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I diritti di proprietà intellettuale e lo sfruttamento abusivo di posizione dominante nella normativa europea

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Academic year: 2021

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INDICE SOMMARIO

ABBREVIAZIONI...IV

INTRODUZIONE...V

CAPITOLO I

LA DISCIPLINA DELL’ABUSO DI POSIZIONE

DOMINANTE NEL DIRITTO DELL’UNIONE

EUROPEA

1. La posizione dominante

...1

1.1

Il concetto di impresa

...

1

1.2

La definizione comunitaria di posizione

dominante...

...

4

1.3

La posizione dominante collettiva...7

2. Lo sfruttamento abusivo di posizione

dominante

...9

3. Confini della disciplina: il concetto di mercato

rilevante

...12

3.1

Il mercato del prodotto...13

3.2

Il mercato geografico...16

3.3

Il mercato integrato

...

20

4. Criteri strutturali: a) le quote di mercato; b) le

barriere all’ingresso

...21

5. Le modalità di attuazione dell’abuso

...24

5.1

Casi tipici...24

(2)

CAPITOLO II

ELEMENTI DI DIRITTO INDUSTRIALE:

PROPRIETÀ INTELLETTUALE E

CONCORRENZA

1. Il diritto industriale: diversi piani d’indagine

dalle origini ad oggi

...37

2. La proprietà intellettuale nel diritto

dell’Unione europea

...40

3. Oggetto del diritto: segni distintivi e opere

d’ingegno tecnico e artistico

...48

3.1

I segni distintivi...49

3.2

Il brevetto...56

3.3

Il diritto d’autore...63

4. La proprietà intellettuale e la disciplina

antitrust: definizione dei rispettivi confini

...66

CAPITOLO III

I DIRITTI DI PROPRIETÀ INTELLETTUALE

NELLA REALIZZAZIONE DELL’ ABUSO DI

POSIZIONE DOMINANTE

1. Il rapporto tra la situazione di monopolio e i

diritti di proprietà intellettuale

...73

1.1

La normativa europea...76

1.2

La giustificazione economica...80

2. L’abuso di posizione dominante attraverso il

diritto di marchio

...83

2.1

La casistica: a) caso Duales System

Deutshland; b) caso Henkel c. UAMI;

c) caso Pepsico c. Coca Cola...85

3. Il brevetto e il diritto d’autore nell’ambito

dell’abuso di posizione dominante

...90

(3)

3.2

Il caso Microsoft...106

4. Il diritto brevettuale e l’abuso

...109

4.1

La casistica: a) caso Pfizer; b) caso

Motorola; c) caso Huawei...110

5. Il diritto d’autore e l’abuso

...120

5.1

La casistica: a) caso Magill; b) caso IMS

Health; c) caso Tournier e Lucazeau

...

122

CAPITOLO IV

IL DANNO DA ABUSO DI POSIZIONE

DOMINANTE RELATIVO A DIRITTI DI

PROPRIETÀ INTELLETTUALE

1. Le conseguenze derivati dalla violazione delle

norme antitrust

...128

1.1 Il danno risarcibile...130

2. Dall’assenza di una normativa europea

unitaria alla direttiva 2014/104/UE

...134

3. La risoluzione delle controversie

...136

3.1

Le azioni per il risarcimento del

danno...144

3.2 Il procedimento

...

146

4. Considerazioni finali

...152

CONCLUSIONI...156

BIBLIOGRAFIA...162

     

(4)

ABBREVIAZIONI

CE Comunità europea

CEDU Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 5 ottobre 1963

CUP Convenzione di unione di Parigi per la protezione della proprietà intellettuale, firmata a Parigi il 20 marzo 1883 DIP Diritti di proprietà intellettuale

IP Intellectual Property, ovvero proprietà intellettuale TCE Trattato che istituisce la Comunità europea, con esso

s’intende il Trattato di Roma, firmato a Roma il 25 marzo 1957

TFUE Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, detto anche Trattato di Lisbona, firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1 dicembre 2009 TUE Trattato sull’Unione europea, detto anche Trattato di

Maastricht, firmato il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1 novembre 1993

UE Unione europea

UNESCO United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization, ossia l’ Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura, un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite

WIPO World Intellectual Property Organization, ossia l’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale, un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite

WTO World Trade Organization, ovvero organizzazione mondiale del commercio, organizzazione internazionale istituita il 1º gennaio 1995 alla conclusione dell'Uruguay Round

   

(5)

INTRODUZIONE

1. La “Competition policy” nel diritto dell’Unione

europea

La politica della concorrenza rappresenta uno dei settori più sviluppati del diritto dell’Unione europea che si esprime attraverso un insieme di norme createsi attraverso un lento ma progressivo susseguirsi di interventi normativi volti alla gestione del commercio intra-europeo. Nonostante inizialmente, fosse considerata solo come sussidiaria e subordinata rispetto ad altre discipline, oggi ha raggiunto un livello apicale tra le politiche dell’Unione europea.

La rilevanza della disciplina concorrenziale è aumentata in maniera evidente grazie all’espansione dei confini dell’Unione e al conseguente incremento degli scambi commerciali, infatti non sarebbe stato possibile raggiungere l’obbiettivo di creare un mercato unico senza una base solida ed efficace di norme che promuovessero un’economia di libero mercato e che fossero necessariamente improntate alla tutela dei consumatori, alla promozione della ricerca, dello sviluppo tecnico, e dello scambio culturale. L’importanza della politica concorrenziale è ravvisabile, prima ancora che da qualunque interpretazione giurisprudenziale o dottrinale, direttamente dall’articolo 119 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che modificando l’articolo 4 del trattato istitutivo della comunità europea, stabilisce che: “Ai fini enunciati all'articolo 3 del trattato sull'Unione europea, l'azione degli Stati membri e dell'Unione comprende, alle condizioni previste dai trattati, l'adozione di una politica economica che è fondata sullo stretto coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, sul mercato interno e sulla definizione di obiettivi

(6)

comuni, condotta conformemente al principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza”.

Come viene chiaramente enunciato nel suddetto Trattato, la politica della concorrenza, è stata elaborata con l’obbiettivo di ottenere il mercato comune. Essa rappresenta la volontà chiara e precisa di dare vita ad un legame forte tra gli stati dell’allora Comunità europea, tanto che le suddette regole hanno procurato un ingente contributo per la realizzazione della cooperazione tra stati.

La c.d. “competition policy” si pone come scopo quello di far concorrere le imprese in maniera leale, stimolando lo spirito imprenditoriale, lasciando spazio all’innovazione e allo sviluppo di rapporti commerciali corretti; ne consegue che la creazione di una simile politica è finalizzata al raggiungimento di una maggior qualità dei prodotti, una maggiore scelta per il consumatore, un più alto grado di innovazione ed efficienza tecnica, ed un crescente livello di competitività.

2. La disciplina antitrust: tre diversi sviluppi

Lo studio della pratica di abuso della posizione dominante assume come punto di partenza la disamina del diritto antitrust in quanto è al suo interno che l’attività illecita si sviluppa, è una creatura, per così dire, generata nell’humus della disciplina antitrust1.

Quest’ultima è volta a preservare ovvero a ripristinare una situazione sconvolta dai comportamenti elusivi ed elusori, equivoci o del tutto vietati, posti in essere dagli imprenditori concorrenti.

L’esistenza di una siffatta disciplina tuttavia, non impedisce che le imprese vadano comunque incontro a pratiche non ammesse.

Il mercato può incontrare forme distorsive della concorrenza laddove gli imprenditori non si siano informati alle regole stabilite, per questo                                                                                                                

(7)

alcuni organi dell’Unione europea operano al fine di prevenire e correggere tali forme disfunzionali, che nello specifico sono ravvisate in: intese, abuso di posizione dominante e concentrazioni.

Per poter valutare e comprendere in tutte le sue sfumature, la disciplina della concorrenza, è necessario, innanzitutto, esaminare gli eventi e le ragioni che hanno portato alla sua nascita.

Potrebbe essere utile immaginare il tema discutienda come un insieme di concetti da adagiare su una piramide, il cui vertice rappresenta l’origine, la creazione della disciplina, e la cui parte sottostante rappresenta l’evoluzione, ciò che dal vertice trae forma e contenuto, sia da un punto di vista cronologico che concettuale, l’assimilazione ad una “cascata” sarà dunque la chiave di lettura di questa prima indagine. La piramide menzionata è costituita da tre elementi che corrispondono a fasi e normative differenti, rispettivamente: la disciplina antitrust statunitense, europea ed italiana.

Per ottenere un quadro completo del diritto della concorrenza è necessario quanto meno menzionare tutte e tre le discipline, poiché sono inevitabilmente legate da uno stretto rapporto di dipendenza, la disciplina italiana deriva da quella europea, e quella europea è mutuata da quella nord americana. Il nostro ordinamento si è in un certo senso adeguato alle normative già esistenti, prendendole come punto di riferimento, ma d’altra parte ha creato anche una propria disciplina interna descritta nelle sue linee essenziali nel Codice Civile.

Vediamo di seguito i passaggi logici-cronologici. a) La disciplina antitrust statunitense

Da quanto appena affermato risulta imprescindibile guardare al diritto antitrust degli Stati Uniti per apprezzare a pieno la disciplina europea. Gli Stati Uniti degli anni ‘80 del XIX secolo, rappresentano una fucina di idee e di innovazioni in campo economico.

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Si deve infatti allo Sherman Act del 18902 la creazione della prima vera disciplina in materia di concorrenza, esso si configura come uno istituto rigido, manicheo in quanto ritiene di dover porre un argine all’antico istituto anglosassone del trust, strumento distorsivo delle regole del mercato, incentrato su accordi che hanno la finalità di restringere e falsare il libero gioco della concorrenza, attraverso la creazione di soggetti fiduciari, i trustee.3

E’ in quest’ottica che lo Sherman Act costituisce normativa anti-trust, proprio perché la prima finalità era quella di annientare i trust, al punto di prevedere un vero e proprio illecito contrattuale e penale, lo testimoniano le due prime sezioni dell’ Act:

“Section 1. Trusts, etc., in restraint of trade illegal; penalty” e “Section 2. Monopolizing trade a felony; penalty”.

b) La disciplina antitrust europea

Scendendo al livello inferiore della piramide, incontriamo la disciplina antitrust europea, la quale, nonostante sia meno rigida e meno restrittiva, sicuramente, come già accennato, prende vita dalla disciplina statunitense. La consapevolezza del grave ritardo e della grave lacuna in cui versava l’Europa in merito a simili normative, provoca l’emulazione della disciplina antitrust statunitense.

Non si assiste però, ad una totale identicità di contenuto, lo testimoniamo ad esempio la diversità dei parametri utilizzati per definire la pratica delle intese, o il fatto che la disciplina dello Sherman Act, vieti già la semplice sussistenza di un impresa in posizione dominante, mentre quella europea vieti solo l’abuso della medesima. L’aspetto peculiare è dato invece, dalla difforme compagine socio-culturale in cui viene a crearsi la suddetta disciplina.

                                                                                                               

2  È la più antica legge antitrust degli Stati Uniti e rappresenta la prima azione del governo degli Stati Uniti per limitare i monopoli e i cartelli (trust). Lo Sherman Act fu firmato dal Presidente Benjamin Harrison nel 1890 e prende il nome dal suo autore, il senatore repubblicano John Sherman dell'Ohio, ex-Segretario del Tesoro sotto la presidenza di Rutherford Hayes.

3  Per una definizione accurata di trust, sin dalla sua origine, si veda L. ALLEN, “Il sistema finanziario globale dal 1750 ad oggi”, Londra, 2002.

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In primo luogo, le guerre e le crisi economiche che hanno lacerato l’economia europea inevitabilmente hanno provocato un atteggiamento passivo di accondiscendenza degli Stati nei confronti di accordi restrittivi della concorrenza. In secondo luogo, in Europa era applicata in maniera preponderante la politica dell’economia pianificata in cui risiede un ottica dirigistica dello stato, che è creatore e fulcro dell’intera attività commerciale di un paese, lo stato è la manus publica che tutto può.

Ciò nonostante anche l’Europa comincia a dotarsi di una disciplina ad hoc, considerata come l’unico strumento adatto a salvaguardare la libera concorrenza nel mercato, soprattutto questo riesce grazie agli incalzanti insegnamenti della Scuola Ordoliberale di Friburgo4, una delle teorie economiche più accreditate, e a causa dell’imposizione degli Alleati di principi antimonopolistici,.

Inevitabile risulta, quindi, citare ed esaminare brevemente quelli che sono stati i passi fondamentali effettuati in ambito europeo, attraverso i Trattati susseguitisi tra il 1951 e il 2007, così da realizzare un excursus utile a comprendere dove e come si colloca la disciplina antitrust europea5.

Primo fra tutti, il Trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, CECA, firmato a Parigi nel 1951, agli artt. 65 e 66 vieta le intese, l’abuso di posizione dominante e le concentrazioni che restringono o falsano la concorrenza nel mercato comune o che creano situazioni di privilegio.

A seguire, il Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea, rappresenta una pietra miliare in tema di concorrenza poiché agli artt.                                                                                                                

4  Per una definizione completa ed aggiornata del concetto di ordoliberalismo si veda “L’economia e la legge. Atti del convegno di Milano, 4 dicembre 2006. Università degli studi Bicocca” nella parte relativa a “Costituzione ed ordinamento economico: il contributo ordoliberale” di Paolo Costa.

5  S’intende a partire dalla Dichiarazione di Shuman, resa il 9 maggio 1950 dall’allora Ministro degli esteri francese che rappresenta il primo passo verso la creazione della Comunità Europea, fino al Trattato di Lisbona firmato il 13 dicembre 2007, momento storico che chiude un’epoca e me apre un’altra.  

(10)

85 e 86 specifica alcune previsioni fondamentali: l’art. 85, prevede che “Sono incompatibili con il mercato comune e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune; successivamente, l’art.86, prevede che “È incompatibile con il mercato comune e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato comune o su una parte sostanziale di questo.

Questa disciplina enuncia in termini specifici il tema ivi discusso, ed ha subito modifiche negli anni seguenti, a causa degli incalzanti interventi normativi attuatisi con i nuovi Trattati.

Il Trattato CEE infatti, è stato riformulato con il Trattato di Maastricht, del 1993, divenendo Trattato CE, di conseguenza c’è stata una prima rinumerazione degli articoli, alla quale ne è seguita una seconda, con il Trattato di Lisbona, del 2007, il TFUE, da non considerare come un unico atto di codificazione dei precedenti trattati ma come una modifica degli stessi, tanto che viene mantenuto intatto lo scheletro della disciplina, così com’era formulata in origine, andando ad incidere su aspetti prettamente strutturali delle varie materie regolamentate. Per esemplificare , ai fini del nostro esame si fa riferimento gli articoli 85 e 86 del TCEE che divengono dapprima, gli artt. 81 e 82 del TCE, ed in seguito, gli artt. 101 e 102 del TFUE, riferiti rispettivamente alle intese e all’abuso di posizione dominante.

A conclusione di questo breve excursus, è necessario citare il Regolamento CE n.1/2003 del Consiglio del 16 dicembre 2002, “concernente l'applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli art. 81 e 82 del TCE” (oggi artt. 101 e 102 del TFUE), il quale sostituendo il  Regolamento CEE n.17/62, ha semplificato le formalità

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amministrative a carico delle imprese, permettendo alla Commissione di svolgere un'azione più efficace e penetrante contro le infrazioni gravi delle regole di concorrenza.

c) La disciplina antitrust italiana

Ultimo gradino della piramide, è la disciplina italiana.

Precisare l’aspetto relativo alla normativa interna della concorrenza, si apprezza soprattutto per sottolineare un aspetto prima terminologico, poi concettuale. Nel nostro ordinamento i termini concorrenza e antitrust indicano due aspetti differenti di un medesimo argomento. Con “concorrenza” si fa riferimento ad un insieme di regole volte a garantire la tutela del consumatore, nasce dall’esigenza di garantire in primis la libertà di accesso al mercato, e di conseguenza la presenza di regole valevi per gli imprenditori, ma i cui effetti ricadono sul consumatore, per questo motivo siamo in un’ottica privatista. Con “antitrust” invece, si intende la tutela della libertà economica dal punto di vista imprenditoriale, guarda ai comportamenti e agli atti delle imprese in relazione al mercato dunque cambia la prospettiva, in questo secondo caso l’ottica è pubblicistica.

Nel diritto interno, le due discipline trovano diversa collocazione. Dall’articolata serie di normative afferenti alla concorrenza, si evince che la fonte primaria è il Codice Civile: l’art. 2598, rubricato “atti di concorrenza sleale”, presenta un elenco di tre ipotesi di condotte che integrano un illecito extracontrattuale.

L’articolo è composto da previsioni repressive e sanzionatorie rivolte agli imprenditori, intesi ai sensi dell’art. 2082 c.c., che con i propri comportamenti economici, intesi come manifestazioni patologiche dell’attività dell’impresa, falsino il libero gioco della concorrenza, nello specifico si tratta di pratiche che integrano rispettivamente la condotta confusoria, la denigrazione ed appropriazione di pregi, ed infine, la contrarietà ai principi di correttezza professionale.

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Spostandosi sul versante del diritto antitrust, si nota che il nostro ordinamento ha provveduto a dotarsi di una normativa ad hoc in tempi piuttosto recenti, risale al 1990 la legge con la quale l’ordinamento italiano ha recepito i principi (allora) comunitari atti ad impedire comportamenti concorrenziali quali le intese, gli abusi di posizione dominante e le concentrazioni 6 . Pertanto la legislazione antimonopolistica italiana in ambito pubblicistico si informa a quella europea sia sul piano funzionale che organizzativo.

3. Individuazione degli elementi principali della

trattazione

Soltanto a seguito di tali premesse, è attuabile un approfondimento della materia concorrenziale dedicato alla pratica dell’abuso di posizione dominante nel diritto dell’Unione europea, attraverso il diritto di proprietà intellettuale.

L’aspetto che non dovrà mai essere tralasciato nella presente trattazione è quello relativo all’inevitabile intersezione di due diverse discipline: il diritto della concorrenza, o meglio la disciplina antitrust e il diritto industriale in genere, quindi compreso anche il diritto intellettuale.

Come avremo modo di precisare ampiamente più avanti, le normative afferenti alla proprietà industriale e alla concorrenza sono necessariamente connesse poiché attengono alla stessa sfera di applicazione, sono rivolte ad un medesimo destinatario, infatti, il minimo comun denominatore delle due discipline è il fatto di essere sempre rivolte all’attività di impresa, elemento basilare e nucleo storico sia del diritto industriale che del diritto della concorrenza. L’intersezione tra le discipline non dev’essere considerata sempre e comunque in chiave negativa, sicuramente si assiste spesso ad un                                                                                                                

6  Si tratta della Legge 10 ottobre 1990, n. 287 - Norme per la tutela della concorrenza e del mercato.  

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rapporto di antitesi ma può sussistere anche un rapporto di sintesi, di convivenza naturale e legittima.

L’aspetto su cui ci si soffermerà maggiormente non potrà che essere la metamorfosi che la pratica posta in essere dall’imprenditore compie, cioè da lecita ad illecita.

Per chiarire: si può verificare che un impresa, che detenga una privativa da brevetto, da diritto d’autore, o da diritto di marchio, potrebbe utilizzare il diritto di esclusiva in maniera distorta; con ciò s’intendono sia pratiche comportamentali di sfruttamento, ed escludenti, tipiche e atipiche, sia pratiche illecite di tipo strutturale, come il caso delle collecting societies.

Per quanto attiene alle pratiche comportamentali, il riferimento è all’art.102, lett. a,b,c,d del TFUE, per quanto attiene alla pratiche strutturali il riferimento normativo è ravvisabile soprattutto sul piano dottrinale e giurisprudenziale dato il loro intrinseco carattere atipico. L’elaborato che segue mira ad approfondire questa peculiare congiuntura.

Con il sostegno di una continua analisi accurata dei casi concreti, esso si pone l’obbiettivo di evidenziare dapprima in termini generali, poi in modo specifico, i profili storici e giuridici della questione, articolandosi in quattro capitoli.

Il primo capitolo sarà dedicato all’esame della pratica di abuso di posizione dominante ponendo in rilievo gli aspetti fondamentali della disciplina, il come e il quando si concretizza questo tipo di illecito secondo la normativa europea.

Il secondo capitolo sposterà l’attenzione sull’altro versante della questione, il diritto di proprietà intellettuale, lo scopo è trarre una definizione del medesimo attraverso un coordinamento di discipline, europee e internazionali, si esamineranno poi gli aspetti peculiari del diritto che ci permettono di inserirlo nella situazione in cui l’impresa si

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serva dei propri diritti di esclusiva per ottenere e sfruttare una posizione di monopolio.

Il terzo capitolo invece, che è il cuore pulsante dell’elaborato, sarà il trait d’union delle due fattispecie. La natura del capitolo non sarà meramente nozionistica, il proposito infatti non è trasmettere mere definizioni, bensì approfondire un aspetto non sempre immediato e comprensibile, ma quanto mai attuale, esaminando i casi che si sono verificati, e cercando eventuali prospettive di sviluppo, dell’ipotesi analizzata.

Il quarto ed ultimo capitolo si occuperà dell’aspetto dinamico della vicenda, il danno come conseguenza dell’illecito antitrust, l’obbiettivo finale è quello di volgere lo sguardo a ciò che si è manifestato in concreto, e di esaminare quindi il decorso della pratica illecita. In quest’ultima fase non sono più le imprese ad essere i soli protagonisti della vicenda quanto, da un lato, i consumatori, fruitori finali del bene, e dall’altro l’organo dell’Unione europea preposto alla funzione di vigilanza e indagine, la Commissione europea.

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CAPITOLO I

LA DISCIPLINA DELL’ABUSO DI POSIZIONE

DOMINANTE NEL DIRITTO DELL’UNIONE

EUROPEA

1. La posizione dominante

La verifica dell’esistenza di un abuso dev’essere inevitabilmente preceduta dalla verifica della sussistenza di una posizione dominante. Quest’ultima è un presupposto indispensabile per l’applicazione della disciplina dell’abuso. Per completezza d’indagine prima ancora di esaminare il concetto di posizione dominante, è necessario soffermarsi sulla nozione di impresa, operazione imprescindibile per ottenere una visione completa della fattispecie.

1.1 Il concetto di impresa

Per un puntuale studio dell’abuso di posizione dominante non si può procedere senza soffermarsi ab inizio su un concetto basilare nell’intera disciplina della concorrenza, già definito come il nucleo storico del diritto in questione, il concetto di impresa7. Essa è l’ambito di applicazione soggettiva della fattispecie, tutte le normative in merito alla concorrenza inevitabilmente si riferiscono all’impresa, paradossalmente però non è rintracciabile alcuna definizione.

Si deve infatti alla giurisprudenza il grande merito di aver realizzato progressivamente mediante sentenze emesse a conclusione di diversi casi concreti, una nozione chiara e precisa di impresa.

                                                                                                               

7  CALAMIA, Manuale breve. Diritto dell’Unione europea, Milano, 2010, capitolo 13, pp.205.  

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Risulta necessario, dunque, procedere alla disamina degli stessi.

Il primo caso da analizzare è il cosiddetto caso Polipropilene8 del 1991, in cui quindici imprese del settore petrolchimico conclusero un accordo verbale diretto alla spartizione dei mercati e alla determinazione dei prezzi, l’interpretazione emessa dal Tribunale di I grado causò una serie di discussioni e dibattiti che portarono talvolta alla condanna delle imprese originarie, talaltra alla condanna della società incorporante, gli atteggiamenti discordanti derivarono dalla volontà delle autorità di ricercare la soluzione più utile in concreto, si amplia dunque la nozione di impresa, la Commissione stessa rileva che essa comprende qualsiasi attività economica, tanto che è il profilo economico a prevalere non quello giuridico.

Un caso forse ancor più utile nell’individuazione del concetto di impresa, è il caso Aeroporto di Parigi9, la Corte di giustizia è tornata sulla definizione pronunciandosi sulla sentenza emessa dal Tribunale di I grado il 12 dicembre 2000, con quest’ultima, il Tribunale respinse l’opposizione dell’Aeroporto di Parigi ad una sanzione per sfruttamento abusivo della posizione dominante irrogata dalla Commissione in quanto esso godeva di prerogative spettanti solo a poteri pubblici.

L’Aeroporto viene definito dal Tribunale come un istituto che svolge sì, funzioni amministrative ma anche funzioni di gestione di altri aeroporti francesi minori, praticando così attività imprenditoriale, per cui inevitabilmente l’Aeroporto di Parigi è inquadrabile come impresa. La Corte ha avvalorato la sentenza del Tribunale affermando che “come la Commissione ha sostenuto, la circostanza che un ente disponga, per l’esercizio di una parte della propria attività, di                                                                                                                

8  Tribunale di I grado, 17 dicembre 1991, Enichem Anic SpA c. Commissione delle Comunità europee, causa T-6/89, in Raccolta, p.II-1623 e ss., specie p.1695.  

9  Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza del 24 ottobre 2002, Aéroports de Paris c. Commissione delle Comunità europee e Alpha Flight Services SAS, causa C-82/01, in Raccolta, 2002.  

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prerogative dei pubblici poteri, non impedisce di per sé, di qualificarla come impresa ai sensi dell’art. 86 del Trattato”10.

Per completezza di indagine, è utile sottolineare come la nozione di impresa elaborata nel diritto dell’Unione europea, sia in parte difforme rispetto al concetto di impresa avvalorato nell’ordinamento italiano, poiché se da un lato la disciplina europea risulta più amplia, dall’altro essa appare ristretta dal fatto che determinate imprese non siano state prese in considerazione.

Nel diritto interno la disciplina di riferimento è l’art. 2082 del Codice Civile, il quale stabilisce che “È imprenditore chi esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”, si denota quindi che la disciplina antitrust europea vada oltre l’art. 2082 in quanto comprende anche i professionisti, la categoria dei lavoratori autonomi, tipologia non rientrante nella nozione di impresa nell’ordinamento interno, ma d’altro canto non si può fare a meno di notare che nella formula europea non rientra il fenomeno del gruppo di società, istituto in cui convivono una pluralità di imprese, autonome da un punto di vista giuridico ma legate sotto il profilo economico, vi è unitarietà e soggezione tra imprese che comporta l’esclusione dei gruppi di società dalla disciplina antitrust europea.

Lo studio del concetto di impresa si apprezza nell’ambito dello studio della concorrenza, in quanto il comportamento delle imprese sul mercato viene studiato ed interpretato dalla teoria economica, secondo la quale la forma migliore a cui tendere per raggiungere il benessere economico sociale, è la concorrenza perfetta, funzionale agli imprenditori rivali ma soprattutto utile al consumatore, che può cosi essere tutelato attraverso la garanzia della miglior produzione a livello qualitativo, del miglioramento del prodotto e dell’abbassamento dei                                                                                                                

10  La Corte si è pronunciata in qualità di giudice dell’impugnazione riguardo alla sentenza del Tribunale di I grado 12 dicembre 2000, causa T-128/98, Aéroports de Paris c. Commissione delle Comunità europee.  

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prezzi. La concorrenza perfetta, tuttavia, è un concetto utopistico difficilmente realizzabile in concreto, verificandosi spesso l’allentamento della pressione competitiva tra imprese, così da lasciare spazio a situazioni di monopolio e oligopolio11.

Queste tipologie di mercato possono celare pratiche vietate dalla normativa antitrust, essi rappresentano dei campanelli d’allarme per l’autorità preposta, tuttavia occorre prestare particolare attenzione alla questione, in quanto non è detto che qualunque distorsione della concorrenza celi un aspetto del tutto negativo: da un’iniziale assoluta avversione si è passati ad un’ottica di “ragionevolezza” nell’esame delle pratiche concorrenziali, l’abuso di posizione dominante s’inserisce proprio in questo ambito.

1.2 La definizione “comunitaria” di posizione

dominante

È bene rammentare fin da subito che esistono due tipologie di posizioni dominanti. La classificazione tipica infatti prevede la posizione dominante individuale e quella collettiva, la seconda verrà analizzata separatamente nel paragrafo successivo, in quanto necessita di considerazioni a sé stanti, per adesso verranno analizzati gli aspetti generali del solo caso della posizione dominante individuale.

L’art. 102 TFUE non si fa apprezzare ai fini della definizione di posizione dominante, ma solo ai fini della definizione di abuso, in quanto prevede che: “È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo. […]”. Dalla lettura del testo dell’articolo infatti, si evidenziano                                                                                                                

11  Per una corretta e puntuale definizione dei due concetti si veda LIEBERMAN – HALL, Principi di economia, pp.265 e pp.292. L’edizione italiana è stata curata da P. Tirelli e E. Colombo, Università degli Studi Milano-Bicocca, 2013.

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alcuni elementi significativi al solo fine della disamina dell’abuso di posizione dominante.

Sebbene introduca l’elemento significativo del pregiudizio12, che risulta al contempo un presupposto per poter individuare la pratica, e un limite alla realizzazione dell’obbiettivo dell’Unione europea di ottenere una concorrenza non falsata, l’art. 102 TFUE non è il termine di riferimento primario.

Inevitabile risulta piuttosto il richiamo alla giurisprudenza della Corte di giustizia. Poiché il legislatore non fornisce una definizione generale di posizione dominante né chiarisce in modo precipuo i presupposti in base ai quali essa si realizza, anche il concetto chiave di pregiudizio rischierebbe di perdersi. Per tale motivo, risulta illuminante la formula elaborata dalla Corte di giustizia nel caso Hoffman-La Roche13.

L’impresa in questione è una società farmaceutica svizzera operante a livello mondiale che sul finire degli anni ’70 mise in atto pratiche elusive della concorrenza stipulando dei contratti con i consumatori, in modo tale che il cliente sarebbe stato premiato con vantaggi economici ogni qual volta che avesse raggiunto percentuali di acquisto in esclusiva con la società Hoffman-La roche. Inoltre il cliente che avesse ricevuto da imprese rivali delle offerte più vantaggiose, era tenuto a riferirlo all’impresa in questione, in modo tale che quest’ultima potesse beneficiare di un diritto di sostituzione, ossia optare per la vendita dei prodotti alle stesse condizioni dell’impresa rivale. Questi accordi vennero definiti “clausola inglese”.

La sentenza ebbe un’illustre portata chiarificatrice, poiché diede un univoco significato alla posizione dominante, tanto che la definizione                                                                                                                

12  Dalla   Comunicazione della Commissione – Linee direttrici la nozione di pregiudizio al commercio tra Paesi dell’UE di cui agli articoli 81 e 82 del trattato [Gazzetta ufficiale C 101 del 27.4.2004], si ricava che con il termine pregiudizio s’intende l’insieme di atti o condotte con implicazioni sia solo nazionali che anche transfrontaliere, che non danneggiano ma influenzano in maniera decisiva un rapporto commerciale.  

13  Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza del 13 febbraio 1979, Hoffmann-La Roche & co. AG c. Commissione delle Comunità europee, causa 85/76, in Raccolta, 1979, cit. pp.525-531 e pp. 544-553.

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così espressa è sicuramente la più accreditata. Ciò nonostante, non sono mancate le critiche, la definizione è stata considerata infatti tautologica e poco utile poiché fa scambiare la causa con l’effetto. In questo frangente si insinuò la teoria economica che diede invece una definizione ovviamente meno giuridica, ma più funzionale.

Per addivenire ad una nuova definizione di posizione dominante la Corte ha rielaborato l’interpretazione degli economisti che parlano di posizione dominante guardando all’individuazione del mercato nelle mani dell’impresa, essi cercano di visualizzarla, tenendo come punto di riferimento il mercato detenuto nelle mani di quell’impresa.

Nello specifico la Corte di giustizia, nel caso United Brands14, la definisce come “una situazione di potenza economica grazie alla quale l’impresa che la detiene è in grado di ostacolare la persistenza di una concorrenza effettiva sul mercato rilevante e ha la possibilità di tenere comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei suoi concorrenti, dei suoi clienti, dei consumatori. […] Siffatta posizione, a differenza di una situazione di monopolio, non esclude l’esistenza di una certa concorrenza, ma pone l’impresa che la detiene in grado, se non di decidere, almeno di influire notevolmente sul modo in cui si svolgerà detta concorrenza e comunque di comportarsi sovente senza doverne tenere conto e senza che per questo, simile condotta le arrechi pregiudizio”.

                                                                                                               

14  Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza del 14 febbraio 1978, United Brands Company e United Brands Continental BV c. Commissione delle Comunità europee, causa 27/76, in Raccolta, 1978, p.207 e ss. (nota come sentenza banane Chiquita), specie p.2741 e ss. Il caso si occupava dell’impresa United Brands accusata dalla Commissione di vendere banane Chiquita a prezzi eccessivi agli acquirenti di certi Paesi europei, poiché le banane con quel marchio avevano un prezzo maggiore rispetto a quelle prive del medesimo, la Commissione ravvisò un abuso di posizione dominante, ma soprattutto, per quel che qui preme sottolineare, la Commissione ritenne che il mercato delle banane fosse un mercato a sé stante basato su un prodotto difficilmente sostituibile per cui definì il mercato geografico di riferimento quello costituito dai paesi Europei che subirono il rincaro dei prezzi delle banane Chiquita.

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Una volta delineata la definizione di posizione dominante, da intendersi come individuale, non resta che procedere all’analisi della posizione dominante collettiva.

1.3 La posizione dominante collettiva

Lo studio della posizione dominante collettiva ha una collocazione peculiare poiché s’inserisce in prima analisi nell’ottica dell’individuazione dei criteri definitori, essa infatti corrisponde ad una possibile manifestazione della pratica illecita15.

Stando alla lettera dell’art.102 del TFUE lo sfruttamento abusivo di posizione dominante può essere realizzato mediante “una o più imprese”, dunque, la posizione dominante può essere detenuta sia uti singuli da una sola impresa, sia congiuntamente da più imprese le quali, considerate singolarmente, non sarebbero monopoliste.

Per dare una definizione adeguata, in primis occorre sgomberare il campo da eventuali circostanze forvianti.

La posizione collettiva infatti, non va confusa con il fenomeno del gruppo di imprese, la sua individuazione va cercata altrove.

La partecipazione ad un gruppo presuppone di norma, la soggezione ad una direzione unitaria che esclude, in principio, ogni possibilità per le imprese di assumere condotte indipendenti, per meglio dire, il gruppo individua un fenomeno plurimo da un punto di vista giuridico mentre indica un fenomeno unitario da un punto di vista economico.

La capogruppo delinea un unico e univoco progetto d’affari, così che le imprese “figlie” si adeguino, non ravvisandosi perciò, l’indipendenza economica delle stesse.

                                                                                                               

15  Sulla posizione dominante collettiva gli studi sono numerosi. Si veda, FLINT, Abuse of collective dominant position, in Legal Issues of European Integration, 1978; GIORDANO, Abuso di posizione dominante collettiva e parallelo oligopolistico: la Corte di giustizia tenta la quadratura del cerchio?, in Foro italiano, 2001, IV; MONTI, The scope of collective dominance under article 82 EC, in Common Market law Review, 2001; CALAMIA, Il diritto comunitario delle imprese e la concorrenza, Pisa, 1999, p.124.

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Considerata l’impossibilità di assimilare la posizione dominante collettiva al gruppo di imprese, e considerata la mancata sussistenza del monopolio per le singole imprese singole, sembra giocoforza, doversi concludere che la fattispecie esaminata vada ricondotta all’oligopolio ovvero al duopolio.

In sostanza si circoscrive la posizione collettiva, detta anche co-esercitata o co-detenuta, alle sole ipotesi in cui si registra un allineamento di comportamenti, semplicemente su un piano pratico, mancando la stipula di un accordo scritto, come avviene invece nella pratica delle intese. L’avvicinamento dovrebbe percepirsi come spontaneo, occasionale, meno articolato e meno organizzato.

In breve, tale posizione è rinvenibile quando attraverso un’azione congiunta, due o più imprese autonome e indipendenti, dimostrino la volontà di cooperare per il raggiungimento di un unico obbiettivo e siano unite sul mercato, da un vincolo che comporti un’unione economica. Dunque ciò che rileva ai fini dell’esistenza di posizione dominante collettiva non è un’unità giuridica, ma un’unica economica. Tale circostanza, potrebbe portare ad assimilare la posizione dominante collettiva al fenomeno del gruppo di imprese, tuttavia, tra le due fattispecie sussistono importanti differenze strutturali che, come già detto, non permettono la sovrapposizione.

Gli economisti che studiano i mercati oligopolisti hanno da tempo affermato che, questi ultimi, sono caratterizzati dalla presenza di un numero minimo di imprese che detengono quote alte di mercato e che spartiscono lo stesso in modo piuttosto omogeneo, così da creare sfasature a livello concorrenziale. Tali rischi sono ancor più percepiti e percepibili nel duopolio, cioè nei mercati costituiti da due sole imprese, in tal caso esse concordano la strategia commerciale in ogni dettaglio al fine di non ostacolarsi reciprocamente, e assumono comportamenti tali da non influenzare negativamente i rispettivi profitti. Pertanto verranno sanzionati i comportamenti che fuoriescono

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dai canoni di una condotta concorrenziale tipica e che evidenziano in qualche modo una falla patologica nel mercato, ciò significa che non tutti i comportamenti non ortodossi siano vietati, occorrerà, caso per caso, verificare la sussistenza dell’eventuale illecito.

Non è comunque chiaro quali siano gli elementi in presenza dei quali è possibile ravvisare l’esistenza di una posizione dominante collettiva, è la stessa Corte di giustizia che, con la decisione sul caso Compagnie Maritime Belge16, ha espresso la volontà di non tracciare i confini della definizione in relazione sia ai vincoli esistenti tra le imprese, sia alla struttura del mercato. Tuttavia di recente la posizione dominante collettiva è tornata ad essere al centro di dibattiti economici e giuridici.17 La Corte di giustizia ha ricavato alcuni parametri da impiegare per stabilire quando si è in presenza della suddetta fattispecie; questi sono: la detenzione di quote di mercato molto elevate e simili tra loro, la conoscenza delle strategie di mercato altrui, la sussistenza di influenza e coordinamenti reciproci, ed infine, la mancanza di strumenti idonei per i concorrenti e per i consumatori, per potersi sottrarre alla logica collusiva creata dalle imprese in posizione dominante collettiva.

2. Lo sfruttamento abusivo di posizione dominante

Lo studio del concetto di posizione dominante è condizione indispensabile per inquadrare lo sfruttamento abusivo.

Si sposta l’attenzione adesso, su ciò che deriva e discende dalle premesse fin ora evidenziate.

                                                                                                               

16  Sentenza del Tribunale di primo grado (Terza Sezione ampliata) dell'8 ottobre 1996, Compagnie maritime belge transports SA e Compagnie maritime belge SA, c. Commissione delle Comunità europee, Cause riunite 24/93, 25/93, 26/93 e T-28/93.  

17  Sentenza del Tribunale di primo grado (Quarta Sezione) del 1 luglio 2008, Compagnie maritime belge SA c. Commissione delle Comunità europee, Causa T-276/04. Si tratta di una decisione che infligge un’ammenda in base ad una decisione anteriore parzialmente annullata dalla Corte.

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La presenza di una posizione dominante è allettante e appetibile per l’imprenditore, in quanto il suo sfruttamento può portare vantaggi ingenti sul mercato. La fattispecie però si presta facilmente alla creazione di illeciti quando si oltrepassa il mero uso, sconfinando nell’ab-uso, che è funzionale al raggiungimento di benefit anticoncorrenziali per l’impresa.

Lo sfruttamento quindi, non è altro che l’illecito legato da un filo conduttore, alla posizione dominante.

Ciò che preme elaborare, è la natura di questo “filo”.

Sorgono spontanei alcuni interrogativi, primo fra tutti, quando sussiste l’abuso? e, cosa s’intende con abuso?, o ancora, cosa significa vietare lo sfruttamento abusivo di una situazione generalmente lecita?

Le risposte a queste domande saranno l’oggetto della seguente trattazione.

Il punto di partenza è rappresentato dalla disciplina del TFUE, dall’art. 102 possono essere ricavati alcuni elementi significativi.

Un primo elemento di grande importanza è che la normativa non vieta la mera sussistenza sul mercato di una posizione dominante, bensì vieta il solo abuso della stessa, la disciplina europea infatti stigmatizza l’abuso, non l’esistenza di per sé di una posizione dominante.

Ciò nonostante questo enunciato non dev’essere condiviso nella sua assolutezza. Ad oggi, sotto questo punto di vista, si è giunti ad una concezione più rigida, tanto da ritenere che laddove vi sia una crescita esterna dell’impresa a discapito di altre imprese e non una normale crescita causata dalla maggior efficienza dell’impresa in posizione dominante, anche la mera sussistenza di un impresa in questa posizione può ricadere nel divieto.

Resta quindi lecita la posizione se raggiunta mediante lo sviluppo naturale di un impresa che utilizza strumenti leciti, come le privative concesse dallo Stato, mentre risulta illecita la crescita esponenziale dovuta a fattori eterogeni e disfunzionali al libero gioco della

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concorrenza, finalizzati alla riduzione dei rivali o al loro annientamento attraverso i vantaggi di cui l’impresa in posizione dominante gode18.

Preme porre in evidenza inoltre, che dallo studio della disciplina europea, si ricava che ai fini dell’individuazione della pratica abusiva, non sia in alcun modo rilevante l’intento, ossia la volontarietà della pratica, ma che si apprezza meramente il fatto che la posizione dominante sia il presupposto della definizione e che l’impresa ostacoli con il suo atteggiamento, lo sviluppo della concorrenza. Ne discende come corollario, che la nozione di abuso ha carattere oggettivo, esso sussiste, come indicato, a prescindere dall’accertamento della volontà dell’imprenditore di contrastare le normali regole concorrenziali, più precisamente, l’abuso in quanto concetto oggettivo, prescinde da valutazioni discrezionali come dolo, colpa o mera volontarietà.

È palese quindi che ricada sull’impresa in posizione dominante una “speciale responsabilità” così definita, in quanto se da un lato essa detiene un forte potere di mercato che le attribuisce notevoli vantaggi economici, dall’altro essa è gravata anche da molti oneri il cui mancato rispetto dà vita all’abuso. Una chiara definizione di “speciale responsabilità” è stata elaborata dalla Corte di giustizia nel Caso Michelin19. Nella specie, l’impresa Michelin produttrice di pneumatici fissò gli obbiettivi di vendita in accordo con i rivenditori all’inizio di ogni campagna annuale, dando luogo ai cosiddetti “ribassi per obbiettivo”, il cui scopo è la realizzazione da parte dell’acquirente, di certi obbiettivi di vendita. La Corte ritenne che la suddetta pratica costituì abuso di posizione dominante a causa dei sistemi di ristorno                                                                                                                

18    Sul passaggio da pratica lecita ad illecita, si veda   per gli aspetti generali, BRECCIA - GROSSI ed altri, Enciclopedia del diritto, Giuffré, 2012, pp.1-50; e per uno studio specifico, si veda GHEZZI – OLIVIERI, Diritto antitrust, Torino, 2013; CAPUANO, Abuso di posizione dominante e proprietà intellettuale nel diritto dell’Unione europea, Napoli, 2012.

19  Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza del 9 novembre 1983, NV Nederlandsche Banden Industrie Michelin c. Commissione delle Comunità europee, causa 322/81, in Raccolta, 1983.

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adoperati dall’impresa Michelin che imposero una pressione notevole sul consumatore, il quale venne spinto ad acquistare il prodotto al termine del periodo di riferimento dell’accordo.

Il caso appena descritto agevola la comprensione del fatto che spesso un’attività lecita svolta da un impresa in posizione dominante, come appunto ad esempio nell’ambito del commercio per pneumatici, può repentinamente trasformarsi in illecito concorrenziale, laddove non vengano adempiute le responsabilità incombenti.

3. I confini della disciplina: il concetto di mercato

rilevante

Avendo riguardo ai profili generali della fattispecie, risulta delineata la nozione giuridica di abuso di posizione dominante, per cui adesso è necessario comprendere i profili specifici della sua realizzazione. Ambire ad ottenere la definizione nei suoi tratti più caratteristici comporta la necessità di dover passare attraverso l’esame di alcune strutture portanti in cui si svolgono le dinamiche delle imprese.

Occorre soffermarsi sul concetto di mercato rilevante o mercato di riferimento. La definizione è stata formulata mediante la Comunicazione della Commissione20 del 9 dicembre 1997, con la quale si stabilì che il mercato rilevante è individuabile in relazione alla combinazione del mercato geografico e di quello del prodotto, da analizzare con riferimento alla sostituibilità sia dal lato della domanda che dell’offerta. Con il termine mercato rilevante, quindi, s’intende il punto cardine, la base concettuale a cui tendere, a cui ispirarsi per                                                                                                                

20  Comunicazione della Commissione sulla definizione di mercato rilevante ai fini dell'applicazione del diritto comunitario in materia di concorrenza [Gazzetta ufficiale C 372 del 9.12.1997]. Nella comunicazione è stabilito che in conformità con il principio della trasparenza, la comunicazione illustra il metodo usato dalla Commissione per definire un mercato rilevante caso per caso. Tale analisi, che include sia il profilo del prodotto che il profilo geografico del mercato rilevante, può essere utilizzata per stabilire se ci sono concorrenti effettivi in grado di condizionare il comportamento delle imprese interessate e di valutare il livello di concorrenza effettiva sul mercato.

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poter verificare la presenza di una pratica illecita, di conseguenza, la nozione di mercato rilevante è di ingente significato poiché la valutazione di un comportamento imprenditoriale può essere effettuata solo prendendo come punto di riferimento l’ambito economico e l’ambito geografico in cui idealmente e fisicamente s’inserisce l’attività commerciale dell’impresa. Si tratta quindi di un luogo, al contempo astratto e concreto, circoscrivibile attraverso un criterio merceologico e un criterio geografico, la cui individuazione costituisce lo strumento propedeutico per la definizione di pratica vietata.

Identificare il mercato rilevante è attività imprescindibile nello studio del diritto antitrust, è il primo anello di una lunga catena, per mezzo del quale si può apprezzare il potere economico detenuto dalle imprese coinvolte. Per gli abusi di posizione dominante, inoltre la definizione del mercato rilevante può risultare o un evento contemporaneo ai fatti, oppure un prius, un’integrazione di un elemento costitutivo dell’illecito. La perimetrazione del mercato è comunque necessaria per comprendere se effettivamente sia lecito parlare di posizione dominante, e se e in quale misura questa sia divenuta illegittima a causa di un suo abuso.

3.1 Il mercato del prodotto

Il mercato del prodotto raffigura il criterio merceologico attraverso il quale è possibile definire l’ambito nel quale le imprese sono in concorrenza, facendo riferimento al concetto di sostituibilità21.

L’interscambiabilità, o sostituibilità, è un parametro che dev’essere analizzato sia dal punto di vista della domanda, lato del consumatore,                                                                                                                

21  Per una disamina approfondita ed attuale del concetto di “sostituibilità” si veda, CORTESE – FERRARO – MANZINI, Il diritto antitrust dell’Unione europea, Torino, 2014; CALAMIA, Manuale breve Diritto dell’Unione europea, Milano, 2013; GHIDINI e altri, Antitrust, regulation, consumer welfare, intellectual property, in Concorrenza e mercato, rivista annuale di concorrenza, 2011; SPAZIANI, Compendio di politicaeconomica, Rimini, 2012.

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che dell’offerta, lato del produttore, nel definire i due concetti occorre tener sempre presenti le linee guida tracciate dalla Commissione22 che ha adottato un criterio di sostituibilità basato sul prezzo, sulle caratteristiche e sulle finalità del prodotto, quindi tiene in considerazione aspetti sia giuridici, sia economici, sia sociali.

Per interscambiabilità del prodotto nell’ambito della domanda s’intende prendere come angolo visuale la prospettiva del consumatore, la teoria economica ritiene che in tale circostanza vi sia interscambiabilità dei prodotti, quando a fronte di una minima variazione dei prezzi del bene A, si registra una progressiva diminuzione dell’acquisto del suddetto bene, a fronte di un aumento dell’acquisto del bene B. Nel qual caso il prodotto A è considerato sostituibile con il prodotto B, per questo si percepisce come l’imprenditore che subisca una perdita di guadagni, non sia in grado di poter gestire e controllare le scelte del consumatore.

Per interscambiabilità del prodotto dal punto di vista dell’offerta invece significa porsi nell’ottica del produttore. È presente quando per l’imprenditore modificare la propria produzione è totalmente ininfluente sul guadagno finale e sulla struttura dell’impresa, nel senso che interrompere la produzione del bene A per passare a produrre il bene B non comporta pregiudizi, costi aggiunti o modifiche strutturali, in tal caso si ha fungibilità dal lato dell’offerta.

Questa seconda ipotesi può essere esemplificata attraverso il richiamo di una nota sentenza della Corte di Giustizia del 1973, il caso Continental Can23, nel quale un’impresa leader nel settore degli imballaggi è stata accusata di abusare della propria posizione                                                                                                                

22  Cfr. nota 20.  

23   Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza del 21 febbraio 1973, Europemballage Corporation e Continental Can Company Inc., cit. pp.215 e ss, caso in cui la Corte di giustizia rileva come “la decisione omette tuttavia di precisare quali siano le caratteristiche che distinguono l’uno dall’altro questi tre mercati (...) in modo da considerarliseparatamente.Neppure viene indicato quali caratteristiche distinguano questi tre mercati dal mercato generale degli imballaggi metallici leggeri”.

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dominante in quanto nel mercato in cui operava non vi era interscambiabilità dal lato dell’offerta, dato che attraverso un semplice adattamento le altre imprese non potevano concorrere con quella monopolista.

Ed in conclusione, una portata eccezionale è attribuita al caso in cui il mercato del prodotto si riferisca a prodotti immateriali, si entra così nella cosiddetta “new economy”, letteralmente sistema nuovo ed innovativo in cui il diritto affronta temi inesplorati poiché nascenti dalla globalizzazione e dalla scoperta di nuove frontiere del commercio24. Poco sopra è stato citato il concetto di informazione, ma si può ampliare il riferimento a tutti i diritti di proprietà intellettuale, i brevetti ad esempio costituiscono un ipotesi di prodotti intangibili, beni di proprietà dell’impresa, persona fisica o giuridica, che a prescindere dai prodotti ai quali si riferiscono inevitabilmente devono essere inseriti in un mercato , il quale a sua volta dovrà essere valutato in termini di interscambiabilità, perché con la creazione di tecnologie sempre più all’avanguardia è facile che un impresa leader del settore per molti anni, posso essere annientata da un’altra di recente creazione, dunque, se una tecnologia sarà qualificata come difficilmente scambiabile rappresenterà un forte ostacolo al libero gioco della concorrenza.

L’analisi di questi mercati sarà chiaramente più complessa, perché ben maggiori saranno le difficoltà incontrate dall’autorità e più numerosi saranno i parametri da tenere in considerazione, ad esempio non potrà essere tralasciato l’esame, lo studio, dell’attività di ricerca e di                                                                                                                

24  Il concetto si sostituibilità nel contesto attuale ha assunto nuove forme ed ha sollevato questioni significative nel caso in cui si sposti l’attenzione a ben immateriali. Il concetto di new economy si colloca proprio in questo contesto, con esso s’intende dire che un profondo sviluppo tecnologico ha reso possibile far rientrare nella categoria di “prodotto” anche beni immateriali quali l’informazione, il pensiero o la parola. Per una prospettiva più generale si veda ANDERMANN, Ec competition law and intellectual property rights in the new economy, in The antitrust Bullettin, 2002, p.285; mentre per approfondire si veda CAPUANO, Abuso di posizione dominante e diritti di proprietà intellettuale nel diritto dell’Unione europea, Napoli, 2012, pp. 41.

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sviluppo, delle modalità di creazione del prodotto, delle sue qualità ed infine delle tecniche utilizzate per il commercio e per la pubblicizzazione; la prospettiva di continuo sviluppo porta alla consapevolezza che sarà necessario sempre più un adeguamento della disciplina originaria alle nuove scoperte, tuttavia, il dato di partenza che ancora resta saldo è la necessità di procedere allo studio del mercato rilevante così come fin’ ora descritto.

3.2 Il mercato geografico

Una volta esplicitati i passaggi logici sottostanti all’individuazione del mercato del prodotto è necessario dare significato al concetto di mercato geografico. Con il termine citato, si suole indicare l’ambito territoriale, il perimetro, lo spazio fisico entro cui valutare la presenza di una posizione dominante, è perciò il luogo geografico che costituisce il mercato rilevante.

Il mercato geografico tuttavia, di recente, ha subito importanti modifiche apportate dai giganti passi in avanti registrati in ambito tecnologico. Se in passato quando ci si riferiva al mercato geografico, la definizione era immediatamente percepibile e ricollegabile semplicemente all’ambito fisico, territoriale su cui circolano i prodotti e i servizi, ad oggi sono state varate nuove frontiere e si è compiuto il fenomeno della delocalizzazione25. Per cui è naturale che in riferimento al mercato geografico talvolta si faccia riferimento ad una molteplicità di sistemi.

È come un collegamento a più rami, uno dei quali ad esempio è rappresentato dal mondo di Internet, ma di questo si dirà tra breve.                                                                                                                

25  Il concetto di delocalizzazione è stato coniato da GAMBINO, (a cura di) Rimedi e tecniche di protezione del consumatore, Torino, 2011, precisamente in Profili comparatistici (coordinamento di Andrea Stazi), ZENO-ZENCOVICH e PAGLIETTI, Globalizzazione, delocalizzazione, europeizzazione: riflessi sul processo dei consumatori, pp.3.  

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Prima di passare a questa particolare ipotesi, di recente creazione, è preferibile definire brevemente le origini del fenomeno. Il criterio geografico è rappresentato dallo sbocco commerciale degli imprenditori che raggiungono la medesima clientela, in altri termini è la zona delimitata dall’output, per cui è necessario il richiamo dell’art. 102, il quale non sanziona solo l’abuso che si realizzi nel mercato comune, sanziona anche l’abuso che si realizzi in una parte sostanziale di esso. Quest’ultimo richiamo non è però sufficiente alla risoluzione della questione, permangono infatti problematiche interpretative dal punto di vista qualitativo e quantitativo.

Per l’aspetto qualitativo risulta illuminante il contributo della sentenza del Tribunale di I grado nel caso Tetrapak26, in cui si sostiene che “il mercato geografico può essere definito come il territorio nel quale tutti gli operatori economici si trovano in condizioni di concorrenza analoghe, con riferimento ai prodotti considerati”.

Per l’aspetto quantitativo, invece, il rilievo pratico è meno preponderante, in quanto potrebbe restare ignoto quale sia la fetta di mercato detenuto dall’impresa monopolista. Se il mercato è suddiviso tra due imprese nelle percentuali di 70% - 30%, la sussistenza di una posizione dominante è lampante; se invece si tratta di percentuali più dubbie quali 60% - 40%, allora può sorgere la difficoltà interpretativa in quanto ci potrebbe essere una fetta di mercato ideona a costituire posizione dominante anche senza essere particolarmente ampia, ne consegue che in questi casi è più influente la qualità del mercato rispetto alla quantità; infine se le percentuali sono 80% - 20% non ci sono dubbi, sussiste una posizione dominante.

                                                                                                               

26  Tribunale di primo grado sentenza del 6 ottobre 1994, Tetra Pak International SA. Il tribunale sottolinea che le condizioni di concorrenza è sufficiente che siano analoghe o abbastanza omogenee. Essa segue alla sentenza del Tribunale di I grado 10 luglio 1990, causa T-51/89, in Raccolta, 1990, nella quale il Tribunale precisa che gli artt. 85 e 86 costituiscono due strumenti indipendenti, che contemplano situazioni distinte.  

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