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Strutture legate ad attività commerciali e artigianali (fig 38) (96) Fullonica

Karales Romana

14. Strutture legate ad attività commerciali e artigianali (fig 38) (96) Fullonica

L'impianto interpretato come fullonica, ossia una lavanderia o una tintoria, venne ritrovato sotto l'attuale edificio dell'INPS tra via XX Settembre e viale Regina Margherita, collocandosi nelle vicinanze del porto a metà strada tra il foro romano e la necropoli orientale di Bonaria380.

Relativo ad un impianto artigianale produttivo datato, in seguito all'analisi della decorazione musiva e delle iscrizioni, al I a.C., del complesso archeologico rimane un ambiente caratterizzato dalla presenza di un pavimento in parte mosaicato e in parte in cocciopesto, oltre alla vera di un pozzo e due vasche. Del mosaico è ancora visibile una porzione su uno dei tre lati delle due vasche. Realizzato utilizzando tessere nere su fondo bianco, si possono osservare le raffigurazioni di piccoli delfini alternati ad ancore, bipenni e timoni. Presente anche un pannello con una serie di quattro cerchi neri che racchiudono fiori a petali bianchi fusiformi e l'iscrizione381: M(arcus) Ploti(us) Silisonis f(ilius)

Rufus382.

Secondo l'interpretazione di S. Angiolillo, il patronimico di tale iscrizione evidenzierebbe l'origine punica del personaggio citato, il quale, divenne cittadino romano poiché poté fregiarsi dei canonici tria nomina. Dunque, Rufus rivelò l'integrazione nella cultura romana, scegliendo modelli decorativi tipici degli ambienti centro-italici di età repubblicana383.

Il complesso, in un periodo successivo, subì delle ristrutturazioni tra le quali è stata messa in luce una struttura muraria, di difficile collocazione cronologica, che conservava, reimpiegati, un blocco con fregio dorico e un secondo con un'iscrizione384: C. APSENA. C. F. HEIC HEIC EST POLLIO. Secondo P. Meloni,

380Angiolillo 2008, 11; Colavitti-Tronchetti 2003, 18, 38; Meloni 1990, 166. 381I.L.Sard., 58.

382Colavitti-Tronchetti 2003, 38-39; Meloni 1990, 105. 383Angiolillo 2008, 69.

il blocco litico apparteneva ad un monumento funerario relativo ad un cittadino proveniente dal centro Italia. Diversamente da quanto ipotizzato dalla Angiolillo, il Meloni considera entrambi i toponimi, Apsena e Plotius, di origine etrusca, mettendoli in relazione con i gruppi gentilizi provenienti dal centro della penisola, il cui arrivo era legato all'apparato politico-militare romano in Sardegna385.

(97) , (98) Officine artigianali di via Zara e via Brenta

È stata ipotizzata la funzione di officine relative alla lavorazione delle materie prime, quali argilla e calcare, di origine locale, per alcune strutture messe in luce durante gli scavi di via Zara e via Brenta, nell'area in cui sorgeva l'abitato punico386.

(99) Horrea

Si trattava di magazzini pubblici utilizzati per la conservazione dei prodotti della regione, in particolare quelli cerealicoli.

Un'iscrizione387 messa in luce nell'attuale via Iglesias ne attesta la presenza in

epoca imperiale, tuttavia gli horrea dovevano essere presenti fin dall'età repubblicana. L'epigrafe ricorda che il governatore provinciale Lucio Ceionio Alieno si occupò della costruzione dei granai pubblici, tra il 212 e 217 d.C. durante l'impero di Caracalla, e del loro successivo restauro, questa volta sotto Elagabalo. Mentre P. Meloni ipotizza la localizzazione dei magazzini nel luogo di ritrovamento dell'iscrizione, il Mastino suppone che dovettero trovarsi nei pressi del porto388.

385Colavitti-Tronchetti 2003, 38-39; Meloni 1990, 105, 166. 386Colavitti-Tronchetti 2003, 19.

387I.L.Sard., 51.

388Colavitti 2003b, 13; Colavitti-Tronchetti 2003, 15-16; Mastino 2009, 226; Meloni 1990, 130, 162, 165.

(100) Cava del colle di San Michele

Il colle di S. Michele è conosciuto, principalmente, per la presenza del castello edificato in epoca medievale. Ma recenti indagini archeologiche hanno rivelato l'utilizzo del colle come cava da materiale costruttivo a partire dall'epoca romana, senza soluzione di continuità. I frammenti ceramici hanno offerto una cronologia compresa tra il III a.C. e il IV d.C.389.

(101) Cava di San Lorenzo

In quest'area sono state rinvenute tracce di cavatura di blocchi per materiali da costruzione390.

(102) Area archeologica di Santa Chiara

La chiesa di Santa Chiara si trova nella parte bassa delle scalette che collegano il quartiere di Stampace con quello di Castello. In seguito ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, subì numerosi danni che ne comportarono un massiccio restauro.

L'attuale forma architettonica risale ai primi decenni del XVII, con l'interno che presenta una sola navata affiancata da due cappelle per lato, mentre una terza cappella venne ricavata nelle ultime fasi di vita nell'arco di passaggio tra la chiesa e il convento annesso. Il presbiterio è sopraelevato di pochi gradini rispetto al livello della navata.

Venne chiusa al culto nel 1911, in seguito alla morte dell'ultima suora del convento e consegnata al Comune. Successivamente divenne un laboratorio per la creazione di ceri, sala di allestimento per il Carnevale e una parte del convento divenne campo di bocce. La parte restante venne ristrutturata per ospitare il mercato rionale391.

389Colavitti-Tronchetti 2003, 43-45. 390Colavitti-Tronchetti 2003, 43.

Tra il 1984-85 D. Salvi, D. Mureddu e G. Stefani condussero scavi archeologici, i quali interessarono integralmente la navata della chiesa, mentre all'esterno vennero compiuti alcuni saggi stratigrafici. I lavori misero in luce un'area funeraria romana dotata di loculi sommari, confermando ciò che G. Spano392

affermava nell'Ottocento, in prossimità del banco calcareo che costituisce la propaggine della collina di Castello, al quale si addossa la chiesa. Si rilevarono anche tracce di lavorazione relative ad una cava coltivata a cielo aperto in epoca romana, sulla parete di fondo del presbiterio393.

Per quanto riguarda l'ala residua del convento, vennero alla luce due ambienti: il primo presentava un pozzo profondo di dubbia funzione; il secondo, sotto il pavimento originale del convento, presentava strati di pietra, mattoni e materiale ceramico sottoposto ad alte temperature, che lasciano ipotizzare, data anche la presenza di numerose scorie di vetro e scarti di lavorazione, l'esistenza di una vetreria. L'analisi dei materiali, relativi alla stratigrafia precedente la costruzione del monastero e della chiesa, ha permesso di riconoscere tracce di attività antropiche comprese tra il IV-II a.C. e il V d.C.394.

Le uniche testimonianze della chiesa primitiva riguardarono una muratura di blocchi squadrati che poggiavano su fondazioni in pietre di piccole dimensioni, tagliando trasversalmente la navata e congiungendosi ortogonalmente con una parete esterna alla chiesa, che presentava un piccolo campanile a vela e più porte. Un secondo muro delimitava lo spazio adibito a sepoltura. Tra le numerose tombe, alcune erano delimitate da muretti e riutilizzate come ossari, altre erano semplici fosse terragne. Queste sepolture sembrano risalire al XV, periodo nel quale il diritto di sepoltura all'interno della chiesa è noto tramite alcuni atti notarili395.

Ulteriori sepolture furono aggiunte in seguito alla ricostruzione seicentesca396.

392Spano 1861. 393Salvi 1988, 142.

394Colavitti-Tronchetti 2003, 35; Salvi 1988, 145-146. 395Olla Repetto 1963.

Si ignora la datazione del monastero di Santa Chiara, il quale, tuttavia, risulta essere uno dei primi conventi dell'Ordine delle Clarisse fondato in Sardegna. Le attestazioni più antiche risalgono al 1328-1338. Il manoscritto arborense del Trecento, edito recentemente da G. Mele397, ne offre una più precisa definizione

nel 1353, come “monastero di Santa Margherita dell'Ordine di Santa Chiara”. Le ceramiche portano a datarla alla metà del XIII, e in tale periodo è effettivamente testimoniata l'esistenza di una chiesa di Santa Margherita. L'analisi dei reperti, oltre a confermare l'utilizzo dell'area dall'età romano-repubblicana in poi, attesta l'abbondanza di ceramiche medievali e post-medievali, sia islamiche che spagnole398.

(103) Saline di Carales

Il commercio del sale è attestato già nella prima metà del II a.C. grazie al ritrovamento di un'iscrizione399 trilingue nel territorio di S. Nicolò Gerrei.

L'impianto delle saline era gestito da società private, le quali impiegavano personale di condizione servile400.

Un'altra iscrizione401 più tarda, del VI-VII d.C., messa in luce nell'area cimiteriale

di S. Saturno, menziona una comunità di lavoratori cristiani addetti all'estrazione del sale in età bizantina. Non sono, tuttavia, segnalate testimonianze archeologiche relative alle strutture entro le quali si svolgevano le attività di estrazione e lavorazione del sale402.

397Mele 1985. 398Salvi 1988, 145-147. 399C.I.L., X, 7856. 400Brigaglia-Mastino-Ortu 2002, 81; Meloni 1990, 164. 401I.L.Sard., 93. 402Brigaglia-Mastino-Ortu 2002, 81; Meloni 1990, 164.

Fig. 37. Tratti di acquedotto e cisterne.

CAPITOLO VIII