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Profili di incostituzionalità e diritto alla genitorialità nella legge n.40 del 19 febbraio 2004 sulla procreazione medicalmente assistita.

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INDICE

Introduzione 5

Capitolo I

STRUTTURA NORMATIVA DELLA LEGGE 40/2004

1.1 Principi e finalità della legge: il carattere terapeutico. 7

1.2 Tutela del concepito. 9

1.3 Requisiti soggettivi. 10

1.3.1 Le coppie. 10

1.3.2 La maggiore età dei soggetti che accedono alle tecniche. 11

1.3.3 Sesso diverso. 12

1.3.4 Il requisito della coniugio o convivenza. 13

1.3.5 L’età potenzialmente fertile di chi si deve sottoporre alla PMA. 15

1.3.6 Esistenza in vita dei soggetti richiedenti. 15

1.4 Requisiti oggettivi. 17

1.5 Procreazione eterologa. 19

1.5.1 (segue) La maternità surrogata. 22

1.6 Status giuridico del nascituro. 25

1.7 Divieto di disconoscimento della paternità. 26

1.8 Divieto di anonimato della madre. 28

1.9 Consenso informato. 29

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2 Capitolo II

SULLE QUESTIONI DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DEGLI ARTICOLI 13 E 14 DELLA L. 40/2004

2.1 Divieto di sperimentazione sull’embrione umano tra scienza e diritto. 35

2.1.1 (segue) Il problema della clonazione umana. 38

2.1.2 (segue) La questione della diagnosi preimpainto. 40

2.2 Divieto di crioconservazione degli embrioni, limite di tre embrioni e

contemporaneo preimpianto. 42

2.3 Orientamenti giurisprudenziali dal 2004 ad oggi in relazione ai divieti imposti dagli

articoli 13 e 14 l. 40/2004. 45

2.3.1 Prima questione di legittimità costituzionale concernente l’articolo 14 della

legge 40/2004. 46

2.3.2 La posizione della Consulta sulla diagnosi pre-impianto a distanza di due

anni dall’entrata in vigore della legge 40/2004. 49

2.3.3 La svolta: la posizione del Tribunale di Cagliari 24 settembre 2007 e del Tribunale di Firenze del 17-18 dicembre del 2007: l’interpretazione

costituzionalmente orientata delle disposizioni in materia di diagnosi pre-impianto. 53 2.3.4 Tar Lazio n. 398 del 2008: annullamento linee guida del ministero della

salute del 2004. 57

2.3.5 Prima pronuncia di incostituzionalità della l. 40/2004. 60

2.3.6 Giurisprudenza successiva alla Corte Costituzionale del 2009. 64

2.3.7 Diagnosi pre-impianto al vaglio della CEDU. 68

2.4 Il difficile bilanciamento tra la tutela dell’embrione e la tutela della salute della

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3 Capitolo III

LA FECONDAZIONE ETEROLOGA TRA ORDINAMENTO INTERNO E CEDU.

3.1 Fecondazione eterologa come strumento per realizzare il diritto alla vita privata e il

diritto alla genitorialità. 73

3.2 Le questioni di legittimità costituzionale sul divieto di eterologa proposte alla Corte Costituzionale dai Tribunali di Firenze del 6 settembre 2010 di Catania del 21 ottobre

2010 e di Milano del 2 febbraio 2011. 76

3.3 Pronuncia della Grande Chambre del 3 novembre 2011: ribaltamento della

decisione della prima Camera. 81

3.4 Recenti interventi dei Tribunali interni sulla questione della fecondazione eterologa. 83

Capitolo IV

SITUAZIONE DELLA PMA IN ALCUNI PAESI EUROPEI.

4.1 Brevi cenni. 87 4.1 Francia. 87 4.2 Germania. 91 4.3 Austria. 94 4.4 Spagna. 95 4.5 Regno Unito. 99 Conclusioni 101

(4)

4

“Andrebbero insegnati i valori comuni a credenti e non, il perdono, non fare male agli altri, la solidarietà…

Ma soprattutto, bisognerebbe imparare a dubitare, a diventare scettici.”

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5

Introduzione

Dopo anni di dibattiti e progetti di legge, l’Italia è giunta a dotarsi di una regolamentazione giuridica in materia di procreazione medicalmente assistita. Infatti, con la legge 19.2.2004 n. 40 si è colmato un vuoto normativo che aveva portato l’Italia a rimanere pressoché l’unica nazione, tra i paesi c.d. «avanzati» a non disporre di una normativa specifica in materia. Fin dalla sua entrata in vigore, la legge ha attraversato una fase di grande difficoltà. Con il referendum del 2005, attraverso il quale si era cercato di eliminare alcuni divieti posti dalla legge, la normativa sembrava essersi consolidata, cioè destinata a non riconoscere cambiamenti significativi. Ma in realtà è proseguita fino ad oggi una «lunga marcia»1 per modificare o eliminare i molteplici divieti e l’ eccessivo rigore che la legge porta con se. Le ragioni per le quali la legge è stata oggetto di aspre critiche va ricercata proprio nel difficile equilibrio tra gli interessi coinvolti, come la libertà di procreare dei soggetti aspiranti genitori, la tutela della loro salute, la tutela della vita e della salute nel nascituro e la libertà di ricerca scientifica. Nell’interpretazione della legge si deve fare ricorso a quella che è la cosiddetta «teoria del bilanciamento2 quale criterio che consente di stabilire con riferimento a determinate fattispecie, se un certo valore sia preminente o no rispetto a un altro valore, dovendo in quest’ultimo caso essere limitato in ragione di un principio costituzionale con esso confliggente. Non sono mancati dunque fin da subito dubbi sulla legittimità costituzionale della legge, da parte della dottrina e poi della giurisprudenza. Tuttavia la normativa ha impiegato oltre cinque anni per giungere davanti alla Corte Costituzionale per una verifica della sua legittimità. I contrasti della legge 40/2004 con i principi e i valori costituzionali, derivano nel loro complesso da quello che è il presupposto della legge stessa: il riconoscimento della soggettività dell’embrione. Dunque il punto critico sta proprio nella preminenza attribuita dal legislatore al concepito-embrione rispetto ad altri soggetti e ai diritti ad essi riconosciuti ad un altro diritto fondamentale, il diritto alla salute della madre e il diritto alla genitorialità. Non vi è dubbio che il legislatore si sia trovato di fronte a un compito difficile, ma questo non ha

1 Dolcini, La lunga marcia della fecondazione assistita. La Legge 40/2004 tra Corte

costituzionale, Corte EDU e giudice ordinario, Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2011, 428-457.

2

G. Zagrebelsky, Il diritto mite. Legge diritti giustizia, Einaudi, Torino,

1992; R. Bin, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Giuffrè, Milano, 1992.

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6

impedito di formulare dei veri e propri rilievi critici. Come si vedrà nel resto della trattazione più di uno sono i profili problematici che si ricavano dalle disposizioni. Sarà compito della dottrina e della giurisprudenza, in particolar modo della giurisprudenza costituzionale, individuare i punti problematici ed i profili di dubbia costituzionalità della legge, in tal modo indicando al legislatore la strada per un possibile e non facile intervento correttivo. Anni di dibattiti e numerosi progetti di legge che hanno preceduto ed hanno seguito la legge sulla procreazione assistita, dimostrano, d'altro canto, come non sia facile trovare, a livello politico e legislativo, un accordo su un progetto alternativo o, quanto meno, su un intervento modificativo di questa legge .

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7 Capitolo I

STRUTTURA NORMATIVA DELLA LEGGE 40/2004.

1.1 Principi e finalità della legge: il carattere terapeutico.

Bisogna preliminarmente osservare, come si può evincere dal titolo della legge in questione, che scopo principale delle tecniche riproduttive3 è la procreazione, ossia la nascita di un nuovo essere umano4.

La legge poi enuncia in modo esplicito le sue finalità , ossia consente il ricorso alla procreazione medicalmente assistita solo «al fine di favorire la soluzione di problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità e infertilità umana» e «qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità e infertilità» (art. 1. L.40/2004). Queste patologie costituiscono il presupposto perché si possa legittimamente usufruire delle tecniche procreative. La legge non spiega il significato della sterilità o infertilità, che sono invece definite nelle linee guida del Ministero della salute del 2004 e nelle nuove linee guida del 2008 che utilizzano i due termini come sinonimi. «Viene definita sterilità (infertilità) l’assenza di concepimento oltre ai casi di patologia riconosciuta, dopo 12/24 mesi di regolari rapporti sessuali non protetti». Gli obiettivi della legge, quindi, sono rivolti alle coppie sterili o infertili, la cui condizione di impedimento alla procreazione non sia risolvibile con altri metodi terapeutici efficaci. A tal proposito è bene ricordare, che non è concesso nessun altro intento, né di ricerca né di selezione del sesso.

Circa il rifiuto dell’eugenetica, la legge si mostra in linea con quanto previsto dalla convenzione di Oviedo del 1997 e di altri trattati internazionali . Tuttavia emerge una maggiore rigidità nella nostra legge. Proprio rispetto alla finalità, va detto che quasi la totalità degli ordinamenti culturalmente e giuridicamente più vicini al nostro permettono l’accesso alle tecniche non solo per problemi derivanti

3Occorre specificare che si ha procreazione medicalmente assistita tutte le volte in cui il

concepimento umano non avviene mediante l’ unione c.d. naturale tra un uomo e una donna, ma si rende necessario l’intervento delle conoscenza scientifiche che permettono a coloro che non possono avere un figlio di realizzare quel desiderio,cosi profondo e naturale di maternità e paternità. Senza inoltrarsi in complesse specificazioni di carattere medico-scientifico bisogna effettuare una prima classificazione tra fecondazione in vivo, che consiste nell’incontro tra gamete maschile e femminile all’ interno del grembo della donna , e fecondazione in vitro, che invece è caratterizzata dalla formazione dello zigote in provetta e dal successivo trasferimento nell’ utero femminile.

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dall’infertilità e sterilità umana, ma anche nel caso in cui esista il pericolo di trasmettere al nascituro malattie ereditarie gravi. La decisione di configurare il ricorso alle tecniche di PMA solo come soluzione di problemi riproduttivi si correla strettamente con quanto viene enunciato negli articoli successivi, soprattutto negli art. 4 e 5 . Infatti nell’art. 4 è ribadita nettamente la scelta di circoscrivere la PMA ai casi di sterilità o infertilità, mentre nell’art. 5 che illustra i requisiti soggettivi per l’accesso alle tecniche è chiaramente indicata la dimensione della coppia, coniugata o convivente, come ambito entro il quale si esercita la soluzione «riproduttiva», nel rispetto della doppia figura genitoriale e dell’istituto familiare.

Si può rilevare che le conoscenze scientifiche in campo medico incidono significativamente nella sfera di soggetti incapaci di generare per «vie naturali». Da anni sterilità e infertilità sono in aumento e l’intervento del medico non è sempre in grado curare tali patologie, ecco perché il ricorso alle tecniche procreative si rivela molto utile. Negli anni i progressi scientifici hanno permesso anche di ottenere nuovi risultati: attraverso la diagnosi pre-impianto è infatti possibile individuare l’embrione malato e di conseguenza scegliere se proseguire nell’intento procreativo.

La procreazione assistita viene inoltre incontro a quei soggetti che pur non presentando alcuna patologia non possono diventare genitori: le donne e gli uomini soli, e le coppie omosessuali. Dunque le nuove tecnologie costituiscono forme di aiuto per tutti coloro che nutrono il desiderio profondo di diventare genitori. Tuttavia se da una parte il progresso scientifico ha ampliato le possibilità di filiazione, ha al tempo stesso originato molte preoccupazioni e perplessità di carattere etico, filosofico e culturale. Questo perché le tecniche procreative hanno scardinato delle certezze antropologiche quali la maternità e paternità, da sempre indiscutibili, e ne hanno imposto una ridefinizione dei concetti stessi5.

In conclusione si può rilevare come la disciplina in materia è sicuramente restrittiva ed infatti dal 2004 fino a oggi sono stati molti i ricorsi presentati, che hanno messo in discussione la legittimità e l’eccessiva severità che la legge prevede. L’argomento sarà trattato più approfonditamente nel secondo e terzo capitolo

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9 1.2 Tutela del concepito.

Posta la necessaria finalità terapeutica della procreazione, lo stesso articolo 1 dichiara espressamente che scopo della legge è «la tutela di tutti i soggetti coinvolti compreso il concepito» al quale viene dunque attribuita la qualità di soggetto. Questa è sicuramente un’enunciazione di principio forte e che è in grado di caratterizzare tutta la normativa e di costituire un punto di riferimento costante di ogni dubbio interpretativo. Sebbene la norma si riferisca al concepito e non all’embrione deve ritenersi che la nuova legge «abbia inteso identificare , ovvero rendere tra loro assolutamente fungibili », i due termini in questione e «che le norme a difesa del concepito si possono individuare in quelle dettate per la difesa dell’embrione6».

L’importanza della qualifica del concepito come « soggetto » è significativa soprattutto se la si collega alla titolarità di diritti umani ciò che, conseguentemente, ne comporterebbe una parificazione con gli altri soggetti coinvolti. Sul punto però vi sono orientamenti contrari. Secondo alcuni autori7 , in linea con l’orientamento del legislatore, la norma esprimerebbe la volontà di riconoscere al concepito-embrione una piena soggettività giuridica, questione per altro che a detta di altri metterebbe in discussione il principio affermato dall’art 1 c.c., per il quale è con la nascita che il soggetto acquista la capacità giuridica e dunque anche un riconoscimento come soggetto di fronte all’ordinamento8. Per altri9 il vero motivo per cui non sembra possibile riconoscere la soggettività e quindi la titolarità di diritti soggettivi al nascituro è che tale riconoscimento risulta incompatibile con l’ assenza di autonomia e interdipendenza del concepito con la madre di cui è parte. Questo riconoscimento porterebbe inevitabilmente a un conflitto con la madre, che è portatrice essa stessa di interessi propri e spesso in contrasto proprio con quelli del nascituro10. Riconoscere a livello giuridico una soggettività all’essere umano che ancora non ha raggiunto vita autonoma

6Villani R., La procreazione medicalmente assistita, La nuova legge 19 febbraio 2004 n.40,

Torino, 2004, 30.

7

Scalisi A., Lo statuto giuridico dell’embrione umano alla luce della legge 40/2004 in tema di procreazione medicalmente assistita, in Fam. E Dir., 2, 2005, 204.

8Ferrando,www.deputati.it/Dossier/Procreazione/FecondazionAssistitaGiuristi.htm., 50 cit. 9 B. Mastropietro, Procreazione assistita:considerazioni critiche su una legge controversa, in Dir.

famiglia 2005, 04, 1379.

10Vedi sull’argomento, Zatti P., La tutela della vita prenatale:i limiti del diritto, in Nuova giur.

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significherebbe porre su uno stesso piano madre e feto, con la conseguenza che quest’ ultimo potrebbe vantare diritti sulla stessa (questo non toglie tuttavia che all’embrione possa attribuirsi soggettività; v. art. 462 c.c., dove si riconoscono diritti in favore del soggetto non ancora concepito; oppure art. 254 sul riconoscimento successivo al concepimento).

Occorrerebbe partire da un dato di fatto, ossia che l’impossibilità di un’equiparazione totale tra l’embrione e una persona umana, avallata peraltro dalla Corte Costituzionale11, verrebbe confermata dalla attuale legge sull’interruzione di gravidanza. Ciò che si può senza dubbio sostenere è che presupposto di ogni intervento del legislatore riguardo alla legge sulla procreazione medicalmente assistita è la prevalente tutela dell’embrione. Dunque si può affermare che la legge manifesta in pieno l’adesione a una precisa impostazione ideologica che permea l’impianto complessivo della legge.

1.3 Requisiti soggettivi.

Tra le diverse forme di genitorialità rese possibili dalle nuove tecniche procreative, la legge consente il ricorso alla sola fecondazione omologa, cioè quella che agevola la procreazione all’interno della coppia, attraverso l’unione dei gameti appartenenti ai due futuri genitori. All’individuazione dei requisiti è dedicato l’art. 5 della legge in questione, la quale dispone che possono far ricorso alla PMA solo: a) le coppie b) di persone maggiorenni c) di sesso diverso d) coniugate o conviventi e) in età potenzialmente fertile f) i cui componenti siano entrambi viventi.

1.3.1 Le coppie.

La limitazione del ricorso alle tecniche procreative a favore di sole coppie trova la propria ragione, secondo l’orientamento recepito dal legislatore, nella tutela del prevalente diritto del minore « ad avere una famiglia normale , nella quale cioè egli possa essere allevato e guidato dalla presenza amorevole dei due genitori di, sesso diverso, che si assumono la responsabilità della procreazione»12 e dunque

11Corte cost.18 febbraio n. 27/1975 in Foro.it.: «l’interesse costituzionalmente protetto relativo al

concepito può venire in collisione con altri beni che godono pure essi di tutela costituzionale e (…) di conseguenza, la legge non può dare al primo una rilevanza totale e assoluta, negando ai secondi adeguata protezione».

12Santosuosso F., La procreazione medicalmente assistita, Commento alla legge n 40 2004,

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nel diritto del minore alla figura della doppia genitorialità. In altre parole, secondo il legislatore, l’accesso alla tecnica di procreazione assistita si può attuare solo se compatibile con gli interessi fondamentali e giuridicamente tutelati del nascituro. Dunque il nascituro sarà tutelato solo nell’ambito di una struttura familiare tradizionale13, che ovviamente secondo la ratio legis è la più idonea a realizzare la personalità del nascituro. Da questo primo requisito si può evincere che è escluso il ricorso alla PMA a uomini e donne singles, in quanto evidentemente non rappresentano il modello di famiglia tradizionale. Da questo principio di fondo discende che non sono legittimati a provocare la nascita di una nuova persona (con i relativi diritti ad essa costituzionalmente garantiti) donne nubili e vedove14, e uomini che siano disposti alla maternità surrogata.

1.3.2 La maggiore età dei soggetti che accedono alle tecniche.

Altro requisito previsto dalla legge è la maggiore età. Entrambi i componenti debbono essere maggiorenni. Per quanto il legislatore non sia stato esplicito sul punto, quest’interpretazione trova conferma nell’art. 12 al comma 2 che prevede una sanzione amministrativa pecuniaria per il medico che applichi le tecniche a coppie i cui componenti siano minorenni15.

Bisogna sottolineare come la legge non determina un limite fisso massimo di età dei soggetti richiedenti, rinviando al medico la valutazione sull’accertamento della potenziale fertilità, utilizzando cosi una soluzione da più parti condivisa. Invece, la scelta di stabilire un limite minimo all’accesso ai maggiorenni non è stata unanimemente condivisa. Difatti la discriminazione tra maggiorenni e minorenni viene ritenuta di dubbia costituzionalità, tenuto conto dei diversi atti che il minore nel nostro ordinamento può compiere. Il minore di diciotto anni, come noto, con il matrimonio diviene emancipato ossia acquista la capacità di agire, seppur con delle limitazioni. Peraltro questo comporta la sottrazione del minore dalla potestà genitoriale, conferendogli la piena capacità di agire per il compimento di atti di ordinaria amministrazione e per quelli di natura personale. Attualmente poi l’articolo 250 c.c. così come modificato dalla legge L. 10.11.2012, n. 219, in

13Martini A., Profili giuridici della procreazione medicalmente assistita, Editoriale scientifica,

2006, 11.

14Sul caso delle vedove richiedenti l’accesso alla PMA con seme del marito premorto vedi

Tribunale di Palermo 8 gennaio 1999 in senso favorevole e Tribunale di Bologna 9 maggio 2000 in senso contrario.

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materia di riconoscimento dei figli naturali , prevede che « il riconoscimento non può essere fatto dai genitori che non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età». Con ciò ampliando la sfera degli atti che il minore emancipato può compiere. Ed altri ancora sono gli atti previsti nel codice civile che il minore può compiere. C’è chi16 sostiene che la disposizione in esame introdurrebbe una limitazione alla capacità di agire riconosciuta al minore emancipato, il quale potrebbe compire atti di ordinaria e di straordinaria amministrazione, senza però poter decidere di avere un figlio tramite PMA.

In tal caso ritengo che nell’ipotesi in cui i minori entrambi emancipati avessero tutti gli altri requisiti richiesti dalla legge, non vi sarebbe ragione di negare l’accesso alle tecniche di PMA.

1.3.3. Sesso diverso.

Ulteriore presupposto richiesto al fine di accedere alla procreazione assistita è quello che essa avvenga da parte di coppie di sesso diverso. E’ ovvia l’implicita esclusione di coppie omosessuali dal ricorso alla procreazione medicalmente assistita.

Se si analizza la questione dal punto di vista delle coppie omosessuali, per realizzare il desiderio di avere un figlio occorrerebbe nel caso di una coppia maschile poter ricorrere alla maternità surrogata e nel caso di una coppia di donne poter utilizzare tecniche di tipo eterologo, entrambe vietate17. Bisogna anche constatare che questo divieto risponde ad un altro assunto fondamentale per il testo in esame, ossia « che queste unioni difficilmente offrono prospettive di una seria assunzione di responsabilità e, soprattutto, non garantiscono al fanciullo l’equilibrata educazione da parte di una doppia figura genitoriale nell’ambito di una famiglia normale18», cosi per altro tale requisito si pone sulla stessa linea del primo dei requisiti richiesti.

Si sono da più parti sollevate critiche per la limitazione alle sole coppie di sesso diverso, tale divieto infatti non mi sembra coerente con l’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea19, che stabilisce il divieto di

16Villani, op. cit., 2004, 71 e ss.

17Cosi sottolinea Dogliotti M. e Figone A., Procreazione assistita,fonti,orientamenti e linee di

tendenza, Commento alla legge 19 febbraio 2004 n.40,Milano Assago, 2004, 141.

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Santosuosso F., op. cit., 49.

19 Il comma 1 dell’articolo 21 stabilisce che: «È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata,

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discriminazione in base alle diverse tendenze sessuali. Tuttavia fino a che il nostro ordinamento non riconoscerà almeno un’unione legale cioè non si darà luogo alla legalizzazione delle unioni tra omosessuali tra coppie dello stesso sesso, non si potrà obbiettare che la legge in questione violi i diritti riconosciuti nel nostro paese alle coppie omosessuali.

1.3.4. Il requisito della coniugio o della convivenza.

Possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, secondo l’art. 5, coppie di coniugi o conviventi.

In relazione al requisito che richiede una coppia coniugata si è rilevato come il Legislatore non abbia ritenuto di ancorare il rapporto di coniugio all’inesistenza di una separazione personale tra coniugi, in atto o al momento della fecondazione , o quanto meno all’inesistenza di una separazione di fatto tra gli stessi20. In questo caso vi è una lacuna legislativa che si era tentato di colmare attraverso proposte presentate prima della legge21. Ad ogni modo in mancanza di un riferimento legislativo in tal senso, pare doversi escludere tale possibilità coerentemente con l’impianto normativo che punta sulla doppia figura genitoriale. Infatti la separazione di fatto, pur non sospendendo gli obblighi coniugali, realizza una interruzione effettiva e stabile della convivenza. Per altro come sostengono Dogliotti e Figone « i coniugi separati, anche di fatto, non costituiscono più coppia (…) e anche per questa ragione l’ impianto dovrebbe essere limitato al caso di coniugi conviventi22» . Laddove poi la situazione di separazione venisse a cessare ed essi esprimessero una volontà di procreare con le tecniche previste dalla legge 40/2004 attraverso un loro comportamento non equivoco, si ricostruirebbe un unità familiare che porrebbe cosi fine agli effetti della separazione.

genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, ilpatrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali.»

20F.Naddeo, Accesso alle tecniche in Stanzione e Sciancaleporel, 67, ha evidenziato come «La

mancata previsione delle conseguenze della separazione personale costituisce, dunque,una grave lacuna legislativa».

21Ad esempio, la Commissione presieduta da F.D. Busnelli, che stabiliva che potevano accedere

alle tecniche di procreazione solo soggetti coniugati che non fossero separati anche di fatto e che non avessero presentato una domanda giudiziale di separazione o di scioglimento e del matrimonio; il testo di Baldini e Cassano ,Persona, biotecnologie e procreazione, Milano, 2002 , 542.

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Riguardo invece all’altro requisito, ossia la legittimità di accesso alle tecniche procreative anche per le coppie di conviventi, la legge ha sicuramente previsto un’ elemento di novità rispetto ai diritti previsti nel nostro ordinamento per i conviventi c.d. more uxorio. Tuttavia il semplice riferimento alle coppie conviventi, senza altre indicazioni riguardo alla durata della convivenza, suscita delle perplessità per chi si trova a interpretare la legge in questione, abituato a dover tenere presente la prevalente tutela del soggetto-concepito e del modello ideale di famiglia. Come sostiene Busnelli, «se scopo del legislatore era quello di cercare di garantire al nascituro la presenza al suo fianco di entrambi i genitori, assicurando per quanto possibile, una ragionevole aspettativa di stabilità della coppia (…) non pare che la odierna, generica previsione sia sufficiente ad assicurarne il conseguimento23». Era auspicabile maggiore chiarezza relativa proprio alla stabilità della convivenza24,come ad esempio la legislazione francese, che nella sua legge sulla procreazione assistita richiede almeno due anni di convivenza pregressa.

Si può affermare che il diritto alla bigenitorialità viene assicurato preminentemente al momento della fecondazione dell’ovulo. Diversamente, nella fase successiva della «gestazione» ed ancor più in quella della nascita, quando ancora l’elemento della bigenitorialità dovrebbe «assistere» il nascituro, la legge non garantisce la perdurante stabilità della convivenza o l’integrità del rapporto matrimoniale di coppia. Si deve concludere che la legge riconosce in capo al concepito l’esistenza di un diritto alla bigenitorialità solo al momento della fecondazione. Perciò non corrisponde al vero l’assunto che la norma tuteli il concepito, nel senso che il nuovo nato si apre alla vita con ambedue i genitori. Tali considerazioni indurrebbero a negare che il «concepito» abbia un diritto alla bigenitorialità subordinato all’evento della nascita, atteso che esso trova maggiore forza e tutela proprio e solo nella fase anteriore ad essa.

23Busnelli, Procreazione artificiale filiazione adottiva, in Fam., 2003, cit., 22.

24 Come sostiene Villani, op. cit., 72: «meglio sarebbe stato che il precetto normativo fosse stato

ulteriormente precisato» e «se si fosse richiesta alla coppia la dimostrazione di una pregressa convivenza di una durata predeterminata(…)tale da costituire quanto meno un indizio di stabilità del rapporto sufficientemente attendibile».

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15 1.3.5 L’età potenzialmente fertile di chi si deve sottoporre alla PMA.

Altro requisito richiesto è quello dell’età potenzialmente fertile di entrambi i genitori. Dunque, si possono individuare due termini: uno iniziale dato dalla maggiore età della coppia richiedente e l’altro finale dell’età potenzialmente fertile.

Sicuramente la circostanza che la coppia non debba aver superato l’età potenzialmente fertile risponde a una duplice finalità; quella cioè di evitare rischi per la salute della donna derivanti proprio dall’applicazione delle tecniche,sia, in conformità con l’impostazione normativa della legge25 di evitare l’eccessivo divario di età tra l’età del figlio e quella dei genitori.

La mancanza di un’età prefissata, oltre la quale non sia possibile ricorrere alla procreazione assistita è comprensibile, dato che non è possibile individuare in natura un’età procreativa definita. Anche se non si può non riscontrare che lascia comunque dei dubbi interpretativi. Tuttavia il legislatore non pare aver dato eccessiva importanza a tale requisito, dal momento che non ha previsto il requisito dell’età potenzialmente fertile tra i requisiti che devono risultare dalla dichiarazione della coppia richiedente26, ai fini dell’applicazione di una sanzione, la quale invece è applicata in mancanza di tutti gli altri requisiti richiesti dalla legge. Come rileva Villani è probabile che il legislatore sia incorso in una omissione che «non sembra poter essere colmata in via di interpretazione, non essendo lecito estendere la sanzione a casi non espressamente previsti27».

1.3.6 Esistenza in vita dei soggetti richiedenti.

Ultimo dei requisiti soggettivi richiesti dalla norma (art. 5) è l’esistenza in vita di entrambi i componenti della coppia. I progressi della ricerca e della tecnica rendono infatti possibile il desiderio di avere un figlio anche dopo la propria morte o quella del partner28. La nostra norma, nello stabilire che possono accedere alla procreazione assistita solo coppie di soggetti entrambi viventi, pone un generico divieto di fecondazione c.d. post mortem.

25 Cosi anche Villani R., op. cit., 73 ss.

26 Villani R., op. cit., 74 e Dogliotti M. e Figone A., secondo cui la mancata previsione di un’ età

potenzialmente fertile all’art 12 , 2 comma è un omissione del Legislatore.

27

Vedi Villani, op. cit., 217.

28Vedi Villani R., op. cit., 175 e ss., per una specificazione delle modalità con cui procedere alla

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Tale questione è però molto dibattuta in dottrina, infatti fin dall’entrata in vigore della legge in dottrina si contrapponevano diverse opinioni.

Una parte della dottrina29 riteneva che la fecondazione post mortem, dovesse essere ammessa sulla base del diritto alla procreazione, sul diritto a fondare una famiglia, sul diritto al rispetto della vita familiare e dunque ai principi di libertà sessuale e trasmissione della vita.

Opinione diversa sosteneva invece l’illegittimità della pratica in quanto lesiva del diritto del figlio ad essere istruito, educato e mantenuto dai propri genitori di cui agli artt. 29 e 30 Cost.30e dai quali si evincerebbe il diritto alla doppia figura genitoriale, nei limiti più volte detti precedentemenete. E, dunque, «la fecondazione post mortem sarebbe risultata in contrasto con tale diritto, consentendo di pianificare la venuta al mondo di una persona in deliberata assenza della figura paterna»31.

Nella realtà sono però molte e diverse le ipotesi nelle quali si può incorrere in una fecondazione post mortem: ad esempio nel caso in cui il marito e convivente venga meno dopo la formazione degli embrioni ma prima del loro trasferimento in utero della donna, (nel caso in cui a mancare fosse la donna non si porrebbe il problema in quanto la crescita dell’embrione dovrebbe continuare nel corpo di una terza persona e questa è un ipotesi che nel nostro ordinamento è vietata).

In relazione proprio a questa possibile vicenda che si è verificata nella realtà, si è pronunciato il Tribunale di Palermo32 nel 1999 prima dell’entrata in vigore della legge. Il giudice aveva in quel caso accolto la richiesta di una donna rimasta vedova, dopo aver iniziato le pratiche di PMA, di poter utilizzare gli embrioni ottenuti con il gamete del marito premorto crioconservati presso un centro di medicina, per l’impianto. Infatti la donna da prima si era rivolta al centro per ottenere anche dopo la morte del coniuge l’impianto degli embrioni congelati, ma il centro si era rifiutato, stante inoltre il divieto stabilito dal codice deontologico33 di eseguire la procreazione assistita dopo la morte di uno dei partners. Ad ogni modo il giudice in quel caso ordinò al centro l’immediato adempimento della

29Lojacono V., « Voce inseminazione artificiale (diritto civile), in Enc. Del dir., Milano, 1971, 757

e vedi anche Bianca, Diritto civile, la famiglia, le successioni, Milano, 2001, 351.

30

Auletta T., Fecondazione artificiale:problemi e prospettive, in Quadrimestre, 1986, 22.

31Villani R., op. cit., 177.

32 Tribunale di Palermo 8 gennaio 1999, in Fam. e dir., 1999, 52 con nota di Dogliotti. M.

33 il codice di deontologia medica italiano, il quale all’art. 42 vieta di attuare «a) forme di

maternità surrogata; b) forme di fecondazione assistita al di fuori di coppie eterosessuali stabili; c) pratiche di fecondazione assistita in donne in menopausa non precoce; d) forme di fecondazione assistita dopo la morte del partner».

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prestazione professionale mediante il transfer degli embrioni nella donna. Il giudice palermitano, pur non negando il diritto alla doppia figura genitoriale aveva ritenuto che l’art. 30 della Costituzione che salvaguardia il diritto dei figli a crescere e ad essere educati, mantenuti e istruiti trova però il limite nel diritto alla vita del nascituro e nel diritto all’integrità fisica e psichica della madre, anch’essi costituzionalmente protetti dagli art. 2 e 32 Cost. Quindi il giudice, effettuando un bilanciamento dei diritti in gioco, ha postulato la prevalenza dei secondi rispetto ai primi.

A parte questa vicenda, l’art 5 della legge 40/2004 sembra vietare qualsiasi forma di procreazione quando alla morte di uno dei soggetti l’embrione non si sia ancora formato:dunque non è possibile prelevare materiale genetico da persone decedute. La legge non approfondisce comunque le questioni rilevanti e in particolare si ritrova una grossa lacuna riguardo allo status del figlio nato in violazione del requisito in questione34.

1.4 Requisiti oggettivi.

L’articolo 4 della legge in commento è denominato «Accesso alle tecniche». I primi due commi ripetono sostanzialmente una serie di disposizioni già previste in altri articoli della legge, come: la limitazione ai casi di sterilità o infertilità (art. 1 comma 1), il ricorso alle tecniche di PMA se non siano possibili altri metodi terapeutici efficaci (art. 1 comma 2) e il consenso informato (art 6)35.

Non si può accedere alle tecniche se non si è dimostrata la sussistenza di una specifica causa di sterilità o infertilità36, oppure la sussistenza di una causa di sterilità/infertilità anche non conoscibile e l’impossibilità di rimuoverli con interventi diversi dalla PMA. Le tecniche dunque costituiscono l’extrema ratio cui ricorrere quando tutti gli altri strumenti terapeutici contro la sterilità o l’infertilità risultino inutili. In ogni caso il medico deve certificare, evidentemente per iscritto, documentandola, come richiede la norma la sterilità o l’ infertilità della coppia. Tale requisito oggettivo ha suscitato non pochi problemi. La legge infatti limita rigorosamente l’accesso alle tecniche di PMA a coloro che versino in condizioni di sterilità e infertilità. Esistono coppie fertili, ma portatrici di malattie genetiche,

34 Ferrando G., Libertà, responsabilità e procreazione, Padova, 1999, 432. 35

Vedi anche Stanzione P. e Scianalepore G., Commento alla legge 19 febbraio2004 n.40,Milano, 2004, 38 e s.

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la cui procreazione naturale avrebbe l’effetto di dare la vita un individuo gravemente malato. «Il legislatore, tuttavia coerentemente con la drastica presa di posizione a favore dell’ embrione (…) ha voluto escludere ogni forma di selezione preventiva degli esseri umani, pur motivata da esigenze terapeutiche, circoscrivendo il campo di azione della disciplina ai rimedi contro la sterilità o infertilità37». Quest’aspetto della normativa è stata poi oggetto negli anni di ricorsi da parte proprio di coppie che trovavano nella legge dei limiti per accedere alle tecniche procreative (la seconda parte è dedicata alla trattazione dei casi di ricorso).

Il comma 2 dell’articolo 4 è invece dedicato all’enunciazione dei principi che devono fungere da criteri applicativi delle tecniche di PMA.

La lettera a prevede che le tecniche procreative siano applicate in base al criterio di «gradualità, al fine di evitare il ricorso ad interventi aventi un grado di invasività tecnico e psicologico più gravoso per i destinatari, ispirandosi al principio della minore invasività» e la lettera b stabilisce il principio del consenso informato da realizzare ai sensi dell’art.6.

La prima condizione di accesso costituisce espressione del più ampio principio della tutela della salute quale stato di benessere costituzionalmente garantito dall’art. 31 della Carta fondamentale38. Tale principio indica la presenza implicita del divieto di ricorrere alla pratica più invasiva la dove fosse possibile quella meno aggressiva. La procreazione assistita dovrebbe potersi attuare non solo quando non vi siano altri mezzi terapeutici efficaci, ossia la procreazione naturale, ma anche quando i metodi vi siano ma risultino di lunga durata e soprattutto pericolosi o anche soltanto dolorosi per la donna. Si sono però sollevate critiche anche riguardo a questo aspetto della normativa, che hanno portato a sottoporre a referendum abrogativo anche questa parte della normativa, con esito però negativo. La questione venne specificata (e poi ribadita nelle linee guida del 2008) con le linee guida del 2004 emanate dal Ministero della salute in ottemperanza all’articolo 7 della legge. Viene precisato che la definizione della gradualità spetta al medico, il quale deve tenere conto: «dell’ età della donna, delle problematiche specifiche e dei rischi inerenti le singole tecniche, sia per la donna che per il concepito, del tempo di ricerca delle gravidanza e della specifica patologia

37 Stanzione P. e Sciancalepore G., op. cit., 39. 38 Stanzione P. e Sciancalepore G., op. cit., 41.

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(diagnostica) nella coppia, nel rispetto dei principi etici e della coppia stessa e in osservanza al dettato della legge». Per quel che riguarda il principio del consenso informato ne parlerò in modo più dettagliato nel relativo paragrafo.

1.5 Procreazione eterologa.

Sempre all’articolo 4 riguardante l’accesso alle tecniche di PMA si trova uno dei divieti che ha suscitato molteplici polemiche: il divieto di fecondazione eterologa, sancito nell’art. 4 comma 3 della legge 40/2004.

Tale fecondazione, che si realizza con l’utilizzazione di gameti estranei alla coppia, è vietata in modo assoluto; il legislatore ha così ritenuto di non avvalorare nessuna forma di genitorialità non dipendente dalla esistenza di un legame genetico. In primo luogo il divieto esclude la liceità dell’operazione più ricorrente, ossia quella dovuta alla sterilità dell’uomo.

Si tratta di una fecondazione eterologa unilaterale in linea maschile, mediante cioè l’impiego di gameti maschili (spermatozoi) forniti da un terzo donatore, soggetto estraneo alla coppia che richiede l’applicazione delle tecniche procreative39.

Ancorché meno diffusa, ma pur sempre realizzabile e vietata anch’essa dal nostro ordinamento, è la fecondazione unilaterale in linea femminile. Tale tecnica viene effettuata con l’utilizzo di gameti femminili (ovociti) donati da una donna estranea alla coppia40.

Come è ovvio constatare, tutti questi procedimenti introducono all’interno della coppia che intende procreare «artificialmente» un elemento genetico che di fatto appartiene a un terzo soggetto estraneo alla coppia. Infatti tra il procreato, attraverso queste tecniche, e il terzo donatore di gameti, uomo o donna che sia, sussiste un nesso di derivazione biologica, una relazione genetica, a cui la legge esclude il rilievo giuridico. Per questo motivo la procreazione eterologa realizza, come nell’istituto dell’adozione, una scissione di figure genitoriali, « in cui la genitorialità biologica si confonde con quella sociale, determinando l’assunzione

39Può trattarsi di IA(inseminazione artificiale) con liquido seminale di un terzo donatore o FIVETo

GIFT con seme di donatore e ovocita della donna richiedente.(Stanzione e Sciancalepore, op. cit., 46).

40 Può trattarsi di FIVET o GIFT con liquido seminale dell’ uomo richiedente ovocita di una terza

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della responsabilità genitoriale(anche)da parte di colui che né geneticamente e neppure sotto il profilo biologico è il genitore del bambino41».

Da parte di coloro che sono favorevoli all’eterologa « si sostiene che rapporti familiari atipici non basati sulla discenda biologica, come l’adozione già sono ampiamente riconosciuti e praticati e quindi il divieto incorrerebbe in una irragionevole sproporzione42». La disposizione in questione però ha suscitato davvero un aspro dibattito tra chi sostiene l’ammissibilità del ricorso e chi la nega. Sul piano giuridico l’orientamento che ritiene legittimo il ricorso alle tecniche eterologhe pone alla base delle proprie argomentazioni quei diritti costituzionali quali il diritto alla procreazione, il diritto al rispetto della propria vita personale e familiare, il diritto a fondare una famiglia e i principi di libertà e autonomia che informano la disciplina dei rapporti personali e familiari43. Riguardo poi alla dissociazione tra genitorialità genetica e genitorialità sociale, possiamo rilevare che questa si trova già nell’istituto dell’adozione44ed è ancor più evidente in tale istituto dal momento che l’adottato non avrà nemmeno in minima parte il patrimonio genetico di alcuno dei genitori45 (anche se bisogna ricononscere che la questione non riguarda solo il patrimonio genetico).

Diverse però sono le obiezioni a questa realtà procreativa: alcuni46 sostengono che sarebbe alto il rischio di un danno psicologico che potrebbe derivare dall’ apprendere di essere legati geneticamente ad un'altra persona, rischi che potrebbero aumentare in seguito alla separazione dei genitori o all’aumento di conflittualità tra gli stessi.47Ma non solo si potrebbe arrivare ad ammettere non più soltanto un diritto a procreare ma un vero e proprio «diritto alla prole» che non esiste nel nostro ordinamento48. La corrente di pensiero contraria fonda le sue convinzioni sulla commistione di considerazioni di carattere giuridico con valutazioni di natura etica e sociologica. I contrari al riconoscimento sostengono che, introdotte le tecniche di fecondazione eterologa, si verrebbe a creare un

41C. Murgo, in La nuova giu. Civ. e comm., 3 marzo 2012, 236. 42

E. Caminiti, Sulla questione di legittimità costituzionale del divieto di fecondazione etrologa,in Fam. E dir., 3/2012, 301.

43 Per una disamina sugli argomenti favorevoli all’eterologa vedi Santosuosso F., op. cit., 65 s. 44 Come rileva Villani R., op. cit., 124.

45

Villani R., op. cit., 124.

46Dogliotti M. e Figone A., op. cit., 121.

47Per una disamina sugli argomenti contrari vedi Santosuosso F., op. cit.

48G.Milan, Aspetti giuridici della procreazione assistita, 94, il quale evidenzia come un siffatto

diritto non sia ricavabile nemmeno dalla normativa sull’adozione , la cui ratio non è quella di soddisfare l’esigenza di genitorialità degli adottanti bensì quella di assicurare una famiglia al minore che ne sia privo.

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modello di famiglia incompatibile con quello delineato dall’articolo 29 della Costituzione . Si afferma infatti che non potrebbe qualificarsi «famiglia naturale» una famiglia in cui i figli non sono figli genetici dei propri genitori49.

Vi è chi evidenzia come le tecniche eterologhe siano precipuamente indirizzate a risolvere un problema «esistenziale» piuttosto che a fornire una metodologia terapeutica. L’uomo che aderisce al ricorso alla fecondazione eterologa - a differenza di quanto accade a colui che fa ricorso all’omologa, nella quale riesce a ottenere un aiuto a concepire un figlio «geneticamente» proprio - non viene «curato»; egli non contribuisce a creare un essere umano, ma si vede attribuire un ruolo sociale e giuridico , l’essere padre50.

Una ragione ulteriore sostenuta dai fautori della tesi avversa è quella relativa alla non assimilabilità tra la pratica de qua e l’istituto della «moderna» adozione. Secondo questa dottrina tra le due fattispecie sussistono evidenti e innegabili differenze sostanziali e teleologiche. L’obiettivo dell’adozione è la soddisfazione del bisogno primario del bambino di crescere in un ambiente famigliare idoneo, laddove invece, la fecondazione eterologa realizzerebbe il desiderio di genitorialità della coppia51.

Il legislatore ha optato per un divieto assoluto di procreazione eterologa, che a parer mio però risulta privo di efficacia sotto diversi profili. Innanzitutto ciò che balza agli occhi è che la legge non ha previsto alcuna sanzione a carico di chi, malgrado il divieto, abbia fatto ugualmente ricorso alla tecniche ed è proprio l’art 12 al comma 8 a stabilire che l’uomo e la donna ai quali sono applicate le tecniche non sono punibili penalmente, mentre sono punibili il medico e i terzi donatori. Inoltre, l’inefficacia del divieto trova poi ragione nel fatto che la fecondazione eterologa è ammessa in molti Paesi europei e quindi i cittadini italiani potrebbero recarsi nelle strutture sanitarie estere per sottoporsi alle pratiche fecondative. In definitiva, l’interrogativo, che i dubbi sulla legittimità del divieto di fecondazione eterologa pone, attiene alla corretta collocazione del confine tra la libertà della persona di vivere nella più totale autonomia l’esperienza della

49E’ l’opinione di alcuni giuristi(Barbera, Gazzoni F.)che nella fecondazione eterologa verrebbe

sovvertita la concezione della famiglia come società naturale,arrivando a creare una scissione tra maternità e paternità naturale, e maternità e paternità legale.

50F. D. Busnelli, Libertà di coscienza etica e limiti della norma giuridica:l’ipotesi della

procreazione medicalmente assistita, in Fam., 2003, 281.

51

G. Sciancalepore , L’interesse del minore tra esercizi di formalismo giuridico e legalità costituzionale, in Fam e dir., 1998, 407; S. Vegettti Finzi, Oscurità dell’origine e bioetica della verità, in Questioni di bio., a cura di Rodotà, Bari, 1997, 182 e ss.

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riproduzione e il potere dello Stato di interferire su quella libertà. Una problematica questa che è stata più volte sottoposta all’attenzione dei giudici italiani e della Corte Europea dei diritti dell’uomo.

1.5.1 (segue) La maternità surrogata.

La maternità per sostituzione o maternità surrogata52, cioè la maternità di una donna che si presta ad avere una gravidanza e a partorire un figlio non per se ma per un'altra donna, rientra tra le tecniche di tipo eterologo.

Per vero la legge n 40/2004 parla di surrogazione soltanto nel comma 6 dell’art 12 con riguardo al regime sanzionatorio. E’ chiaro però che il comma 3 dell’art 4, vietando la PMA eterologa, vieta il ricorso a qualsiasi forma di sostituzione di maternità53 .

Le ipotesi configurabili sono varie: una prima è quella della donna (madre sostituta) che porta a termine la gestazione ricevendo l’ovulo fecondato di un'altra donna. L’ovulo appartiene a colei che desidera avere il figlio (madre committente e in questo caso anche genetica) ma può anche provenire da altra donna (terza donatrice).54 In tal caso si parla di surrogazione totale. Altra ipotesi è quella in cui una donna (madre sostituta e anche genetica) si incarica sia di fornire l’ovulo che di portare a termine la gravidanza. In tal caso si parla di surrogazione parziale. La mera donazione di ovuli costituisce un’ipotesi di fecondazione eterologa, in quanto si utilizzano gameti estranei alla coppia, ipotesi vietata dalla nostra legge55.

La maternità per sostituzione è oggetto di forti critiche. Essa mette in discussione un concetto basilare non solo del diritto di famiglia ma della stessa società, una certezza fondamentale per ogni essere umano:l’identità della propria madre56. La possibilità di scindere la maternità ha creato delle difficoltà proprio da un punto di vista giuridico: due i maggiori profili problematici, quello della validità degli

52Zatti P., Maternità e surrogazione, in Nuova giur. civ. e comm., 2000, 2, 193 e s.

53 Il divieto di maternità surrogata è previsto anche nel codice deontologia medica della

federazione degli ordini dei medici all’art 42 lettera a.

54

Villani, op. cit. , 131 e ss.

55 Villani, op. cit., 155 per il quale la surrogazione di maternità per donazione di ovocita altro non

è che una normale PMA eterologa la cui unica peculiarità è quella di essere un po’ meno frequente di quella per donazione di gamete maschile. E Santosuosso F., op. cit., 75.

56

Ferrando, op. cit., 441, e per un approfondimento sul tema vedi D’avack, il dritto alle proprie origini tra segreto, anonimato e verità nella PMA con donatori/donatrici di gameti, in Dir. di fam., 2012, 02, 815.

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accordi e quello dell’attribuzione di maternità e paternità. Non poche sono state infatti le decisioni in materia.

La più risalente pronuncia è quella del Tribunale di Monza57, che era stato chiamato a intervenire sul rifiuto, da parte della madre surrogata, di consegnare il bimbo da lei partorito alla coppia committente, a seguito dell’ avvenuta fecondazione con il seme del marito della coppia, in violazione del pregresso accordo di surrogazione eterologa. A tale pronuncia si deve la prima configurazione giuridica dell’accordo di maternità surrogata nella prospettiva dell’atipicità contrattuale. La Corte aveva finito con il negare la liceità dello scopo pratico, e quindi della causa che le parti avevano inteso realizzare attraverso l’accordo, in primo luogo per la mortificazione della dignità del corpo umano e delle sue funzioni coinvolti nel quadro di uno scambio mercenario58. Ma l’esame del tribunale di Monza non aveva mancato di estendere la sua considerazione al principio enunciato dagli articoli 232 e 269 c.c. (secondo cui è madre colei che ebbe a partorire il figlio di cui si tratta) e della conseguente indisponibilità privata (per mero consenso) degli status: del divieto imposto dall’art 5 c.c., che vieta qualsiasi atto di disposizione del proprio corpo quando, pur non implicando una permanente diminuzione dell’integrità fisica, comunque appaia in contrasto con la legge, l’ordine pubblico e il buon costume ed ancora ai divieti penali riferiti all’alterazione dello stato o alla falsità delle pubbliche attestazioni o infine alle disposizioni previste dal sistema positivo dell’adozione dei minori.

Del tutto opposta è invece apparsa la decisione del Tribunale di Roma59del 2000. Il caso riguardava la richiesta di una coppia di coniugi di accertare la perdurante esigibilità della prestazione del medico, cui (i due) la coppia si era in passato rivolta al fine di avviare il percorso di sostituzione di maternità, mediante il congelamento dell’embrione fecondato in vitro dall’unione dei gameti della stessa coppia e la successiva collocazione nel grembo di una donna disponibile (secondo la c.d. FIVET). A differenza del caso di Monza, qui il medico e la madre surrogata avevano manifestato il proprio consenso al progetto generativo della coppia committente. Peraltro dall’accordo era stata esclusa qualsivoglia forma di

57

A. Liaci, Commento a sentenza del Trib di Monza 27/10/198, in Giur. Civ. e comm., I, 1990, 361-366.

58Tribunale di Monza,27 ottobre 1989, in Giur. Ita., 1990, 1, 2, 296, con nota di Palmeri, Maternità

«surrogata»: la prima pronuncia italiana, e ivi, 1992, 1, 2, 72.

59

Che si espresse nelle due ordinanze del 17 febbraio 2000 e del 27 marzo 2000, in Giur. it., 2001, I, 2, 300, con nota di Natoli U., La maternità surrogata: le dinamiche sociali e le ragioni del diritto.

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corrispettività economica. In tal caso il giudice ritenne che, laddove permane intatto il rispetto della spontanea adesione di tutti i protagonisti al progetto generativo, pare difficile escludere il rilievo apportato dalle nuove tecnologie nella riproduzione.

Un altro caso recente riguarda una coppia di coniugi (marito inglese e moglie italiana) che aveva fatto ricorso alla c.d. maternità surrogata nel Regno Unito, dove la pratica di maternità sostituita non è proibita, a condizione però che l’ impegno della donna estranea alla coppia venga attuato in pieno spirito di gratuità e con la certezza della sua incoercibilità. In quel caso la Croydon Family Proceding Court emise due provvedimenti c.d. parental orders, in forza dei quali la maternità legale e la conseguente responsabilità genitoriale sui due bambini concepiti dalla madre sostituta venivano assegnati alla donna «committente». A distanza di anni dal fallimento del matrimonio, la donna committente è tornata in Italia e ha adito la Corte D’appello di Bari chiedendo il riconoscimento giudiziale nell’ordinamento italiano degli effetti dei c.d. parental orders.

Anche se questi sono alcuni degli interventi giurisprudenziali che hanno coinvolto i giudici italiani, si può notare come il divieto della c.d. maternità surrogata abbia portato non pochi problemi per le coppie italiane. Se dietro la scelta di portare avanti una maternità «in affitto» non vi sono ragioni economiche, ma un atto di libera scelta della madre surrogata quanto la sua volontà di solidarizzare con persone in difficoltà, la maternità avrebbe un valore morale al quale non potrebbe non riconoscersi un conseguente valore legale. Tuttavia si comprendono anche i timori di coloro60 che ritengono possibili commercializzazioni e pratiche puramente economiche derivanti dalla legalizzazione della sostituzione di maternità. Probabilmente si potrebbe prendere esempio da Paesi come la Gran Bretagna che ammettono la maternità surrogata se non avviene con fini economici ma con pieno spirito di gratuità61.

60Corti, La maternità per sostituzione, Milano, 2000, 94 ss.

61 il Surrogacy Arrangement Act del 1985 ha criminalizzato solo le attività dirette a favorire la

conclusione di accordi on commercial basis, ossia quelli nei quali è previsto un pagamento,mentre non ha specificamente affrontato la questione della legittimità degli accordi di maternità surrogata:legge dispone infatti che «This Act applies to arrangements whether or not they are lawful and whether or not they are enforceable by or against any of the persons making them».

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25 1.6 Status giuridico del nascituro.

Al capo 3 denominato «Disposizioni concernenti la tutela del nascituro» trovano collocazione due disposizioni e precisamente gli articoli 8 e 9, disciplinanti rispettivamente lo stato giuridico del nato dalle tecniche di procreazione medicalmente assistita e il divieto di disconoscimento della paternità e dell’anonimato della madre. In particolare l’articolo 8 stabilisce che «i nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli legittimi o di figli naturali riconosciuti dalla coppia a norma dell’art. 6» . In questo modo regola diversamente lo status del nato da genitori uniti dal vincolo del matrimonio e quello del nato da genitori non sposati.

La disposizione, che appariva superflua per quanto riguarda la filiazione legittima, in quanto trattandosi di fecondazione omologa non avrebbe potuto essere regolata diversamente62, oggi appare superata per effetto dell’abolizione della distinzione dello status dei figli legittimi e naturali, stabilito dall’articolo 315 c.c. come modificato dalla legge 219/2012. Infatti l’articolo 315 c.c. prevede che «tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico». Diversamente dall’ipotesi di procreazione «naturale», in cui lo stato di figlio naturale riconosciuto si consegue con l’atto formale di riconoscimento che ciascuno dei genitori può porre in essere indipendentemente dall’altro, nel caso della procreazione assistita lo stato di figlio riconosciuto viene attribuito ex lege al momento della nascita63. Infatti per i nati da coppie coniugate opererà la presunzione di legittimità di cui all’art 231c.c. ed in questo caso la presunzione diventa una certezza di provenienza dal marito, dal momento che il seme utilizzato è quello del marito (salvo ovviamente ipotesi particolari di eventuale scambio erroneo prima dell’impianto) e quindi non potrà esserci disconoscimento di paternità.

Come pocanzi affermavo, più problematica risulta la posizione del figlio di una coppia convivente. Lo status di figlio naturale si acquista solo a seguito del riconoscimento da parte di uno o di entrambi i genitori o per accoglimento della domanda giudiziale. Nel caso di figlio nato a seguito delle tecniche di procreazione, si ritiene che proprio la dichiarazione dei genitori di accedere alle

62Vedi Rescigno P., Una legge annunciata sulla procreazione assistita, in Corr.giur., 2002, 982. 63Sul punto vedi Dogliotti M. e Figone A., op. cit., 178, che ritiene che per ovviare a questa

disparità “ in prospettiva de jure condendo, si potrebbe ipotizzare una presunzione di nascita del figlio nella convivenza, con facoltà di prova contraria mediante azione di disconoscimento. Cosi facendo si colmerebbe una ancor vistosa differenza di status tra prole legittima e naturale.”

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tecniche di fecondazione assistita vada vista se non come un vero e proprio atto di riconoscimento, quanto meno come l’espressione di una volontà irrevocabile di riconoscimento64 . Dunque, al nuovo nato deve essere attribuito ope legis lo stato di figlio naturale riconosciuto a prescindere dal fatto che vi sia stato o meno un riconoscimento ex articolo 250 c.c. La legge, si può dire, prevede una sorta di automatismo della filiazione naturale: il consenso prestato dai genitori implica la volontà di riconoscere il figlio e di assumersi la relativa responsabilità. Per quel che riguarda l’ipotesi, seppur vietata, di maternità surrogata, nel caso in cui si realizzi, si può ritenere che un indice di regolamentazione della filiazione in questo caso viene implicitamente letto nella disposizione dell’art. 9 comma 2, che nega qualsiasi relazione parentale tra il donatore di gameti con il soggetto nato da tecniche di PMA eterologhe. La dottrina da questa disposizione ricava l’adozione da parte del legislatore del principio in base al quale la donna che ha partorito è l’unica cui possa essere attribuita la maternità, essendo giuridicamente irrilevante il fatto che l’embrione trasferito nel suo corpo fosse formato da materiale genetico proveniente da altra donna65. In questo modo secondo tale dottrina si avrebbe conferma del principio accolto dall’ordinamento che trova declinazione nella regola contenuta nell’articolo 269 c.c. comma 3 in materia di accertamento giudiziale della maternità naturale. Per quel che riguarda lo stato del figlio nell’altro caso di procreazione eterologa si veda il paragrafo relativo al «disconoscimento di paternità».

1.7 Divieto del disconoscimento della paternità.

Singolare è la previsione dell’articolo 9, che prevede il divieto di disconoscimento della paternità nel caso in cui si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, nonostante il divieto ex articolo 4 comma 3.

La particolarità riguarda proprio il fatto che la legge stabilisce una serie di divieti, tra cui appunto quello di procreazione eterologa, e poi allo stesso tempo detta precise norme in caso di sua violazione.

Facendo un passo indietro l’indeterminatezza dell’espressione utilizzata all’articolo precedente riguardo all’attribuzione dello stato di figlio legittimo o riconosciuto a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione

64

Sul punto Dogliotti M. e Figone A, op. cit., 181.

65In questo senso Sesta, Diritto di famiglia, Padova, 2005, 10.e per una critica al ricorso a tale

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medicalmente assistita, indurrebbe a ritenere che si riferisca sia alle tecniche omologhe che eterologhe. Ma l’inciso finale dell’articolo 8 comma 1 specifica poi che si applica ai nati dalla «coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell’articolo 666». Se ne deduce che dal momento in cui la nostra legge consente solo l’accesso all’omologa, mai una coppia avrebbe potuto esprimere lecitamente la volontà di ricorrere a tecniche di PMA diverse da quelle consentite. Ad ogni modo si può ritenere che in assenza di un’ espressa previsione sullo status giuridico del nato da eterologa, anche ai figli nati da essa dovrà essere necessariamente riconosciuto lo status di figli legittimi o di naturali riconosciuti della coppia che abbia fatto ricorso alla tecnica vietata.

Tornando al testo della norma in esame, si può notare come la legge ha stabilito l’inammissibilità dell’azione di disconoscimento nell’ipotesi di mancata coabitazione o impotenza del marito confermando l’ammissibilità di tale azione nell’ipotesi di adulterio della moglie o di celamento di gravidanza e della nascita67. La scelta del legislatore nell’ipotesi di adulterio può essere la più comprensibile in quanto il concepimento può essere il frutto del rapporto tra la moglie e un terzo, piuttosto che il risultato dell’inseminazione eterologa cui il marito aveva acconsentito. In tal caso però sarebbe risultato meno discriminatorio per il nato prevedere una specifica disposizione volta a verificare la discendenza genetica del figlio dal terzo donatore.

Con riguardo all’azione di disconoscimento in caso di fecondazione eterologa è importante ricordare la sentenza della Cassazione 16 marzo 1999, n. 2315 la quale stabilisce che in materia di fecondazione assistita eterologa, l’azione di disconoscimento della paternità di cui all’art. 235 c.c. è esclusa qualora sia desumibile il consenso del coniuge (anche per fatti concludenti) al ricorso all’indicato metodo di fecondazione assistita. Inoltre in materia di fecondazione assistita eterologa, qualora manchi il consenso del coniuge a ricorrere all’indicato metodo, l’azione di disconoscimento della paternità si prescrive comunque entro un anno dalla conoscenza della circostanza taciuta.

66

Cosi anche Villani R., op cit., 149.

67 Recita l’art. 8:«Qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo

eterologo in violazione del divieto di cui all'articolo 4, comma 3, il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti non può esercitare l'azione di disconoscimento della paternità nei casi previsti dall'articolo 235, primo comma, numeri 1) e 2), del codice civile, né l'impugnazione di cui all'articolo 263 dello stesso codice.»

(28)

28 1.8 Il divieto di anonimato della madre.

Sempre in ossequio al principio della tutela del nato, il comma 2 dell’art 9 dispone che « la madre del nato a seguito dell’applicazione di tecniche di (PMA) non può dichiarare la volontà di non essere nominata, ai sensi dell’art. 30 comma 1 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000 n 39668».

La norma in esame non consente alla madre di avvalersi del diritto all’anonimato laddove la stessa abbia partorito a seguito del ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita.

Le regioni di una tale scelta legislativa sono evidenti: la madre che non ha fatto ricorso alle tecniche di procreazione assistita potrebbe anche non aver voluto la gravidanza e in questo caso il diritto all’anonimato si inserisce in un contesto delicato per la gestante che non intende tenere con se un bambino, consentendole di partorire comunque in una struttura sanitaria adeguata senza tuttavia dover dichiarare la propria identità.

Nella procreazione assistita invece, il concepimento è il frutto di una scelta volontaria della madre, effettuata a seguito di colloqui e adeguate informazioni. Dunque non si vede perché la madre dopo essersi sottoposta con tanti sacrifici sia economici che personali alle pratiche in questione non voglia riconoscere il figlio partorito69. Si introduce cosi una deroga espressa alla disciplina contenuta nell’ordinamento dello stato civile, utile tuttavia a completare la disposizione sopra ricordata sullo status giuridico del nato, la quale potrebbe risultare completamente frustrata dall’esercizio della facoltà esercitata dalla madre di rimanere anonima70; l’attribuzione di stato, in tale evenienza, non potrebbe operare, dal momento che per la nascita di un rapporto tra due soggetti è quantomeno indispensabile che si conoscano almeno i soggetti a cui imputarlo.

68Di diverso avviso Cavajoni C., a cura di Dossetti M., Lupo M. e Moretti M., Cinque anni di

applicazione della legge sulla p.m.a.,Milano,2010, 107, secondo la quale il prevalente interresse del minore dovrebbe, comunque, far si che si applicassero ugualmente le disposizione ex art 8 anche in presenza del consenso non formale. E ciò argomentando anche in riferimento a quanto previsto per la PMA eterologa ove è sufficiente un consenso ricavabile da «atti concludenti».

69

Finocchiaro M., Dopo il consenso impossibile disconoscere la prole, in Le prospettive della famiglia. Dalla procreazione assistita alle coppie di fatto, in Guida al dir., Dossier mensile, 3, 2004, 41.

70 Osserva Salanitro U. A.,La disciplina della filiazione da procreazione medicalmente assistita, in

Fam.,I, 2004, 502, che la disposizone è «volta a evitare che il genitore possa rimeditare sul consenso già espresso (…) ed evitare di assumersi le responsabilità derivanti dal rapporto di filiazione».

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