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Strumenti per la pianificazione e il controllo negli enti locali: il caso del Comune di Pisa

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di laurea Magistrale in Strategia, Management e Controllo

Strumenti per la pianificazione e il controllo negli

enti locali: il caso del Comune di Pisa

Candidato: Relatore:

Valentina Cinci Prof.re Luca Anselmi

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Indice

Introduzione ... 4

1 Il sistema di pianificazione e controllo negli enti locali ... 8

1.1 L’azienda comune ... 8

1.2 Il processo di Pianificazione ... 16

1.2.1 Il Documento Unico di Programmazione ... 23

1.2.2 Il Bilancio di Previsione Finanziario ... 30

1.2.3 Il Piano Esecutivo di Gestione ... 36

1.2.4 Il piano degli indicatori ... 39

1.3 Il sistema dei controlli ... 41

1.3.1 I controlli interni ... 43

1.3.2 I controlli esterni ... 50

1.4 La misurazione delle performances ... 51

2 Le componenti strutturali del sistema di pianificazione e controllo ... 59

2.1 La struttura organizzativa ... 59

2.2 I caratteri del sistema informativo ... 64

2.3 Il sistema informativo contabile ... 67

2.4 Il sistema informativo extracontabile ... 79

3 Il caso del Comune di Pisa ... 87

3.1 Introduzione ... 87

3.2 La pianificazione: dal Programma di Mandato al DUP ... 90

3.3 La programmazione: il Bilancio di previsione e il PEG ... 100

3.4 Il controllo strategico e il controllo di gestione ... 108

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3 4 La revisione del modello per l’analisi dei servizi del Comune di Pisa: un caso

pratico ... 123

4.1 Il modello Servizi-Attività-Indicatori ... 124

4.2 Il caso del Servizio “Scuola dell’infanzia” ... 132

4.3 Possibili evoluzioni ed applicazioni del modello ... 149

Conclusioni ... 161

Bibliografia ... 165

Sitografia ... 168

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Introduzione

I molteplici e significativi cambiamenti del contesto esterno alle pubbliche amministrazioni hanno inciso, e stanno incidendo, in modo profondo sulle caratteristiche dei loro modelli organizzativi e funzionali. Si fa riferimento in questo caso all’evoluzione culturale della società, da cui sono conseguiti una maggiore consapevolezza e attenzione ai processi di consumo e una domanda crescente di trasparenza nei confronti della pubblica amministrazione; alla crescente differenziazione dei bisogni; al progresso tecnologico, sia in termini di sistemi di progettazione e produzione flessibile sia in termini di sviluppo dell’ICT; alla globalizzazione e all’ampliamento dei processi competitivi, che ha rivalutato il ruolo della pubblica amministrazione come fattore centrale dello sviluppo; alla progressiva crisi del ruolo politico, che ha portato ad una sua graduale delegittimazione. Infine, anche le continue e sempre più forti esigenze di contenimento e maggiore controllo della spesa pubblica, imposte non solo a livello nazionale ma anche dalla partecipazione ad altri contesti più ampi come quello europeo, hanno avuto e stanno avendo forti ripercussioni sulle modalità di gestione delle risorse pubbliche.

A fronte di così ampi e complessi cambiamenti le pubbliche amministrazioni hanno dovuto adattarsi, tant’è che agli inizi degli anni ‘90 ha preso inizio una progressiva e indispensabile evoluzione dei loro modelli organizzativi e funzionali. Si è assistito così ad una lenta, e tutt’ora attiva, introduzione di tecniche manageriali tipiche delle aziende private, tra cui i sistemi di pianificazione e controllo gestionale.

È ormai opinione diffusa, anche in seguito alla più recente crisi finanziaria e alla diffusa presenza di situazioni di indebitamento pregresso, che le amministrazioni centrali e locali necessitino di tali strumenti al fine di adottare comportamenti decisionali e criteri gestionali caratterizzati da una maggiore razionalità economica, ovvero idonei a condurre l’unità pubblica a risultati coerenti con le finalità istituzionali in una prospettiva di lungo termine. In effetti, un’amministrazione pubblica, per svolgere le proprie funzioni, deve essere in

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5 grado di offrire i servizi secondo parametri qualitativi e quantitativi adeguati alle attese di sviluppo socio-economico di una comunità territoriale.1 È quindi per tali ragioni che è stato necessario inserire anche all’interno del settore pubblico tecniche e regole che permettessero di guidare la gestione verso una condizione ottimale di efficienza, efficacia ed economicità.

In tale ambito gli enti locali giocano un ruolo importante; le stesse riforme hanno infatti assegnato ad essi un ruolo di primissimo piano facendoli divenire gli attori protagonisti dello sviluppo locale. La qualità dell’operato e della gestione degli enti locali rappresenta infatti uno dei principali fattori determinanti del benessere di una comunità, derivante dal fatto che essendo le amministrazioni maggiormente vicine al cittadino sono le uniche in grado di comprendere nel dettaglio i bisogni espressi da quest’ultimo.

Il presente elaborato si è quindi voluto concentrare proprio sui sistemi di pianificazione e controllo previsti attualmente per la gestione degli enti locali. La scelta di tale tema deriva dalla forte curiosità dello scrivente di toccare con mano tali strumenti e di avere una percezione reale di come questi siano concretamente implementati all’interno degli enti locali.

Di fatto tale interesse ha portato allo svolgimento di un’esperienza di sei mesi all’interno del Comune di Pisa, in particolare all’interno dell’ufficio programmazione e controllo, attraverso la quale è stato possibile analizzare, verificare e collaborare allo svolgimento del processo di programmazione e controllo. Durante il periodo di permanenza in tale contesto sono state individuate delle particolari carenze e criticità dello stesso processo, in particolare la mancanza di un sistema di contabilità analitica che permettesse di svolgere in maniera efficiente l’intero processo. Ciò ha portato allora all’avvio di un percorso di revisione degli strumenti di controllo gestionali presenti, al quale, a causa del poco tempo a disposizione, è stato possibile cooperare in limitata parte. Ciò è diventato quindi oggetto del presente elaborato, ma l’obiettivo principe che si è perseguito nella sua stesura non è stato tanto quello di presentarne il funzionamento e i

1Anselmi L., Del Bene L., Donato F., Giovannelli L., Marinò L., Zuccardi Merli M., “Il controllo di gestione nelle amministrazioni pubbliche, Rimini, Maggioli, 1997.

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6 contenuti, ma quello di proporre una sua evoluzione e possibile applicazione nell’ambito dell’analisi e gestione dei costi; ambito che, come già chiarito, non è ancora sviluppato all’interno del Comune di Pisa.

Il seguente scritto è quindi composto principalmente da due parti. Nella prima, nella quale rientrano i primi due capitoli, è esposto l’argomento dal punto di vista teorico; sono trattati in primis l’evoluzione normativa e il processo di aziendalizzazione che ha investito le pubbliche amministrazioni a partire principalmente dagli anni ’90, individuando le tappe principali che hanno segnato tale processo. In seguito, è quindi esposto l’intero processo di pianificazione e controllo attualmente previsto per gli enti locali, distinguendone le varie fasi e indicandone i principali strumenti. Si termina il capitolo esplicando inoltre il concetto di performance nel settore pubblico, concetto che ha modificato in parte il sistema preesistente introducendo il ciclo di gestione delle performances e revisionando il sistema dei controlli. In secondo luogo, a completamento della prima parte, sono individuate le componenti strutturali di cui necessita il processo preso in analisi, e in particolare la struttura organizzativa e il sistema informativo contabile ed extracontabile.

La seconda parte invece tratta il caso analizzato, riguardante quindi il Comune di Pisa. Anch’essa a sua volta si compone di due parti; nella prima sono esposte le singole fasi del processo di pianificazione e controllo avviato al suo interno, indicando il loro effettivo funzionamento, gli strumenti utilizzati e le eventuali criticità riscontrate. Tali informazioni sono state acquisite tramite una serie di interviste condotte ai vari responsabili delle diverse fasi del processo o attraverso la partecipazione diretta ad esse.

Infine, la seconda parte invece espone il lavoro di revisione dello strumento utilizzato dal Comune per effettuare il controllo di gestione, denominato modello “servizi-attività-indicatori”, a cui è stato possibile partecipare attivamente. Questo strumento si basa su un approccio per processi, attraverso il quale sono stati individuati prima i vari servizi dell’ente, sulla base di essi sono state mappate le attività necessarie allo svolgimento del processo di erogazione dello stesso e infine, per ogni attività, sono stati individuati degli specifici indicatori. Come già chiarito,

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7 a causa del poco tempo a disposizione e vista la mole del lavoro da svolgere, in quanto tutti gli elementi di tale strumento devono essere revisionati, l’attenzione si è concentrata su un singolo servizio comunale. Pertanto, nel terzo capitolo, si presenta il caso del servizio “scuola dell’infanzia” indicando le tappe principali di tale processo.

Dopo di ché, visto l’intento dello stesso ufficio di programmazione e controllo del Comune di Pisa di voler avviare la revisione dello strumento al fine di renderlo più idoneo allo svolgimento del controllo di gestione, sono presentate le possibili applicazioni dello stesso, in particolare nell’ambito dell’analisi e gestione dei costi. Viene quindi proposto un possibile modello di cost management che, secondo il parere di chi scrive, potrebbe essere applicato all’interno dello stesso Comune. A tal proposito si presenta inoltre, a titolo esemplificativo, anche una limitata applicazione del modello proposto, con l’obiettivo di dimostrare come questo possa essere supportato dallo strumento sopra indicato e quelli che potrebbero essere i benefici derivanti dalla sua introduzione.

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1 Il sistema di pianificazione e controllo negli enti locali

1.1 L’azienda comune

La pubblica amministrazione è stata, negli ultimi decenni, oggetto di un importante processo di cambiamento avviato con il fine generale di migliorare il servizio pubblico e promuovere un sistema produttivo ed erogativo più flessibile ed aperto, che fosse in sintonia con il territorio e più vicino all’utenza. Il punto focale di tale trasformazione è stata quindi l’adozione di modelli aziendali di governo in tutto il settore pubblico, ed in particolare nei Comuni. Questi ultimi rappresentano l’unità elementare della complessa configurazione istituzionale che si articola sul territorio statale ed assolvono un ruolo fondamentale in quanto è attraverso loro, essendo a diretto contatto con la popolazione, che si riesce a conoscere quelli che sono i bisogni sociali.2 In questo senso allora si è iniziato a parlare di “azienda comune”, ma prima di entrare nell’argomento è necessario fare un breve riferimento al concetto di azienda.

Riprendendo la definizione espressa dal Prof.re Giannessi, “l’azienda è l’unità elementare dell’ordine economico generale, dotata di vita propria e riflessa, costituita da un sistema di operazioni, promanante della combinazione di particolari fattori o dalla composizione di forze interne ed esterne, nel quale i fenomeni della produzione, della distribuzione e del consumo vengono predisposti per il conseguimento di un determinato equilibrio economico a valere nel tempo”. Infatti, sempre secondo quanto esposto da Giannessi3, l’azienda, riguardata come fenomeno della vita economica, è una e una soltanto, e in quanto tale non può avere che un solo fine. Precedentemente invece la dottrina distingueva due tipologie di aziende: quelle di produzione, che avevano il fine di conseguire il profitto o lucro, e quelle di erogazione, che invece perseguivano lo scopo di soddisfare i bisogni umani, e tra le quali rientravano quindi gli enti pubblici. L’esistenza di classi di

2 Orlandini P., La gestione efficiente del Comune. Contabilità economico patrimoniale, analitica, budget e reporting, Milano, Il sole 24ore, 2001.

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9 aziende aventi finalità diverse, però, renderebbe impossibile definire il fenomeno aziendale, dato che l’enunciazione di una qualsiasi definizione ha come premessa la determinazione del fine.

Quindi, l’obiettivo primario delle aziende, pubbliche o private che siano, non è tanto il perseguimento del lucro, ma appunto quello di conseguire, conservare e sviluppare un determinato equilibrio economico che perduri nel tempo. Questa finalità non risiede quindi nelle sole aziende private, ma rappresenta anche l’esigenza fondamentale delle aziende pubbliche, perché nessun organismo può esistere se nel tempo non raggiunge un equilibrio tra ricchezza consumata e ricchezza prodotta.4

In questo senso allora, riprendendo la definizione di azienda sopra enunciata, anche il Comune, o più in generale gli enti locali, rappresentano in modo peculiare, rispetto alle aziende private, un’unità elementare del più generale ordine economico, che attraverso la produzione di servizi è volta ad accrescere la ricchezza complessiva della collettività dalla quale riceve i mezzi necessari per la copertura dei costi sopportati; tutto ciò in vista del raggiungimento e del mantenimento del proprio equilibrio economico. Il comune, infatti, svolge la sua attività impiegando risorse e, come in tutte le organizzazioni aziendali, è necessario che esse siano impiegate nella maniera più efficiente al fine di accrescere appunto la ricchezza, ossia accrescere il valore creato per la collettività. Sulla base di queste considerazioni quindi, anche negli enti locali, si è iniziato a percepire la necessità di esprime la propria gestione, l’organizzazione e la rilevazione in forme snelle, facilmente controllabili, fuori dai formalismi e dalle lungaggini burocratiche delle tradizionali amministrazioni pubbliche. Elementi quest’ultimi che hanno provocato all’interno delle stesse amministrazioni situazioni di mancanza di professionalità, di scarsa qualità dei servizi e di inefficienza dell’attività amministrativa5.

4 Anselmi L. (a cura di), L’azienda Comune. Principi e metodologie economico aziendali per gli enti locali,

Rimini, Maggioli, 2001.

5 Tanda P., Controlli amministrativi e modelli di governance della Pubblica Amministrazione, Torino,

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10 Si è avviato quindi, a partire dagli anni ’70, un processo di cambiamento, riconosciuto come processo di “aziendalizzazione”, che ha interessato proprio le logiche e i sistemi interni di funzionamento della pubblica amministrazione e che ha cercato appunto di trasformare i criteri di gestione degli enti in senso aziendale. Riprendendo quando definito dalla Mulazzani, il processo di aziendalizzazione può infatti essere visto come una teoria di amministrazione pubblica locale che si propone di applicare nei sistemi di gestione, di organizzazione, di contabilità, di programmazione e dei controlli degli enti locali i principi teorico scientifici e le tecniche applicate nelle aziende private.

Questo percorso di rinnovamento ha interessato inizialmente un numero limitato di paesi, tra cui la Nuova Zelanda, Inghilterra, Stati Uniti e Australia, ed è proprio qui che hanno preso vita l’insieme di movimenti di riforma che hanno interessato alcuni sistemi amministrativi pubblici, e che oggi viene definito come New Public Management (NPM).

I principi su cui si basò questa prima fase di cambiamento possono essere così sintetizzati:

• professionalità e responsabilità gestionale: in seguito alla scissione tra organi politici e organi gestionali, i dirigenti vengono dotati di responsabilità gestionale e sulla base dei poteri che ne derivano, sono chiamati a rispondere, con professionalità, dei risultati conseguiti;

• definizione di obiettivi e valutazione delle performances in termini di raggiungimento degli stessi;

• maggiore enfasi sul controllo dei risultati, in particolare in termini di output;

• decentramento amministrativo: tendenza a disaggregare le unità operative nelle amministrazioni pubbliche;

• introduzione di meccanismi di competizione per incoraggiare il raggiungimento di standard qualitativi più elevati con minori costi;

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11 • impiego efficiente delle risorse: si preme per una maggiore disciplina e

parsimonia nell’utilizzo delle risorse.6

Successivamente, come reazione al NPM, nasce la c.d. Public Governance (PG), derivante dal fatto che il primo movimento è stato ritenuto troppo vicino al mondo delle imprese private, troppo meccanicistico e poco capace di evidenziare chiaramente le specificità decisionali e gestionali delle amministrazioni pubbliche. Infatti, l’elemento chiave su cui si basa questo nuovo approccio è la considerazione che l’ente pubblico si trova ad operare in un ambiente diverso da quello in cui operano le aziende private e alquanto complesso, all’interno del quale intervengono a vario titolo diversi attori, quali aziende private, non profit o semplici cittadini; si tratta quindi di una realtà pluralista che non può essere limitata agli angusti confini della singola azienda pubblica.7

Il NPM viene quindi integrato dal PG, il quale non si pone in netto contrasto con il precedente, ma ne rappresenta il naturale sviluppo. Di fatto, i concetti alla base del primo processo di cambiamento, come la ricerca dell’efficienza, efficacia ed economicità, l’autonomia, la pianificazione e il controllo, vengono confermati. Tutto ciò però non basta, tali concetti devono infatti essere accompagnati da una maggiore attenzione verso l’esterno. Diviene quindi elemento centrale la comprensione dell’effettivo impatto delle politiche pubbliche sui comportamenti e sul benessere dei cittadini, in termini di modificazione del loro stato di bisogno. In altre parole, oltre all’attenzione ai risultati in termini di output, è necessario controllare gli stessi risultati anche in termini di outcome, ossia appunto di impatto. Inoltre, tra gli elementi che hanno fatto emergere quest’ultimo modello possono essere ricompresi:

• la globalizzazione, che ha modificato le regole su cui si basava la concorrenza: questa non si gioca più solamente tra le singole imprese ma tra diversi sistemi-paesi o differenti aree territoriali, quindi in questo contesto è determinante la capacità della classe dirigente di cooperare

6 Anselmi L, Percorsi aziendali per le pubbliche amministrazioni, Torino, Giappichelli, 2014, pp. 7. 7 Bigoni M., Il performance measurement negli enti locali: strumenti innovativi nella prospettiva economico-aziendale, Milano, Giuffrè, 2013.

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12 efficientemente allo sviluppo e alla realizzazione di un disegno strategico comune;8

• la diversificazione dei bisogni nelle società evolute, favorita soprattutto dal progresso tecnologico;

• il riposizionamento dei confini tra Stato e mercato, in quanto il ruolo dello Stato nell’economia e nella società si è modificato nel tempo: da imprenditore e produttore diretto di servizi diviene “stato-regolatore”, esercitando la funzione di governo dei comportamenti economici di altri soggetti.

In Italia, però, il percorso di aziendalizzazione sopra descritto si è avviato con un certo ritardo rispetto agli altri paesi; infatti soltanto a partire dagli anni ’90 il legislatore ha iniziato ad adoperarsi in tal senso.

Di seguito sono quindi esposte brevemente le principali riforme che hanno caratterizzato tale percorso e che hanno modificato, attraverso l’introduzione dei processi di programmazione e controllo, le regole e gli strumenti gestionali della pubblica amministrazione.

1. Legge 142/90, “Ordinamento delle autonomie locali.” Questa è stata la prima riforma che ha dato il via al processo di cambiamento sopra delineato. I principali aspetti introdotti con la suddetta legge possono essere così sintetizzati:

• introduzione del concetto di Programmazione, infatti l’art. 55, intitolato Bilancio e programmazione finanziaria, disponeva che il bilancio di previsione fosse corredato da una relazione previsionale e programmatica, la quale ha rappresentato, fino a pochi anni fa, uno dei principali documenti di pianificazione strategica e operativa, dovendo illustrare, sotto il profilo quali-quantitativo, tutte le previsioni di entrata e di spesa contenute nel bilancio;

• introduzione dei concetti di efficienza, efficacia ed economicità come criteri da perseguire nella gestione;

8 Lombardi C., La mappa della pianificazione e la bussola del controllo per orientare la performance nelle PA, Tesi di Dottorato, 2014.

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13 • conferimento agli enti locali di un’autonomia statutaria e finanziaria, in modo tale che questa gli potesse permettere di autodisciplinarsi per rispondere al meglio alle esigenze del contesto di riferimento, utilizzando le proprie risorse e quelle trasferitegli nel modo più adeguato;

• distinzione tra le competenze del livello dell’amministrazione e quelle del livello tecnico-gestionale, che vennero assegnate quindi a due diversi apparati, uno politico e l’altro dirigenziale, garantendo così la non interferenza nello svolgimento delle loro attività, nonostante essi rimanessero comunque legati da rapporti di collaborazione e di negoziazione.

• introduzione della contabilità economica, in quanto venne disposto che i risultati della gestione dovevano essere rilevati mediante contabilità economica e dimostrati nel rendiconto comprendente il conto del bilancio e il conto del patrimonio; la quale però non fu ancora effettivamente implementata;

• introduzione della revisione economico-finanziaria;

• introduzione della prima forma di controllo di gestione, dando agli enti locali la possibilità di adottare forme di controllo interno, autonomamente configurate e disciplinate.

2. Legge 241/1990, che ha dettato i principi generali del procedimento amministrativo. Infatti, fino a quel momento non vi era alcuna disciplina generale riguardante il procedimento amministrativo; per cui potevano verificarsi abusi di potere, lentezze, inefficienze e difficoltà di comunicazione tra cittadini e pubblica amministrazione. In questo senso allora i principi a cui si ispirò tale norma sono il principio del giusto procedimento, quello della trasparenza nei confronti dei cittadini, quello della semplificazione e il principio della buona amministrazione che comprende e presuppone i principi gestionali di efficienza, efficacia ed economicità. Il cittadino attraverso queste disposizioni ottenne il diritto ad avere un procedimento amministrativo giusto, chiaro e trasparente; inoltre la semplificazione dell’attività amministrative permise di diminuire i costi e di conseguenza di migliorare l’economicità, di

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14 abbreviare i tempi di conclusione degli stessi procedimenti e quindi di accrescere l’efficienza nel parametro dei tempi di realizzazione dei risultati.9 3. D.Lgs. 29/1993, con il quale venne introdotto concretamente il controllo

interno nella pubblica amministrazione. Questo decreto infatti, oltre a ribadire il principio della gestione per obiettivi, prevedeva l’istituzione di nuclei di valutazione o servizi di controllo interno, che avevano il compito di verificare la realizzazione degli obiettivi, la corretta ed economica gestione delle risorse pubbliche e l’imparzialità e il buon andamento della gestione amministrativa.10 Inoltre ribadiva il principio di separazione tra la parte politica e gestionale, secondo il quale agli organi di direzione politica spetta il compito di definire gli obiettivi ed i programmi da attuare e verificare la corrispondenza dei risultati della gestione amministrativa alle direttive generali impartite; ai dirigenti, in qualità di responsabili dei risultati conseguiti, spetta invece la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa.

4. Legge 20/1994, con la quale venne previsto che la Corte dei Conti svolgesse, anche in corso di esercizio, il controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di provenienza comunitaria, verificando la legittimità e la regolarità delle gestioni, nonché la verifica sul funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione. Inoltre, la stessa Corte dei Conti era tenuta ad accertare, anche in base all'esito di altri controlli, la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge, valutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell'azione amministrativa.

5. D.Lgs. 77/1995, il quale previse importanti modifiche dell’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali. Questo, oltre a indicare effettivamente i contenuti della relazione previsione e programmatica, introdusse un ulteriore strumento di programmazione operativa, il PEG, inserendo così nell’ente locale la logica budgettaria, ovvero il principio in base al quale la definizione degli

9 Mulazzani M., Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche. Gli enti locali e le Regioni. Lineamenti economico-aziendali, Padova, CEDAM, 2006, pp. 18.

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15 obiettivi deve essere accompagnata dalla quantificazione e dall’assegnazione delle risorse ai responsabili di gestione. Inoltre, altro aspetto fondamentale ha riguardato l’introduzione in via obbligatoria del controllo di gestione. Infatti, oltre alla definizione del concetto11, sono state disciplinate le fasi che lo caratterizzano.

6. D.Lgs. 286/1999, ha riguardato invece il “riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta”. Infatti con questo decreto vennero abrogate le disposizione del precedente D.Lgs 29/93 in tema di controlli, introducendo quindi un nuovo sistema integrato di controlli interni che comprendeva:

• il controllo di regolarità amministrativa e contabile; • il controllo di gestione;

• la valutazione della dirigenza;

• la valutazione e il controllo strategico

Nel 2000, l’intera normativa sulle autonomie locali venne accorpata in un unico testo, denominato appunto Testo Unico degli Enti Locali, attraverso l’emanazione del D.Lgs. n.267. Con esso si concluse un processo di riforma decennale che ha quindi cercato di creare un nuovo modello di Ente Locale, in termini di struttura e di funzionamento.

Naturalmente ad esse si sono susseguite ulteriori riforme, che hanno perseguito come fine principale quello di uniformare e coordinare l’intera finanza pubblica. Tra queste possiamo indicare la Legge 42/2009, Delega al governo in materia di

federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, attuata poi

con l’approvazione del D.Lgs. n.118 del 23 giugno 2011, Disposizioni in materia

di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi. E’ in esso, e nelle sue successive

modificazioni, che ritroviamo la disciplina vigente riguardante il processo di

11 L’art. 39 del D.Lgs 77/95 definisce il controllo di gestione come “la procedura diretta a verificare lo stato

di attuazione degli obiettivi programmati e, attraverso l’analisi delle risorse acquisite e della comparazione tra i costi e la quantità e qualità dei servizi offerti, la funzionalità dell’organizzazione dell’ente, l’efficacia, l’efficienza ed l’economicità nell’attività di realizzazione degli obiettivi.”

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16 programmazione e controllo e i relativi strumenti che sono descritti nel presente elaborato.

Infine è opportuno indicare per completezza anche il D.Lgs 150/2009, la c.d Riforma Brunetta. Questa ha ridefinito il sistema integrato dei controlli e ha introdotto per la prima volta i concetti di misurazione e valutazione della performance, trattati in maniera più approfondita, data la loro rilevanza, in un apposito paragrafo.

1.2 Il processo di Pianificazione

Il punto di partenza, per impostare un efficace sistema di programmazione e controllo, è rappresentato dal processo di pianificazione. Prima di entrare nel vivo dell’argomento, è necessario precisare a che cosa si fa riferimento con il termine

pianificazione. In senso generico si può definire come la “formulazione di un piano

o programma, specialmente di carattere economico: piano aziendale, commerciale ecc.12 Da questa definizione si potrebbe pensare che i vocaboli pianificazione e programmazione siano sinonimi e che possano essere usati indistintamente. Al contrario, nel processo di pianificazione e controllo preso in analisi, i due termini sono distinti. Quando si parla di Pianificazione si vuole far riferimento ad un unico processo, all’interno del quale possono essere individuati due sottoprocessi: -il primo, rappresentato dalla pianificazione strategica, attraverso la quale si definiscono le priorità strategiche di medio-lungo termine;

-il secondo, sequenziale al precedente, rappresentato dalla pianificazione

operativa, meglio definita come programmazione operativa, attraverso la quale si

definiscono obiettivi di breve termine.

Questa distinzione, che apparentemente può sembrare un sofisma, è utilizzata nel presente elaborato, con il fine di differenziare e non confondere due momenti ben distinti tra di loro, ma strettamente correlati.

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17 Sulla base di quanto detto sopra, il primo passo necessario e strumentale all’intero sistema di programmazione e controllo è rappresentato quindi dalla pianificazione strategica. Prima di analizzare come si concretizza tale fase all’interno degli enti locali, è opportuno innanzitutto definire sia il concetto di pianificazione strategica sia quello di strategia. Questi due, come viene affermato da Rispoli, sono strettamente connessi da un rapporto di forma-contenuto, procedura-esito. “La distinzione tra pianificazione e strategia in termini di forma e contenuto e di procedura e di esito, rispettivamente, aiuta ad attribuire una valenza essenzialmente descrittivo-interpretativa o descrittivo-normativa alla strategia e una valenza essenzialmente procedurale tecnico-organizzativa alla pianificazione che non viene definita tanto dal contesto strategico complessivo, quanto dalla necessità di assicurare efficienza ed efficacia alla procedura ed alle routine aziendali”13. In altri termini, secondo tale interpretazione, la strategia può quindi essere considerata l’output del processo di pianificazione.

Purtroppo, non possiamo tuttora dare una definizione univoca del concetto di strategia. Nella letteratura internazionale sono presenti svariati manuali che analizzano questo tema, ma nonostante tutto non si è ancora giunti ad una sistematizzazione delle numerose definizioni. L’accademico canadese Mintzberg si è sforzato in questo intento, proponendo una particolare articolazione del concetto. Cercando infatti di raccogliere alcune delle diverse definizioni esistenti in dottrina, ha declinandolo il concetto in cinque possibili chiavi di lettura – Five

Ps For Strategy :

1. La strategia come piano, intesa quindi come linee guida da seguire per fronteggiare le diverse situazioni che si succedono nel tempo;

2. La strategia come proposta di singola azione competitiva, volta a creare difficoltà durevoli alle imprese concorrenti;

3. La strategia come modello, che deriva dal percorso strategico intrapreso nel tempo e che quindi rappresenta il cammino evolutivo che l’impresa ha seguito;

13 Rispoli M., Sul processo decisionale strategico, in Gozzi. A. (a cura di), La definizione e la valutazione delle strategie aziendali. Criteri, metodi, esperienze, Milano, ETASLIBRI, 1991.

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18 4. La strategia come posizione tra il contesto interno e quello esterno;

5. La strategia come prospettiva, condivisa dai membri di un’azienda. Si tratta di quella che viene definita come filosofia di un’azienda, la sua visione e la sua cultura come modo di agire internamente e reagire agli stimoli esterni. Queste diverse accezioni esprimono visioni diverse dello stesso concetto: le prime due si focalizzano su una visione ante, la terza fa riferimento ad una visione ex-post della stessa, la quarta pone l’attenzione sull’ambiente competitivo, mentre l’ultima si focalizza sull’ambiente interno.

Secondo quanto affermato da Rispoli14, per cogliere il concetto di strategia nel suo complesso, le precedenti chiavi di lettura non devono essere interpretate singolarmente, ma devono essere impiegate congiuntamente.

Il processo di pianificazione quindi, permette di definire e implementare le strategie; è “il processo attraverso il quale si decidono oggi le azioni da intraprendere per raggiungere gli obiettivi di domani” (Ducker, 1973). Con esso infatti si definiscono gli obiettivi di fondo e si individuano le linee strategiche per raggiungerli. Secondo una delle definizioni più consolidate nella letteratura aziendale internazionale, la pianificazione strategica “costituisce uno sforzo disciplinato atto a produrre rilevanti decisioni e azioni correlate che permeano e guidano ciò che una data organizzazione è, cosa fa e perché lo fa”15.

Dalla stessa si evince che il punto di partenza per definire una qualunque strategia non può che essere una chiara e condivisa definizione della mission dell’organizzazione, definibile in seguito ad un’analisi dell’ambiente interno, attraverso la quale si potranno identificare punti di forza e debolezze, e un’analisi del contesto esterno, tramite cui possono essere individuate possibili minacce ed opportunità.

Sulla base delle suddette analisi, verranno quindi identificati gli obiettivi di medio lungo termine e le necessarie strategie per perseguirli.

14 Rispoli M., Sul processo decisionale strategico, in Gozzi. A. (a cura di), La definizione e la valutazione delle strategie aziendali. Criteri, metodi, esperienze, Milano, ETASLIBRI, 1991.

15 Cfr. J.M Bryson, Strategic Planning for Public and Nonprofit Organizations, San Francisco,

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19 Terminata questa prima fase si apre il problema della realizzazione di quanto deciso a livello strategico. È necessario quindi tradurre in operazioni quanto pensato, affinché tutto ciò non rimanga solamente una formulazione di intenti. Il passo successivo, di conseguenza, consisterà nella programmazione operativa, attraverso la quale si passa da una dimensione temporale di medio lungo andare ad una di breve, declinando gli obiettivi strategici in obiettivi operativi. Quest’ultimi rappresentano quindi degli obiettivi strumentali, cioè un insieme di tappe intermedie che devono essere seguite per il raggiungimento dei più ampi obiettivi di medio lungo termine. Tale programmazione, in generale, si esprime in concreto con la formulazione di un piano: il cosiddetto budget. Esso dovrebbe presentare le seguenti caratteristiche:

• globalità, in quanto tale documento deve rappresentare un modello di comportamento per l’intera struttura organizzativa dell’impresa, assicurando un coordinamento di tutte le aree funzionali, di tutti i livelli organizzativi e di tutte le risorse impiegate;

• articolato per centri di responsabilità16, infatti il budget non si limita a fissare obiettivi da raggiungere nel breve periodo, ma si prefigge pure di frazionarli e assegnarli ai vari centri di responsabilità in funzione delle loro competenze;

• articolato su periodi infrannuali. Questo permette di indicare in modo più preciso il “cammino” da seguire per ottenere i risultati programmati; consente inoltre un tempestivo controllo concomitante, attraverso il quale si possono identificare andamenti non desiderati e quindi prevedere eventuali azioni correttive;

• quantificato, per quanto possibile, in termini economico-finanziari, oltre che in termini descrittivi. Questo permette di diffondere in tutte le aree funzionali una mentalità economica, la quale però non deve rappresentare l’unica variabile tenuta in conto; oltre infatti agli obiettivi

16 Per centro di responsabilità si intende una unità organizzativa per la quale sia identificato chiaramente

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20 monetari dovrebbero essere introdotti anche obiettivi di natura qualitativa.17

In sintesi, si può affermare che quindi attraverso la formulazione del budget si stabiliscono le azioni che devono essere intraprese, il loro timing, le modalità attraverso le quali queste devono essere eseguite, le risorse disponibili e/o acquisibili e i responsabili. Attivare quindi una logica budgettaria significa utilizzare uno strumento di guida per conoscere in qualsiasi momento “dove si è” rispetto a “dove ci si sarebbe dovuti trovare” e a “dove dovremmo andare18. Dopo questa sintetica esposizione teorica dei concetti di pianificazione strategica e di programmazione operativa, entriamo nel più specifico contesto preso in analisi, analizzando pertanto come questi processi si sviluppano all’interno di un ente locale.

Il processo di determinazione delle strategie di un ente locale potrebbe risultare alquanto complesso e articolato a causa del particolare ambiente in cui esso opera. Di fatto, nelle unità pubbliche territoriali è presente, più che in ogni altro ordine di azienda, un complesso sistema di relazioni con l’ambiente che può identificarsi con il sistema sociale, istituzionale, economico e politico, e che ripetutamente influenzano l’azione amministrativa locale.19 Gli enti locali sono chiamati sempre più costantemente ad affrontare problematiche di crescente complessità, a causa della naturale evoluzione dei sistemi appena richiamati. Si tratta infatti di un ambiente estremamente dinamico, così definibile anche in funzione dell’intensificarsi delle funzioni attribuite all’ente locale e dalla notevole variabilità della domanda dei servizi locali da parte dei cittadini-utenti.

Definire quindi una strategia in tali contesti, secondo quanto riportato da Mazzara in uno dei suoi elaborati, vuol dire assumere una serie di scelte che sistematicamente influenzeranno, secondo una logica di medio-lungo periodo, l’orientamento di una determinata area urbana in termini di percorsi di sviluppo

17 Berti F., Il sistema dei Budget aziendali, Lavis (TN), CEDAM, 2013.

18 Del Bene L., Lineamenti di pianificazione e controllo per le amministrazioni pubbliche, Torino,

Giappichelli, 2008.

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21 dell’amministrazione, in coerenza con il sistema di vincoli e di opportunità che il tessuto locale potrà sostenere in un percorso prospettico20.

Come sopra riportato, il processo di pianificazione deve quindi portare in primo luogo alla determinazione del ruolo e della missione dell’ente; a questo scopo dovrà essere eseguita un’attenta analisi del contesto esterno dal punto di vista sociale, polito-economico, istituzionale e normativo, attraverso la quale si ottengono le informazioni necessarie che possono consentire di cogliere cosa l’unità pubblica dovrebbe fare sulla base delle funzioni istituzionali ad essa assegnate.

Oltre all’analisi dell’ambiente esterno, contestualmente sarà necessario identificare i punti di forza e debolezza che riguardano l’ente stesso. In questo caso dovranno essere valutate innanzitutto le risorse finanziarie, umane e strumentali disponibili e le modalità attraverso le quale queste interagiscono tra di loro, ma sarà altrettanto importante analizzare la strategia già in atto, attraverso una considerazione degli aspetti sia positivi che negativi che ne derivano e, infine, dovranno essere considerati anche i risultati già ottenuti dall’ente in termini sia di efficienza gestionale che di soddisfazione dei bisogni della collettività.

A questo punto, valutando contemporaneamente cosa dovrebbe fare l’ente considerate le sue responsabilità istituzionali, cosa potrebbe fare sulla base del contesto ambientale esterno, e cosa può fare date le disponibilità interne di risorse, il soggetto economico dell’ente può definire cosa vuole fare concretamente, identificando prima le macro-aree, e quindi i temi strategici su cui intervenire, e in seguito le singole strategie specifiche per ognuna di esse.

Il primo documento in cui queste scelte e indicazioni sono esplicitate è rappresentato dal cosiddetto “Programma di Mandato”, disciplinato dal TUEL, all’art 46 comma 3. In esso si dispone che entro il termine fissato dallo statuto dell’ente, il sindaco, sentita la Giunta, deve presentare al consiglio le linee

programmatiche relative alle azioni e ai progetti da realizzare nel corso del

mandato. La normativa vigente non regolamenta espressamente la predisposizione

20 Mazzara L., Il piano strategico nell’ente locale. Progettazione, sviluppo e strumenti di monitoraggio,

(22)

22 di tale documento, ma si limita ad assegnare allo statuto il compito di disciplinare “i modi della partecipazione del consiglio alla definizione, all'adeguamento e alla verifica periodica dell'attuazione delle linee programmatiche da parte del sindaco e dei singoli assessori”21. Inoltre, secondo quanto disposto dal principio applicato della programmazione, allegato 4/1 al D.Lgs 118/2011, le linee programmatiche non sono ricomprese nell’elenco riguardante gli strumenti di programmazione degli enti locali. Secondo il parere di chi scrive, quanto appena esposto potrebbe indurre a pensare che tale documento non sia poi così fondamentale e influente nel processo di programmazione. Al contrario invece, il Programma di Mandato ha una forte funzione pianificatoria, rappresenta di fatto il primo adempimento pianificatorio dell’amministrazione neo-eletta, dal quale coerentemente dovranno prendere avvio tutti i successivi documenti di programmazione. Al suo interno, infatti, vengono declinati le scelte e gli obiettivi politici di medio-lungo termine, che coinvolgeranno l’intera struttura organizzativa dell’ente22 e che sono volti al governo della città. Per queste ragioni è importante che la sua elaborazione sia compiuta sulla base di determinate attività preliminari, indicate precedentemente, che possono essere così sintetizzate:

1. conoscere la dinamica dei problemi del territorio; 2. costruire un quadro di istanze strategiche da affrontare;

3. enucleare una serie di azioni in grado di soddisfare tali istanze; 4. decidere il rispettivo livello di priorità di intervento;

5. ricercare azioni di mediazione politica finalizzata al massimo consenso. Come già detto, dagli obiettivi strategici così definiti discenderanno i contenuti dei successivi documenti di programmazione. Quest’ultimi vengono disciplinati all’interno del richiamato principio applicato della programmazione, che rappresenta assieme al TUEL, una delle principali fonti normative a riguardo; qui la programmazione viene definita come “il processo di analisi e valutazione che, comparando e ordinando coerentemente tra loro le politiche e i piani per il governo

21 Art. 34, comma 2-bis della legge n. 142/1990, introdotto dalla legge n. 265/1999.

22 Giusepponi K. (a cura di), Gestione e controllo delle amministrazioni pubbliche. Strumenti operativi e percorsi d’innovazione, Milano, Giuffrè, 2009.

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23 del territorio, consente di organizzare, in una dimensione temporale predefinita, le attività e le risorse necessarie per la realizzazione di fini sociali e la promozione dello sviluppo economico e civile delle comunità di riferimento”. A riguardo, è necessario precisare che il legislatore, con il termine programmazione, ha voluto far riferimento all’intero processo di definizione degli obiettivi, sia quelli di natura strategica che quelli di natura operativa. A tal fine gli strumenti di programmazione che quindi devono essere predisposti da parte degli enti locali sono:

a) il Documento unico di programmazione (DUP); b) il bilancio di previsione finanziario;

c) il piano esecutivo di gestione e delle performance; d) il piano degli indicatori di bilancio.

1.2.1 Il Documento Unico di Programmazione

Il documento in questione rappresenta il presupposto necessario a tutti gli altri documenti di programmazione. È lo strumento che rappresenta l’atto di sintesi della pianificazione strategica e della programmazione operativa.

Questo è andato a sostituire il Piano generale di sviluppo previsto dall’art.165, comma 7, del D.Lgs. n. 267/200023 e la Relazione previsionale programmatica, che nel vecchio ordinamento concretizzavano i risultati dell’attività di pianificazione strategica (il PGS) e di programmazione (la RPP)24. Di conseguenza ne eredita le funzioni e per tale ragione si compone di due parti distinte ma complementari:

- la Sezione Strategica (SeS) che si riferisce ad un orizzonte temporale pari al mandato sindacale;

- la Sezione Operativa (SeO) che invece contiene la programmazione operativa dell’ente avendo a riferimento un arco temporale sia annuale che pluriennale.

23 Il comma risulta abrogato dal D. Lgs n. 126/2014.

24 Masini E., Ghiandoni D., Muscillo C., Il processo di armonizzazione contabile: guida teorico-pratica,

(24)

24 Nel seguente grafico25 (fig.2) possiamo vedere raffigurato il DUP in ambito temporale e documentale:

Figura 2: DUP

Come si può notare il DUP ha una stretta correlazione sia con le linee programmatiche di mandato sia con i successivi documenti gestionali, come il PEG. Infatti, nel primo caso, la Sezione Strategica del DUP, sulla base di quanto disposto dal precedente principio, “sviluppa e concretizza le linee programmatiche

di mandato”; mentre il PEG, descritto in seguito, definisce gli obiettivi operativi e

quindi le modalità attraverso le quali perseguire gli obiettivi strategici.

Partendo dall’analisi della Sezione Strategica, questa riporta le scelte di valore che guidano l’azione amministrativa e che rimangono tali per tutto il mandato, salvo modifiche necessarie a causa di mutamenti negli scenari economici o sociali. Deve contenere quindi tre elementi fondamentali:

a) gli indirizzi strategici dell’ente, che definiscono i macro-ambiti in cui l’ente vuole intervenire per raggiungere o incrementare i livelli di benessere e qualità della vita desiderati. Questi, oltre ad essere sviluppati, come precedentemente detto, partendo dalle linee programmatiche di mandato, devono necessariamente essere definiti anche in coerenza alle linee di indirizzo della programmazione regionale e agli obiettivi di finanza

25 Fonte – Finmatica S.p.A., Dott.ssa Mandelli Donatella, Sperimentazione Contabile 118/2011, La

(25)

25 pubblica definiti in ambito nazionale in coerenza con le procedure e i criteri stabiliti dall'Unione Europea;

b) l’analisi strategica esterna ed interna, sia in termini attuali che prospettici. Essa è l’operazione preliminare e strumentale alla definizione degli obiettivi strategici. I contenuti minimi previsti in questo ambito dal principio contabile sono riportati nelle tabelle sottostanti.

Analisi strategica condizioni esterne

1) Gli obiettivi individuati dal Governo anche alla luce degli indirizzi e delle scelte contenute nei documenti di programmazione comunitari e nazionali

2) La valutazione corrente e prospettica della situazione socioeconomica del territorio di riferimento e della domanda di servizi pubblici locali

3) I parametri economici essenziali utilizzati per identificare l’evoluzione dei flussi finanziari ed economici dell’ente e dei propri enti strumentali, segnalando le differenze rispetto ai parametri considerati nella Decisione di Economia e Finanza (DEF)

Analisi strategica condizioni interne

1) Organizzazione e modalità di gestione dei servizi pubblici locali tenuto conto dei fabbisogni e dei costi standard.

2) Indirizzi generali relativi alle risorse e agli impieghi e sostenibilità economico finanziaria attuale e prospettica. Dovranno essere considerati obbligatoriamente almeno i seguenti aspetti:

• gli investimenti e la realizzazione delle opere pubbliche con indicazione del fabbisogno in termini di spesa di investimento e dei riflessi per quanto riguarda la spesa corrente per ciascuno degli anni dell'arco temporale di riferimento della SeS;

• i programmi ed i progetti di investimento in corso di esecuzione e non ancora conclusi;

• i tributi e le tariffe dei servizi pubblici;

• la spesa corrente con specifico riferimento alla gestione delle funzioni fondamentali anche con riferimento alla qualità dei servizi resi e agli obiettivi di servizio;

• l’analisi delle necessità finanziarie e strutturali per l’espletamento dei programmi ricompresi nelle varie missioni;

• la gestione del patrimonio;

• il reperimento e l’impiego di risorse straordinarie e in conto capitale;

• l’indebitamento con analisi della relativa sostenibilità e andamento tendenziale nel periodo di mandato;

• gli equilibri della situazione corrente e generali del bilancio ed i relativi equilibri in termini di cassa.

(26)

26

3)Disponibilità e gestione delle risorse umane con riferimento alla struttura organizzativa dell’ente in tutte le sue articolazioni e alla sua evoluzione nel tempo anche in termini di spesa.

4)Coerenza e compatibilità presente e futura con le disposizioni del patto di stabilità interno e con i vincoli di finanza pubblica.

c) gli obiettivi strategici che si vogliono raggiungere entro il termine del mandato amministrativo, per ogni missione di bilancio.

Le missioni rappresentano, sotto il profilo politico-istituzionale, le funzioni principali e gli obiettivi strategici perseguiti con la spesa pubblica. Attraverso il loro utilizzo la spesa viene suddivisa per un numero limitato di grandi finalità che permettono di rendere evidenti le principali funzioni esercitate dalla pubblica amministrazione e di fornire una rappresentazione sintetica della stessa.

Sulla base delle scelte e dell’analisi di contesto vengono quindi individuati obiettivi puntuali e i relativi risultati attesi. Data la natura strategica di questi obiettivi, gli indicatori che li misurano saranno riferiti nella maggior parte dei casi a risultati di outcome, ossia misureranno l’impatto che i prodotti amministrativi avranno sul contesto e sugli equilibri generali di sviluppo della comunità.26

In questa Sezione inoltre, come indicato dal Principio in questione, devono essere indicati gli strumenti attraverso i quali l'ente locale intende rendicontare il proprio operato nel corso del mandato in maniera sistematica e trasparente, al fine di informare i cittadini del livello di realizzazione dei programmi, di raggiungimento degli obiettivi e delle collegate aree di responsabilità politica o amministrativa. La Sezione Operativa, invece, ha un carattere programmatorio, ossia permette di declinare gli obiettivi strategici sopra enunciati in obiettivi operativi annuali, e il suo contenuto costituisce guida e vincolo ai processi di redazione dei documenti contabili di previsione dell’ente, in applicazione del principio della coerenza tra i documenti di programmazione.

26Masini E., Ghiandoni D., Muscillo C., Il processo di armonizzazione contabile: guida teorico-pratica,

(27)

27 In particolare, per ogni singola missione, sono individuati i programmi che l’ente intende realizzare per conseguire gli obiettivi strategici definiti nella SeS, e per ogni programma, con riferimento ad un periodo triennale, sono individuati gli obiettivi operativi annuali da raggiungere.

Il programma, in definitiva, rappresenta l’elemento fondamentale della struttura del sistema di bilancio e il perno intorno al quale definire i rapporti tra i vari organi di governo e tra questi ultimi e la struttura organizzativa; di fatto permette di definire le diverse responsabilità di gestione dell’ente, nonché palesare la corretta informazione sui contenuti effettivi delle scelte dell’amministrazione agli utilizzatori del sistema di bilancio27.

Questa seconda sezione del DUP, a sua volta, è suddivisa in due parti:

• Parte 1, nella quale sono descritte le motivazioni delle scelte programmatiche effettuate e vengono definiti, per tutto il periodo di riferimento del DUP, i singoli programmi da realizzare e i relativi obiettivi annuali;

• Parte 2, che contiene la programmazione dettagliata, relativamente all’arco temporale di riferimento del DUP, delle opere pubbliche, del fabbisogno di personale e delle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio.

Per la redazione della Prima Parte della SeO, il principio dispone che il punto di partenza dell’attività di programmazione operativa dell’ente è rappresentato dall’analisi delle condizioni operative esistenti e prospettiche, le quali, pur essendo state già trattate nella sezione strategica in maniera più generica, devono essere ulteriormente messe a fuoco per delineare i contorni entro i quali l’ente è destinato a muoversi, subendone eventuali limiti e condizionamenti. In questa sede devono essere trattati gli aspetti sotto riportati.

(28)

28

Analisi delle condizioni

operative

1) Risorse umane, finanziarie e strumentali

2) Bisogni per ciascun programma all’interno delle missioni

3) Obiettivi del patto di stabilità interno e le relative disposizioni per gli enti strumentali e le società partecipate

4) Valutazione generale sui mezzi finanziari, individuando le fonti di finanziamento ed evidenziandone il trend storico e i relativi vincoli

5) Indirizzi in materia di tributi e tariffe dei servizi 6) Indirizzi sul ricorso generale all’indebitamento 7) Analisi degli impegni pluriennali di spesa già assunti

8) Descrizione e analisi della situazione economico-finanziaria degli organismi facenti parte del gruppo amministrazione pubblica e degli effetti sugli equilibri di bilancio

La seconda parte della SeO invece, ha il compito di focalizzare l’attenzione su tre diversi aspetti della gestione dell’ente locale. Questa deve infatti ricomprendere:

• Il Programma triennale delle opere pubbliche e il relativo elenco annuale. La realizzazione delle opere pubbliche, infatti, deve essere svolta in conformità ad un programma triennale, ed ogni ente deve analizzare, identificare e quantificare gli interventi e le risorse reperibili per il loro finanziamento. Tale documento deve quindi avere come contenuti obbligatori le priorità e le azioni da intraprendere come richiesto dalla legge, la stima dei tempi e la durata degli adempimenti amministrativi propri della realizzazione delle opere e del collaudo, la stima dei fabbisogni espressi in termini sia di competenza, sia di cassa, al fine del relativo finanziamento in coerenza con i vincoli di finanza pubblica.

• La programmazione triennale del fabbisogno del personale, che gli organi di vertice degli enti sono tenuti ad approvare, ai sensi della legge, per assicurare le esigenze di funzionalità e di ottimizzazione delle risorse per il miglior funzionamento dei servizi compatibilmente con le disponibilità finanziarie e i vincoli di finanza pubblica.

• Il Piano delle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio. Ai fini di procedere al riordino, gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare, deve essere redatto un apposito elenco in cui vengono individuati i singoli immobili di proprietà dell’ente. Tra questi devono

(29)

29 essere individuati quelli non strumentali all’esercizio delle funzioni istituzionali e quelli suscettibili di valorizzazione, ovvero di dismissione. Visti i contenuti essenziali di tale documento, per concludere, è necessario precisare i tempi previsti per la sua adozione, definiti dallo stesso principio contabile applicato della programmazione.

Il nuovo ordinamento contabile colloca il processo di pianificazione e programmazione a monte di quello di previsione, anticipando i tempi di redazione e approvazione del DUP rispetto a quelli di approvazione del bilancio.28 Entro il 31 luglio dell’anno precedente al periodo di riferimento, l’organo esecutivo, ossia la Giunta, deve presentare al Consiglio il Documento Unico di Programmazione. Questo potrà essere aggiornato successivamente dalla Giunta, entro e non oltre il 15 novembre dello stesso anno. Solo successivamente alla sua approvazione, la Giunta, tenendo conto delle scelte e degli obiettivi ivi indicati, predispone il Bilancio di previsione da presentare al Consiglio.

Viene così evidenziata la sostanziale differenza rispetto al documento di programmazione che era previsto dalla normativa precedente al processo di armonizzazione contabile. Il DUP, come già esposto in precedenza, è andato infatti a sostituire due documenti previsti dalla precedente normativa: il Piano generale di Sviluppo, che rappresentava il principale strumento di pianificazione strategica dell’ente finalizzato alla definizione degli obiettivi prioritari delle politiche dell’ente stesso per l’intera durata del mandato, e la Relazione Previsionale e Programmatica (RPP), che invece costituiva il piano generale degli interventi dell’ente locale, nel quale venivano indicate le risorse a disposizione e individuati i bisogni da soddisfare. Mentre precedentemente la RPP rappresentava un allegato al Bilancio di previsione, il DUP attualmente rappresenta un documento propedeutico alla redazione del bilancio stesso. Infatti, come già riportato, ad esso devono tendere tutti i successivi atti contabili e gestionali. L’anticipo dei tempi di approvazione del DUP ha imposto agli enti locali una vera e propria sessione della pianificazione e programmazione, che è del tutto autonoma rispetto a quella riferita

28 Masini E., Ghiandoni D., Muscillo C., Il processo di armonizzazione contabile: guida teorico-pratica,

(30)

30 alla predisposizione del bilancio. Così facendo è stato restituito alla programmazione il ruolo centrale e prioritario rispetto alla previsione finanziaria pura e semplice. Di fatto la RPP rappresentava spesso un mero adempimento che veniva eseguito solo dopo aver redatto e quadrato il bilancio, perdendo così la sua funzione di guida dell’attività dell’ente.

1.2.2 Il Bilancio di Previsione Finanziario

Il Bilancio di previsione rappresenta il principale documento di programmazione di natura finanziaria degli enti locali. Secondo quanto disposto dal TUEL, all’art 162, comma 1, gli enti locali deliberano annualmente il bilancio di previsione finanziario riferito ad almeno un triennio, comprendente le previsioni di competenza e di cassa del primo esercizio del periodo considerato e le previsioni di competenza degli esercizi successivi.

Lo stesso principio applicato della programmazione definisce il bilancio come “il documento nel quale vengono rappresentate contabilmente le previsioni di natura finanziaria riferite a ciascun esercizio compreso nell’arco temporale considerato nei Documenti di programmazione dell’ente, attraverso il quale gli organi di governo di un ente, nell’ambito dell’esercizio della propria funzione di indirizzo e di programmazione, definiscono la distribuzione delle risorse finanziarie tra i programmi e le attività che l’amministrazione deve realizzare, in coerenza con quanto previsto nel documento di programmazione.”

Da queste disposizioni si può notare come il bilancio pubblico presenti connotazioni e modalità di redazione profondamente diverse da quelle che assume il bilancio nell’ambito delle aziende private. La differenza sostanziale risiede nel fatto che il bilancio in questione considera esclusivamente l’aspetto finanziario delle operazioni di gestione trascurando invece quello economico, che rappresenta, in modo opposto, il cardine sul quale si sviluppano le rilevazioni delle aziende private. Così, mentre il bilancio in ambito privato rappresenta il documento che evidenzia i risultati economico-patrimoniali della gestione, il bilancio di previsione finanziario rappresenta un documento programmatorio preventivo. Il

(31)

31 sistema contabile dell’ente locale ha subito, nel corso degli anni, svariate innovazioni attraverso le quali il legislatore sembra aver cercato di superare il concetto di contabilità come semplice adempimento amministrativo. Infatti, già a partire dal D.Lgs 77/95 si prevedeva che il nuovo ordinamento contabile potesse permettere di superare i limiti che il bilancio pubblico presentava in passato, ossia la mancanza di connessione con la struttura organizzativa e con la programmazione, e la mancanza di confronto tra previsione e risultati con la conseguenza di avere una scarsa conoscenza delle conseguenze dei diversi modelli di gestione.29

Riprendendo quindi le diverse finalità del bilancio di previsione, identificate all’interno dello stesso principio, si nota la rilevanza che tale documento assume. Tali finalità sono:

• politico-amministrativa in quanto consente l’esercizio delle prerogative di indirizzo e di controllo che gli organi di governance esercitano sull’organo esecutivo, ed è lo strumento fondamentale per la gestione amministrativa nel corso dell’esercizio. Questa viene esercitata dal Consiglio attraverso l’approvazione del bilancio stesso;

• di programmazione finanziaria poiché descrive finanziariamente le informazioni necessarie a sostenere le amministrazioni pubbliche nel processo di decisione politica, sociale ed economica;

• di destinazione delle risorse a preventivo attraverso la funzione

autorizzatoria, connessa alla natura finanziaria del bilancio;

• di verifica degli equilibri finanziari nel tempo e, in particolare, della copertura delle spese di funzionamento e di investimento programmate. • informative in quanto fornisce informazioni agli utilizzatori interni

(consiglieri ed amministratori, dirigenti, dipendenti, organi di revisione, ecc.) ed esterni (organi di controllo, altri organi pubblici, fornitori e creditori, finanziatori, cittadini, ecc.) in merito ai programmi in corso di

29 Lodetti L., Il sistema di contabilità dell’ente locale, in Lodetti L., Zangrandi A. (a cura di), Bilancio, programmazione e controllo negli enti pubblici, Milano, Otto/Novecento Editore, 1999.

(32)

32 realizzazione, nonché in merito all’andamento finanziario della amministrazione.

Il bilancio rappresenta quindi un tassello fondamentale del processo di programmazione dell'attività dell’ente, in quanto deve rappresentare con chiarezza non solo gli effetti contabili delle scelte assunte ma anche la loro motivazione e coerenza con il programma politico dell’amministrazione, con il quadro economico-finanziario e con i vincoli di finanza pubblica.

Inoltre, da un punto di vista sostanziale, tali previsioni, definite anche come rilevazioni preventive, permettono di responsabilizzare maggiormente i soggetti della struttura verso lo svolgimento dei programmi rivolti al raggiungimento degli obiettivi che sono stati loro assegnati; mentre, da un punto di vista formale, consentono di autorizzare l’acquisizione e l’assegnazione delle risorse necessarie.30

Passando adesso all’analisi della struttura del bilancio di previsione finanziario, questa prevede l’esposizione separata dell’andamento delle entrate e delle spese riferite ad un orizzonte temporale di almeno un triennio.

Le previsioni di competenza finanziaria vengono elaborate in coerenza al principio generale n.1631, e rappresentano le entrate e le spese che si prevedono esigibili in ciascuno degli esercizi considerati, anche se la relativa obbligazione è sorta in esercizi precedenti.

Le previsioni di entrata sono classificate, secondo le modalità indicate all’art. 15 del D.Lgs 23 giugno 2011, n.118, in:

a) titoli, definiti secondo la fonte di provenienza delle entrate;

b) tipologie, definite in base alla natura delle entrate, nell’ambito di ciascuna fonte di provenienza.

30 Ponzo S., Il sistema delle informazioni per la pianificazione e il controllo nelle pubbliche amministrazioni, Milano, Giuffrè, 2009.

31Tale principio, denominato Principio della competenza finanziaria, costituisce il criterio di imputazione

agli esercizi finanziari delle obbligazioni giuridicamente perfezionate attive e passive (accertamenti e impegni). Tutte le obbligazioni giuridicamente perfezionate attive e passive, che danno luogo a entrate e spese per l’ente, devono essere registrate nelle scritture contabili quando l’obbligazione è perfezionata, con imputazione all’esercizio in cui l’obbligazione viene a scadenza. È, in ogni caso, fatta salva la piena copertura finanziaria degli impegni di spesa giuridicamente assunti a prescindere dall’esercizio finanziario in cui gli stessi sono imputati.

(33)

33 Tali previsioni rappresentano quanto l’amministrazione ritiene di poter ragionevolmente accertare in ciascun esercizio, nel rispetto dei principi contabili generali dell’attendibilità e della congruità, e rappresenta contabilmente il programma che l’organo di vertice assegna all’organo esecutivo per il reperimento delle risorse finanziarie necessarie al finanziamento delle spese di funzionamento e di investimento. (fig.3)

Le previsioni di spesa, invece, sono classificate, secondo le modalità indicate all’art. 14 del D.Lgs 23 giugno 2011, n.118, in:

a) missioni, che, come già riportato precedentemente, rappresentano le principali funzioni e gli obiettivi strategici perseguiti dagli enti locali, che sono definite in relazione al riparto delle competenze di cui agli articoli 117 e 118 della Costituzione;

b) programmi, che rappresentano gli aggregati omogenei di attività necessarie per perseguire gli obiettivi definiti nell’ambito delle missioni, e che sono a loro volta articolati in titoli di spesa.

In particolare, i programmi di spesa sono articolati nei titoli di spesa sotto riportati (fig.4), i quali, se presentano importo pari a 0, possono non essere indicati nello schema di bilancio (fig.5)

(34)

34

Figura 4: Titoli di Spesa

TITOLO 1 Spese correnti

TITOLO 2 Spese in conto capitale

TITOLO 3 Spese per incremento di attività finanziarie TITOLO 4 Rimborso di prestiti

TITOLO 5 Chiusura anticipazioni da istituto tesoriere/cassiere TITOLO 7 Spese per conto terzi e partite di giro.

Figura 5: Schema di bilancio di previsione – parte spesa

Fonte: D.Lgs 118/2011, allegato 9

Anche le previsioni di spesa, come ribadito dal principio applicato concernente la programmazione, sono predisposte nel rispetto dei principi contabili generali della veridicità e della coerenza, tenendo conto dei riflessi finanziari delle decisioni descritte nel documento di programmazione.

Il bilancio di previsione si conclude con più quadri riepilogativi, secondo gli schemi previsti dall'allegato n. 9 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, e successive modificazioni. Tra questi si rilevano in modo particolare:

• il quadro generale riassuntivo, in cui vengono indicate le previsioni complessive del bilancio in termini di competenza e di cassa;

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