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LA DISCIPLINA E LA SORTE DEI PROCESSI PENDENTI NEL FALLIMENTO

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1 LA DISCIPLINA E LA SORTE DEI PROCESSI PENDENTI

NEL FALLIMENTO

CAPITOLO I

L’EVOLUZIONE STORICA DELLA DISCIPLINA: L’ARTICOLO 43 DAL REGIO DECRETO AL DECRETO

LEGISLATIVO DEL 2015

1. Il dettato normativo nel Regio Decreto 267/1942

2. L’evoluzione della disciplina dopo le novelle del 2006 e 2007

3. La riforma del Decreto Legislativo 83/2015

4. La connessione dell’interruzione di cui all’art. 43 con il Regolamento 848/2015. Cenni applicativi

CAPITOLO II

EFFETTI DELLA SENTENZA DICHIARATRICE DI FALLIMENTO NELLA SFERA PROCESSUALE DEL

FALLITO 1. La ratio della norma

2. Gli effetti degli atti compiuti dal fallito

2.1 La certezza del dies a quo per la connessione dell’art 43 e art 44

2.2 L’art 44 e suoi effetti. L’invalidità generale degli atti compiuti dal fallito successivamente alla sentenza dichiaratrice di fallimento

(3)

2 2.3 confronto sistematico tra la procedura fallimentare e il concordato preventivo: Curatore, commissario giudiziale, commissario liquidatore, organi istituzionali a confronto.

2.4 La validità degli atti del debitore in crisi nella procedura del concordato preventivo e la certezza dei rapporti giuridici come ratio del mantenimento della validità degli atti

compiuti dal debitore in crisi in caso di successivo fallimento.

CAPITOLO III

LA POSIZIONE DEL CURATORE RISPETTO AGLI ATTI DEL FALLITO E SUA LEGITTIMAZIONE COME SOSTITUTO

COATTIVAMENTE NATURALE

1. La (in)capacità del fallito in qualità di soggetto coattivamente sostituito

2. Il curatore come terzo e come parte. Il ruolo del curatore alla luce della lettera della normativa

3. I limiti alla disposizione di cui all’art 43

CAPITOLO IV

LA IMPROCEDIBILITA’ DEI PROCEDIMENTI INSTAURATI DAI CREDITORI QUALE REGOLA GENERALE ED EFFETTO DI UNA MANCANZA DI

INTERESSE AD AGIRE 1. Il Codice del Commercio del 1882 2. Tesi sulla procedibilità

(4)

3 3. Tesi sulla improcedibilità

4. La posizione della Giurisprudenza di legittimità

CAPITOLO V

EFFETTI DELLA SENTENZA DICHIARATRICE DI FALLIMENTO NEI PROCESSI PENDENTI

1. Effetti della sentenza dichiaratrice di fallimento su un giudizio di cognizione pendente alla data della dichiarazione di fallimento volto ad un mero accertamento

2. Effetti della sentenza dichiaratrice di fallimento su un giudizio di cognizione pendente alla data della dichiarazione di fallimento volto ad una sentenza costitutiva

3. Effetti della sentenza dichiaratrice di fallimento su un giudizio di cognizione pendente alla data della dichiarazione di fallimento volto ad una sentenza di condanna

4. La peculiarità dell’istituto del decreto ingiuntivo

CAPITOLO VI

LE ECCEZIONI ALLA DISCIPLINA GENERALE. LE DEROGHE ALLA IMPROCEDEBILITA’. PROCEDIMENTI

(5)

4 1. Le sentenze di merito pronunciate prima della dichiarazione di fallimento non ancora passate in giudicato.

1.1 La sorte degli eventuali gravami proposti 1.2 L’ammissione dei crediti con riserva 2. L’eccezione di compensazione

3. Cenni sui procedimenti in materia lavoristica e tributaria

CAPITOLO VII

LA RESIDUALE LEGITTIMAZIONE AD AGIRE IN CAPO AL FALLITO

1. La ratio della deroga

2. Le controversie non aventi interessi di rapporti patrimoniali quale regola residuale per la individuazione dei procedimenti in cui vige una legittimazione ad agire del fallito

2.1 Cause aventi ad oggetto lo stato di famiglia 2.2 Cause aventi ad oggetto controversie tributarie

3. L’intervento del fallito per le questioni dalle quali può insorgere l’imputazione di bancarotta

CAPITOLO VIII

LA STRAORDINARIA LEGITTIMAZIONE AD AGIRE DEL FALLITO

1. La ratio della deroga 2. I presupposti

(6)

5 CAPITOLO IX

LA RIASSUNZIONE DEI PROCESSI INTERROTTI QUALE CONSEGUENZA DELLA ESTINZIONE DEL

FALLIMENTO

1. Il dies a quo per individuare il momento della estinzione del fallimento

2. L’istituto della riassunzione: un onere totalmente a carico della parte

(7)

6

L’evoluzione storica della disciplina: l’articolo 43

dal Regio Decreto al Decreto Legislativo del 2015

1. Il dettato normativo del Regio Decreto 267/1942 2. L’evoluzione della disciplina dopo le novelle del 2006 e 2007 3. La riforma del Decreto Legislativo 83/2015 4. La connessione dell’interruzione di cui all’art 43 con il Regolamento 848/2015. Cenni applicativi.

1. Il dettato normativo del Regio Decreto 267/1942

L’art 43 del dettato originario del Regio Decreto 16 marzo 1942

n. 267 recante “degli effetti del fallimento” statuisce “Il fallito può

intervenire nel giudizio solo per le questioni dalle quali può dipendere un'imputazione di bancarotta a suo carico o se l'intervento è previsto dalla legge.”

Tale disposizione normativa implica che nelle controversie

relative ai rapporti di diritto patrimoniale sta in giudizio un

soggetto terzo, il curatore, fatti salvi i casi circa le questioni da

cui potrebbe dipendere una imputazione di bancarotta a carico

del fallito e per le ipotesi in cui l’intervento è previsto dalla

(8)

7 Da questa previsione si rileva come la legittimazione

processuale personale del fallito, attiva e passiva, riguardante le

controversie aventi ad oggetto diritti a contenuto patrimoniale

compresi nella procedura fallimentare, non venga già

definitivamente meno ma possa, eccezionalmente, essere

riconosciuta in caso di disinteresse o inerzia degli organi

fallimentari.

L’intervento riconosciuto al fallito è, quindi, un intervento

adesivo dipendente che non consente al fallito di modificare o

disporre dell’oggetto del giudizio1.

L’eccezione al principio normativo citato riguarda, quindi, tutte

le azioni a contenuto non patrimoniale.

A tal proposito la Cassazione, con sentenza n. 7142 del 30

maggio 20002 ha precisato che il fallito, nel caso di specie, è

legittimato a resistere nelle controversie concernenti la validità

del contratto di locazione di un bene immobile destinato

esclusivamente ad abitazione per sé e la sua famiglia. La Corte,

infatti, rileva come l’istituto della locazione non integri già un

diritto patrimoniale ascrivibile alla sfera dei rapporti della

1 Si veda per tutti Cecchella, Diritto Fallimentare, Cedam, 2015

2 Cass., sentenza del 30 Maggio 2000, n. 7142, in Nuova giur. civ. comm., 2001, I,

(9)

8 procedura fallimentare, bensì un rapporto di natura personale in

quanto inidoneo ad incidere sugli interessi della massa. 3

2. L’evoluzione della disciplina dopo le novelle del

2006 e 2007

Con il Decreto Legislativo 9 gennaio 2006 n.5 in vigore dal 16

luglio 2006 viene aggiunto il primo comma recante “Nelle

controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore” e “L'apertura del fallimento determina l'interruzione del processo”.

Il curatore, quale organo segnatamente gestorio-amministrativo

del fallimento, diviene titolare dei rapporti giuridici quali

l’amministrazione del patrimonio del fallito e lo svolgimento di

attività, anche materiali, relative alle procedura.

Lo stare in giudizio del curatore è specularmente correlato alla

perdita di capacità processuale del fallito rispetto ai rapporti di

diritto patrimoniale acquisiti al fallimento.4 Il fallito, quindi,

perde la legittimazione processuale attiva e passiva in merito ai

3 Per una maggiore trattazione si veda Cass., 9 giugno 1993, n. 6424; Cass., sez un.,

18 ottobre 1982, n. 5397

(10)

9 beni e ai diritti assoggettati a spossessamento ed in sua vece vi è

il curatore fallimentare che sta in giudizio per quanto attiene a

tutte le controversie.

Il curatore, perciò, si sostituisce al soggetto sottoposto a

procedura fallimentare nei giudizi già promossi anteriormente

alla sentenza dichiaratrice di fallimento e provvede

personalmente a promuovere quelli tendenti al recupero della

massa attiva del fallimento5.

L’art. 43, comma 3 Legge Fallimentare, stabilisce che l’apertura

del fallimento determina l’interruzione automatica del processo.

La norma, di tenore sintetico e lapidario, introduce una ipotesi

di interruzione del giudizio operante di diritto, ipso iure.

5Sentenza Commissione Tributaria provinciale di Varese 29.10.2013 n 113“…

Considerato che nella specie il ricorso non è stato presentato dal curatore fallimentare; si ritiene che il ricorrente non sia legittimato a proporre il ricorso contro l'accertamento in questione ritenendo legittima l'eccezione preliminare sollevata dall'Ufficio.

In particolare la carenza di legittimazione attiva dell'ex liquidatore trova supporto non solo per il fatto che il Sig. (omissis) non ha prodotto alcuna documentazione dalla quale rilevare la qualifica di ex liquidatore della Società (omissis) srl ma soprattutto dal fatto che pur considerando che il ricorrente sia il liquidatore, lo stesso ai sensi art. 43 LF, non può promuovere autonomamente un'azione giudiziale, nelle controversie relative ai rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento. Legittimato a stare in giudizio è il curatore: il fallito può intervenire nel giudizio solo per le questioni dalle quali può dipendere un'imputazione di bancarotta e se l'intervento è previsto dalla legge..”.

(11)

10 Precedentemente, il combinato disposto dell’art. 300, comma I e

II c.p.c statuiva che “Se alcuno degli eventi previsti nell'articolo

precedente si avvera nei riguardi della parte che si è costituita a mezzo di procuratore, questi lo dichiara in udienza o lo notifica alle altre parti. Dal momento di tale dichiarazione o notificazione il processo è interrotto, salvo che avvenga la costituzione volontaria o la riassunzione a norma dell'articolo precedente”.

L’evento interruttivo del fallimento non era già rilevabile

d’ufficio bensì doveva essere dichiarato ex art 300 cpc. Qualora

la dichiarazione di interruzione non fosse stata pronunciata il

procedimento sarebbe continuato contro il fallito ma la sentenza

non sarebbe stata opponibile al fallimento6.

Pertanto, poteva accadere che la parte in bonis, a seconda dei

casi, avere interesse a che non continuasse ad essere parte in un

procedimento contro il fallito ovvero preferire che, visto il

procedimento in stato avanzato, continuasse lo stesso con il

fallito stesso come parte. Va da sé che in una procedura sì

delicata, pubblica e latu sensu concorsuale in una accezione

squisitamente processuale, una siffatta via aleatoria in capo alla

6 Nigro, Sandulli, La riforma della legge fallimentare, Giappichelli, 2006; Abriani,

(12)

11 parte non poteva più essere accettata all’alba del nuovo

millennio.

Alla luce di ciò la riforma statuisce “l’apertura del fallimento

determina l’interruzione del processo” sancendo l’automaticità

dell’evento interruttivo.

L’interruzione, quindi, è conseguenza automatica della

dichiarazione del difensore, ovvero della notificazione

dell’evento interruttivo, non occorrendo un formale

provvedimento di interruzione reso dal giudice7; appare

necessario dunque precisare che in seguito alla riforma,

l’interruzione è conseguenza diretta della sentenza e si realizza

automaticamente senza la necessaria dichiarazione del giudice

in udienza.

L’automaticità dell’effetto interruttivo del processo, di cui al

comma 3 dell’art. 43 Legge Fallimentare, è stata inserita dal

legislatore allo scopo di dare un impulso acceleratorio alla

procedura, evitando che la parte colpita dall’evento, ma

interessata alla prosecuzione del processo, possa evitare

7 Per una dettagliata trattazione si veda Cass., Sez. Un., 20.3.2008, n. 7443 2, Cass.

(13)

12 l’interruzione omettendo di dare notizia nel processo

dell’avvenuto fallimento. 8

La Corte di Cassazione con sentenza 8 ottobre 2008 n. 24857 ha

stabilito che il termine per la prosecuzione o riassunzione del

processo ex art. 305 c.p.c. decorre dalla data in cui la parte ha

avuto conoscenza legale dell’evento. Le forme previste dal

codice sono comunicazione, certificazione o notificazione

.

L’art 136 c.p.c statuisce “Il cancelliere, con biglietto di cancelleria in

carta non bollata, fa le comunicazioni che sono prescritte dalla legge o dal giudice al pubblico ministero, alle parti, al consulente, agli altri ausiliari del giudice e ai testimoni, e dà notizia di quei provvedimenti per i quali è disposta dalla legge tale forma abbreviata di comunicazione.

Il biglietto è consegnato dal cancelliere al destinatario, che ne rilascia ricevuta, ovvero trasmesso a mezzo posta elettronica certificata, nel rispetto della normativa anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici .

Salvo che la legge disponga diversamente, se non è possibile procedere

(14)

13

ai sensi del comma che precede, il biglietto viene trasmesso a mezzo telefax, o è rimesso all’ufficiale giudiziario per la notifica”. Il

funzionario addetto del tribunale nella persona del cancelliere

provvede alla notifica alle parti interessate al processo.

Tale comunicazione può avvenire attraverso la consegna di

documenti ovvero utilizzando tecnologie di invio telematico

quali telefax e posta certificata.

L’art 137 sancisce “Le notificazioni, quando non è disposto

altrimenti, sono eseguite dall'ufficiale giudiziario, su istanza di parte o su richiesta del pubblico ministero o del cancelliere. L'ufficiale giudiziario esegue la notificazione mediante consegna al destinatario di copia conforme all'originale dell'atto da notificarsi. Se l’atto da notificare o comunicare è costituito da un documento informatico e il destinatario non possiede indirizzo di posta elettronica certificata, l’ufficiale giudiziario esegue la notificazione mediante consegna di una copia dell’atto su supporto cartaceo, da lui dichiarata conforme all’originale, e conserva il documento informatico per i due anni successivi. Se richiesto, l’ufficiale giudiziario invia l’atto notificato anche attraverso strumenti telematici all’indirizzo di posta elettronica dichiarato dal destinatario della notifica o dal suo procuratore, ovvero

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14

consegna ai medesimi, previa esazione dei relativi diritti, copia dell’atto notificato, su supporto informatico non riscrivibile. Se la notificazione non può essere eseguita in mani proprie del destinatario, tranne che nel caso previsto dal secondo comma dell’articolo 143, l’ufficiale giudiziario consegna o deposita la copia dell’atto da notificare in busta che provvede a sigillare e su cui trascrive il numero cronologico della notificazione, dandone atto nella relazione in calce all’originale e alla copia dell’atto stesso. Sulla busta non sono apposti segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell’atto. Le disposizioni di cui al quarto comma si applicano anche alle comunicazioni effettuate con biglietto di cancelleria ai sensi degli articoli 133 e 136.”

Come si evince dal testo normativo l’ufficiale giudiziario

provvede alla notificazione degli atti del processo alle parti in

causa nelle modalità sopra citate. È appena il caso di ricordare

come la disciplina sia variegata nelle forme della notificazione

(16)

15

Con Sentenza n. 17 del 13 gennaio 2010 la Corte di Cassazione9

si è pronunciata in merito al rapporto che intercorre tra art 305

cpc e art 3,24 e 111 Cost.

Nello specifico caso il Tribunale di Biella ha sollevato la

questione di legittimità costituzionale dell’art. 305 del codice di

procedura civile in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della

Costituzione, nella parte in cui non fa decorrere il termine dalla

interruzione del processo dalla data di “effettiva” conoscenza

dell’evento interruttivo. Il ricorrente, infatti, afferma che la

disposizione dell’art 305 se applicata al caso contemplato

dall’art. 43, terzo comma, della Legge Fallimentare, si pone in

contrasto con i suddetti articoli della Costituzione.

In merito all’art 3 della Costituzione il rimettente afferma che vi

è una disparità di trattamento tra l’impresa fallita e gli eventuali

creditori che partecipano alla fase prefallimentare, da un lato, e

la parte in causa nel processo interrotto, che invece a tale fase

non prende parte.

Per quanto concerne l’art 24 e 111, secondo comma, Cost.

l’attore lamenta che soltanto la parte dichiarata fallita e le altre

9 Per una completa trattazione si veda

http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2010&numero =17

(17)

16 parti che partecipano alla fase prefallimentare possono attivarsi

nel termine legale per riassumere il processo, mentre l’altra

parte «vede decorrere questo termine senza che sia a conoscenza della

verificazione del fatto interruttivo»; pertanto soltanto la parte che

non ha avuto notizia della dichiarazione di fallimento, subisce

gli effetti del decorso del termine per la riassunzione del

processo e, quindi, la sanzione dell’estinzione del giudizio senza

che le sia addebitabile alcuna colpevole inerzia10.

Infatti, “non vi sarebbe parità tra la parte dichiarata fallita, quelle che

hanno partecipato alla fase prefallimentare e l’altra parte in lite, che non ha partecipato alla procedura, in quanto, mentre la prima non può non essere a conoscenza della intervenuta dichiarazione di fallimento, che determina l’automatica interruzione del processo e può, quindi, attivarsi nel termine di sei mesi per riassumerlo, la seconda, invece, può non essere a conoscenza della verificazione del fatto interruttivo, e vede, dunque, decorrere inutilmente detto termine”.

Il rimettente, pertanto, ritiene che la celerità del processo, «va di

pari passo con il rispetto delle fondamentali garanzie di difesa e del diritto dei soggetti, nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato ad

10 Montanari, Il Procedimento per la Dichiarazione di Fallimento, in AA. V.v., La

(18)

17

esplicare gli effetti, alla partecipazione al processo in condizioni di parità».

La Corte dopo un breve escursus delle procedenti decisioni11

rigetta la domanda asserendo che “In base ai principi affermati da

questa Corte si è consolidato nella giurisprudenza di legittimità l’orientamento secondo cui «il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre non già dal giorno in cui si è verificato l’evento interruttivo, bensì da quello in cui tale evento sia venuto in forma legale a conoscenza della parte interessata alla riassunzione», con la

conseguenza che il relativo dies a quo «può ben essere diverso per

una parte rispetto all’altra»”12

3. La riforma del Decreto Legislativo 83/2015

Infine, Con Decreto Legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con

modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2015, n.13213 si inserisce “Le

controversie in cui è parte un fallimento sono trattate con priorità. Il capo dell’ufficio trasmette annualmente al presidente della Corte di

11 Si veda Cassazione n. 34 del 1970, Cass. n. 159 del 1977

12 ex multis: Cass., sent. nn. 24857 e 20361 del 2008, n. 5348 del 2007, n. 974 del

2006, n.16020 del 2004, n. 6654 del 2003 e n. 12706 del 2001

13 A completamento si rinvia alla lettura di Lammana, La legge fallimentare dopo la

(19)

18

Appello i dati relativi al numero di procedimenti in cui è parte un fallimento e alla loro durata, nonché le disposizioni adottate per la finalità di cui al periodo precedente. Il presidente della corte di appello ne dà atto nella relazione sull’amministrazione della giustizia.”

Il comma 1-bis dell’art 7 della L. 132/2015 precisa che i

magistrati devono trattare con priorità, oltre alle cause in cui è

parte un fallimento, anche quelle in cui vi è un concordato.14

Ad oggi, dopo le modifiche sopra citate, il testo integrale dell’art

43 recante “rapporti processuali” è così delineato “Nelle

controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore. Il fallito può intervenire nel giudizio solo per le questioni dalle quali può dipendere un'imputazione di bancarotta a suo carico o se l'intervento è previsto dalla legge. L'apertura del fallimento determina l'interruzione del processo. Le controversie in cui è parte un fallimento sono trattate con priorità. Il capo dell’ufficio trasmette annualmente al presidente della corte di appello i dati relativi al numero di procedimenti in cui è parte un fallimento e alla loro durata, nonché le disposizioni adottate

14 Rocchina, Novità del processo civile fallimentare e telematico dopo la L.132/2015,

(20)

19

per la finalità di cui al periodo precedente. Il presidente della corte di appello ne dà atto nella relazione sull’amministrazione della giustizia”.

4. La connessione dell’interruzione di cui all’art 43

con il Regolamento 848/2015. Cenni applicativi.

La disciplina dei rapporti processuali pendenti è stata affrontata

altresì a livello Unionale15 prima con il Regolamento n.1346 del

2000 poi con successivo intervento del 2015 n.848 il quale

entrerà in vigore esclusivamente a decorrere dal 26 giugno 2017.

L’art 15 del Regolamento 1346 del 200016 stabilisce “effetti della

procedura di insolvenza sui procedimenti pendenti” statuisce che “gli effetti della procedura di insolvenza su un procedimento relativo a un bene o a un diritto del quale il debitore è spossessato sono disciplinati esclusivamente dalla legge dello Stato membro nel quale il procedimento è pendente”.

15 De Cesari, Il Regolamento 2015/848 e il nuovo approccio europeo alla crisi

d’impresa, Il Fallimento, 10/2015, Ipsoa

16 Per una lettura integrale del testo si veda:

(21)

20

L’Art 18 del nuovo Regolamento n.848 del 201517 prevede “gli

effetti della procedura di insolvenza su un procedimento giudiziario arbitrale pendente relativo a un bene o a un diritto facente parte della massa fallimentare di un debitore sono disciplinati esclusivamente dalla legge dello Stato membro nel quale il procedimento è pendente o ha sede il collegio arbitrale”.

Tale enunciato sottende al fatto che gli effetti che scaturiscono

dal fallimento sono disciplinati esclusivamente dalle normative

nazionali dallo Stato ove si è instaurato il procedimento di cui

sopra; è il caso di ricordare come la locuzione di cui sopra non

voglia essere una limitazione degli effetti, peraltro espandibili in

ogni paese firmatario del Regolamento, bensì che sia

esclusivamente una norma che statuisca quale legge debba

essere applicata per manifestare gli effetti sopra enunciati; va da

sé che siamo in presenza di una piena ultrattività della Legge

nazionale e altresì pieno riconoscimento della stessa in un altro

stato.

Preme ricordare in questa sede come il nuovo Regolamento

estenda tale possibilità anche al giudizio arbitrale, colmando la

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21 lacuna normativa lasciata in eredità dal predecessore

Regolamento n. 1346 del 2000; una siffatta previsione da un lato

amplia lo spettro di riconoscimento e di applicazione altresì alle

vie stragiudiziali e dall’altro come naturale conseguenza di tale

fatto esterna un pieno potere dell’amministratore, segnatamente

il curatore nei confini nazionali, ad intervenire e resistere in

qualsivoglia procedimento, altresì quello arbitrale. Dunque, se

da un lato il terzo, parte del giudizio arbitrale, è certo della

continuazione dello stesso, dall’altra è assicurata la par condicio

creditorum: qual che sia l’esito del procedimento arbitrale, gli

effetti ricadranno in maniera omogenea sulla massa creditizia.

L’art 21 del nuovo Regolamento recita “1. L'amministratore delle

procedure di insolvenza nominato dal giudice competente ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, può esercitare nel territorio di un altro Stato membro tutti i poteri che gli sono attribuiti dalla legge dello Stato di apertura, finché non vi sia aperta un'altra procedura d'insolvenza o non vi sia adottato un provvedimento conservativo contrario in seguito a una domanda di apertura di una procedura d'insolvenza in tale Stato. Fatti salvi gli articoli 8 e 10, l'amministratore delle procedure di insolvenza può, in particolare,

(23)

22

trasferire i beni del debitore fuori dal territorio dello Stato membro in cui si trovano.

2. L'amministratore delle procedure di insolvenza designato dal giudice competente ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 2, può, in ogni altro Stato membro, far valere in via giudiziaria o in via stragiudiziaria che un bene mobile è stato trasferito dal territorio dello Stato di apertura nel territorio di tale altro Stato membro dopo l'apertura della procedura di insolvenza. L'amministratore delle procedure di insolvenza può anche esercitare ogni azione revocatoria che sia nell'interesse dei creditori.

3. Nell'esercizio dei propri poteri, l'amministratore delle procedure di insolvenza rispetta la legge dello Stato membro nel cui territorio intende agire e in particolare le modalità di liquidazione dei beni. Tali poteri non possono includere misure di coercizione, salvo se disposte dal giudice di quello Stato membro, o il diritto di decidere di una controversia o una lite”.

Il comma 1 del citato testo normativo amplia i poteri del

curatore ponendo in capo ad esso la possibilità di esercitare

all’intero degli stati dell’Unione le facoltà sancite dalla

(24)

23 Il seguente comma, di rilevanza essenziale per detta opera,

statuisce precipuamente la posizione processuale

dell’amministratore; in caso di alienazione di bene mobile il

curatore resiste in via giudiziaria e stragiudiziaria davanti alle

autorità sottostando alle regole dello Stato membro ove è stata

dichiarata la procedura di insolvenza. In ultima istanza il

Legislatore Comunitario aggiunge una preminente posizione di

aspetto processualistico in capo all’amministratore: in caso di

insolvenza il curatore può eccepire azioni revocatorie a sostegno

degli interessi vantati dai credito insinuatisi al passivo.18

Gli effetti della sentenza dichiaratrice di fallimento

nella sfera del fallito.

1. La ratio della norma 2. Gli effetti degli atti compiuti dal fallito 2.1 La certezza del dies a quo per la connessione dell’art 43 e art 44 2.2 L’art 44 e suoi effetti. L’invalidità generale degli atti compiuti dal fallito successivamente alla sentenza dichiaratrice di fallimento 2.3 Confronto

18 Per una lettura integrale della analoga disciplina circa la normativa nazionale si

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24 sistematico tra la procedura fallimentare e il concordato preventivo: curatore, commissario giudiziale, commissario liquidatorio. Organi istituzionali a confronto. 2.4 La validità degli atti del debitore in crisi nella procedura del concordato preventivo e la certezza dei rapporti giuridici come ratio del mantenimento della validità degli atti compiuti dal debitore in crisi in caso di successivo fallimento.

1. La ratio della norma

L’art 43 della Legge Fallimentare sancisce “Nelle controversie,

anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore. Il fallito può intervenire nel giudizio solo per le questioni dalle quali può dipendere imputazione di bancarotta a suo carico se l’intervento è previsto per legge. L’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”.

Il primo comma prescrive “Nelle controversie, anche in corso,

relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore”.

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25 La legittimazione processuale del fallito viene trasferita al

curatore che assume la legittimazione relativamente ai giudizi ex

novo e in quelli che proseguono19; non assume, invece, quella inerente ai rapporti di carattere personale e a quelli di natura

patrimoniale non compresi nel fallimento.

Il fallito non perde, infatti, la legittimazione processuale nei

giudizi relativi ai rapporti personali o inerenti quei beni esclusi

dallo spossessamento ai sensi dell’art 46 L. fallimentare.20

La perdita della capacità processuale attiva e passiva del fallito

è, quindi, conseguenza diretta dello spossessamento, mentre

non può in alcun modo ricollegarsi ad una ridotta capacità di

agire del fallito21.

19 Tarzia, Gli effetti del fallimento sui rapporti pendenti dopo la riforma ed il decreto

correttivo, in riv Il fallimento e le altre procedure concorsuali, 2007; Vanzetti, in Commentario alla Legge Fallimentare, diretto da C. Cavallini, Volume I, Milano,

Egea, 2010

20 Non sono compresi nel fallimento: i beni ed i diritti di natura strettamente

personale; gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito guadagna con la sua attività entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia; i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto è disposto dall’articolo 170 del codice civile; le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge. I limiti previsti nel primo comma, sono fissati con decreto motivato del giudice delegato che deve tener conto della condizione personale del fallito e di quella della sua famiglia.

21Per tutti si vedano Bertacchini, Gualandi, Pacchi, Scarselli, Manuale di diritto

Fallimentare, II edizione, Giuffrè; Nicolini, Gli effetti del fallimento per il fallito e per i creditori, Milano, 2008; Canazza, Codice commentato del fallimento, (a cura di) G. Lo

(27)

26 Al secondo comma dell’art 43 L. Fall. si ammette espressamente

l’intervento del fallito nei giudizi dai quali possa derivare una

sua imputazione per bancarotta, quando l’intervento sia

espressamente previsto dalla legge od ancora, quando si tratti di

atti urgenti ovvero misure cautelari. Al di fuori di questi casi,

segnatamente tassativi, il fallito non ha alcun potere né di

intervento né di impugnazione22. Così, ad esempio, se il curatore

promuove un’azione per l’accertamento della simulazione di atti

di disposizione, l’intervento del fallito è consentito perché

l’accertamento del fatto può ben fondare un’imputazione di

bancarotta per distrazione.23

Deve in questa sede specificarsi come la legittimazione

processuale del fallito, relativamente ai rapporti patrimoniali

compresi nel fallimento, possa, eccezionalmente, essere

ammessa altresì nel caso di disinteresse od inerzia degli organi

del fallimento.

Rimane comunque preclusa tale possibilità quando detti organi

si siano concretamente attivati ed abbiano ritenuto non

22Bonfatti, Censori, Lineamenti di diritto fallimentare, Padova, 2013

23Per una dettagliata trattazione si rinvia a Vassalli, Luiso, Gabrielli, Gli Effetti del

Fallimento, Vol III, Giappichelli editore; Jorio, Le crisi di impresa, il fallimento, in

(28)

27 conveniente intraprendere, ovvero proseguire, una determinata

controversia.

A tal proposito la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con

sentenza n. 292 del 2005, ha precisato che la legittimazione

processuale del fallito rispetto ai diritti patrimoniali sussiste

esclusivamente nel caso di inerzia degli organi fallimentari ed

ha, quindi, carattere sostitutivo della legittimazione spettante a

questi ultimi.

L’art 43 terzo comma statuisce “L’apertura del fallimento determina

l’interruzione del processo”

Prima della riforma la perdita della legittimazione processuale

del fallito non determinava in modo automatico l’interruzione

del procedimenti in corso e l’evento interruttivo, quale il

fallimento, non poteva essere rilevato d’ufficio ovvero

dichiarato dalla controparte e doveva, invece, essere delibato

nelle forme provvedute dall’art 300, dal procuratore della parte

fallita o dal curatore.

Posizione particolare è stata assunta dalla giurisprudenza di

legittimità. Essa riteneva che la perdita di legittimazione

(29)

28 dell’interruzione dei procedimenti in corso; pertanto, l’evento

interruttivo, quale il fallimento, doveva essere dichiarato nelle

forme prescritte dall’art 300 cpc24 “Se alcuno degli eventi previsti

nell’articolo precedente si avvera nei riguardi della parte che si è costituita a mezzo di procuratore, questi lo dichiara in udienza o lo notifica alle altre parti. Dal momento di tale dichiarazione o notificazione il processo è interrotto, salvo che avvenga la costituzione volontaria o la riassunzione a norma dell’articolo precedente. Se la parte è costituita personalmente, il processo è interrotto al momento dell’evento. Se l’evento riguarda la parte dichiarata contumace, il processo è interrotto dal momento in cui il fatto interruttivo è documentato dall’altra parte, o è notificato ovvero è certificato dall’ufficiale giudiziario nella relazione di notificazione di uno dei provvedimenti di cui all’articolo 292. Se alcuno degli eventi previsti nell’articolo precedente si avvera o è notificato dopo la chiusura della discussione davanti al collegio, esso non produce effetto se non nel caso di riapertura dell’istruzione.”

Alla luce di ciò, però, la regola dell’art 43 doveva essere

inevitabilmente collegata alla ragionevole durata del processo,

(30)

29

ex art 111 Cost25. Tale richiamo ha portato, post riforma, a

ritenere che i procedimenti debbano essere interrotti

automaticamente, rispondendo, quindi, alle esigenze di

economia processuale e durata ragionevole del processo insite

nell’articolo suesposto.

Preme precisare in questa sede che i procedimenti sopra citati

sono considerati “in corso” al momento del perfezionamento

dell’atto introduttivo, quindi, con la notifica della citazione

ovvero il deposito del ricorso.26

25Art 111 Cost. “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla

legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata. Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo. Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore. La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita. Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati. Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra. Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.

26 Vella, La legge Fallimentare. Commentario teorico pratico, a cura di Ferro, Padova,

(31)

30 Un problema circa la continuazione del procedimento potrebbe

sussistere allorché il giudice ignori che una delle parti abbia

subito una sentenza dichiaratrice di fallimento e non lo si rilevi

in giudizio. A tal proposito preme analizzare due tesi

contrapposte.

La prima, sostenuta da Consolo27 ritiene di dare rilievo

all’automaticità dell’effetto interruttivo. La seconda, sostenuta

da Ghedini28, afferma la nullità degli atti compiuti nel

procedimento interrotto.

In seguito all’evento interruttivo il processo deve essere

proseguito o riassunto, pena l’estinzione ex art 305 cpc.29 La

riassunzione deve avvenire entro il termine perentorio di tre

mesi che decorrono da quando la parte ne ha conoscenza legale.

La Corte di Cassazione con sentenza n. 5650 del 7 marzo 2013 ha

precisato che: “La conoscenza deve inoltre essere "legale" nel senso

sopra chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte; deve cioè essere acquisita non in via di mero fatto ma per il tramite di una dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa dell'evento

27 Consolo, Il processo di primo grado e la impugnazione delle sentenze, Padova,

2009

28 ibidem

29 “Il processo deve essere proseguito o riassunto entro il termine perentorio di tre

(32)

31

che determina l'interruzione del processo, assistita da fede privilegiata. Tale soluzione risulta quella più idonea a garantire le esigenza di tutela del diritto di difesa e di effettività del contraddittorio evitando che, come paventato dai giudici costituzionali nelle sentenze sopra richiamate, la parte colpita dall'evento e cioè nel caso di specie la società poi dichiarata fallita e per essa la Curatela, possa essere esposta al pericolo del maturare di preclusioni a suo danno, in base ad una conoscenza acquisita non per il tramite di atti assistiti da fede privilegiata, gli unici idonei ad offrire compiuta certezza dell'evento (e del processo sul quale esso è destinato a spiegare l'effetto interruttivo)”30

2. Gli effetti degli atti compiuti dal fallito

L’art 44, comma 1, della Legge Fallimentare sancisce “tutti gli

atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficacia rispetto ai creditori”.

Al fine di scongiurare eventuali atti distrattivi il Legislatore

prevede che il fallito non possa depauperare il proprio

(33)

32

patrimonio ormai sottoposto a vincolo fallimentare31. La

conseguenza insita nell’articolo suesposto è che il terzo dovrà

restituire quanto ha ricevuto dal debitore non assumendo

rilievo, in questa sede, la buona fede a causa della conoscenza

“erga omnes” della sentenza dichiarativa di fallimento. Infatti, la

sentenza dichiaratrice di fallimento, viene iscritta nel registro

delle imprese e notificata sia ai creditori sia ai terzi latu sensu.

Con sentenza n. 7508 del 31 marzo 2011 la Corte di Cassazione

precisa che “a fondamento della decisione, la Corte ha osservato che

l’assegnazione, disposta nella specie in data anteriore alla dichiarazione di fallimento, determina il trasferimento del credito all’assegnatario, con il conseguente depauperamento del debitore assoggettato ad esecuzione, mentre il pagamento eseguito dal terzo debitore opera nella sola sfera giuridica dell’assegnatario, pur determinando l’estinzione del credito fallo vale in via esecutiva. Tale conclusione, ad avviso della Corte, non contrasta con la ricostruzione dell’assegnazione come datio in solutum condizionata, trattandosi di trasferimento sottoposto a condizione risolutiva, il quale comporta l’immediata cessazione della

31 Mascariello, I rapporti giuridici pendenti nella riforma del fallimento, in Dir. Fall.,

(34)

33

procedura esecutiva, con la conseguenza che il creditore non è tenuto ad insinuarsi al passivo del fallimento, non potendo la procedura proseguire a norma della L. Fall art 510”.

Il ricorrente denunciava la violazione e la falsa applicazione del

Regio Decreto 16 marzo 1942 n. 267 art 44 e 51, dell’art 543 cpc e

dell’art 2928 del codice civile. A tal proposito “sostiene infatti che,

in caso di assegnazione del credito da parte del giudice dell’esecuzione, la proprietà della somma assegnata rimane al debitore fino a quando non avvenga in concreto il passaggio nella sfera patrimoniale del creditore, con la conseguenza che, ove sia effettuato successivamente alla dichiarazione di fallimento del debitore, il pagamento è inefficace ai sensi della L.Fall, art 44. Peraltro, anche a voler ritenere che il trasferimento del credito si realizzi con l’ordinanza di assegnazione, la soddisfazione del creditore procedente è subordinata al completamento della fattispecie complessa costituita, oltre che dal provvedimento di assegnazione, anche dal successivo pagamento del terzo, in mancanza del quale la fattispecie non può ritenersi perfezionata. Inoltre, poiché l’assegnazione ha luogo, salvo esazione, il credito azionato in via esecutiva si estingue solo con la riscossione di quello assegnato. Infine, ai fini della revocatoria o della dichiarazione di inefficacia, la legge

(35)

34

fallimentare considera i pagamenti come entità autonome rispetto al rapporto negoziale o al provvedimento del giudice che ne costituisca la causa, sul presupposto che essi si risolvono oggettivamente in una lesione della par condicio creditorum”.

La Corte accoglie il ricorso affermando che “in caso di fallimento

del debitore già assoggettato ad espropriazione presso terzi, il pagamento eseguito dal terzo debitore in favore del creditore che abbia ottenuto l'assegnazione del credito pignorato a norma dell'art. 553 cod. proc. civ. è inefficace, ai sensi della L. Fall., art. 44, se intervenuto successivamente alla dichiarazione di fallimento, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la circostanza che l'assegnazione sia stata disposta in data anteriore”.

L'assegnazione, infatti, “non determina l'immediata estinzione del

debito dell'insolvente, in quanto, l'effetto satisfattivo per il creditore procedente è rimesso alla successiva riscossione del credito assegnato, con la conseguenza che è al pagamento eseguito dopo la dichiarazione di fallimento del debitore che dev'essere ricollegata l'efficacia estintiva idonea a giustificare la sanzione dell'inefficacia”.32

32 A tal proposito si veda Cass., 6 settembre 2007, n. 18714; 12 gennaio 2006. n.

(36)

35 La Corte osserva che, qualora il pagamento eseguito dal terzo si

realizzi nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento del

debitore “fatta eccezione per l'ipotesi prevista dalla L. Fall., art. 56, il

principio della par condicio creditorum, la cui salvaguardia costituisce la ratio della sottrazione al fallito della disponibilità dei suoi beni, è violato non solo dai pagamenti eseguiti dal debitore successivamente alla dichiarazione di fallimento, ma da qualsiasi atto estintivo di un debito a lui riferibile, sia pur indirettamente, in quanto effettuato con suo denaro o per suo incarico o in suo luogo. A quest'ultima categoria va ricondotto il pagamento eseguito dal terzo debitore in favore del creditore del fallito che abbia ottenuto l'assegnazione coattiva del credito ai sensi dell'art. 553 cit.: il terzo debitore che esegue il pagamento dopo la dichiarazione di fallimento estingue infatti, oltre al suo debito nei confronti del creditore assegnatario, anche il debito del fallito, e lo fa con mezzi provenienti dal patrimonio di quest'ultimo, onde è soggetto alla sanzione dell'inefficacia prevista dall'art. 44”33.

La Corte, quindi, accoglie la domanda del ricorrente e condanna

alla restituzione della somma pagate.

33http://www.unijuris.it/sites/default/files/sentenze/Cassazione%20Civile,%20Sez.%

(37)

36 In ossequio al medesimo principio suesposto, in caso di

pagamento tramite assegno, l’anteriorità della sentenza

dichiaratrice di fallimento avrà rilievo in relazione alla data

dell’effettivo incasso e non già a quella di emissione del titolo34.

Preme rilevare che la sanzione comminata dall’art 44 L. Fall è

l’inefficacia e non la nullità dei pagamenti pertanto tali atti sono

irrilevanti nei confronti della massa dei creditori della

procedura ma, successivamente, il terzo potrà agire verso il

fallito insinuandosi al passivo.

2.1 La certezza del dies a quo per la connessione

dell’art 43 e art 44

Ai sensi dell’art 43, terzo comma, della Legge Fallimentare,

“L’apertura del fallimento determina l’interruzione automatica del

processo”.

L’automaticità dell’effetto interruttivo, inserita dall’art 41 del

Decreto Legislativo 9 gennaio 2006 n.5, è volta ad evitare che, la

(38)

37 parte colpita dall’evento, ometta di dare notizia nel processo

dell’avvenuto fallimento.

Preme rilevare che, prima della riforma, l’effetto interruttivo si

verificava, ex art 300 e 305 cpc, con la dichiarazione in udienza

dell’avvenuto fallimento da parte del procuratore della parte

fallita.

La Corte Costituzionale con sentenza del 6 luglio 1971 n. 159 ha

dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art 305 “nella parte in

cui non dispone che il termine utile per la prosecuzione o per la riassunzione del processo interrotto ai sensi dell’art 299 dello stesso Codice, decorre dall’interruzione anziché dalla data in cui le parti ne abbiano avuto conoscenza”.

Ha dichiarato, inoltre, l’illegittimità del detto art 305 “nella parte

in cui dispone che il termine utile per la prosecuzione o per la riassunzione del processo interrotto ai sensi del precedente art 300, comma terzo, decorre dall’interruzione anziché dalla data in cui le parti ne abbiano avuto conoscenza”.

L’odierna interruzione opera, invece, di diritto; decorre, difatti

dal deposito della sentenza di fallimento ed è compito del

(39)

38 Tale previsione garantisce che, il difensore, non possa effettuare

scelte discrezionali relativamente al momento di produzione

degli effetti dell’interruzione essendo questi necessariamente

coincidenti con la dichiarazione di fallimento.

La Corte Costituzionale, con sentenza del 21 gennaio 2010 n.17 e

con successiva sentenza del 21 luglio 2010 n. 261, ha precisato

che “il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre non

già dal giorno in cui si è verificato l’evento interruttivo, bensì da quello in cui tale evento sia venuto in forma legale a conoscenza della parte interessata alla riassunzione con la conseguenza che il relativo dies a quo può ben essere diverso per una parte rispetto all’altra”.35

Come stabilito dalla Corte i tre mesi previsti dall’art 305 cpc non

decorrono dall’evento interruttivo ma, piuttosto, dalla data in

cui il soggetto interessato alla riassunzione ha avuto conoscenza

legale dell’evento interruttivo.

Il Tribunale di Roma, con sentenza del 6 febbraio 2011 n. 978, ha

ritenuto che il fallito, nella persona del curatore, abbia

conoscenza legale dell’evento interruttivo al momento della

pubblicazione della sentenza dichiarativa del fallimento.

35 Per una trattazione completa si veda Cass. sent. nn. 24857 e 20361 del 2008, n.

5348 del 2007, n. 974 del 2006, n. 16020 del 2004, n. 6654 del 2003 e n. 12706 del 2001

(40)

39 In tale prospettiva quindi, il dies a quo, non può decorrere dalla

data di apertura del fallimento ma dovrà principiare dalla data

in cui il curatore abbia avuto effettiva conoscenza

dell’interruzione.

Per quanto concerne la posizione dei terzi, preme rilevare che,

l’interruzione, decorre dal momento in cui essi siano venuti a

conoscenza in forma legale del fallimento.

La conoscenza effettiva e formale del fallimento si determina a

seguito delle comunicazioni previste ex art 92 della Legge

Fallimentare36, ovvero, a mezzo di posta elettronica certificata o

posta raccomandata da parte del curatore37.

Visione diversa era stata assunta dal Tribunale civile di Roma

con sentenza n. 139 del 1967.

Secondo il Tribunale, infatti, la conoscenza legale dell'apertura

del fallimento era individuata nella data di iscrizione della

sentenza dichiarativa del fallimento nel Registro delle imprese,

36 Art 92 L. Fallimentare “Il curatore, esaminate le scritture dell’imprenditore ed

altre fonti di informazione, comunica senza indugio ai creditori e ai titolari di diritti reali o personali su beni mobili e immobili di proprietà o in possesso del fallito, a mezzo posta presso la sede dell’impresa o la residenza del creditore, ovvero a mezzo telefax o posta elettronica: che possono partecipare al concorso depositando nella cancelleria del tribunale, domanda ai sensi dell’articolo seguente; la data fissata per l’esame dello stato passivo e quella entro cui vanno presentate le domande; ogni utile informazione per agevolare la presentazione della domanda. Se il creditore ha sede o risiede all’estero, la comunicazione può essere effettuata al suo rappresentante in Italia, se esistente”.

(41)

40 posto che, ai sensi del terzo comma dell'art.16 Legge

Fallimentare, “La sentenza produce i suoi effetti dalla data della

pubblicazione ai sensi dell’art 133, primo comma, del codice di procedura civile. Gli effetti nei riguardi dei terzi si producono dalla data di iscrizione della sentenza nel registro delle imprese ai sensi dell’art 17 secondo comma”.

Di visione opposta è, invece, la posizione della Corte di

Cassazione che, con sentenza n. 19509 del 2010, ha sancito che

“si impone un attento bilanciamento tra le esigenze del soggetto che

intenda impugnare la decisione sfavorevole e quelle del soggetto protagonista di una vicenda modificatrice della capacità di stare in giudizio, dallo stesso voluta e non immediatamente percepibile sulla base degli atti del processo. Non appare da questo punto di vista ragionevole gravare la parte interessata all'impugnazione dell'onere di una permanente consultazione del registro delle imprese al solo fine di consentirle la semplice gestione del processo.”38

Secondo la Corte, l’onere posto in capo alle parti processuali di

consultare il Registro delle imprese, onde verificare il

sopraggiungere o meno di pronunce dichiarative del fallimento

38http://www.ilsole24ore.com/pdf2010/SoleOnLine5/_Oggetti_Correlati/Document

i/Norme%20e%20Tributi/2010/09/cassazione-sentenza-19509.pdf?uuid=e07faa92-c034-11df-a542-5420bdacca78

(42)

41 della controparte, si pone in contrasto con l’art 111 della Cost, in

tema di giusto processo, e con l'esigenza di effettività e pienezza

del contraddittorio.

Tale visione, ripresa con sentenza n. 5650 del 2013, individua la

conoscenza legale dell'evento interruttivo in capo alla parte

interessata ad una possibile riassunzione non alla data di

iscrizione della sentenza di fallimento nel registro delle imprese

ma alla data nella quale l'intervenuto fallimento sia stato portato

a conoscenza a mezzo di dichiarazione in udienza e notifica.

L’art 42 della Legge Fallimentare prescrive “La sentenza che

dichiara il fallimento, priva dalla sua data il fallito dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento. Sono compresi nel fallimento anche i beni che pervengono al fallito durante il fallimento, dedotte le passività incontrate per l’acquisto e la conservazione dei beni medesimi. Il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può rinunciare ad acquisire i beni che pervengono al fallito durante la procedura fallimentare qualora i costi da sostenere per il loro acquisto e la loro conservazione risultino superiori al presumibile valore di realizzo dei beni stessi”.

(43)

42 In base al dettato normativo la sentenza dichiaratrice di

fallimento produce, in capo al fallito, la perdita

dell’amministrazione e della disponibilità materiale dei beni

ricompresi nella massa fallimentare. A tal fine è necessario

precisare che i beni in oggetto sono pignorabili e suscettibili di

liquidazione in favore dei creditori. Da tale novero sono esclusi i

rapporti strettamente personali del fallito39.

L’articolo prevede poi una deroga all’art 2740 del codice civile

nella parte in cui prevede che “il debitore risponde dei suoi beni

presenti e futuri” infatti, l’art 42 prevede che gli acquisti

successivi alla dichiarazione di fallimento rientrano nel

patrimonio fallimentare.

L’art 44, composto di tre commi, della Legge Fallimentare

sancisce “Tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui

eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori.

Sono egualmente inefficaci i pagamenti ricevuti dal fallito dopo la sentenza dichiarativa di fallimento.

39 Guglielmucci, Diritto Fallimentare, Torino, Giappichelli, 2015; Scala, in

(44)

43

Sono acquisite al fallimento tutte le utilità che il fallito consegue nel corso della procedura per effetto degli atti di cui al primo e secondo comma”.

In ordine a detto articolo, oggetto di approfondito studio nel

seguente paragrafo (v.infra 2.2) appare quanto mai opportuno

tratteggiare alcune sommarie linee guida; in merito al primo

comma preme osservare la statuizione dell’inefficacia di

qualsiasi atto e pagamento compiuto dal fallito posteriormente

alla sentenza di fallimento.

Ai successivi commi, secondo e terzo sono sanciti

rispettivamente la inefficacia dei pagamenti effettuati al fallito e

l’istituto della traslazione delle utilità di cui ai primi due commi

(45)

44

2.2 L’art 44 e suoi effetti. L’invalidità generale degli

atti compiuti dal fallito successivamente alla

sentenza dichiaratrice di fallimento

L’art 44 della Legge Fallimentare sancisce “Tutti gli atti compiuti

dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori.

Sono egualmente inefficaci i pagamenti ricevuti dal fallito dopo la sentenza dichiarativa di fallimento.

Fermo quanto previsto dall'articolo 42, secondo comma, sono acquisite al fallimento tutte le utilità che il fallito consegue nel corso della procedura per effetto degli atti di cui al primo e secondo comma.”

In ossequio al principio di cristallizzazione dei rapporti facenti

capo al fallito, il Regio Decreto prevede un sistema

sanzionatorio volto a tutelare il patrimonio del fallito e i vari

interessi della massa dei creditori della procedura40. La sanzione

prevede che nessun atto e nessun pagamento effettuato dopo la

dichiarazione di fallimento possano avere efficacia e, quindi,

(46)

45 sono inefficaci sia i pagamenti a favore del fallito sia quelli

effettuati direttamente dal fallito41.

Il primo comma dell’art 44 sancisce “Tutti gli atti compiuti dal

fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori”. A rigore della norma,

risultano, quindi, irrilevanti sia la buona fede del terzo

destinatario sia l’idoneità dell’atto a ledere l’interesse della

massa dei creditori. Pertanto, gli atti e i pagamenti effettuati e

ricevuti dopo la dichiarazione di fallimento saranno inefficaci

verso i creditori.

La lettura combinata del secondo comma recante “Sono

egualmente inefficaci i pagamenti ricevuti dal fallito dopo la sentenza dichiarativa di fallimento” permette di precisare che, l’inefficacia,

come già ribadito in altra sede, opera alla data del fallimento, e,

dunque, gli interessi del terzo saranno sempre postergati

rispetto a quelli dei creditori della procedura. Pertanto, il

pagamento ricevuto dal fallito non produrrà, nei confronti dei

creditori concorsuali, l’estinzione del debito ed il solvens dovrà

41Inzitari, Sospensione del contratto per sopravvenuto fallimento ed incerti poteri

autorizzativi del comitato dei creditori, in Dir. Fall., 2007; Zanichelli, La nuova disciplina del Fallimento e delle altre Procedure Concorsuali, Torino, Utet, 2008

(47)

46 eseguire nuovamente il pagamento al curatore, mentre, per i

pagamenti eseguiti dal fallito, sarà obbligo per l’accipiens di

restituire al curatore quanto da lui ricevuto con la precisazione

che, ove si tratti di debito pregresso, potrà insinuarsi al passivo.

Appare preliminare per il prosieguo dello studio precisare che

la norma esplica i propri effetti in ordine ai soli pagamenti

relativi ai rapporti compresi nel fallimento e non già altresì ai

pagamenti di stipendi, salari, pensioni etc. salvo che gli importi

eccedano i limiti di quanto occorra al fine del mantenimento del

fallito e della sua famiglia.

A tale conclusione era giunto, con sentenza, il Tribunale di

Milano il 12 marzo 2007 stabilendo che “I pagamenti così eseguiti

non espongono il solvens al rischio di ripetizione, ma obbligano l’accipiens a restituire le somme ricevute agli organi della procedura, con il conseguente diritto dello stesso all’ammissione allo stato passivo, per l’importo corrispondente a quanto ricevuto e restituito”.

Preme distinguere in questa sede i beni caduti originariamente

nella disponibilità della massa, ai quali dovrà applicarsi l’art. 44

Legge Fallimentare, i beni sopravvenuti, ai quali dovrà

(48)

47 fallimento, ai quali si applicherà la disciplina dell’art 46 della

Legge Fallimentare42.

L’art 46 Legge Fallimentare recante “Beni non compresi nel

fallimento” esclude espressamente ciò che il fallito guadagna con

la sua attività ponendo, inevitabilmente, un limite.

L’art 46 dispone “Non sono compresi nel fallimento:

I beni ed i diritti di natura strettamente personale;

Gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito guadagna con la sua attività entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia;

I frutti derivanti dall'usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto è disposto dall'articolo 170 del codice civile;

Le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge. I limiti previsti nel primo comma, sono fissati con decreto motivato del giudice delegato che deve tener conto della condizione personale del fallito e di quella della sua famiglia”.

Dalla disposizione emerge l’obbligo, posto in capo al curatore,

di ricomprendere nell’attivo fallimentare ogni bene che non sia

(49)

48 di stretta necessità per il mantenimento di una vita decorosa, per

il lasso di tempo prescritto, del fallito e della sua famiglia.

Ineluttabilmente, saranno, quindi, efficaci i pagamenti sostenuti

dal fallito per produrre reddito43.

Appare prodromico per il prosieguo di un compiuto studio

analizzare altresì l’art 42 L. Fall, secondo comma, recante “Sono

compresi nel fallimento anche i beni che pervengono al fallito durante il fallimento, dedotte le passività incontrate per l'acquisto e la conservazione dei beni medesimi”.

Nelle more del fallimento, dunque, a mente di quanto

suesposto, i beni inerenti l’attività pregressa del fallito, anche

successivamente acquisiti, sono compresi nell’attivo concorsuali,

fatta salva la prededuzione dei pagamenti per l’acquisto e la

conservazione degli stessi.

La Corte di Cassazione, con sentenza del 29 gennaio 2015 n.

172444, coordina le disposizioni succitate precisando, in relazione

all’art 44 e 46 L. Fall che “una volta depurato il corrispettivo delle

spese sostenute dal fallito per produrlo, la somma residua rappresenta

43 Montanari, Appunti sul processo fallimentare, Giappichelli, 2015

44 Per una lettura integrale si veda

http://www.unijuris.it/sites/default/files/sentenze/CASSAZIONE%20CIVILE%20SEZ.I %2029%20gennaio%202015%20n.%201724.pdf

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