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SULLE QUESTIONI DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DEGLI ARTICOLI 13 E 14 DELLA L 40/2004.

2.3.6 Giurisprudenza successiva alla Corte Costituzionale del 2009.

Nella decisione del Tribunale di Bologna del 29 giugno 2009, la sentenza della Corte Costituzionale del 2009 n. 151 ha avuto indubbiamente una ripercussione notevole. Nel caso di specie la coppia richiedeva la diagnosi preimpianto con contestuale trasferimento in utero dei soli embrioni non malati in quanto la donna era portatrice sana di distrofia muscolare ed era già madre di un figlio affetto dalla stessa malattia genetica192. Il Tribunale di Bologna osservò che la diagnosi preimpianto costituisce, « un esame compiuto allo scopo di proteggere la futura gestante, scongiurando il pericolo per la sua salute che può provenire dalla presenza di malattie o di malformazioni del feto193» come in questo caso. Pertanto il giudice segue l’orientamento giurisprudenziale che sostiene, in base all’interpretazione costituzionalmente orientata, il diritto di ottenere la diagnosi preimpianto sull’embrione, sul presupposto che esiste distinzione fra ricerca

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M Manetti, La sentenza sulla pma, o del legislatore che volle farsi medico, in www.costituzionalismo.it, 3, cit., la quale rileva come la crioconservazione sia oggi indiscutibilmente lecita, salvo ipotizzare che gli embrioni possano essere sottoposti, eventualmente, a procedimenti di conservazione più moderni, come la c.d. vetrificazione. Per un diverso avviso, invece M. Fusco, La scure della Consulta sulle illegittimità della Legge 40, 12.5.2009, www.dirittoegiustizia.it: questo esprime infatti perplessità nei confronti della tesi che individua una nuova deroga al generale divieto di crioconservazione di embrioni, auspicando che il legislatore intervenga così da « porre rimedio ad una normativa divenuta ormai disorganica e contraddittoria ».

191Corte Costituzionale n. 151/2009, cit.. in Giur. cost. 2009, 3, 1696.

192I coniugi si erano rivolti a un centro medico « in quanto nonostante i tentativi protrattisi per oltre

due anni non erano riusciti a concepire un altro figlio essendo infine stato medicalmente accertato uno stato di infertilità della coppia sine causa» Tribunale di Bologna de 29 giugno 2009, in Giur. merito, 2009, 12, 3000, con nota di G. Casaburi.

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clinica e sperimentale vietata dall’articolo 13 comma 2 e la diagnosi preimpianto; queste due situazione generano conflitti di interessi diversi e distinti anche se coinvolgono entrambe l’embrione194. Infatti, sempre il giudice bolognese ritiene che, mentre la ricerca clinica e sperimentale, vietata dall’articolo 13 comma 2, coinvolge un interesse della collettività e della scienza alla sperimentazione e dall’altra parte la tutela dell’embrione, tale conflitto di interessi debba essere risolto a favore del secondo. Ma nel caso della diagnosi preimpianto «viene in rilievo il rapporto tra l'aspettativa di vita dell'embrione e il diritto alla salute della madre genetica: tale conflitto non può dirsi risolto dalla l. 40/2004 a favore dell'embrione, se solo si pone mente al fatto che la legge, all'art. 14, comma 5, prevede il diritto della coppia di chiedere informazioni sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire nell'utero195». Uno dei punti più rilevanti della pronuncia riguarda proprio il nesso tra la possibilità di effettuare la diagnosi preimpianto sull’embrione e l’esigenza che il trasferimento di embrioni ex art. 14 comma 3 avvenga senza pregiudizio per la salute della donna196. Le argomentazioni sostenute dal tribunale di Bologna a favore della diagnosi preimpianto, si fondano sulla irragionevolezza e incongruenza del sistema normativo, in parallelo con la diffusa pratica della diagnosi prenatale, che è altrettanto invasiva per il feto e in generale per la gravidanza197. Un altro aspetto dal quale si evince che il giudice bolognese si è posto sulla stessa linea interpretativa della Corte Costituzionale n. 151 del 2009, riguarda la tutela della salute della donna affidata alla responsabilità e autodeterminazione del medico. Infatti il Tribunale chiarisce che è il medico a dover eseguire i trattamenti in considerazione dell’età e del rischio di gravidanze plurigemellari pericolose. Il giudice, sulla base di queste considerazioni, autorizzò il centro medico al quale si era rivolta la coppia a effettuare la diagnosi su almeno sei embrioni. Questa pronuncia, che ha subito forti critiche198, ha riaffermato l’orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo il quale nel bilanciamento tra la tutela dell’embrione e la tutela della salute della madre, si sancisce definitivamente la preminenza dell’interesse alla salute della donna rispetto a quello allo sviluppo

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Trib. di Bologna 29 giugno 2009, in Dir. fam. e pers., 2009, 1854.

195Trib. di Bologna 29 giugno 2009, in Dir. fam. e pers., 2009, 1854, cit.

196Vedi in questo senso E. Dolcini, La lunga marcia della fecondazione assistita , la legge 40/2004

tra Corte Costituzionale, Corte EDU e giudice ordinario, in Riv. It. E proc. Pen., 02, 2011, 428.

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Cosi E. Dolcini, op. cit., 430 ss.

198Per le critiche alla ordinanza vedi: A. Morresi, Le forzature sulla procreazione assistita. Se la

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dell’embrione199. Una successiva decisone in materia è quella del Tribunale di Salerno200 il quale introduce una novità: estende la procreazione medicalmente assistita, preceduta da diagnosi genetica pre-impianto dell'embrione anche ad una coppia fertile201. Nel caso di specie, l'impianto di 3 embrioni costituisce per la destinataria un intervento invasivo e lo stato di salute dell'embrione non è privo di rilevanza, perché, se malato, aumenterebbe il rischio di aborto spontaneo, pregiudizievole, in ogni modo, per la salute della donna. Bisogna partire da un presupposto: l'art. 4 comma 1 l. 19 febbraio 2004, n. 40 consente il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita solo quando fosse accertata l'impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto ai casi di sterilità od infertilità inspiegate o accertate, documentate da atto medico. L'accesso ridotto alle sole patologie di sterilità od infertilità comporta l'esclusione dell'impiego in funzione terapeutica qualora la coppia dovesse soffrire di altra patologia diversa da quella della sterilità o infertilità, ma che comunque renda impossibile la riproduzione con metodi naturali. L'esclusione dalla procreazione medicalmente assistita delle coppie fertili non sterili, affette da patologie trasmissibili è stata la conseguenza di una lettura «superficiale»202 delle norme durante i primi anni di vigenza della legge settoriale. Secondo il giudice di Salerno, non si è tenuto in alcun conto di quanto altri stati patologici (malattie genetiche ecc) possano assimilarsi alla sterilità o infertilità. Bisogna ricordare che a seguito della decisione del TAR del Lazio del 21 gennaio del 2008, vennero emesse le nuove linee guida ministeriali nel 2008. Quest’ultime riconoscono l'adozione delle tecniche di procreazione assistita se l’uomo è « portatore di malattie virali sessualmente trasmissibili per infezioni da HIV, HBV od HCV - l’elevato rischio di infezione per la madre o per il feto costituisce di fatto, in termini obiettivi, una causa ostativa della procreazione, imponendo

199Vedi in questo senso G. Baldini, Leggittima la diagnosi genetica di preimianto sull’embrione a

rischio, in www.altalex.com.

200er un primo commento cfr. L. D’Avack, L’ordinanza di Salerno: ambiguità giuridiche e

divagazioni etiche, in Dir. Fam e pers., 2010, 1737 ss. e G. Ferrando, La riscrittura costituzionale e giurisprudenziale della legge sulla procreazione assistita, in Fam. e dir., 5, 2011, 519.

201La coppia ricorrente in via di urgenza è portatrice di mutazione del gene SMA1, causante

l'atrofia muscolare spinale di tipo 1. La signora ha sostenuto quattro gravidanze, alla prima delle quali, la neonata morì a causa della trasmissione della malattia genetica dei genitori. La seconda e quarta gravidanza si interruppero, perché i feti affetti dalla stessa malattia. La terza giunse alla nascita di un figlio, risultato non affetto da detta patologia. Così, ben tre precedenti procreazioni non andarono a buon fine, causa la stessa patologia genetica. Il dato storico è significativo perché la coppia confidi nella procreazione medicalmente assistita con diagnosi preimpianto e disponibilità per ricevere l'impianto di soli embrioni sani.

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l’adozione di precauzioni che si traducono, necessariamente, in una condizione di infecondità, da farsi rientrare tra i casi di infertilità maschile severa da causa accertata e certificata da atto medico, di cui all’articolo 4, comma 1 della legge n. 40 del 2004 203». Inoltre a norma dell'art. 6 comma 3 l. n. 40 del 2004, la volontà di entrambi i coniugi o conviventi di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è espressa congiuntamente al medico responsabile della struttura e la volontà può poi essere revocata da ciascuno dei soggetti fino al momento della fecondazione. Il Tribunale di Salerno, sulla base della interpretazione costituzionale, per cui, nella materia della pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere l'autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali204 nega ogni ammissibilità di impianto coattivo degli embrioni allorché la donna revochi il proprio consenso. Nel caso, la coartazione costituirebbe un obbligatorio trattamento sanitario contrastante con gli artt. 32 comma 2 e 13 Cost. a tutela della inviolabilità della persona. Inoltre afferma il giudice che impedire il ricorso alla PMA alle coppie che pure non infertili o sterili sono affette da gravi patologie violerebbe irrimediabilmente il diritto a procreare e lo stesso diritto alla salute dei soggetti coinvolti, «solo la procreazione assistita attraverso la diagnosi preimpianto, e quindi l’impianto solo degli embrioni sani, mediante una lettura «costituzionalmente» orientata dell’art. 13 l. 40/2004, consentono di scongiurare simile rischio205». Da ciò deriva che la diagnosi preimpianto, richiesta dalle coppie che abbiano accesso a tecniche di procreazione assistita, è quindi funzionale alla soddisfazione dell’interesse dei futuri genitori ad avere adeguata informazione sullo stato di salute dell’embrione, nonché sul trattamento sanitario consistente nell’impianto in utero dell’embrione prodotto in vitro. Lo stesso art. 14, comma 5, l. n. 40 del 2004 prevede il diritto della coppia di chiedere informazioni sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire nell’utero, informazioni determinanti per decidere se accettare o rifiutare il trasferimento. Una interpretazione parimenti costituzionalmente orientata dell’art. 6 comma 3 l. 40/2004 cit., in ordine alla irrevocabilità del consenso all’applicazione della tecnica una volta che abbia avuto luogo la fecondazione dell’ovulo, induce del

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Linee guida del Ministero della salute del 2008.

204Corte Costituzionale 151/2009, in Giust. civ., 2009, I, 1182.

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resto a negare l’ammissibilità di un impianto coattivo degli embrioni qualora la donna revochi il proprio consenso.