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Valorizzazione Paesaggistica del Lago di Porta

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Academic year: 2021

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Lago di Porta

Valorizzazione paesaggistica

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Università di Pisa

Dipartimento di Ingegneria dell’Energia, dei Sistemi,

del Territorio e delle Costruzioni

Corso di Laurea Magistrale

Ingegneria Edile - Architettura

Relatori

Prof. Ing. Marco Giorgio Bevilacqua Arch. Enrico Bascherini

Ing. Riccardo Dal Pino

Candidato

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Sommario

Le zone umide della Toscana

8

Il lago di Massaciuccoli 10

Le Lame costiere 11

Il padule di Bolgheri 11

Il padule di Fucecchio 12

Il padule della Diaccia Botrona 12

Orbetello, Burano, la Trappola 12

Il lago di Chiusi e di Montepulciano 13

Attuali criticità delle aree umide 13

Il percorso storico

18

Origine dell’area palustre 19

Eventi storici 20

la Malaria 23

Le dimensioni dello specchio lacustre nel tempo 24

L’ evoluzione del paesaggio 25

Inquinamento 38

Le torri di controllo costiere 46

L’importanza naturalistica

56

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La vegetazione 58

L’utilizzo delle piante palustri - Tradizione locale 60

L’avifauna del Lago di Porta 64

Periodizzazione di alcune specie visibili 68

La dimensione territoriale

70

Il contesto Versiliese 71

Infrastrutture e presenze architettoniche 72

Criticità locali dell’area 73

La dimensione normativa

76

I Piani Territoriali di Coordinamento 82

Piano di Stralcio di Assetto Idrogeologico 83

La disciplina del territorio comunale 86

Normativa ANPIL 98

Riappropriazione territoriale 102

Introduzione 103

Costituzione di un layer di percorsi 104

Recupero della visibilità dall’esterno 104

Valorizzazione dell’area naturale 106

Masterplan a scala Locale 107

Segnaletica informativa 108

Rigenerazione di Casina Mattioli 109

Contestualizzazione attrattiva - Accesso Torre Medicea 111

L’accesso fluviale 111

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Capitolo primo

9

Secondo la convenzione di Rasmar del 1971, per zona umida si intendono “le paludi e gli acquitrini, le torbiere oppure i bacini, naturali o artificiali,

permanenti o temporanei, con acqua stagnante o corrente, dolce, salmastra, o salata, ivi comprese le distese di acqua marina la cui profondità, durante la bassa marea, non supera i sei metri.”

Gli ecosistemi palustri e fluviali, che un tempo dominavano e caratte-rizzavano le pianure alluvionali interne e costiere della Toscana, rappre-sentano aree dall’elevato valore naturalistico e conservazionistico. Oggi giorno tali aree sono nettamente ridotte rispetto al passato e testimonia-no in modo relittuale questi paesaggi scomparsi a seguito delle bonifiche operate nei secoli. L’elevato valore che ricoprono le aree umide è legato agli habitat palustri presenti, di interesse comunitario e/o regionale e alle numerose specie animali e vegetali, rare o di interesse conservazionisti-co, che le popolano. La varietà vegetazionale dell’ambiente umido ren-de possibile una continua ed ampia produzione di sostanze vitali per la fauna ospitante, rendendo completa la piramide alimentare. Per questo motivo sono molte le specie che popolano un’area umida, spesso rare o di interesse conserazionistico, con particolare riferimento all’avifauna acquatica, migratrice, svernante o nidificante.

Le acque degli stagni costieri, delle lagune e delle paludi sono tra le più fertili a livello mondiale, ricoprono una certa importanza per quanto ri-guarda l’equilibrio idraulico del territorio, conformandosi come serbatoi naturali durante le piene e le piogge intense, forniscono umidità ai ter-ritori circostanti in estate, regolano il livello della falda idrica, formano

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Le zone umide della Toscana

delle barriere contro la risalita delle acque salmastre nelle falde freatiche e durante il periodo invernale svolgono un’azione termoregolatrice nei confronti di specie arboree. Dal punto di vista sociale la loro importanza è dovuta alla possibilità di incrementare le attività turistiche, educative, e ricreative nei territori dove sono collocate.

Nonostante la loro importanza, le paludi sono state e sono interessate da manomissioni negative provenienti dall’uomo come le opere di bonifica, che ne hanno ridotto le estensioni in modo considerevole, svolte in parti-colar modo durante il periodo rinascimentale con i medici e nel 700 con i Lorena, e le azioni inquinanti che minano la loro integrità e peculiarità. La Toscana, favorita dalla particolare morfologia del territorio, con coste sabbiose e pianure estese anche verso l’interno, era nel periodo rinasci-mentale ricca di paludi, acquitrini e laghi. Tutte le aree della pianura erano ricoperte da boschi o allagate e queste due situazioni spesso coesi-stevano. Con il miglioramento delle tecniche di assestamento idraulico del territorio cominciarono operazioni di bonifica e di prosciugamento, congiuntamente al taglio dei boschi e allo sviluppo dell’agricoltura. Per molti secoli le aree umide resistettero, sia per la loro vastità che per le interruzioni degli interventi, fino all’avvento dei Lorena nel XVIII secolo. In un periodo breve se paragonato a quelli precedenti, gran parte delle paludi furono prosciugate e alla costituzione del Regno di Italia nel 1861 erano presenti in Toscana 52.260 ettari di ambienti palustri e lacustri, pari al 2,38 % della superficie. L’ulteriore riduzione fu dovuta a causa delle bonifiche della Maremma grossetana e livornese e in particolar modo a quelle realizzate durante il periodo fascista con il prosciugamento quasi totale delle pianure interne e di quella del complesso Serchio – Arno. Attualmente la superficie delle aree palustri e lacustri è di circa 10.000 ettari di cui buona parte è rappresentata da realtà importanti dal punto di vista naturalistico ed ecologico.

Tra queste possiamo citare il Lago di Porta nella Provincia di Massa Car-rara, il Lago e padule di Massaciuccoli nella Provincia di Lucca, parte del bacino di Bientina, i residui di stagni ed acquitrini (le “lame”) nelle pinete di Migliarino, San Rossore e Tombolo nella Provincia di Pisa, il padule di

Fucecchio nella Provincia di Pistoia, la palude costiera di Bolgheri in Pro-vincia di Livorno, un tempo ricchissima di paludi ma attualmente quasi priva, e le paludi nella Provincia di Grosseto, di gran lunga la più impor-tante, con le lagune di Orbetello, il lago costiero di Burano, la palude della Diaccia Botrona e zone limitrofe, gli stagni della Trappola, S. Carlo e Alberese e i residui palustri di Campo Regio e Ansedonia.

Altre zone umide a Grosseto sono presenti ma risultano ormai degradate in maniera quasi irreparabile come la palude di Scarlino, soffocata dalle industrie chimiche, quella di Raspollino, quasi prosciugata, e le praterie allagate periodicamente di Pian d’Alma che sono ormai quasi scomparse. In Provincia di Siena le aree umide sono rappresentate dai laghi di Chiu-si e Montepulciano, al confine con L’ Umbria, che sono importanti in quanto la loro vicinanza al lago Trasimeno fa sì che si crei un complesso più ampio. Ad Arezzo, un tempo ricca di zone palustri o allagate, non esiste più questa tipologia di aree.

Il lago di Massaciuccoli

Il Lago di Massaciuccoli rappresenta una delle aree umide più importanti della Toscana, e per certi aspetti anche a livello nazionale, grazie alla sua posizione strategica lungo la costa tirrenica, la sua estensione e le carat-teristiche ambientali eccezionali. l’Attuale comprensorio palustre risente delle bonifiche effettuate nel corso degli anni che ne hanno ridotto la superficie rispetto a quella presente nei primi decenni del 900.

Il lago di Massaciuccoli e il suo “padule” sono situati nella parte setten-trionale della pianura dei fiumi Serchio ed Arno, al confine tra le Provin-ce di Pisa e Lucca, con la maggior parte dell’area situata in quest’ultima. Di forma quasi quadrangolare ha una superficie di 6,89 Kmq e rappresen-ta il lago più esteso della Toscana.

Nella parte a Nord e a Sud dello specchio d’acqua si trova la zona palustre del comprensorio, circa 120 ettari, attraversata da larghi canali che furono costruiti per la bonifica dell’area come il Burlamacca, Malfante, Centrali-no, Punta Grande, Fosso Morto, le Venti e le Quindici. Il lago comunica con il mare attraverso il Canale Burlamacca che è dotato da chiuse

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uti-11 Le zone umide della Toscana

lizzate per la regimazione delle acque in modo da evitare la mescolanza tra quelle dolci e quelle salate marine. Il principale immissario è invece il Canale Barra proveniente da Vecchiano.

Durante l’era quaternaria, la formazione di dune costiere e la depressione dei terreni hanno dato vita ad una serie di stagni o lagune come il lago di Massaciuccoli. Attorno all’anno 1000 la sua superficie si estendeva fino quasi a Pietrasanta ed era caratterizzata da un paesaggio dotato di bassure palustri e coperture arboree. Durante il periodo rinascimentale i lucchesi intervennero più volte per bonificare le aree limitrofe al lago, con scarsi ri-sultati, e proseguirono invece, con ottimi riri-sultati, con i Lorena nel 1700. Nel 1741, vennero costruite le cateratte sopracitate, un sistema mobile di chiuse, allo sbocco della Fossa Burlamacca per la divisione delle acque dolci da quelle salate. Come nel caso di quelle costruite presso il fosso di Motrone e del Cinquale, il loro scopo principale era quello di scongiurare il pericolo della malaria. La Bonifica delle aree circostanti si concretizzò con la costruzione dell’arginatura del fosso di Camaiore e della riva a Sud del Lago, con la creazione di canali interni e di idrovore per lo smalti-mento delle acque di risulta. Attualmente il territorio risulta modificato rispetto al suo aspetto originario e, come in tante altre realtà, sono state effettuate azioni di disturbo e di inquinamento.

La vicinanza a questa area umida del Lago di Porta rende possibile una connessione tra i due bacini che si configurano come un unico compren-sorio, utile specialmente alla componente ornitologica.

Le Lame costiere

Nella Provincia di Pisa, le zone umide residue, sono rappresentate da stagni o piccole distese di acque interdunali, che vivono grazie alla loro collocazione interna nelle “tenute” di S. Rossore e Migliarino che sono occupate principalmente da pinete e bosco.

Sono ambienti di particolare pregio, caratterizzati da entità molto rare sia a livello vegetale che faunistico.

L’esistenza di queste lame è minacciata dall’arretramento della linea di costa a Nord della foce dell’Arno.

Il padule di Bolgheri

Alla fine dell’800 la Provincia di Livorno era una delle aree toscane con il maggior numero di zone umide, all’incirca una trentina che durante i secoli si sono ridotte a 2 – 3.

Ripercorrendo le tappe storiche che hanno portato allo stato attuale, pos-siamo notare come sia estremamente facile distruggere questa fragile tipo-logia ambientale e come sia altrettanto difficile conservarla o recuperarla. I paduli che un tempo si estendevano nella Provincia di Livorno potevano suddividersi in tre gruppi in base alla loro posizione geografica: quelli prossimi al confine con Pisa, quelli interni a Livorno e quelli posizionati nel tratto terminale di quest’ultima, prossimi alla città di Piombino. An-che questi paduli furono visti dalle varie popolazioni An-che si susseguirono come causa delle esalazioni malariche e a partire dagli Etruschi fino ad arrivare ai Lorena vennero realizzati numerosi interventi per la bonifica di questi territori. Nel 1742, fu incaricato dai Lorena Giovanni Targioni Tozzetti, naturalista e medico italiano, per un viaggio esplorativo nella Toscana dell’epoca. Il naturalista attestò la presenza di 7 paduli apparte-nenti al primo gruppo, ovvero situati al confine con Pisa, 8 apparteapparte-nenti al secondo gruppo, cioè all’area interna a Livorno, e 13 contenuti nel terzo gruppo, localizzati quindi nella parte del territorio prossimo alla città di Piombino. Le bonifiche delle zone umide di questi tre gruppi furono rea-lizzate ad opera dei Lorena che spinti dall’aumento dei terreni coltivabili ottenibili in questo modo e dalle spese a carico dei privati, promossero queste soluzioni. Nel corso di un secolo vennero bonificate vaste aree palustri della Provincia di Livorno che per secoli l’avevano caratterizzata. Tornando a parlare del Padule di Bolgheri, quest’ultimo può essere consi-derato l’unica zona umida integra sopravvissuta di questa Provincia. Situato nel Comune di Castagneto Carducci, il Rifugio Faunistico di Bol-gheri, è stata la prima area privata protetta ad essere costituita in Italia, su iniziativa del proprietario marchese Mario Incisa della Rocchetta.

Inizialmente l’oasi comprendeva solo una piccola parte del padule e solo successivamente fu estesa anche agli ambienti limitrofi fino a raggiungere una superficie di 2200 ettari. Durante i primi anni la gestione fu portata

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Le zone umide della Toscana

avanti dal World Wildlife Fund con notevoli difficoltà, fino ad arrivare quasi all’ abbandono dell’oasi per mancanza delle operazioni di sfalcio, regimazione delle acque ecc. Il comitato di gestione del Rifugio Fauni-stico insieme al comitato gestito da rappresentanti dell’amministrazione comunale, della proprietà Incisa e delle associazioni Venatorio e ambien-taliste, hanno salvaguardato l’ambiente e migliorato notevolmente l’ac-cessibilità per scolaresche e appassionati.

Il padule di Fucecchio

Tra i residui palustri della val di Nievole, attualmente fortemente urba-nizzata e antropizzata, troviamo il laghetto di Sibolla e il padule di Fu-cecchio. Il primo, di dimensioni minori, non è dotato di veri e propri immissari ma è dotato di un emissario che sfocia nel padule di Fucecchio ed è importante per l’interesse naturalistico e floristico che ricopre. Il padule di Fucecchio rappresenta un ottimo esempio di come possano essere recuperate o mantenute in vita le tipologie ambientali delle zone umide. È situato nella parte centro meridionale della Piana della Val di Nievole che rientra nelle Provincie di Firenze e Pistoia ed è localizzata nella depressione naturale compresa tra i rilievi di Montalbano, i colli di Cerreto Guidi, le colline delle Cerbaie e le alture di Montecarlo. L’area di questa zona umida è di circa 1500 – 2000 ettari e può raggiungere i 6000 ettari durante le annate particolarmente piovose. Come già visto per altre aree palustri, anche questa ha risentito delle opere di bonifica che dal periodo rinascimentale alla dominazione dei Lorena si sono fatte via via sempre più consistenti. Durante l’800 vennero costruite le cateratte per impedire che le piene dell’Arno riempissero il cratere palustre, sta-bilizzando di fatto una situazione che si è trasmessa fino ai giorni nostri.

Il padule della Diaccia Botrona

Insieme ad Orbetello, la palude conosciuta come Diaccia Botrona, tra Castiglione della Pescaia e Grosseto rappresenta l’esempio principale di zona palustre maremmana con la tipica successione vegetale delle anti-che pianure costiere. La sua superficie, di circa 1273 ha, è ciò anti-che resta

del lago Prile o Preglio che si estendeva fino a ridosso delle colline di Montepascoli e prosciugato poi nella quasi totalità a seguito delle gran-di opere gran-di bonifica sotto Leopoldo II dei Lorena. Il comprensorio offre un paesaggio differente rispetto alla comune uniformità delle compagne circostanti, costituisce un affaccio sul passato in cui sono visibili i vari am-bienti, che unitamente alle aree limitrofe, variano dalla palude alla mac-chia, dalla spiaggia alla pineta e dal bosco di latifoglie alla foresta igrofila.

Orbetello, Burano, la Trappola

L’importanza paesaggistica della bassa Maremma è dovuta principalmen-te allo scarso inprincipalmen-tervento antropico che ne ha preservato le caratprincipalmen-teristiche. Le zone umide presenti individuano delle aree di elevata importanza dal punto di vista floro faunistico. Tutte insieme creano un complesso unico, ben connesso, per la vita della fauna palustre con la possibilità per gli uccelli di scegliere la palude a loro più adatta.

La laguna di Orbetello è un antico braccio di mare collocato tra la costa

Toscana e il Monte Argentario ed è separata dal mare aperto attraverso due tomboli (cordone o dune costiere), quello della Giannella e quello di Feniglia, che dalla costa maremmana raggiungono l’Argentario. All’inter-no della laguna si trova un terzo tombolo, incompleto All’inter-non essendo col-legato alle pendici dell’Argentario, che la divide in due bacini: la laguna di ponente e quella di levante. Di forma trapezoidale, l’intera laguna ha una superficie di 2700 ha che è data dalla somma dei due bacini, rispet-tivamente di 1500 ha e 1200 ha. Il tombolo della Giannella, situato a Nord ovest, si è sviluppato da un cordone alluvionale che, partendo dalla foce dell’Albegna, continuò ad aumentare le proprie dimensioni, ridu-cendo la comunicazione della laguna con il mare fino a farla scomparire. Il tombolo di Feniglia separa invece la laguna di levante dal mare ed è un cordone sabbioso formato da una serie di dune parallele formatesi grazi agli apporti di sabbia da parte del mare. Rispetto al primo tombolo, la sua origine è più antica, le sue dimensioni sono più ampie ed è ricoperto dalla macchia mediterranea e da pinete. Il terzo tombolo, sul quale sorge

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Or-13 Le zone umide della Toscana

betello, è incompleto e con la costruzione della diga tra la sua estremità e l’Argentario, è stata effettuata la divisione definitiva tra le due lagune che comunicano solamente attraverso canali sottostanti alla diga. La comuni-cazione con il mare della laguna di ponente avviene tramite due canali, il Nassa e la Fibbia; per quella di levante invece avviene solamente tramite un canale chiamato Ansedonia.

Anche questa laguna è stata oggetto di inquinamento che ha portato in certe occasioni a morie di pesce dovute alla mancanza di interventi di pulizia e all’eccesso degli scarichi urbani riversati nella laguna.

Gli stagni della Trappola sono delle aree palustri di dimensioni ridotte

rispetto alle altre e sono collocati all’interno del Parco Naturale della Ma-remma, a Nord della foce dell’Ombrone. Questi stagni si sono formati con il processo di avanzamento della linea di costa verso il mare ed il loro limite è differente a seconda della piovosità e dell’evaporazione; in alcuni casi tutta la pianura risulta essere allagata. Le specie animali e vegetali che popolano questi stagni sono le stesse delle zone umide vicine e insie-me a quella di Orbetello, Diaccia Botrona e di Burano crea un importan-tissimo complesso umido lungo la costa tirrenica.

Il lago di Burano, altra zona umida tra quelle grossetane, presenta una

superficie di circa 140 ha ed è quello che rimane di una antica laguna configuratasi grazie alla formazione di un tombolo e al successivo inter-ramento, avvenuto tramite gli apporti dei fiumi che ancora oggi lo ali-mentano. Il tombolo separa il lago dal mare ed è ricoperto da una folta vegetazione tipica della macchia costiera. L’acqua è salata e la comuni-cazione con il mare avviene grazie ad un canale. Questa zona umida è quella conservata meglio tra tutte quelle presenti in Toscana in quanto l’inquinamento, che ha afflitto le altre, non si è verificato.

Il lago di Chiusi e di Montepulciano

Questi due bacini sono la testimonianza delle antiche paludi che un tem-po occupavano la Val di Chiana. Rispetto alle aree umide citate fino ad

ora, ossia costiere, questi due laghi sono l’unico sistema palustre nelle zone interne della Toscana. Il lago di Chiusi ha una estensione di circa 300 ha ed è collegato al lago di Montepulciano, di circa 190 ha, attraverso il canale Maestro della Chiana. Entrambi sono caratterizzati da una ve-getazione simile mentre per quanto riguarda il popolamento ittico il lago di Montepulciano ne è dotato maggiormente. Il problema più grande di questo lago è dato dal progressivo interramento; di fatto si sta richiudendo ad anello.

Attuali criticità delle aree umide

Le criticità, che vengono di seguito analizzate, riguardano quelle di ca-rattere generale riscontrabili tra le varie aree umide della Toscana. È ben evidente come il sistema palustre, che caratterizzava la Toscana, in par-ticolar modo attraverso le depressioni retrodunali della zona costiera, si sia ridotto notevolmente con le opere di bonifica operate durante i secoli. La loro riduzione non è certamente l’unico problema riscontrato; di fatto, queste zone, risultano frammentate e spesso inserite all’interno di pia-nure alluvionali fortemente trasformate e urbanizzate. Si è assistito ad una interrimento delle aree palustri, con l’accelerazione dei processi di chiusura degli specchi d’acqua, e all’evoluzione vegetazionale, tramite la diffusione di specie alloctone capaci di sostituire le originarie cenosi igrofile, come nel caso del Padule di Fucecchio. È proprio la propagazio-ne di specie alloctopropagazio-ne, sia animali che vegetali, che costituisce una delle principali criticità, in quanto il sistema naturale originario può essere alte-rato rapidamente. Le mancate o inadeguate gestioni di queste aree hanno contribuito all’instaurazione dei fenomeni di salinizzazione della acque e di inquinamento, tali in certi casi, da rendere necessario l’inserimento di alcune aree tra le zone di criticità ambientale del PRAA della Regione To-scana, come la Laguna di Orbetello e il Lago di Massaciuccoli. Ulteriori criticità riguardano l’urbanizzazione delle aree circostanti e la presenza di infrastrutture lineari quali strade, acquedotti, ferrovie ecc. che inducono forti pressioni su molte zone umide, frammentandole, isolandole, ridu-cendone gli habitat e impermeabilizzandone i suoli.

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Il Lago di Porta è un’oasi naturale del territorio versiliese, un’area protetta situata al confine dei Comuni di Montignoso, Pietrasanta e Forte dei Mar-mi in una zona compresa tra la fascia collinare, che si estende dalle Rupi di Porta, e la fascia litoranea del Cinquale, a pochi chilometri dal mare e dalle vette montane. L’area su cui si estende è attraversata da due corsi d’acqua: Il torrente Montignoso e il fiume Versilia.

A sud è delimitata dall’autostrada Sestri – Livorno e a Nord dalla ferrovia Genova – Pisa e dalla via Aurelia. Considerando i comuni interessati dal lago, questo raggiunge una superficie di 150 ettari.

Nel corso dei secoli l’area palustre è stata modificata nei suoi caratteri originari attraverso opere antropiche come le bonifiche, necessarie per consentire l’insediamento di una comunita umana, la deviazione dei fiu-mi per favorire l’espansione delle coltivazioni, l’insediamento di attività estrattive e di trasformazione dei materiali lapidei a ridosso dell’area e l’espansione delle aree urbanizzate.

Nonostante tutti questi cambiamenti, questo territorio conserva ancora una forte importanza, seppur ridotta rispetto al passato, sia naturalistica che vegetazionale, per la varietà degli ambienti acquatici e palustri anco-ra presenti.

L’attuale assetto dell’area è caratterizzato da due tipologie ambientali do-minanti: l’area palustre, con prevalenza del canneto in cui si aprono i chiari, e il bosco igrofilo.

All’interno di queste due tipologie si aprono microambienti, grazie ai qua-li, si ha una presenza significativa di animali che ne esalta l’importanza Capitolo secondo

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Introduzione al Lago di Porta

faunistica, con particolare riferimento alla componente ornitologica. Insieme ad una forte valenza naturalistica, il lago è caratterizzato da una rilevante importanza storica.

L’area palustre rappresentava un punto strategico per il controllo della costa e delle principali strade tra Pietrasanta e Montignoso.

Testimonianza di questo controllo è la Porta Beltrame, posta in prossimità della Torre Medicea, costruita come dogana per il controllo della costa e del territorio.

In epoca medievale il luogo era attraversato dalla via Francigena, strada di pellegrinaggio religioso.

Inoltre il lago rappresentava anche un’importante fonte di approvvigiona-mento di pesce e materiali naturali necessari alle attività lavorative, com-portando di conseguenza molti scontri, per la sua appropriazione, tra la comunità di Pietrasanta e la comunità montignosina.

Il Lago di Porta è una delle poche testimonianze delle aree retrodunali sopravvissute tra quelle che in epoca storica si estendevano dalle pianure livornesi fino al fiume Magra e l’unica zona umida di acqua dolce della Toscana che riceve acque di elevata qualità in quanto provenienti diretta-mente dalle Alpi Apuane.

Per zona umida si intendono quei territori dove l’acqua ristagna, come le paludi, gli acquitrini, gli stagni e i laghi.

Non ci sono grandi differenze tra queste tipologie di zone umide, anche se, la palude è quasi sempre ricoperta di vegetazione, l’acquitrino a vol-te ne è privo e lo stagno può presentarsi asciutto duranvol-te certi periodi dell’anno.

Spesso può accadere che un lago possa diventare una palude quando que-sto si interra, proprio come nel caso del lago di Porta. Di fatto, il termine Lago non è appropriato ma ne ricorda le origini di stagno retrodunale. La lama d’acqua dolce è mantenuta da argini artificiali, in gran parte è rico-perta dal canneto e le superficie di acqua libera, i cosiddetti chiari, sono di limitate dimensioni.

L’acqua presente è alimentata dalle sorgenti che nascono ai piedi delle

colline retrostanti tra cui una polla di acqua calda, che sgorga ad una temperatura costante di 17°, situata nei pressi della Torre del Salto della Cervia. Queste acque arrivano al centro dell’alveo lacustre tramite la Fos-sa Fiorentina che raccoglie le acque delle sorgenti sopracitate e di due piccoli canali, il Rio di Pettinaiola e Canal Ginesi.

Il livello dell’acqua risente delle variazioni stagionali della piovosità, con massimi nella stagione invernale e minimi in quella estiva.

In origine il lago era alimentato dal Bonazzera, dal Rio Strettoia e dalla Fossa Fiorentina. Mancava invece un vero e proprio emissario.

Oggi quest’ultimo è un piccolo fosso, il fosso del Metano, che confluisce nel torrente Montignoso prima che quest’ultimo sbocchi nel Versilia. Con il fine di tutelare e valorizzare quest’area, attraverso un percorso ini-ziato nel 1971 con l’istituzione ad oasi provinciale, è stato raggiunto il riconoscimento di Area Protetta, essendo inserita all’interno della Zona di Protezione Speciale (ZPS) in virtù della presenza di popolazioni di uccelli di particolare interesse conservazionistico.

I siti classificati in questo modo, insieme ai Siti di importanza Comuni-taria (SIC), concorrono alla formazione della rete Natura 2000, ovvero lo strumento realizzato dall’Unione Europea per la conservazione degli habitat naturali e semi – naturali, nonché della flora e fauna selvatiche. Oltre a questo, il territorio è stato riconosciuto come Sito di Importanza Regionale (SIR), che ha l’obiettivo di tutelare la biodiversità in Toscana ed è stata inserita all’interno delle due ANPIL da parte dei Comuni di Montignoso (ANPIL Lago di Porta) e Pietrasanta (ANPIL Lago e rupi di Porta), ossia aree protette “inserite in ambiti territoriali intensamente an-tropizzati, che necessitano di azioni di conservazione, restauro o ricostitu-zione delle originarie caratteristiche ambientali e che possono essere og-getto di progetti di sviluppo ecocompatibile” (art.2 c.4 L.R 49 del 1955). L’area è prevalentemente di proprietà privata, circa il 93,5% e solo il 6,5% è di proprietà pubblica e riguarda la parte degli argini, costruiti con il progetto del Bacci del 1995, e da un’area situata alla sinistra idrografica della Fossa Fiorentina.

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Capitolo terzo

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Origine dell’area palustre

Buona parte delle pianure costiere toscane erano un tempo caraterizzate da una successione di aree paludose o lacustri. Da un lato lagune salma-stre erano create dal mare che rientrava nell’entroterra, dall’altro paludi di acqua dolce erano dovute al rallentamento dei fiumi provenienti dall’in-terno. Quest’ultime erano poi collegate a quelle che i fiumi creavano nel-le parti più alte dei loro corsi, dando vita quindi ad un vasto ecosistema che si diramava dall’interno fino alla costa.

Tutto questo ambiente, a causa delle numerose bonifiche, non esiste più; rimangono solamente poche tracce, non più collegate tra di loro, e spesso racchiuse all’interno di aree fortemente antropizzate.

Il Lago di Porta è una delle poche testimonianze di queste aree palustri del nostro territorio la cui origine naturale o artificiale è stata oggetto di molte discussioni, con la prima considerata poi corretta.

È un lago retrodunale formatosi durante il Medio Evo attraverso la con-temporaneità di tre fatti che hanno caratterizzato la zona: il ritiro del mare con la conseguente formazione di dune costiere (o tomboli), l’unione dei coni di deiezione del Canale Montignoso e del Versilia e una lenta de-pressione dell’area compresa tra le conoidi, creatasi per costipamento del-le torbe deldel-le acque dei torrenti che qui si accumulavano.

La posizione dell’alveo, essendo situata a ridosso della collina del Salto della Cervia, era protetta dal deposito dei ciottoli dei fiumi e in essa si depositavano materiali più fini, misti a depositi torbosi.

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Il percorso storico

Eventi storici

La prima memoria di questo lago appartiene ad un documento del 1244 dove venivano stabiliti i confini tra i Nobili di Castello Aghinolfi ed i loro parenti Signori di Corvaia. Nel documento prende il nome di Lacus

Salvius e questo potrebbe derivare dalle polle di acqua calda che uscivano

fumanti dal piè del Colle di Palatina, le quali venivano appellate come

Aquae Salviae (acque di sanità) in epoca romana. Durante l’impero

Ro-mano questo lago non era presente e questa ipotesi è confermata da dati storici. Nel 1818 fu estratto dal suo letto un termine marmoreo con le si-gle E AR, più la cifra CXIIX; inoltre fu ritrovato sul fondo il selciato di una strada, probabilmente appartenente alla Via Emilia che fu completata nel 109 d.C. Il ritrovamento del selciato della strada è la prova degli ab-bassamenti torbosi descritti in precedenza. Probabilmente questa strada passava a sud dell’attuale alveo, dove oggi passa via Silcia. Anche il nome di quest’ultima strada dà valore alle ipotesi fatte in quanto l’etimologia della parola “Silcia” si riferisce ad una pavimentazione tipica delle vie consolari e si trova su un limite di centuriazione.

Da questo possiamo dire che nel primo secolo d.C. la depressione, che ha contribuito alla formazione del lago, non era ancora avvenuta. Congiun-tamente, la mancanza di documenti sul lago anteriori al 1200 fa dedurre che la sua formazione sia avvenuta nel Medio Evo. Nel 1267 il lago passò a far da confine tra le comunità di Montignoso e di Pietrasanta, dopo la conquista lucchese della prima zona. Agli inizi del 1300 il lago veniva chiamato Lago di Porta Beltrame, come risulta dal Decreto della Repub-blica di Lucca del 1308 contro i Cattani della Versilia, feudatari versiliesi che avevano dimora nelle distrutte rocche di Corvaia e Vallecchia, ai qua-li fu imposto di abitare al di là di questo lago.

“Lago di Porta” è riferibile alla citazione data da Barbacciani – Fedeli: “Questo lago in antico lambiva il monte o sia la torre, ove vuolsi fosse uno

scalo a cui approdavano i piccoli legni, per lo che alcuni opinano che da

porto prendesse l’etimologia di porta o entrata in Toscana 1

1 Barbacciani – Fedeli, Saggio storico dell’antica e moderna Versilia - Pag. 137

“Lago di Porta Beltrame” è riferibile a Beltrame, che sposò la figlia di Bonifazio, signore di Vallecchia, che fece costruire una porta di ferro dove il lago si univa al monte. La porta veniva chiusa durante la notte in modo tale che nessuno potesse passare senza pagare il pedaggio ai Nobili di Versilia.

Successivamente il lago fu chiamato “Lago di Perotto”, poiché il 4 Marzo 1329 passò a Perotto di Jacopo dello Strego di Lucca, che ne era già pos-sessore da diversi anni, tramite concessione a feudo.

Nel 1355 i figli di Perotto avevano il diritto esclusivo della pesca nel lago e furono abilitati a poter vendere il pesce nelle botteghe di Piazza S. Miche-le a Lucca. Fino al 1800 questo è stato una risorsa economica, importante per le popolazioni, legata alla produzione del legno, allo sfruttamento dei terreni attorno al lago e allo sfruttamento della caccia e della pesca. Quest’ultima, come testimoniato da diversi autori, era molto abbondate e prolifera.

Le acque “... sono prolifiche al sommo di pesce nero di ogni qualità, e vi

si introducono abbondante quantità dei ragni, di muggini e di altro pesce

bianco di esquisita bontà...” 2

“Nel 1391 il pesce che si pescava nel lago di Porta Beltrame sui mercati lucchesi aveva la preferenza su quello degli altri luoghi. Infatti mentre si pagavano due soldi la libbra le anguille e le scalbatre di Massaciuccoli due soldi e sei denari le tinche e i lucci di Bientina, di questo davano tre soldi e

sei denari, somma assai considerevole per que’ tempi...” 3

Gli abitanti di Montignoso non avevano diritto di pesca ma potevano so-lamente sfruttare i terreni che lo circondavano come i pagliareti, saldineti e prati. Questi terreni servivano per il pascolo, la raccolta della legna, falasco, fieno, cannella ecc.

Proprio per la presenza di grandi quantità di pesce e la posizione

geogra-2 Barbacciani – Fedeli, Saggio storico dell’antica e moderna Versilia - Pag. 137 3 G Sforza 1867, Memorie storiche di Montignoso di Lunigiana

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21 Il percorso storico

I nuovi scontri riguardavano l’appropriazione delle terre lasciate libere dal ritiro delle acque. La questione fu risolta con una sentenza del 1550 che riconfermò i confini stabiliti nel 1244 e nel 1405.

Nel 1568, per salvaguardare il lago dalle scorrerie dei pirati e dalla peste, fu costruita una torre militare sulla sinistra dello sbocco a mare, la torre del Cinquale. In questo secolo le attività economiche che ruotavano at-torno al lago non ebbero grandi cambiamenti rispetto ai secoli precedenti. Nel territorio di Pietrasanta, oltre allo sfruttamento dei terreni, viene con-tinuata la pratica della pesca, ancora di proprietà della Misericordia di Lucca, con una estrazione per contratto di almeno 2000 libbre di pesce al giorno per i giorni in cui ne è obbligatoria la vendita sulla piazza di Pietrasanta.

Il lago inoltre veniva utilizzato come un porto per le piccole imbarcazioni per il commercio e il trasporto locale che entravano attraverso la foce a mare.

Nel 1592 dopo tante insistenze da parte dei Comuni di Seravezza, Mon-tignoso e Pietrasanta, fu accordato a quest’ultimo il permesso di pescare con la canna nel lago, diritto un tempo negato per non disturbare l’attività dell’affittuario del lago. Per quanto riguarda il territorio di Montignoso, l’uso dei terreni non è molto differente dai secoli precedenti. Nel 1599, vi-sta l’importanza dello sfruttamento di quevi-sta zona costiera per l’economia di Massa e Montignoso, fu redatta una convenzione tra le due comunità conosciuta con il nome di “composizione dei falaschi” con la quale si regolamentava dettagliatamente l’utilizzo del territorio.

Il territorio era diviso in due parti per quanto riguarda la raccolta delle erbe e delle piante: la parte più vicina alla foce era assegnata ai montigno-sini e la zona del Campaccio ai massesi. Il pascolo al contrario, era libero per tutti.

La “composizione dei falaschi” doveva durare 5 anni ma durò fino al 1798 per il continuo soddisfacimento delle due comunità.

Nel 1660 i contrasti tra i due stati di Lucca e Firenze continuarono a causa del fiume Pannosa e del Fosso del Versilia, fosso costruito nel 1569 attraverso il territorio di Querceta su ordine di Cosimo I che aveva un fica, che lo rendeva territorio di confine tra i territori di Massa e di

Pietra-santa, iniziarono i primi contrasti politici tra le signorie locali.

Nel 1405 il lago restò interamente nel territorio di Pietrasanta dopo le questioni di confine tra Montignoso e Pietrasanta che furono risolte con la sentenza di Paolo Guinigi, Signore di Lucca, che riconfermò i confini stabiliti nel 1244.

L’anno successivo i figli di Perotto, a causa di debiti da pagare, furono co-stretti a cedere il diritto esclusivo della pesca a dei loro creditori che a loro volta vendettero all’Ospedale della Misericordia di Lucca per una cifra pari a 2400 scudi d’oro. Quest’ultima la dava all’incanto, ogni anno, per una somma di denaro ed una prestabilita quantità di pesce per la Quare-sima. Il continuo espandersi e ritirarsi delle acque del lago e delle paludi creava un continuo spostamento del confine tra Montignoso e Pietrasan-ta con conseguenti questioni tra i due territori. Queste controversie non erano state risolte dalle sentenze del Guinigi del 1405 e continuarono per tutto il 1400 divenendo sempre più forti dopo che Pietrasanta fu occupata dai genovesi nel 1424 e poi dai fiorentini nel 1482.

Con l’appropriazione di Pietrasanta da parte dei fiorentini, il lago non è più un territorio di controversie tra due comunità tra due stati: Firenze e Lucca. Il lago appartiene a Firenze ma la pesca continua ad essere un diritto esclusivo della Misericordia di Lucca. Quest’ultima non potendo più cedere questo diritto a privati, lo cede al comune di Pietrasanta che però lo dà all’incanto proibendo l’esportazione del pesce dal Capitanato di Pietrasanta.

Nel XVI le controversie proseguirono. Le continue inondazioni e le deva-stazioni fatte dal fiume Pannosa, a causa dell’innalzamento del suo letto dovuto al deposito dei sedimenti trasportati, portarono ad un arretramen-to sensibile del lago dalla parte di Montignoso.

“ .. da circa 40 anni in qua, il Lago di Perotto si è ristretto verso la banda di Montignoso, e ritiratosi circa 100 braccia o più, perché si è ripieno per quel

fiume di Montignoso, detto il No, o la Pannosa.” 4

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Il percorso storico

duplice scopo: quello di liberare la pianura dalle inondazioni del fiume Versilia e quello di colmare le paludi del lago con i materiali portati dalle piene.

Nel 1617 questo canale non era più sufficiente e venne ampliato senza però portare un gran giovamento al corso inferiore del Versilia che conti-nuò ad allagare la pianura.

Per ridurre la colmata del lago, nel 1619 Lucca e Firenze trovarono un accordo con cui si ebbe un nuovo mutamento del tracciato del fiume Pannonsa che doveva tornare nel suo letto originario del 1593 dopo che era stato fatto diventare un immissario del lago.

Fu cosi incanalato e indirizzato verso la foce Morta le cui acque conflu-ivano nell’emissario Cinquale, canale emissario del lago, che metteva in comunicazione quest’ultimo con il mare.

Nel 1655 fu deliberato dal Consiglio Generale di Pietrasanta di incanala-re tutto il fiume Versilia nel lago di Porta sopprimendo la foce di Motrone che rimaneva in uso solo come sfioratore. Le ragioni, a discapito della colmata del lago, erano chiare: togliendo il fiume dalla pianura ci sareb-be stato un aumento dei terreni coltivabili, avrebsareb-bero risolto il problema delle inondazioni e attenuato il problema della malaria.

Anche il paesaggio risentì delle parziali colmate e del ritiro del lago. Si potevano distinguere tre fasce di terreni: la prima fascia erano i “paglia-reti” sempre coperti dall’acqua, una seconda fascia di prati bassi che si allagavano periodicamente e una fascia più lontana di prati bonificati. Nel pagliareto era possibile prendere erbe e cannelle utilizzate sia per il nutrimento del bestiame che per la copertura delle case e delle capanne. Nella seconda metà del XVII secolo ci furono delle novità per quanto riguarda la pesca. Nel 1688 fu permesso anche ai Montignosini di Pesca-re liberamente nelle acque del lago ma con l’obbligo di rimanePesca-re nella propria riva e senza entrare nella parte di Pietrasanta. Questa concessione fu molto positiva per i montignosini in quanto sanava tutti i problemi dovuti alla pesca di frodo. Tutte le acque pescose in precedenza erano date in concessione l’unico modo per le famiglie povere di avere del pe-sce era questa tipologia di pesca. Dopo questa concessione gli abitanti di

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23 Il percorso storico

Giovanni Sforza si esprime in questo modo sulle condizioni del paese:

“Le pestifere esalazioni che (le paludi) davano, venivano portate tra le gole de’ suoi monti dai venti di libeccio e di scirocco, e corrompendone l’aria, era-no cagione di febbri periodiche e maligne, che specialmente nella stagione

calda menavano strage di quelle sventurate popolazioni.” 6

Per capire i danni provocati dalla malaria nel periodo che va da maggio ad ottobre possiamo citare i seguenti dati: a Montignoso, nel 1768 si ammala il 75% della popolazione, nel 1807 muore l’8% degli abitanti e tra il 1776 e il 1811 la popolazione diminuisce del 35%.

Per questo motivo il lago fu il primo ad essere preso di mira come causa della non salubrità dell’aria e il desiderio delle comunità di Pietrasanta e di Montignoso era quello di vederlo sparire.

I primi interventi furono effettuati da Cosimo I de’ Medici nel 1571 de-viando e facendo scaricare nel lago i fiumi circostanti. Sugli stessi principi si basarono anche gli interventi fatti nel 1785, interrotti per le ingenti spese e i risultati ovviamente scadenti dato che furono analizzati in un periodo di tempo troppo breve.

Questi produssero col tempo un disseccamento delle acque stagnanti dai quali ne risultò un aumento dei terreni da coltivare con conseguente mi-glioramento dei redditi e delle condizioni di vita malsane, causa dei morbi più frequenti, degli abitanti più poveri.

Tra il 1808 e il 1812 vennero costruite nella zona del Cinquale le Cate-ratte che avevano il compito di impedire, rimanendo chiuse, che le acque del mare potessero mischiarsi a quelle stagnanti durante le mareggiate e liberare le seconde, aprendosi, quando il loro livello superava quello del-le acque marine. Questo sistema portò un gran giovamento alla qualità dell’aria al punto che nel giro di 10 anni la popolazione residente raddop-piò. In questo modo la malaria cominciò a non essere più un problema e tra il 1819 e il 1824 la popolazione aumentò del 19% a Pietrasanta e dell’80% a Querceta tra il 1811 e il 1824.

L’incubo della malaria però rimase nella mente delle persone; quando nel

6 Giovanni Sforza, Storia di Montignoso

Montignoso si riversarono in gran numero sulle rive del lago tanto che i “padroni della pesca nel lago” iniziarono a lamentarsi dei danni che reca-vano al loro commercio. La pesca era costantemente data all’incanto dal Comune di Pietrasanta con contratti vantaggiosi.

Nel 1681 il Comune ottenne un contratto di esclusiva della durata di 150 anni dalla Misericordia di Lucca.L’attività della pesca nel 1600 era ancora ben praticata e nelle carte storiche di questo periodo si nota sulla riva sinistra del lago, in prossimità della Foce del Cinquale, le capanne dei pescatori che furono demolite durante la prima guerra mondiale per costruire il campo di aviazione.

L’importanza della pesca è inoltre testimoniata dalla costruzione di uno sbarramento, una cannicciata con cateratta nella gola del lago per impe-dire l’uscita del pesce che si immetteva durante le mareggiate. Nel XVIII secolo le terre intorno al lago mantengono i loro utilizzi ma nella seconda metà del secolo i rapporti tra i Massesi e i Montignosini, disciplinati dalla “composizione dei falaschi”, iniziano a peggiorare per questioni riguar-danti l’utilizzo delle terre comuni e per la pesca nell’emissario del lago che da sempre era diritto della comunità di Montignoso che lo dava Ogni anno all’incanto.

la Malaria

La parola “mal aria” era comunemente associata all’aria cattiva provenien-te dalle zone paludose ed era presagio di epidemie e morprovenien-te. L’insalubrità era legata al ristagno delle acque, alla putrefazione di vegetali e animali e alle mal condotte pulizie. Alla malaria erano attribuite le febbri e le epi-demie che si presentavano durante la stagione estiva ed anche quelle che con la malaria non avevano a che fare.

Secondo il Barbacciani – Fedeli5 l’aria insalubre derivava dai solfati

pre-senti nelle acque stagnanti che con l’innalzarsi della temperatura forma-vano un solfato idrico tanto più velocemente tanto peggiore era la condi-zione del fondo della palude. I gas trasportati dai venti marini e trattenuti dai monti rendevano, secondo le visioni dell’epoca, l’aria insalubre.

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Il percorso storico

risultarono insufficienti e ad ogni piena il Pannosa, alzando il proprio letto, tracimava nel lago apportando sedimenti.

Nel 1593 il fiume riesce a sfondare verso sud immettendosi addirittura nel lago attraverso un letto scavato tra le paludi. Nel 1600 il torrente Monti-gnoso fu deviato in modo da raggiungere direttamente il Cinquale, cana-le emissario del lago che metteva in comunicazione quest’ultimo con il mare (foce morta).

Se dal lato Montignosino il lago era aggredito dal Pannosa in maniera naturale, dal lato di Pietrasanta il lago viene aggredito intenzionalmente ultimando nel 1569 un canale, chiamato il Fiumetto, con una larghezza di sette metri, che attraversava il territorio di Querceta e che scaricava direttamente nel lago parte delle acque del fiume Versilia quando questo era in piena. In questo periodo il Versilia arrivava alla vecchia foce di Mo-trone e negli anni successivi, verso il 1617, al fine di alleggerire ancora di più l’alveo del fiume, fu allargato il canale sopra citato.

L’interramento progressivo dell’alveo del fiume verso la foce di Motrone, congiuntamente alla costruzione del porto di Livorno da parte dei Medi-ci e allo sviluppo del porto di Viareggio da parte dei lucchesi dopo che Pietrasanta era passata sotto i genovesi, portò alla chiusura del porto di Motrone e ad un allagamento sistematico delle terre della pianura. Dopo la piena del 1655 fu realizzata la completa deviazione del Versilia verso il Lago di Porta, dando al vecchio alveo verso Motrone la funzione di scolmatore di piena e al Fiumetto il ruolo di immissario.

Nella seconda metà del’800 lo specchio lacustre era pressoché sostituito da aree palustri alimentate dal Rio Strettoia, da piccoli canali, da un ramo del fiume Versilia e dal Torrente Montignoso che si immetteva nel lago grazie ad una deviazione fatta nel 1810.

Con gli apporti dei due fiumi, il Lago di Porta iniziò a colmarsi con ra-pidità fino a che a seguito della piena del 1885 il lago fu completamente colmato.

Erano presenti solo aree palustri, denominate “Alveo del Lago di Porta”. Nel 1900 venne dichiarata, con un regio decreto, esaurita la colmata del Lago, anche se il suo alveo risultava stagionalmente allagato.

1838 alcuni Bolognesi insieme a qualche Toscano affittarono dei terreni tra la porta e il lago per la coltivazione del riso, ci furono grandi proteste da parte di Pietrasanta per la paura di un possibile ritorno della malaria. Il riso venne coltivato con un gran successo ma tale attività venne presto ab-bandonata perché creduta ingiustamente causa di nuovi casi di malaria. Negli anni successivi fu vietata questa tipologia di coltivazione con un trattato chiesto dal Granduca di Toscana ai Duchi di Lucca e Modena. Questo trattato fu importante perchè stabilì inoltre l’assetto dei tre stati: Montignoso, il lago con una zona intorno e il fortino del Cinquale furono assegnati a Modena. Nel 1847 il trattato ebbe effetto e il lago divenne interamente territorio di Montignoso.

Le dimensioni dello specchio lacustre nel tempo

Le dimensioni dello specchio lacustre, attraverso i processi di to naturale, tramite i sedimenti portati dai fiumi, e processi di riempimen-to artificiale operati dagli uomini, sono variate nel tempo.

La superficie del lago è passata dalle 5 miglia originali fino alle 3 miglia nel 1650, al miglio e mezzo del 1770 a circa 1 kmq nella nostra epoca. Fino alla fine del 1400 il lago ebbe una vita tranquilla, essendo alimenta-to solamente da alimenta-torrenti a corso breve e dalle sorgenti dei monti più vicini; il lago era nel mezzo con a destra e a sinistra i corsi regolari del Pannosa e del Versilia che rendevano paludose e insalubri le terre attraversate. A partire dal 1500 la situazione cambia e comincia un lento riempimen-to. A causa dell’accumulo dei sedimenti trasportati dai fiumi Pannosa e Versilia, il loro letto si innalza con conseguenti inondazioni delle pianure da una parte e dall’altra del lago.

Il Corso del Pannosa, nel tratto tra la Baccanella e la Foce, diventa inge-stibile e attraverso le sue inondazioni nelle zone della Renella e di porta crea un progressivo arretramento del lago verso la parte di Montignoso. La comunità montignosina operò in tutti i modi per creare un letto sicuro e definitivo al canale.

Venne scavato anche un letto artificiale rettilineo nell’ultimo tratto della pianura dopo accordi presi con Pietrasanta e Firenze. Tutti questi sforzi

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25 Il percorso storico

periodo che iniziarono le incursioni da parte dei massesi nei boschi pie-trasantini per attingere combustibile per svariati bisogni, con conseguenti proteste da parte di Pietrasanta. La macchia era oggetto di vendite spesso non vantaggiose e di tagli abusivi; per questo motivo la comunità di Pie-trasanta decise di tagliare tutto il bosco per ricavarne un profitto. Dopo la rinuncia al progetto per l’impossibilità di recuperare le spese, nel 1773 si iniziò il taglio della macchia marina con la progressiva scomparsa di lecci e ontani anche dal litorale pietrasantino, riscontrabili attualmente presso una piccola parte del Parco della Versiliana.

Alla fine del 700 ci furono i primi tentativi di rimboschimento con pini e lecci a ponente del lago, prendendo spunto dalla costa viareggina, ma non furono di gran successo. Il paesaggio in questo periodo si presentava diverso dall’attuale, con specchi d’acqua circondati da boschi di ontani, da prati – pascoli e con zone con diverso tipo di allagamento dalle qua-li era possibile ricavare canne e altre erbe palustri, tra queste la stiancia (Typha).

Così Giovanni Targioni Tozzetti7 descrive il Lago: “… questo Lago, il

qua-le riceve un Fosso che viene dalla Fortezza del Salto della Cervia, ha un chiaro quasi rotondo … ed un vastissimo Paglieto o Palude dalla sponda di Mezzogiorno e di Ponente, e comunica col mare per mezzo del Fosso del Cinquale (…) Un altro gran Corpo di terreno palustre … è d’intorno al Lago di Porto Beltrame (…). Esso terreno più o meno palustre, è irregolar-mente o Paglieto, cioè ricoperto di Cannucce, Stiance ecc. e simili Piante Acquatiche, o Prativo, o Bosco d’Ontani …”

Soltanto nell’800 venne effettuata con successo la coltivazione dei pini lungo l’arenile, che nella metà del secolo si unirono a quelli del litorale pisano formando una cortina di pinete dal fiume Magra fino al Tombolo. Le valli interne della Versilia furono colpite da un notevole abbandono delle aree aricole, con la quasi scomparsa della produzione dei prodot-ti alimentari di base come grano e cereali minori a favore delle colture

7 Giovanni Targioni Tozzetti, Relazioni di alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana 1773

L’ evoluzione del paesaggio

Il Lago di Porta era in origine immerso in una selva che dalla fascia litora-nea si estendeva fino alla base dei colli.

Era parte della “Silva Regia”, riserva di caccia dei re germanici, che nell’al-to Medioevo si estendeva da Cecina fino al fiume Frigido.

Con il dissodamento della pianura circostante, venne favorita la coltura dei cereali, dell’olivo e del castagno e successivamente quella degli agru-mi. Attraverso il documento del 10 febbraio 753 e la conferma del 1210 da parte dell’Imp. Ottone IV, con cui venne donato al Monastero di No-nantola un oliveto posto presso il castello Aghinolfi, possiamo ipotizzare che già a quell’epoca prosperassero gli olivi in questa zona.

Dal 1350 sono ricordati coltivati comunemente i gelsi oltre agli alberi da frutta. Oltre al pioppo, alla vite e all’olivo vi erano piantagioni rilevanti di arance e nocciole.

Attraverso la cartografia del 1683 secolo della comunità di Pietrasanta si notano diverse aree destinate alla vegetazione: i campi coltivati, i prati destinati al pascolo, le zone paludose e vengono mostrate nel dettaglio le varie specie arboree. Partendo dal litorale si incontra la macchia mediter-ranea, il bosco di lecci e in prossimità delle paludi circondanti il lago, i boschi di Ontani.

Nella carta del 1600, ridisegnata nel 1723, della comunità di Massa si nota la vegetazione a sud del lago. Al di sotto della Foce Morta, trovia-mo diverse fasce partendo dal mare: “arena pura”, “arena pura in eguale con qualche cespuglio di ginepro”, “arena pura con erbe selvatiche con qualche cespuglio di ginepro, mortella selvatica ed elci”, “arena pura con cespugli d’elci, ginepro et antanelli, felci e scopetti”.

Al di sopra della Foce Morta invece vengono individuati i terreni nel se-guente modo: “pascolo con giunchi”, una zona coltivata a ontani e infine una zona umida con pascoli prossimi al lago.

A Ponente del lago l’aspetto del litorale era caratterizzato da sporadiche macchie di ontani. La diversità del litorale a ponente del lago, così come descritto, rispetto a quello pietrasantino ricco di boschi, era dovuto ai molti tagli che la comunità massese operò durante i secoli. È in questo

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Carta storica del 1600, ridisegnata nel 1723, dell’Archivio di Stato di Massa

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Il percorso storico

specializzate quali gli olivi, nella zona collinare, ed i castagni, nella zona montana. Di maggior rilievo nel corso di questo secolo è la costruzione della linea ferroviaria Massa – Serravezza Querceta del 1862 che ha por-tato alla divisione definitiva di quell’antico legame tra il lago di Porta e la Torre Medicea.

Nel 1900 a seguito del processo di colmata naturale, attraverso il deposito dei corsi d’acqua, lo specchio lacustre era stato sostituito da aree palustri. Durante questo secolo sono avvenuti diversi cambiamenti, riguardanti l’assetto dell’idrografia e l’utilizzo dei terreni, che sono riconoscibili at-traverso l’osservazione delle foto aeree, scattate dall’Istituto Geografico Militare negli anni 1937, 1954, 1965, 1978, 1982, 1986 e 1996, e la foto aerea attuale dell’area.

Per quanto riguarda l’idrografia, opere di arginamento e di bonifica, nel 1918 il corso del fiume Versilia fu deviato e incanalato all’interno del cor-so del Cinquale in modo da farlo sfociare in mare e non più all’interno del lago; nel 1930 iniziarono nuove opere di manutenzione, con la costi-tuzione del consorzio di Bonifica dell’ex lago di Porta Vaiana e Caranna. I lavori di bonifica, eseguiti a fini agricoli, sono percepibili nei tipici “cam-pi lunghi” visibili nella parte orientale e meridionale.

Nel 1932 cominciarono i lavori per la delimitazione dell’area attraverso la costruzione degli argini, che saranno rialzati successivamente con il progetto della cassa di espansioni redatto nel 1995. Durante il ‘32 venne costruito l’argine settentrionale ed orientale, determinanti nella riduzione della superficie dell’area palustre e furono scavati due canali, il colatore destro e il colatore sinistro, il primo passante vicino a Casina Mattioli mentre il secondo sulla riva sinistra del Cinquale.

Questi due canali servivano soprattutto durante le piogge perché, trami-te un sistrami-tema di paratoie e di chiuse, accumulavano le acque evitando i reflussi nel fiume principale. Tra il 1969 e il ’70 il Rio strettoia fu indiriz-zato nel Versilia, che venne arginato; il Torrente Montignoso fu prolun-gato fino a raggiungere il Cinquale, dopo aver raccolto le acque dell’e-missario del lago. L’unico Imdell’e-missario rimanente era a questo punto la Fossa Fiorentina che ancora oggi lo alimenta. Durante gli anni ’90 furono

fatti diversi interventi sull’area, nel 1995 fu redatto, da Maurizio Bacci, il progetto per la sistemazione idraulico – ambientale del lago di Porta a seguito dei fenomeni alluvionali del 1992 e 1993 che avevano interessato alcuni dei centri abitati nell’area del basso bacino del fiume Versilia. Il lago già di per sé funzionava come una cassa di espansione per il Versilia ma non essendo concepito per quello scopo non era in grado di tenere gli ingenti volumi di acqua durante le piene del fiume. Per il raggiungimento di questo scopo furono rialzati e consolidati gli argini che delimitavano il lago e il fiume Versilia. A integrazione della progettazione idraulica, fu predisposta una progettazione ambientale con interventi atti a minimiz-zare l’impatto ambientale delle opere di difesa e massimizminimiz-zare la qualità ambientale attraverso la riqualificazione di situazioni di degrado e la rina-turalizzazione dei diversi ecosistemi presenti. Inoltre a causa dei rigurgiti, la Fossa Fiorentina fu risezionata e allungata nel 1996 con il conseguente minor allagamento della parte ad est di quest’ultima. Per evitare questo fu realizzato il chiaro del Bacci, posizionato ad ovest rispetto alla Fossa Fiorentina, che doveva raccogliere le sue acque, grazie a delle paratoie, e doveva garantire l’allagamento andato perso.

Oltre a questi cambiamenti, come abbiamo già detto, sono stati notevoli i cambiamenti relativi all’utilizzazione dei terreni, in particolar modo dopo gli anni ’50; il confronto tra le fotografie del ’37 e ’54 con le successive, denota come la vegetazione arbustiva ed arborea abbia ricoperto via via gli ex terreni di coltivo, “campi lunghi” posizionati nella parte orientale e meridionale dell’invaso, a seguito di una cessazione delle attività praticate su questi terreni, e la parte centrale dell’invaso. L’aspetto di questi terreni era caratterizzato da una suddivisione in appezzamenti stretti e lunghi, divisi da piccoli fossati. Dalle foto del ’78 e degli anni ’80 si nota che la copertura arborea è ben radicata e il grado di urbanizzazione comincia ad essere rilevante, inoltre la presenza dei chiari, non sono riscontrabili nel-le foto precedenti in quanto, probabilmente, la loro presenza era dovuta ai cacciatori mediante lo sfalcio e l’incendio della vegetazione durante i mesi invernali e primaverili, mentre nei mesi estivi, nei quali venivano fatte le riprese aeree, la vegetazione si riappropriava di questi spazi.La foto

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Fiume V

ersilia attuale

Torrente Montignoso

Fiume V ersilia 1824

Sovrapposizione dei fabbricati, in rosso, e dell’idrografia attuale, in azzurro, sulle mappe catastali storiche del 1824 Castore Regione Toscana

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Foto aerea del 1937 - Tratta dall'IGM Cola tore des tro Colatore sinistro Colatore destro Rio Strettoia

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Foto aerea del 1978 - Tratta dall'IGM

Rio Strettoia

Fiume V ersilia

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Argine del lago prima del progetto per la sistemazione idraulico ambientale del Lago di Porta 1955 - Foto tratta dal WWF

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Argine del lago dopo il progetto per la sistemazione idrau-lico ambientale del Lago di Porta 1955 - Foto tratta dal WWF

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Il percorso storico

del 1996 mostra la situazione precedente ai lavori della cassa di espansio-ne, con una presenza dei chiari simili a quelli degli anni ’80 ma con una copertura arborea più fitta e matura. Questo sviluppo non è riscontrabile nelle zone utilizzate come vasche di sedimentazione o come discariche di inerti, dove i popolamenti arborei, costituiti da plantule di salicacee o di ontani, erano recenti e radi. Di particolare aumento è il grado di urba-nizzazione dei terreni circostanti l’area protetta.

Secondo Maurizio Bacci8, l’attività umana nell’area ha nel tempo favorito

alcune presenza vegetali, riducendone o eliminandone altre, con le tra-sformazioni dell’habitat di riferimento.

Le colmate di bonifica, usate da secoli nelle pianure costiere toscane, la cui testimonianza è data dai “campi lunghi”, hanno creato le condizioni per il costituirsi di aree boscate, caratterizzate da saliceto, pioppeto e alne-to, sopra i terreni periodicamente emergenti dalle acque, mentre la depo-sizione di grandi quantità di sedimenti, legata alla lavorazione di materiali lapidei, ha favorito la colonizzazione diffusa da parte delle salicacee nella parte vicina alla ferrovia. L’importante presenza del canneto a Phragmites

australis è dovuta principalmente alla situazione idraulica verificatasi con

la chiusura dell’ex alveo lacustre tramite le arginature, che ha determina-to la presenza costante di una lama di acqua. I cariceti e tifeti in quesdetermina-to periodo erano già stati sopraffatti dal fragmiteto, ma la loro ridotta esten-sione era comunque sintomo di elevata qualità ambientale del sito. All’interno del progetto per la sistemazione idraulico – ambientale del lago di Porta, l’area era stata suddivisa dall’ingegnere in diverse tipologie ambientali:

1. Aree prive di copertura vegetale o degradate: aree sulle quali hanno gravato attività antropiche come l’area interessata dalla viabilità e dal-le vasche di sedimentazione, colmate con marmettola, sulla quadal-le si era insediata una vegetazione sinantropica tipica degli ambienti rude-rali o incolti, che evolve verso il saliceto. Un’altra area di questa cate-goria è quella relativa all’ex tartufaia che era caratterizzata da un prato

8 Maurizio Bacci, Progetto per la sistemazione idraulico - Ambientale del Lago di Porta1995

umido, eliminato durante le pratica colturali. In generale si trattava di aree dove la copertura era debole e dove la movimentazione della terra, con rialzi e sedimentazioni, era stata notevole. Faceva parte di questa categoria anche l’area interessata dalla pista di motocross; 2. Zone a vegetazione di pleustofite flottanti e di rizofite con acque

ferme o poco fluenti: erano le zone pregiate del lago, fasce che

attor-niavano l’antica rete di canalizzazione interna al lago, o le superfici residue dei chiari dove la profondità delle acque impediva la diffusio-ne del fragmiteto, che si estende gediffusio-neralmente dove la lama di acqua rimane costante al di sotto dei 50 cm. Queste zone erano in diminu-zione, sia per l’interramento artificiale indotto con le sedimentazioni di materiali di risulta delle lavorazioni lapidee sia per un fenomeno di interramento tipico delle zone palustri. Inoltre la chiusura dei chiari avveniva anche tramite gli ammassi di materia organica galleggiante (gli aggallati);

3. Zona con vegetazione a elofite dominanti (canneto): all’interno di questa area la presenza del Phragmites australis era dominante come attualmente. Il canneto a fragmite occupa un ruolo preciso nella suc-cessione vegetazionale trasformando le zone di pianura alluvionale acquitrinose in boschi umidi e poi in foresta igrofila. Questa tipologia è stata favorita dalla lama costante di acqua, dovuta alle arginature di contenimento, che ha impedito al bosco di progredire. Una osserva-zione in più punti aveva evidenziato inoltre una sua progressiva colo-nizzazione a scapito di altre elofite ma soprattutto a scapito di cariceti e giuncheti;

4. Zona con vegetazione a fanerofite igrofile dominanti (boschi): di origine antropica, le aree boscate erano caratterizzate da diverse spe-cie di piante a partire dai pioppi; gli ontaneti giovani e vigorosi ri-coprivano l’area del lago dove arginature o rilevati consentivano un costante approvvigionamento idrico, il saliceto era caratterizzato da salici di primo fronte, ovvero che tollerano periodiche sommersioni, da salici termofili che hanno un comportamento arborescente o arbo-reo rispetto al comportamento arbustivo dei primi.

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Il percorso storico

Dal 1995 ad oggi l’uso del suolo relativo all’invaso è rimasto pressoché il medesimo, con qualche cambiamento riguardante le superfici degli am-bienti ma sono aumentati notevolmente gli interventi gestionali sull’area. A partire dal 1999 – 2000 sono stati realizzati grazie al Comitato di Ge-stione dell’ANPIL una serie di interventi di riqualificazione ambientale, iniziati con gli sfalci manuali del canneto, posto in destra idrografica della Fossa Fiorentina, che hanno consentito, con il fine di migliorare la fun-zionalità ecologica, la creazione di aree temporaneamente libere dalla vegetazione e la limitazione dell’accumulo di lettiera al suolo.

Negli anni successivi lo sfalcio del canneto è avvenuto sempre a mano fino al 2009, anno in cui è stata utilizzata la motobarca falciante, per la prima volta, che ha portato un netto miglioramento all’intervento.

Questo lavoro del 2009 ha permesso l’allargamento dei chiari centrali, che tramite l’utilizzo di un escavatore di piccole dimensioni sono stati resi più profondi in modo da evitare la ricrescita del canneto, di effettuare dei canali di collegamento tra questi e il canneto e di creare dei cordoni rial-zati, grazie al materiale rimosso dal fondo, che sono utilizzati come area di riposo e di alimentazione dagli animali, con particolare riferimento agli aironi, Cormorani, anatre e Beccaccini.

Nell’ottobre del 2011, grazie ad un finanziamento della Fondazione Cas-sa di Risparmio di Carrara, sono proseguiti gli interventi effettuati con motobarca falciante.

I lavori sono terminati nel gennaio 2012 ed hanno interessato tre porzioni del Lago di Porta. Due aree di circa 1 ettaro ciascuna, situate rispettiva-mente al margine nord – est e sud ovest del canneto (chiaro di Bregoscia), in cui è stato utilizzato un trattore con trinciastocchi; le canne sono state trinciate e ne sono risultate due aree con profondità dell’acqua da pochi cm ad alcune decine di cm. La terza area riguarda la parte centrale, dove in continuità con le superfici di acqua libera create negli anni preceden-ti, è stato realizzato un canale con l’utilizzo della motobarca falciante e dell’escavatore per la raccolta del materiale; con le cannucce tagliate è stato realizzato poi un isolotto al centro del canale, utilizzato dall’avifauna come area di riposo e di foraggiamento.

Nel 2015 e 2016 il chiaro di Bregoscia, dopo gli interventi regolari di sfal-cio iniziati nel 2006, è stato fresato nella parte centrale per consentire una maggiore permanenza delle acque.

Tornando ad analizzare il paesaggio nel suo complesso, attualmente

se-condo gli studi di Puglisi9, vengono individuate, tramite la mappatura

de-gli ambienti che riguarda le loro caratteristiche strutturali piuttosto che la loro composizione floristica, diverse tipologie ambientali:

1. Canneto: caratterizzato da fitocenosi a Phragmites australis dominan-te; in questa categoria sono stati inclusi anche i suoli inondati stagio-nalmente, in cui la cannuccia non ricopre necessariamente tutto il terreno;

2. Cariceto: tipologia ambientale che individua le aree occupate da erbe e piante palustri di altezza intermedia come la fitocenosi a Carex spp.,

Cyperus sp. e Schoenoplectus tabaernemontani, in cui la cannuccia è

pressoché assente;

3. Chiari: specchi d’acqua libera, con differenti profondità; 4. Fiumi e corsi d’acqua;

5. Boschi igrofili: aree boscate, meglio definibili come meso – igrofili, che si sviluppano su un suolo con differenti gradi di umidità, variabili stagionalmente, dominati da Salix spp., Populus spp. e Alnus

gluti-nosa; all’interno di queste aree è possibile trovare cariceti e piccoli

ristagni di acqua libera;

6. Boschi xerofili: boschi caratterizzati dal leccio; 7. Ambienti rupestri;

8. Aree marginali: aree caratterizzate da vegetazione erbacea e semi arbustiva, per lo più asciutte, all’interno delle quali sono incluse anche i prati del campo da golf, compresi nell’ANPIL;

9. Aree urbanizzate: aree comprendenti abitazioni e manufatti, insedia-menti industriali, depositi di stoccaggio;

10. Strade.

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Assetto attuale dell’area dove si possono notare i chiari centrali e come il bosco e la vegetazione si siano riappro-priati delle aree degradate - Cartoteca Regione Toscana

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Il percorso storico

Rispetto agli anni 2000, dal confronto con i rilevamenti di Puglisi &

Ta-verni 200010, si nota la variazione di superficie di alcune delle tipologie

ambientali.

I boschi igrofili, sono più estesi grazie all’occupazione delle aree che si sono prosciugate con il risezionamento della fossa fiorentina, delle aree coltivate abbandonate, delle aree occupate dai depositi di marmettola o pezzami di scarto della lavorazione del marmo (zona nord prossima alla ferrovia), dell’area occupata dall’ex tartufaia e dell’area dove era stata co-struita la pista da motocross.

Queste aree sono occupate da un bosco più giovane dominato da pioppi e salici. Un altro cambiamento rilevante causato dall’innalzamento del livello idrico, dovuto alla regimazione delle acque avvenuta con l’argi-natura, e ad un probabile sprofondamento dell’alveo palustre, è la ridu-zione della copertura arborea nelle parti prossime all’area palustre e ad una regressione del canneto percepibile nei settori settentrionali da esso occupati. Inoltre, anche se il canneto si è espanso a danno dei cariceti, la sua superficie si è ridotta con la creazione dei chiari centrali dove l’acqua permane per lunghi periodi con livelli superiori al metro.

Inquinamento

Questo paragrafo riguarda una tematica importante che ha investito l’area palustre: l’inquinamento.

Nonostante il Lago di Porta rappresenti una importantissima oasi naturale del nostro territorio è stato a lungo un luogo dimenticato, scenario di azio-ni e disturbi di degrado. Per molto tempo il lago ha vissuto una situazione critica di abbandono sebbene già nel 1971 iniziarono i primi passi per una sua tutela con il riconoscimento di Oasi provinciale.

Di fatto l’area a partire dagli anni ’60 è stata utilizzata, sia per mancanza di zone di raccolta che per negligenza, come discarica, in maniera abusi-va o con il tacito consenso dei proprietari.

Le bassure del lago e dei terreni limitrofi erano perfette per il disfacimento dei materiali di scarto delle lavorazioni e rifiuti di vario genere in grandi

10 Luca Puglisi e Marco Taverni, Il popolamento di uccelli del Lago di Porta, anno 2000

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