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5. Le modalità di attuazione dell’abuso

5.2 Casi atipici

Ritenere che al di fuori dei casi previsti all’art. 102 non vi sia spazio per ulteriori forme di pratiche abusive è quanto mai fuorviante e privo di fondamenta, la stessa Commissione insieme alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, hanno ricondotto al suddetto articolo anche ipotesi rimaste in ombra, ma idonee a pregiudicare la struttura del mercato, non siamo infatti in presenza di pratiche cosiddette comportamentali, siano esse di sfruttamento ovvero escludenti, si tratta piuttosto di pratiche strutturali.

L’abuso strutturale è il tema oggetto dell’ultima parte di questa prima trattazione, il concetto di abuso dev’essere interpretato, adesso, con un’accezione più ampia.

L’esistenza di un’apposita disciplina ex art. 102 ha fortemente limitato la possibilità che talune operazioni non comprese all’interno dell’articolo, si potessero classificare come abuso di posizione dominante, questo limite però non è da considerarsi insormontabile dato che si sono registrati, nella pratica, casi che giustificano un’applicazione estensiva dell’art. 102.

In realtà sono numerose le ipotesi in cui si sono verificate violazioni del diritto antitrust soprattutto con monopoli attraverso l’acquisto di diritti di proprietà intellettuale, il riferimento è alle cosiddette collecting societies.

Le società di gestione collettiva, o collecting societies, sono istituti che permettono a più imprenditori, di gestire in comune, attraverso una società, diritti di proprietà industriale, generalmente riguardano un unico settore economico-artistico, come ad esempio il diritto d’autore, e operano in regime di monopolio de iure o de facto, con l’obbiettivo di raccogliere e distribuire royalties.

Varie sono le definizioni con le quali sono stati indicati designati tali organismi, la prima è maturata dalla Direttiva del Consiglio 93/83/CEE, e stabilisce che la società di gestione collettiva è “una società che amministra o gestisce il diritto d’autore o i diritti connessi al diritto d’autore come principale attività o una delle attività principali”; la definizione più accreditata tuttavia è la seconda, enunciata nella relazione presentata all’incontro dell’International Association of Entertainment Lawyers, in cui si prevede che la società di gestione collettiva, sia “a model for turning rights into money”. Per esemplificare, una classica società di gestione collettiva è la SIAE, Società Italiana Autori ed Editori, una società interna al nostro ordinamento ma che opera in tutta l’Unione europea in regime di monopolio legale, la società amministra il diritto d’autore di qualunque manifestazione artistica, sia essa musicale, cinematografica, televisiva, attraverso una gestione collettiva del diritto, ciò significa che vengono gestite diverse opere in un unico ambiente multimediale, e come già indicato in precedenza a proposito del mercato geografico esteso al sistema Internet, il suddetto ambiente richiede un’attività multitasking, ossia una trasmissione contemporanea di una serie ingente di opere in una molteplicità di Paesi, quindi contemporaneamente verranno emesse più autorizzazioni per prestazioni artistiche differenti, la multimedialità è infatti, un tratto caratteristico, intrinseco, delle collecting societies.

In queste particolari circostanze la disciplina della concorrenza per cosi dire ‘tradizionale’ non è sempre d’aiuto poiché i classici strumenti

di controllo ex post, normalmente utilizzati nei casi di illeciti esaminati nel precedente paragrafo, non sono funzionali né tanto meno adeguati alla risoluzione della fattispecie.

La consapevolezza di questa difficoltà, insieme alla crescente importanza assunta da queste società nell’epoca odierna, informata all’utilizzo sempre maggiore, di piattaforme digitali per gli scambi commerciali, ha condotto la Commissione, nel 2012, a presentare una Proposta di Direttiva, prima della quale l’unico riferimento normativo era alla Direttiva 2001/29/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, in cui, al “considerando n.17” era previsto che “soprattutto dalle esigenze che derivano dal digitale, è necessario garantire che le società di gestione collettiva dei diritti raggiungano un livelli di razionalizzazione e di trasparenza più elevato per ciò che riguarda il rispetto delle regole della concorrenza”.

La proposta della Commissione, tuttavia è più incisiva, precisa e puntuale, muovendo esclusivamente nel contesto delle società di gestione collettiva, la Proposta infatti, prevede la creazione di un settore ad hoc, non più meramente marginale, per addivenire alla risoluzione in via principale delle questioni relative ad abusi di posizione dominante da parte di società di gestione collettiva, attraverso diritti di proprietà intellettuale, nello specifico la Proposta fissava alcuni punti principali su cui era necessario intervenire, il primo è la diminuzione dei tempi utili per versare le royalties ai titolari dei diritti, poi di seguito, si previde l’onere a carico della società, di stipulare accordi e concedere licenze multiterritoriali, ed infine l’obbligo di trasparenza.

Quest’ultimo aspetto permette di chiudere un primo significativo aspetto della parte iniziale che caratterizza la presente trattazione, le nozioni appena richiamate devono essere percepite come le fondamenta per le questioni che verranno esaminate nel prosieguo dell’elaborato.

CAPITOLO II

ELEMENTI DI DIRITTO INDUSTRIALE:

PROPRIETÀ INTELLETTUALE E

CONCORRENZA

1. Il diritto industriale: diversi piani d’indagine dalle

origini ad oggi

Con il termine diritto industriale si fa riferimento ad una disciplina che racchiude in sé varie materie relative all’impresa, riflette un nuovo assetto della politica del commercio, comprensiva dello sviluppo tecnologico e produttivo45.

Il diritto industriale parte da lontano e dimostra di avere una lunga storia articolata in fasi e momenti che lo hanno reso un diritto variegato e multiforme, tuttavia è definibile come un “diritto giovane”46, nel senso che viene alla luce in epoca più recente rispetto ad altri settori disciplinari, l’inizio del 1800 rappresenta il momento della svolta.

Questo nuovo diritto comincia a comparire sulla scena europea con la Rivoluzione Industriale, inizia così a svilupparsi una serie di norme relative all’impresa, riguardanti i più disparati argomenti, dalla normativa sui cicli di produzione, alla definizione del mercato, essa è stata studiata da una molteplicità di settori, infatti il diritto industriale dev’essere interpretato in una prospettiva multipla.

                                                                                                               

45  Sulla base della dottrina di GHIDINI, Profili evolutivi del diritto industriale, Proprietà intellettuale e concorrenza, Milano, 2001.  

46  Il diritto industriale può essere definito come un diritto giovane in quanto dagli studi effettuati si evince che la sua origine risale a tempi relativamente recenti. Tali considerazioni sono state svolte sulla base della dottrina di AMBROSINI e altri, Elementi di diritto dell’impresa, Torino, 2010.

Esso è un ramo del diritto legato all’evoluzione del mondo dell’industria in senso lato, campo elettivo degli imprenditori, è una costola del diritto commerciale che in ogni Stato prende forma e si modella sulla base sia della normativa interna, sia dei principi determinati a livello europeo, tuttavia non è un diritto istituzionale che muove da una codificazione, questa sarà realizzata solo molto tempo dopo la sua nascita, il diritto industriale può essere interpretato più come un insieme di regole non scritte che prende vita in un preciso momento storico, per rispondere ad esigenze concrete del mercato. Per quanto attiene alle fonti normative, occorre effettuare una classificazione su tre livelli, ciascuno dei quali corrisponde ad un piano diverso d’indagine, il primo livello quello più antico e sovraordinato è la fonte di diritto internazionale, poi a scendere s’incontra la normativa dell’Unione europea, ed infine uno sguardo dev’essere volto alla disciplina interna all’ordinamento Italiano.

In termini generali, a livello internazionale, costituiscono fonti del diritto industriale la Convenzione dell’Unione di Parigi per la protezione della proprietà industriale (CUP)47, e l’Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale (TRIPS)48, concluso a Marrakech in ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), due normative che avremo modo di contestualizzare più volte nel prosieguo della disamina.

I due interventi sono dotati di un rilievo enorme nell’ambito della disciplina della proprietà intellettuale.

                                                                                                               

47  La Convenzione dell’Unione di Parigi per la protezione della proprietà industriale approvata il 20 marzo 1883, riveduta a Bruxelles il 14 dicembre 1900, a Washington il 2 giugno 1911, all'Aja il 6 novembre 1925, a Londra il 2 giugno 1934 e approvata dall'Assemblea federale il 19 giugno 1939, riveduta poi a Lisbona il 31 ottobre 1958 e a Stoccolma il 14 luglio 1967.  

48  The Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights, tradotto, tradotto, Accordo sugli aspetti commerciali dei  diritti di proprietà intellettuale, spesso noto con l'acronimo TRIPS, è un trattato internazionale promosso dall'Organizzazione mondiale del commercio, ufficializzato dal GATT alla fine dell'incontro avvenuto a Marrakech nel 1994, al termine del negoziato Uruguay Round.  

Brevemente, l’accordo TRIPS ad esempio, in primo luogo, ha fissato i requisiti che le leggi dei paesi aderenti devono rispettare per tutelare la proprietà intellettuale, nell'ambito del copyright, delle indicazioni geografiche protette, dell'industrial design, dei brevetti, dei marchi di fabbrica registrati e di altri ambiti rientranti nella disciplina, ed in secondo luogo ha stabilito le linee guida per l'applicazione delle leggi in materia di protezione della proprietà intellettuale. Dunque la normativa, seppur modificata in vari punti, presenta la medesima struttura portante originaria e rappresenta la base dei principi varati nell’ambito del diritto industriale, che ancora oggi restano punti fermi della disciplina.

Tra le fonti citate poco sopra compaiono poi il diritto dell’Unione europea e il diritto interno.

Analizzare la disciplina europea, significa verificare la regolamentazione specifica di ciascun elemento del diritto industriale quali, marchi, brevetti, opere d’ingegno, per cui le norme rilevanti, non potranno essere analizzate in questa sede come un tutt’uno, piuttosto, verranno menzionate singolarmente durante l’elaborazione di detti elementi nel prosieguo della trattazione. Oltrepassando, quindi, per il momento la suddetta disamina, non resta, che soffermarsi brevemente sulla disciplina interna.

Il diritto industriale nell’ambito dell’ordinamento italiano, trova collocazione in primis nel Codice Civile, precisamente il titolo VIII del Libro Quinto del Codice, intitolato dell’azienda individua i precetti base sul marchio, sulla ditta e sull’insegna49. Ma da una rapida analisi dell’articolo, si pone in luce come la disciplina codicistica non risulti completa e aggiornata, per questo si sono susseguite negli anni, molte leggi speciali finalizzate all’integrazione della materia, come la riforma societaria e fallimentare.

                                                                                                               

Solo nel 2005 si è dato avvio all’iter che ha portato alla creazione di una disciplina ad hoc innovativa ed esauriente per l’intero diritto industriale italiano, ossia il Codice di Proprietà Industriale50. Il quale ha riunito in un unico contesto normativo tutte le norme abrogando molte delle leggi speciali previgenti, in questi termini si è registrata una prima vera “codificazione” interna di una materia fino ad allora frastagliata ed eterogenea.

In conclusione è indispensabile chiarire quali siano gli elementi che costituiscono il diritto industriale. Quando si parla di diritto industriale, il nucleo storico è rappresentato da almeno due aspetti evidenti: le privative industriali, e le normative concorrenziali. La proprietà intellettuale che sarà l’oggetto precipuo dell’indagine, si pone quindi al di fuori di esso.

2. La proprietà intellettuale nel diritto dell’Unione