

Esteso per diverse centinaia di metri, si trovava sulla sponda sud-occidentale della laguna di Santa Gilla, in località Terr' 'e Olia e Su Cocceri, nel territorio di Capoterra. A nord-ovest del villaggio, invece, è possibile osservare l'omonimo nuraghe. Gli scavi effettuati da Taramelli64 e le ricognizioni di Atzeni65 hanno

portato alla luce materiali ceramici e litici tipici della cultura di Ozieri66.

(13) Stazione di Su Planu – Su Pirastru (Elmas)

Situata sulla sponda nord-orientale dello stagno di Santa Gilla, nel territorio di Elmas, ha permesso il recupero di reperti databili alle facies di Ozieri e Monte Claro67.

(14) Stazione di Cùccuru Serra (Monserrato)

In questo sito sono state ritrovate68 consistenti tracce di fondi di capanne, resti di

pasto, reperti litici, in selce e ossidiana, e ceramiche della cultura di Ozieri69.

(15) Stazione di Su Coddu (Selargius)

Questo grande villaggio ricco di testimonianze70 relative alla facies di Ozieri,

situato nella periferia nord della città di Selargius, ha restituito anche tracce di abitati delle fasi eneolitiche, in particolare un'interessante lama di pugnale in rame71.

64 Taramelli 1926a. 65 Atzeni 1958.

66 Atzeni 1986, 25; Atzeni 2003, 19; Atzeni 2007, 69; Santoni 1986, 61-62. 67 Atzeni 1986, 25; Atzeni 2003, 19.

68 Atzeni 1958.

69 Atzeni 1986, 25; Atzeni 2003, 20. 70 Ugas 1981.

(34)

(16) Stazione C.R.A.S. (Uta)

Il sito preistorico, situato a nord-ovest dello stagno di Santa Gilla in territorio di Uta, mostrava residui di capanne e ceramiche della cultura di Ozieri. I reperti fittili, affini a quelli della Grotta di San Michele ai Cappuccini a Ozieri, si scostano, però, in parte da quelli tipici del villaggio di San Gemiliano a Sestu e del cagliaritano72.

7. Eneolitico (2850 a.C. - 1900 a.C.) 7.1 Facies di Sub-Ozieri (2850 a.C. - 2700 a.C.) (17) Stazione di Monte Urpinu

Conosciuta già dal 1870 per i ritrovamenti del Nissardi, fu, successivamente, segnalata dall'Orsoni73 nel 1879 e interpretata come stazione-officina per le

numerose schegge in ossidiana e manufatti ritrovati, in particolare nelle pendici sud-orientali del monte che si affacciano sullo stagno di Molentàrgius e sulle saline del Poetto. Reperti fittili di superficie richiamano anche le successive facies di Filigosa (2700 a.C. - 2600 a.C.) e Abealzu (2600 a.C. - 2400 a.C.)74.

(18) Stazioni di Terramaini

Si trattava di tre o quattro insediamenti abitativi costruiti sulle alture tra la città e la frazione di Pirri, nella piana di Terramaini. Le sacche archeologiche rilevate durante gli scavi75, hanno permesso l'individuazione di fondi di capanne, silos,

fosse per detriti, resti di focolari, resti di pasto e frammenti litici e ceramici76.

72 Atzeni 1986, 26; Atzeni 2003, 20. 73 Orsoni 1879.

74 Angioni 2010, 14; Atzeni 1986, 26; Atzeni 2003, 21; Atzeni 2007, 69-70. 75 Orsoni 1881.

(35)

(19) , (20) , (21) Stazioni di Viale Colombo, Perda Bona e Santo Stefano (Quartu S. Elena)

In questa serie di villaggi77 tra la periferia meridionale di Quartu S. Elena, lo

stagno di Molentàrgius e la spiaggia del Poetto, sponda quartese, sono stati recuperati resti di capanne e focolari, ossa animali e reperti ceramici78.

7.2 Facies di Monte Claro (2400 a.C. - 2100 a.C.)

Le tracce di attività umana nel territorio cagliaritano durante il periodo in cui si diffuse la cultura di Monte Claro sono modeste, soprattutto se si pensa alla grande propagazione di abitati e testimonianze funerarie relative a quest'epoca nel Campidano. In particolare, sono limitate a quattro località le scoperte archeologiche relative agli insediamenti abitativi. Diverso il discorso per quanto riguarda le tipologie tombali, le quali sono più numerose e diversificate. I più diffusi sono i sepolcreti con tombe ipogeiche a forno, scavate nella roccia, singole o plurime articolate sul fondo di pozzetti verticali d'accesso. All'interno delle celle venivano deposte le ossa dei defunti, preliminarmente scarnificati a cielo aperto, depositate sui banconi ricavati nello spessore della roccia, con accanto il corredo composto principalmente da vasellame, gioielli e armi79.

(22) Villaggio di via Is Mirrionis

Situato nell'area della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Cagliari, non lontano dal colle di Monte Claro, che diede il nome alla relativa facies, ha restituito reperti ceramici tipici di questo periodo80.

77 Atzeni 1958.

78 Atzeni 1986, 27; Atzeni 2003, 22; Atzeni 2007, 60-61.

79 Angioni 2010, 14-15; Atzeni 2003, 22-23; Atzeni 2007, 427; Colavitti-Tronchetti 2003, 9; Contu 2006, 262, 332; Lilliu 2011, 143, 155; Ugas 2006, 16.

(36)

(13) Villaggio di Su Planu - Su Pirastru (Elmas)

L'abitato, attestato già a partire dal Neolitico Recente-Finale, continua ad essere occupato anche in questa fase, lasciando reperti ceramici che ne confermano la datazione81.

(15) Villaggio di Su Coddu (Selargius)

Anche in questo caso si tratta di un sito preistorico esistente dal Neolitico Recente-Finale, le cui evidenze dimostrano la continuità d'uso durante l'Eneolitico82.

(20) Villaggio di Sa Perda Bona (Quartu S. Elena)

L'area del sito venne occupata già durante la precedente facies di Sub-Ozieri e continua ad essere abitata in quella di Monte Claro83.

(6)

Tombe della Grotta di S. Bartolomeo

Nella già citata cavità presente sul promontorio di S. Elia furono messe in luce sepolture che l'archeologo Atzeni84 assegnò alla cultura di Monte Claro. Le

numerose incertezze stratigrafiche dovute agli interventi ottocenteschi e alle successive attività di cava, però, non ne permettono una sicura attribuzione a questa fase85.

(23) Tomba di Monte Claro

La prima tomba ipogeica, ritrovata nel 1906 dal Taramelli86 durante la costruzione

dell'Ospedale Psichiatrico, diede il nome a questa periodo, ossia facies di Monte Claro, luogo di questo iniziale ritrovamento. La differenziazione con la cultura

81 Atzeni 1986, 27; Atzeni 2003, 22-23; Atzeni 2007, 427. 82 Atzeni 1986, 27; Atzeni 2003, 22-23; Atzeni 2007, 427. 83 Atzeni 1986, 27; Atzeni 2003, 22-23; Atzeni 2007, 427. 84 Atzeni 1962.

85 Angioni 2010, 14-15; Atzeni 1986, 27; Castia 1995, 30-31. 86 Taramelli 1906.

(37)

precedente si deve principalmente all'inedito riconoscimento di una caratteristica ceramica scanalata87.

(24) Tombe di Sa Duchessa

Altre tombe vennero ritrovate nella non lontana località Sa Duchessa, durante la costruzione della Casa dello Studente negli anni '5088.

(25), (26) Tombe di via Basilicata e via Trentino

Nel 1965 furono scavate89 tre tombe in via Basilicata, durante la costruzione della

scuola di San Vincenzo, e una quarta in via Trentino.

La Tomba I di via Basilicata era caratterizzata da un pozzo verticale quadrangolare, tramite il quale si accedeva a tre camere a forno, rotonde e oblunghe. L'ingresso delle celle era ad arco, chiuso da un muretto a secco. Le deposizioni erano singole e consistevano in un solo scheletro rannicchiato sul fianco sinistro per ogni cella, come nel caso della tomba di via Trentino90.

7.3 Facies del Vaso Campaniforme (2100 a.C. - 1900 a.C.)

Tale fase è ben rappresentata a Cagliari dai ritrovamenti delle grotte di San Bartolomeo e S. Elia, le quali hanno restituito vasi e tipici pugnaletti in rame, triangolari e piatti, di larga diffusione91.

8. Bronzo Antico (1900 a.C. - 1600 a.C.) (1)

Grotta di Sant'Elia

Grotta adibita a sepolture fin dal Neolitico Antico, venne riadattata a tale uso anche in quest'epoca. Relativi alla cultura di Bonnannaro troviamo: frammenti di

87 Angioni 2010, 14-15; Atzeni 1986, 27; Colavitti-Tronchetti 2003, 9; Contu 2006, 262, 332; Lilliu 2011, 143, 155; Mongiu 1989, 19.

88 Angioni 2010, 14-15; Atzeni 1986, 27; Contu 2006, 262, 332; Lilliu 2011, 143, 155. 89 Atzeni 1967.

90 Angioni 2010, 14-15; Atzeni 1986, 27; Contu 2006, 262, 332; Lilliu 2011, 143, 155. 91 Atzeni 1986, 28; Atzeni 2003, 23-24; Contu 2006, 355-358; Lilliu 2011, 185.

(38)

tripodi e di ciotole carenate a superfici nerastre inornate, caratterizzati da piedi a sbarre rettangolari impostati sul fondo e dalle tipiche anse a gomito rialzato92.

(6)

Grotta di San Bartolomeo

Vasi analoghi a quelli di Sant'Elia furono messi in luce in questa cavità, anch'essa riconvertita in questa fase a sepolcro, dopo essere già stata usata per tale motivo nel periodo Neolitico Recente-Finale93.

(4)

Grotta del Bagno Penale

Presenti frammenti fittili attinenti alla cultura di Bonnannaro come nei casi di Sant'Elia e San Bartolomeo94.

(20) Tomba megalitica di Perda Bona

Si trattava di una tomba a grandi lastroni ortostatici distrutta da un bulldozer nel territorio di Quartu S.Elena, nella zona di viale Colombo. Fu trovato un pugnaletto triangolare a spalla arrotondata e con fori per i ribattini, tipico del Bronzo Antico peninsulare, uno spillone romboidale in rame o bronzo e un brassard d'arciere a quattro fori95.

9. Bronzo Medio-Recente e Prima Età del Ferro (1600 a.C. - 510 a.C.)

Si trattò del periodo di maggior sviluppo della civiltà nuragica, la quale, però, non è largamente evidenziata nell'area del cagliaritano. Secondo l'opinione dell'archeologa Mongiu96, la scarsa attestazione di tracce archeologiche,

cronologicamente attinenti alle ultime fasi dell'Età del Bronzo e all'inizio dell'Età del Ferro, deve essere spiegata prendendo in esame alcune situazioni. Prima di

92 Angioni 2010, 15; Atzeni 1986, 28; Atzeni 2003, 24; Lilliu 2011, 147, 342. 93 Angioni 2010, 15; Atzeni 1986, 28; Atzeni 2003, 24; Lilliu 2011, 342. 94 Angioni 2010, 15; Atzeni 1986, 28; Atzeni 2003, 24.

95 Atzeni 1986, 28-29; Atzeni 2003, 25. 96 Mongiu 1988, 66.

(39)

tutto, bisogna mettere in evidenza l'arretratezza delle ricerche archeologiche dovuta, principalmente, alla continuità di vita che ha interessato il territorio di Cagliari, determinando la cancellazione delle testimonianze più antiche o la sovrapposizione, rispetto a queste ultime, della stratigrafia moderna, la quale ne impedisce i sondaggi.

Inoltre, in una fase, quella tra la fine del Bronzo Medio-Recente e l'inizio della Prima Età del Ferro, in cui il territorio cagliaritano non offriva le principali materie prime dell'epoca, il ferro ad esempio, utilizzate come mezzo di scambio, le popolazioni stanziate in quest'area subirono un notevole calo demografico e, dunque, si ridusse lo spazio occupato fino all'arrivo dei Fenici97.

I dati a nostra disposizione per l'area di Cagliari mostrano una maggiore distribuzione dei siti sui colli cittadini di San Michele (27), Tuvixeddu, Monte Urpinu e S. Elia. Gli insediamenti ebbero un'ampiezza limitata e danno l'idea di come i nuclei fossero principalmente installati su luoghi sopraelevati.

Reperti di cultura materiale sono stati individuati: sul promontorio di S. Elia, presso l'omonima grotta e quella del Bagno Penale (4); sui colli di San Michele e Tuvixeddu; nell'insediamento nuragico tra via S. Simone (28) e via Brenta, nel versante orientale della laguna di S. Gilla; nell'isola di Sa Illetta (29), o S. Simone. Al di fuori del territorio amministrativo di Cagliari, ma in località non lontane, altre aree mostrano resti di età nuragica: il villaggio e il nuraghe di Cùccuru Ibba

(12), nel territorio di Capoterra; le aree di Is Arenas, Santo Stefano (21) e il

nuraghe Diana, presso il comune di Quartu S. Elena; i nuraghi Sa Domu 'e s'Orku e Antigori di Sarroch; la tomba dei giganti di Quartucciu; il tempio a pozzo nuragico di Cùccuru Nuraxi, nel territorio di Settimo S. Pietro98.

97 Mongiu 1988, 66.

98 Atzeni 2003, 25-27; Lilliu 2011, 366; Santoni 1986, 60, 64, 98-99; Tronchetti 1992, 18; Ugas 2006, 66.

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CAPITOLO V

La Colonia Fenicia

1. Fase di colonizzazione fenicia

La fondazione del primo nucleo insediativo nel territorio cagliaritano da parte dei Fenici, è strettamente collegato alla colonizzazione, a scopo commerciale, del bacino centro-occidentale del Mediterraneo messa in atto dalle città-stato della costa siro-palestinese, in particolare quella di Tiro. L'espansione sembrerebbe essere giustificata dalla ricerca di nuove risorse metallifere, che i Fenici avrebbero individuato inizialmente nel territorio dell'Iberia, la quale venne raggiunta tra il IX e l'VIII a.C., fondando le prime colonie. È Diodoro Siculo99, storico siciliano del I

a.C., a informarci del fatto che i Fenici, venuti a conoscenza della presenza di ricche miniere d'argento in Iberia, fondarono i primi empori lungo le coste spagnole per commerciare i loro prodotti in cambio dell'argento, del quale, a quanto racconta Diodoro, gli indigeni non capivano l'effettivo valore. Arricchitisi grazie al commercio di questo metallo, i Fenici, in seguito, fondarono nuove colonie lungo le coste dell'Africa, della Sicilia e della Sardegna100.

Anche nella successiva espansione in Sardegna la presenza di risorse minerarie sembrò essere uno dei principali motivi che li spinse a intrattenere rapporti commerciali con gli indigeni Sardi.

La conferma sembrerebbe arrivare dal territorio nord-occidentale della Sardegna in cui si trovava l'abitato indigeno di Sant'Imbenia, in prossimità di Alghero. Infatti, il sito nuragico si trova nell'Argentiera, ricca di miniere piombo-argentifere, che i Fenici raggiunsero col proposito di scambiare le loro merci in cambio del prezioso metallo. Le testimonianze archeologiche relative ai secoli IX-VIII a.C. confermano tale ipotesi101.

99 Diodoro Siculo, Biblotheca historica, V, 35, 1-5. Testo e traduzione in Perra, 1993, 54-55. 100Brigaglia-Mastino-Ortu 2002, 36-37; Pesce 1961, 18-19, 53-55.

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2. Organizzazione politica delle colonie

La fondazione di colonie da parte delle città-stato della costa siro-palestinese ebbe due principali obiettivi: allargare gli scambi stabilendo nuovi rapporti commerciali e espandere la propria sfera di influenza politica puntando verso Occidente, in quanto la situazione politica del Vicino Oriente non permetteva un ampliamento dei propri spazi territoriali.

Le attuali conoscenze sull'organizzazione politica delle colonie fenicie sono scarse. È, pertanto, sulla base delle ipotesi che si può supporre una certa autonomia, politica e giuridica, dei nuovi insediamenti dalla madrepatria, pur mantenendo, nei confronti di quest'ultima, dei vincoli di soggezione e dei legami religiosi, come sappiamo essere avvenuto per Cartagine rispetto alla città di Tiro. Non è chiaro, nemmeno, se il momento in cui le colonie divennero veri e propri centri urbani sia da registrare nel periodo fenicio o dopo l'inizio del dominio cartaginese102.

3. Posizione geografica della colonia

Le colonie fenicie nacquero come punti di approdo, rifornimento e deposito, costituendo la base per il commercio con gli indigeni dell'entroterra. La fase di colonizzazione fenicia non prevedeva, infatti, l'espansione verso l'interno, bensì l'intrattenimento di legami commerciali con la popolazione nuragica autoctona. Una peculiarità dei nuovi arrivati era quella di individuare come punti di approdo e insediamento tratti di territorio protetti da insenature, penisole o isole vicino alla costa. Questi particolari siti dovevano garantire la protezione dai venti, favorire la possibilità di difesa da eventuali nemici, sia da terra che da mare, situarsi in prossimità di fiumi per poter commerciare con l'interno e trovarsi nelle vicinanze di falde acquifere per l'approvvigionamento idrico dell'abitato103.

Per quanto riguarda Cagliari, la scelta dell'area in cui fondare l'emporium sembra

102Pesce 1961, 56-58.

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rispondere a tutte queste caratteristiche: la protezione offerta dal golfo di Santa Gilla e la presenza della foce dei fiumi Mannu e Cixerri, i quali permettevano la commercializzazione dei loro prodotti con l'entroterra, rendevano l'area del cagliaritano adatta alla costituzione di nuclei insediativi. Inoltre, bisogna prendere in considerazione l'ipotesi dell'archeologo Barreca104, ripresa anche da Giovanni

Ugas105, il quale suppose che il primo insediamento fenicio si trovasse nell'isola di

San Simone, seguendo uno schema urbanistico tipico dei colonizzatori che ritroviamo, per esempio, a Mozia106.

La posizione della Sardegna al centro del Mediterraneo, costituiva un perfetto punto di approdo temporaneo, collegando i territori del Mediterraneo orientale con quelli occidentali. Difatti, il territorio di Cagliari non solo non è l'unico ad essere stato occupato dai Fenici, ma non sembra nemmeno essere il più antico. In base alle ricerche svolte sino ad oggi, è possibile attestare al IX-VIII a.C. la nascita dei primi insediamenti nella costa sud-occidentale dell'isola. Di questi, i centri abitati nei quali sono state messe in luce le testimonianze archeologiche più antiche sono quelli di Nora, Tharros e Sulci, mentre le colonie di Cagliari e Bithia sono attestati in una fase leggermente più tarda.

Infine, il fatto che le coste meridionali e occidentali dell'isola conoscano una più fitta occupazione fenicia, è dovuto alla maggiore vicinanza, rispetto alle sponde orientali e settentrionali, dalle altre colonie dislocate nel Mediterraneo: in particolare quelle africane, baleari, iberiche e galliche107.

4. Tracce dell'abitato fenicio

Le attuali difficoltà nel ricostruire le fasi storiche dell'occupazione fenicio-punica sono da collegare alla scarsità di fonti letterarie e archeologiche relative a quel

104Barreca, 1986, 120-121. 105Ugas-Zucca 1984.

106Angioni 2010, 17-20; Barreca 1986, 119-121; Colavitti 2003b, 71; Santoni 1986, 60; Stiglitz 2002, 1133-1134; Tronchetti 1990, 10.

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periodo. Da una parte, infatti, la letteratura cartaginese è andata perduta e le iscrizioni su pietra o altro materiale non sono sufficienti, da sole, a ricostruire con certezza l'intero contesto storico. Dall'altra, le notizie che ci giungono dalla letteratura in lingua greca e latina sono spesso lacunose o tendenziose a causa delle rivalità tra i popoli. Per quanto riguarda la sfera archeologica, sia la maggior attenzione nei confronti delle rimanenze dell'età nuragica e romana, sia lo sviluppo urbano che ne ha cancellato le tracce più antiche, già a partire dalla fase di occupazione romana, non permettono di tracciare una storia completa dell'epoca fenicio-punica108.

E se sono poche le testimonianze relative all'urbanizzazione di età punica, ancor più ridotte sono quelle relative alla fondazione della colonia commerciale primitiva da parte dei Fenici. I resti della città punica, infatti, vanno interpretati come rifondazione cartaginese dell'abitato fenicio, del quale non sono rimaste che poche tracce al di sotto degli strati relativi alla fase successiva. Per questo motivo sfugge la completa evoluzione cittadina da emporium fenicio a centro abitato punico109.

Le tracce più antiche di frequentazione fenicia (fig. 13) risalgono alla fine dell'VIII a.C., ma non sono legate al ritrovamento di strutture edilizie, bensì al recupero di reperti di cultura materiale. Le testimonianze architettoniche più arcaiche risalgono, invece, alla fine del VII a.C., periodo per il quale è possibile confermare la presenza fenicia nella costa orientale dello stagno di Santa Gilla. Si tratta di resti di muri e battuti pavimentali con orientamento nord-ovest/sud-est, dovuto probabilmente all'orientamento della linea costiera. Lo stesso che verrà seguito anche in epoca punico-romana e ripreso in età medievale110.

Già nel 1986 Barreca si interrogava sulle origini della città fenicia. Secondo lo studioso, una prova della formazione del nucleo fenicio intorno all'800 a.C. è dato

108Moscati 1968, 77-78; Pesce 1961, 49; Tronchetti 1990, 7-8. 109Stiglitz 2002, 1138.

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dalla presenza sin dal VII a.C. di insediamenti nel retroterra cagliaritano, a Settimo S. Pietro – Cuccuru Nuraxi e S. Sperate, originatisi per effetto dell'espansione dei colonizzatori. Le scoperte attuali non permettono di attestare con certezza la loro presenza fin dal IX a.C., ma il Moscati mise in evidenza come la mancanza di dati archeologici precedenti l'VIII a.C. è dovuto al fatto che prima di quell'epoca gli insediamenti fenici erano semplici scali con poche strutture atte a favorire il commercio dei prodotti. La successiva espansione urbana del periodo punico, a partire dal VI a.C. e documentata dai ritrovamenti nelle località di S. Avendrace, Tuvixeddu, S. Paolo e S. Gilla – Campo Scipione, avrebbe distrutto le tracce delle prime fasi abitative, lasciando numerosi interrogativi sulla topografia originaria databile al IX secolo circa111.

Fig. 13. Aree di occupazione fenicia.

111Barreca 1986, 119-121; Colavitti 2003b, 9; Mongiu 1995, 13-14; Moscati 1968, 78-79, 85-86; Tronchetti 1990, 10-11.

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Fig. 14. Ipotesi di estensione della colonia fenicia.

5. Topografia dell'insediamento fenicio

L'arrivo dei Fenici, originari di Tiro secondo quanto riporta lo storico Claudiano112, sembra potersi inserire nei secoli IX-VIII a.C., quando iniziò la

frequentazione per fini commerciali di scali costieri ad uso stagionale. In questa fase potrebbero essere esistiti più nuclei abitativi che, in un periodo compreso tra il IX e il VII secolo a.C., servirono come base ai Fenici per le loro operazioni commerciali con l'entroterra e con le altre colonie fondate lungo le coste del Mediterraneo113.

L'insediamento principale (fig. 14) doveva gravitare intorno al porto (30), situato lungo la sponda orientale dello stagno di Santa Gilla e all'ipotizzabile piazza del

112Claudiano, De Bello Gildonico, I, 520. Testo e traduzione in Perra 1993, 408-409. 113Angioni 2010, 17-19; Barreca 1986, 119-121; Colavitti 2003b, 7-8.

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mercato, in cui si svolgevano le attività commerciali. Si ritiene che già all'epoca fenicia l'abitato abbia avuto una fase di espansione territoriale nel retroterra cagliaritano. A partire dal margine orientali dello stagno, infatti, già nel corso del VII a.C. si sviluppò, con tutta probabilità, l'emporium occupando le aree più occidentali dell'attuale quartiere di S. Avendrace, fino a via Po e al Campo Scipione114.

Un secondo insediamento sarebbe da collocare, invece, nel Golfo di San Bartolomeo (31), oggi colmato e urbanizzato, per il quale si è ipotizzata la presenza di un porto legato allo sfruttamento delle saline tra l'area di Molentargius e il Poetto. All'esistenza di questo ulteriore punto di approdo sarebbe associata anche la necropoli di Bonaria, non lontana dalla piana di San Bartolomeo115.

(32) Lo scavo di via Brenta: l'epoca arcaica

Fondamentali per migliorare lo stato delle conoscenze storico-archeologiche della fase di occupazione fenicia sono stati certamente gli scavi di via Brenta.

L'espansione del vicino porto-canale per la realizzazione di un attracco destinato a navi che trasportano grandi container, ha richiesto lo sviluppo dei collegamenti stradali tra le principali vie di comunicazione che congiungono Cagliari con il resto dell'isola, la 130 e la 131, e il nuovo porto commerciale.

La zona prescelta per la costruzione della nuova rete stradale è stata il margine più estremo della sponda orientale dello stagno di Santa Gilla: in parte ad ovest della rete ferroviaria che da Cagliari si spinge verso nord, in parte nella area ad est, comprendente la via Brenta.

L'area prescelta, però, era considerata ad alto rischio archeologico ed è stato necessario trovare un accordo tra le parti interessate alla costruzione e la Soprintendenza Archeologica. In breve, si arrivò alla modifica del progetto iniziale stabilendo che la strada, anziché procedere al livello del terreno, nelle

114Angioni 2010, 17; Meloni 1990, 157-158; Stiglitz 2002, 1133-1134. 115Colavitti 2003b, 10; Pesce 1961, 89; Stiglitz 2002, 1136-1137.

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